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Il funerale come spettacolo di massa

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Indice dei nomi

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no talvolta attirare a sé, nelle assemblee legislative, la benigna attenzione di un governo a cui, invidiosi, aspirano»39 .

Non era un eroe, Angelo Galli, certo non più di tanti altri poveri sovversivi; non gli si poteva attribuire un clamoroso gesto libertario, ma soltanto un funerale un po’ turbolento. Nel dipinto di Carrà la figura dell’anarchico resta sullo sfondo, semplicemente allusa dal passaggio della bara avvolta nel drappo rosso e accompagnata dal garrire delle bandiere nere.

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Intestandolo ad un anarchico pressoché anonimo, il quadro sembrava inoltre voler rovesciare deliberatamente il topos del funerale celebrativo dei protagonisti del Risorgimento: da quello di Vittorio Emanuele II, a suo tempo ripreso dalla nota pagina del Cuore di De Amicis, a quello, ben meno ufficiale, di Garibaldi a Caprera oppure, per avvicinarsi alla generazione di Carrà, le esequie di Felice Cavallotti nel 1898.

Il funerale come spettacolo di massa

La prima parte di Les dieux s’en vont, d’Annunzio reste di Marinetti, pubblicato nel 1908, è dedicata al racconto dei funerali con cui l’Italia umbertina e giolittiana aveva celebrato due eroi della nazione, come Verdi e Carducci40. Ne Les funerailles d’un dieu, poema dedicato alle esequie di Verdi tenute il 24 gennaio 1901 (fig. 1.6), si descrive un rituale collettivo, non privo di toni orgiastici e irrazionali, reso formidabile dalla calca ingovernata delle folle accecate dalla frenesia della partecipazione: la prima celebrazione spettacolare e «di massa» dell’Italia unita, dove è la nevrosi collettiva dei partecipanti, prima ancora che il passaggio del feretro, a suscitare l’impatto emotivo.

Il poeta è colpito dalla folla delirante, «enthousiaste, émue et sanglotante» tenuta a distanza dai cordoni di polizia; una folla

39 R. Michels, Pietro Gori, «La Voce», 3, 19 gennaio 1911, p. 489; P. Brunello, Storie di anarchici e di spie: polizia e politica nell’Italia liberale, Roma, Donzelli, 2009. 40 F. T. Marinetti, Les dieux s’en vont, d’Annunzio reste, Paris, Sansot, 1908, p. 18 e 41; sulla simbologia del funerale, cfr. anche M. Serra, La ferita della modernità. Intellettuali, totalitarismo e immagine del nemico, Bologna, Il Mulino, 1992, pp. 73-74 e cfr. D. Gagliani, Funerali di sovversivi, «Rivista di storia contemporanea», 1984, pp. 119-141.

Figura 1.6 I funerali di Giuseppe Verdi, «L’Illustrazione Italiana», 3 febbraio 1901.

che sull’onda dell’emozione erompe, si fa largo tra le baionette, «énorme, haletante et émue, inonda la chaussée libre, enveloppant le char funèbre». Il pathos vigoroso della popolazione si contiene a fatica contro l’esercito schierato, in una contrapposizione che si condensa nell’immagine della marea che sale, metafora poi largamente usata nei manifesti: «La vaste marée toujours grandissante vient se briser contre un triple digue de fantassins qui défendait l’accès du cimetière monumental».

Temi visivi di sicura presa si trovano poi ne Le tombeau de Severino Ferrari, che si legge ne La ville charnelle41. Qui, tra inquietanti «bois sanglants», spiccano «étendard de lumière aveuglante» e «les lances vermeilles du soleil déclinant»: nel paesaggio poetico risuona lo stato d’animo, e la scrittura procede per immagini vivide. La simbologia cromatica può apparire prevedibile, ma è soluzione assai diffusa nella tradizione tardosimbolista. È lecito ricordare le strofe di Gian Pietro Lucini dedicate a

41 F. T. Marinetti, La ville charnelle, Paris, Sansot, 1908, p. 186.

Gaetano Bresci: «Dei fiori rossi sulla rossa aurora; / macchie di sangue, le nuvole in cielo: / macchie di sangue, garofani rossi, / tra l’erba grassa») e l’amara constatazione con cui si aprono nel 1909 le Revolverate: «Per ciò io canto questi fiori plebei e consacrati / Dal martirio plebeo innominato, / in codesto sdegnoso rifiuto di prosodia, / per l’odio e per l’amore, per l’angoscia e la gioja, / e pel ricordo e la maledizione, per la speranza acuta alla vendicazione»42 .

