viii. classico e italiano. morandi nel decennio paesano
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Certo, favorivano quest’immagine d’autorevole e tranquilla supremazia accostamenti come quelli operati nell’anonimo resoconto (dovuto con ogni probabilità alla Sarfatti) comparso sul «Popolo d’Italia», dove la natura morta morandiana già menzionata si accompagna a un paio di quadroni celebrativi del regime e al severo ritratto di Soffici modellato da Romano Romanelli34. Come poteva sfuggire questa pittura dimessa e silenziosa, a fronte dell’accademismo goffo e retorico? Grazie alla promozione delle riviste e a pochi selezionati invii a mirate esposizioni, grazie all’irriducibile «alterità» dei dipinti – indotta anzitutto dall’indiscutibile qualità della pittura – inizia a emergere un «caso» Morandi. Mitologie morandiane Proviamo ora a riassumere. Tra 1928 e 1930 Morandi assurse per la prima volta a una certa notorietà. A distanza di un decennio da «Valori Plastici» tornarono in circolazione le foto dei suoi dipinti, mentre l’opera grafica venne puntualmente proposta (secondo quegli scarti temporali e interpretativi che si sono visti) dal «Selvaggio». Gli interventi di Soffici, Carrà, Maccari, Longanesi, offrirono gli ingredienti principali per la costruzione della sua immagine di pittore. Una critica esclusivamente formalistica non era possibile: troppe le condizioni restrittive, e basti come esempio l’esemplare incomprensione della strepitosa pittura tedesca albergata ai Giardini nel 1930 (Max Beckmann, Otto Dix, Max Ernst). Si temeva l’abuso d’intellettualismo, l’assuefazione a schematismi e formule «parigine», la frenesia idiota di certo modernismo. Il discorso critico su Morandi si assestò allora intorno a un paio di snodi. Il primo e più importante fu la totale insepa1930; U. Ojetti, La XVII Biennale veneziana. Pittori e scultori italiani, «Corriere della Sera», 4 maggio 1930; P. Torriano, Note alla Biennale veneziana, «La Casa Bella», giugno 1930, p. 69; C. Carrà, Altri pittori a Venezia, «L’Ambrosiano», 18 giugno 1930; R. Franchi, Arcipelago, «Corriere Padano», 26 luglio 1930. Il catalogo dell’esposizione veneziana elenca quattro opere, ma tutti i commentatori parlano di tre opere effettivamente presenti. 34 All’Esposizione di Venezia. L’interesse del pubblico nelle note statistiche della Direzione, «Il Popolo d’Italia», 26 settembre 1930.