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Il futurista impresario
di costoro vollero donare la propria opera in conformità allo spirito dello scomparso, e quanti invece assecondarono le aspettative di un museo? E quali potevano essere le aspettative di un museo, in una Gorizia italiana e «redenta»? E che cosa rimase, infine, dello spirito e delle intenzioni futuriste dell’intestatario?
Nelle pagine che seguono proveremo allora a seguire l’azione di Pocarini nel decennio o poco più della sua attività; cercando di capire se, e in che modo, essa si è riflettuta nelle opere donate alla sua memoria.
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Il futurista impresario
Sofronio Pocarini morì affogato nel mare di Grado un pomeriggio dell’agosto 1934. Biagio Marin ricordò l’episodio con parole ispirate: «Intanto il vento soffiava duro da libeccio sul mare; le acque erano torbide e schiumose d’onde sempre più pesanti. Chiamavano l’onde con risa bianche, chiamava il vento con voce alta d’organo immane». In realtà, la tragica morte sembrava ironicamente smembrare quel vitalismo giovanile che era trascorso in molta letteratura. Non era forse Slataper ad aver scritto, ne Il mio Carso: «Il mare schizza di gioia, e spuma. Ché il mare non ama il lento arranchio asmatico dei vecchi, lo sbatacchio affannoso degli inesperti. Ama il mare d’esser tagliato, battuto, disfatto da gambe muscolose e braccia bronzine»? Più che un presagio, non è difficile iscrivere il drammatico episodio nella più vasta sorte di un’intera generazione, in una stagione assai critica7 .
Ammise lo stesso Marin che Pocarini «era sempre troppo distratto per veramente concludere, per veramente creare»8. Come giornalista aveva collaborato con varie testate giuliane, giungendo a dirigerne due. La prima fu «La Voce di Gorizia» che resse dal 1923 al 1927. La seconda rivista fu «L’Eco dell’Isonzo» diretta dal 1930 alla morte. Si trattava di un’onesta rassegna turistica trimestrale: un contenitore sufficientemente eclettico e malleabile
7 Il brano di Slataper è discusso in A. Brambilla, Riflessioni su sport e scritture: una scheda giuliana, «Otto/Novecento», XVIII, n. 2, 1994, pp. 245-251. 8 B. Marin, Ricordo di Pocarini, «L’Eco dell’Isonzo», 1934 (poi in «Studi Goriziani», XXV, 1959, pp. 169-171).
per gli interessi, variegati e piuttosto dispersivi, del Pocarini. Egli si cimentò infatti anche nella poesia, nella drammaturgia e nella pittura, aderendo a un modernismo piuttosto blando. Raramente i risultati andarono oltre la mediocrità. Silvio Benco riconobbe in lui «uno spirito animatore, un elemento di coesione nella vita artistica friulana»9 .
Altri furono i suoi meriti. Fu un infaticabile ed estroso promotore d’arte e letteratura. Compilò il giornalino satirico «El réfolo gorizian» e quindi, nel 1923, L’indispensabile, un almanacco dove fra le altre cose spiccava la réclame della «Rivoluzione liberale» di Gobetti. Promosse una «Compagnia del Teatro Semifuturista» che fece il giro del Triveneto10. Fu insomma una figura come la provincia italiana partoriva non di rado a quei tempi.
Con la rivista «Aurora», sette numeri nel corso del 1924, Pocarini ebbe modo di organizzare una trama di rapporti regionali, utili a tirare le fila del modernismo locale e a indicare qualche priorità nell’affannosa ricerca del nuovo. Nel foglio, abbellito dalla grafica tra il costruttivista e il déco di Giorgio Carmelich, l’originale produzione degli artisti giuliani era alternata a un ricco notiziario internazionale. La vocazione europea era confermata non solo dalla presenza centrale di autori come Enrico Prampolini e Ruggero Vasari, ma anche dal pingue carnet di contatti, secondo una convergenza operata non tanto sulla piattaforma teorica futurista, quanto su un generico modernismo inteso come forza di reazione all’arte tradizionale11 .
I segnali della normalizzazione erano ormai chiari. Proprio nel 1923, dalla soppressione dei tre musei fondati dal governo austriaco, era stato aperto a Palazzo Attems il Museo della Re-
9 Il passo di Silvio Benco, tratto da «L’Eco dell’Isonzo» del 20 gennaio 1934, è citato in E. Pocar, Mio fratello Sofronio, Gorizia, Cassa di Risparmio, 1976, p. 269. 10 W. Bohm, The Other Futurism. Futurist Activity in Venice, Padua and Verona, Toronto University Press, 2004, p. 64. 11 B. Passamani, Dall’alcova d’acciaio al Tank ai Macchi 202, in Frontiere d’avanguardia. Gli anni del Futurismo nella Venezia Giulia, catalogo della mostra, a cura di M. Masau Dan (Gorizia, Palazzo Attems, 1985), Gorizia, Arti Grafiche Campestrini, 1985, pp. 18-61. È opportuno osservare che intorno a un giornale dal titolo «L’Aurora» ruotavano le vicende narrate da Bruno Corra nel romanzo Bevitori di sangue, Milano, Sonzogno, 1922, dove sono riconoscibili allusioni a personaggi reali dell’editoria e del mondo culturale italiano, non senza espliciti riferimenti a Mussolini.