In queste pagine marinettiane la descrizione degli eventi appare così prossima alle soluzioni adottate da Carrà da far ritenere che il suo grande dipinto o, per meglio dire, la sua definitiva scrittura «futurista», sia stata suggerita da Marinetti stesso, in qualità di indiretto committente del quadro: un modo per spingere il giovane e incerto pittore a percorrere i temi narrativi promessi dall’agonistica futurista, rielaborando con maggiore aggressività di stile e figure gli spunti visivi del primo bozzetto. La figura dell’anarchico condensava la pulsione individuale verso il gesto di violenta redenzione e immediato riscatto (la «vendicazione» di Lucini). L’immagine del funerale associava l’emozione collettiva alla mistica autorappresentazione della folla, partecipe a un rituale d’espiazione di massa43 .

L’anarchico è l’individuo per eccellenza; il funerale, una delle possibili esperienze della collettività. Per la natura delle rispettive rappresentazioni sociali, tale incontro non poteva che generare un tumulto. Poco importa che, nella realtà dei fatti, ai funerali di Angelo Galli vi fu poco più d’una scherma-

42 G. P. Lucini, Per un Fantasma, sopra due Cadaveri. Tributo al gesto di Gaetano Bresci, e Per chi?…, in Revolverate, Milano, Edizioni futuriste di «Poesia», 1909, e ora in Revolverate e Nuove Revolverate, a cura di E. Sanguineti, Torino, Einaudi, 1975, pp. 319 e 17. 43 Sulle nascenti ideologie di massa si può disporre ora di studi più circostanziati, utili per un confronto con il futurismo: cfr. A. Mucchi Faina, L’abbraccio della folla. Cento anni di psicologia collettiva, Bologna, Il Mulino, 1983; C. Giovannini, La cultura de «La Plebe». Miti, ideologie, linguaggio della sinistra in un giornale d’opposizione dell’Italia liberale (1868-1883), Milano, Franco Angeli, 1984; J. van Ginneken, Crowds, Psichology and Politics 1871-1899, Cambridge, Cambridge University Press, 1992; S. Cavazza, Dimensione massa. Individui, folle, consumi, 18301945, Bologna, Il Mulino, 2004. Un confronto con il pensiero di Gustave Le Bon è stato proposto da C. Poggi, Folla/Follia: Futurism and the Crowd, in Ead., Inventing futurism: the art and politics of artificial optimism, Princeton, Princeton University Press, 2009, pp. 35-64.

glia. Quel che interessava a Carrà novizio pittore futurista era ben altro: trovare un’efficace soluzione iconografica alla folla tumultuosa, da contrapporre esplicitamente alla retorica della folla disciplinata.

Sul piano della strategia visiva, questa scelta appare la più importante, poiché era polemicamente volta a rovesciare il rassicurante e paternalistico topos della folla quieta e ordinata che si trova in tanta poesia sociale di Cavacchioli, Cardile, dello stesso Lucini. Si prenda la composta immagine dell’avanzata del proletariato nel Primo maggio di Lorenzo Stecchetti:44 «Passano lenti. Un lampeggiar febbrile / arde a ciascun il ciglio. / Passan solenni e da le dense file / non si leva un bisbiglio». Quella di Stecchetti è la folla disciplinata che, in un’immota purezza compositiva di discendenza raffaellesca, era stata raffigurata da Pellizza da Volpedo nel Quarto Stato, un dipinto che ovviamente Carrà conosceva molto bene.

Carrà volle rovesciare il punto di vista della scena di Pellizza, adottando la soluzione, tanto patetica quanto spettacolare, che Pellizza stesso aveva utilizzato ne Il morticino, un quadro altrettanto ben noto a Carrà, dove si anticipa anche quel melodrammatico controluce intorno a cui è impostato il Funerale45. In tal modo, lo spettatore non fronteggia la massa che avanza con tranquillità ma si trova davvero dentro essa; è al tempo stesso protagonista e antagonista, partecipe alla zuffa, «nel centro del quadro», come promesso nel Manifesto della pittura futurista.

Scene di folla erano state studiate da Boccioni ne La retata, 1910 e in due studi a china del 191146. Modelli visivi erano offerti dalla grafica di Jan Toorop e Félix Vallotton, divulgati da

44 P. C. Masini, Poeti della rivolta: da Carducci a Lucini, Milano, Rizzoli, 1978, p. 153; lo storico repertorio di Masini è da aggiornare con Petrolio e assenzio. La ribellione in versi (1870-1900), a cura di G. Iannaccone, Roma, Salerno Editrice, 2010; un inquadramento di questi temi si legge in E. Franzina, Canzoniere anarchico e socialista, in Gli italiani in guerra, cit., pp. 286-299. 45 Il morticino di Pellizza da Volpedo (ora Musée d’Orsay, Parigi) fu esposto a Milano nel 1906 e nella sala personale retrospettiva alla Biennale di Venezia del 1909; su queste opere cfr. Carrà, La mia vita, cit., p. 76. Sulla vicenda di Pellizza, dalla disillusione del Quarto Stato fino al suicidio, utile il cfr. con M. Onofri, Il suicidio del socialismo. Inchiesta su Pellizza da Volpedo, Roma, Donzelli, 2009. 46 M. Calvesi, E. Coen, Boccioni. L’opera completa, Milano, Electa, 1983, nn. 660, 688-689.

Vittorio Pica su «Emporium» (fig. 1.7), oltre naturalmente alla pletora di quadri di orientamento socialista e progressista che, dal 1880 in avanti (anno in cui il pittore accademico francese Alfred Roll ottenne un clamoroso successo con La Grève des mineurs), tentavano di rinnovare la tradizione realista alla luce delle sensazionali rivendicazioni proletarie47. Nessuno di questi esempi, tuttavia, aveva l’aggressiva pregnanza dell’immagine di Carrà, il suo senso di diretta e ficcante partecipazione, anziché l’osservazione distaccata dentro il campo lungo della veduta.

Questo aspetto è senz’altro il primo e più importante elemento dovuto all’influenza delle teorie marinettiane, cui s’aggiunge la trascrizione vigorosa, per quanto piuttosto caotica, della dinamica di figure e oggetti. Per la soluzione grafica del movimento dei bastoni, è verosimile che Carrà abbia tratto insegnamento dalle cronofotografie di Marey48. Desideroso tuttavia di condurre il semplice fatto di cronaca alla magniloquenza della pittura storica, Carrà era in grado di ricollegarsi anche a una tradizione colta. Nel loro insieme, infatti, le aste delle bandiere possono apparire come un’allusione alla Battaglia di San Romano di Paolo Uccello. Si tratta, in effetti, di un espediente compositivo, e di un colto richiamo alla grande pittura, che mirava a emancipare la descrizione da semplice e caotico tumulto a respiro quasi epico della battaglia.

Proviamo, a questo punto, a rispondere alla domanda circa le intenzioni di Carrà. Mescolando la retorica visiva di tre distinti

47 Il dipinto di Alfred Roll (un tableau-drapeau di oltre quattro metri di larghezza), esposto al Salon del 1880 e ora al Musée des Beaux Arts di Valenciennes è da considerarsi a tutti gli effetti il capostipite del genere. F. Vallotton, Dimostrazione in strada, in Vittorio Pica, I moderni incisori su legno: Félix Vallotton, «Emporium», XXI, 1905, n. 124, p. 316; J. Toorop, Proletariato minaccioso, in V. Pica, Artisti contemporanei: Jan Toorop, ibid., XXII, n. 127, p. 101; in quello stesso volume si legge anche (pp. 439-456) A. Ghisleri, Pagine di storia contemporanea: i processi di Mantova e i martiri di Belfiore, dove si recensisce A. Luzio, I martiri di Belfiore ed i loro processi, Milano, Cogliati, 1905, 2 voll., fornendo una probabile fonte per l’elaborazione del perduto dipinto di Carrà I martiri di Belfiore. 48 G. Lista, Futurist Photography, «Art Journal», vol. 41, n. 4, 1981, pp. 358-364; ma sarebbe opportuno ricordare anche la zuffa par excellence: quella tra i tavolini delle Giubbe Rosse a Firenze nel luglio 1911, iniziata come vera rissa e finita come allegra farsa; ma con Carrà che, a detta di Balilla Pratella, «col suo bastone sembrava un mulino a vento»: cfr. Umberto Boccioni. Lettere futuriste, a cura di F. Rovati, Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto, Rovereto, Egon, 2009, p. 216.

Figura 1.7 Felix Vallotton, La dimostrazione, «Emporium», aprile 1905.

elementi (l’individuo anarchico, il funerale, la folla tumultuosa) Carrà proponeva un quadro dove l’urgenza della cronaca ambiva ad assumere la coloritura epica del quadro di storia, a partire dalle dimensioni stesse del dipinto. L’intensità dell’espressione visiva e della struttura compositiva incoraggiava una sorta di proiezione fisica dell’osservatore, immerso nello spazio, esplicitamente antagonista e «politico», del quadro49. Trainata dalla circolazione europea del dipinto dopo il 1912, questa soluzione riscosse un certo successo: per il quadro che rappresenta i funerali dello scrittore anarchico Oskar Panizza (Staatsgalerie, Stuttgart), George Grosz sceglierà di operare nel 1918 una sintesi tra le suggestioni del quadro di Carrà e gli accesi cromatismi della tradizione espressionista.

Quale poi fosse la chiave di lettura offerta allo spettatore

49 Il dato fornito dal Museum of Modern Art di New York è di cm. 198,7x259,1: il che ne fa, a mia conoscenza, la tela più grande mai dipinta da Carrà. Sul quadro come spazio “ideologico” cfr. M. Antliff, The Fourth Dimension and Futurism: A Politicized Space, «Art Bullettin», LXXXII, n. 4, December 2000, pp. 720-733.

Figura 1.8 Elaborazione grafica dei Funerali dell’anarchico Galli di Carlo Carrà, 1911.

«messo al centro del quadro», è altra questione: doveva davvero identificarsi con il ribelle?50 Se guardiamo con un po’ d’attenzione il quadro, al centro del gruppo in primo piano appare, pur con una certa difficoltà, una figura finora sempre sfuggita (fig. 1.8). Si tratta di un dimostrante che, proprio come raccontano le cronache, sta cercando di strattonare la guardia a cavallo. È a lui che sono rivolte le «attenzioni», se vogliamo chiamarle così, del terzetto che lo circonda agitando i bastoni.

Propongo tre elementi per rovesciare la consueta interpretazione della figura principale: 1) il suo agire con il bastone verso la figura di sinistra, che sicuramente raffigura un anarchico nell’atto di far disarcionare la guardia a cavallo;

50 L’interpretazione della figura principale che dà le spalle all’osservatore come un anarchico con bastone e una pietra si trova da ultimo in L. Rainey, C. Poggi, L. Withman, Futurism: An Anthology, New Haven, Yale University Press, 2009, p. 312 e n. 55.

Figura 1.9 Achille Beltrame, La rivolta a Milano. Al Palazzo Saporiti sul corso Venezia, «L’Illustrazione Italiana», 15 maggio 1898.

2) l’obiettiva difficoltà nel considerare come una pietra raccolta dal selciato (seguendo un topos visivo del ribelle, come si può vedere nelle immagini dei moti del 1898 [fig. 1.9]), l’oggetto rossiccio che tiene nella mano sinistra; 3) gli alti stivali di cuoio, rilucenti, che troviamo anche nelle altre figure delle guardie che stanno assestando i colpi di manganello ai dimostranti (riconoscibili dai copricapi calati in testa), e che sembrano appartenere ad una dotazione militare.

Insomma, se vogliamo prestare fede a questa lettura, Carrà mise lo spettatore al centro del quadro: attribuendogli però il ruolo di repressore. D’altra parte, ci teneva a essere lui, militante anarchico e pittore futurista, il rivoluzionario.

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