denzione. La soppressione delle tre collezioni del Museo Provinciale della Contea di Gorizia e Gradisca, del Museo Diocesano e del Museo Civico di Gorizia era un atto squisitamente politico. A misurarne il tono basterebbero alcune parole di un osservatore dell’epoca, tratte da una fonte relativamente ufficiale quale poteva essere il Bollettino dei Civici Musei di Udine: «Il Nuovo museo provinciale – si legge – fu allogato nelle belle sale del palazzo Attems dopo che un non breve lavoro di restauro e di purificazione vi ebbe fatto sparire le luride tracce che i tedeschi lurchi vi avevano lasciate». L’auspicata, definitiva collocazione presso il Castello sarebbe giunta allorché l’edificio fosse ripristinato dai «danni antichi cagionati dall’Austria che vi avea fatto un tristo arnese d’oppressione e di minaccia per tenere in freno i nobili spiriti patriottici della città»12 .
Svuotando di significato il materiale ereditato dal passato della città, si andava avviando una mistificazione ideologica e una manipolazione culturale. A farne le spese fu l’equilibrio che aveva retto l’attiva presenza di culture italiane, tedesche e slave. Non che Pocarini fosse esente da intenzioni nazionalistiche: lo dimostra senza equivoco la clausola finale del documento di Fondazione del Movimento futurista giuliano, sottoscritto da Mario Vucetich, «Architetto e pittore futurista» e Sofronio Pocarini «Poeta e pittore futurista».
Il testo era comparso su «La Voce dell’Isonzo» già nell’ottobre 1919. Vi si poteva leggere: «Vivere e far vivere la nostra vera vita moderna dinamicamente italiana. Amare l’Italia sopra ogni altra cosa. Agire futuristicamente da italiani per il bene dell’Italia. Combattere unicamente per l’italianità di tutto ciò che è italiano». Il manifesto non incrinò più di tanto la compassata riunione del locale Circolo artistico, frequentato nell’immediato dopoguerra da tutti gli artisti goriziani e, a credere alle parole del pittore Veno Pilon, in piena amicizia tra italiani e sloveni13 .
Dalle testimonianze sembra insomma emergere un’esigenza di convivenza civile. Il nazionalismo era temperato dal desiderio di stabilire un legame di fraternità con le popolazioni conviven-
12 A. Battistella, Il nuovo museo provinciale di Gorizia, «Bollettino del Museo Civico di Udine», I, n. 3, novembre 1923, pp. 3-6. 13 Pocar, Mio fratello Sofronio, cit., p. 182.
ti nell’estremo lembo della nazione. Il principio venne tra l’altro affermato in una nota dell’Associazione della stampa goriziana diramata nel 1924 per protestare contro la chiusura di un giornale in lingua slovena14 .
Nei quattro anni di direzione de «La Voce di Gorizia», Pocarini proiettò i propri ideali di difesa dell’identità italiana, rivendicando l’autonomia della provincia, in una mobilitazione che non fu certo solo politica. Com’è noto, infatti, nel disegno dei confini postbellici, la vecchia Contea di Gorizia era stata sacrificata in modo tale da avere una minoranza slovena di circa centocinquantamila abitanti, concentrati tra Isonzo, Idria e Vipacco, all’interno dell’amministrazione provinciale udinese di oltre un milione d’abitanti. Come scrisse senza mezzi termini il giornale, gli alloglotti «hanno avuto la sensazione concreta che l’unica cosa che resta loro fare è di divenire buoni italiani e profittare di tutti i vantaggi, morali e materiali, che offre la grande Patria Italiana in confronto della piccola patria slovena, ieri ancella dell’Austria, oggi cenerentola della triade jugoslava»15. Molte attività culturali goriziane, compresa l’effimera casa editoriale di Pocarini (che risulta aver pubblicato un pugno di libri)16 si inquadravano in questo processo. La forzata italianizzazione della provincia goriziana lasciava aperti degli spazi per sperimentare, più che una polarizzazione estrema, una fruttuosa convivenza; per Pocarini il futurismo marinettiano fu uno di questi spazi17 .
Sfruttare il disinvolto annessionismo futurista come strumento di costruzione di un’identità artistica moderna e italiana: dietro l’operazione di Pocarini, come di tanti fogli e foglietti giuliani più o meno effimeri, trapela il programma di ricostituzione – o, se si preferisce, d’invenzione – di una lignée dignitosamente italiana, verso cui potevano convergere le più fresche energie
14 Ivi, p. 285. 15 Gorizia e gli slavi, «La Voce di Gorizia», 24 agosto 1924. 16 Dei sei titoli prodotti dalla Casa editrice S. Pocarini, Gorizia, ne menziono due: P. Menghi, Idea e azione coloniale italiana, 1926 e C. L. Bozzi, Giorgio Bombig e l’italianità di Gorizia, 1927. 17 L. Čermelj, Sloveni e Croati in Italia fra le due guerre, Trieste, Stampa Triestina 1974, p. 119; G. Sluga, Identità nazionale italiana e fascismo: alieni, allogeni e assimilazione sul confine nord-orientale italiano, in Nazionalismi di frontiera. Identità contrapposte sull’Adriatico nord-orientale, 1850-1950, a cura di M. Cattaruzza, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2003, pp. 171-202.
giovanili18. Il nazionalismo dei futuristi, insomma, non era inteso, entro quest’area di frontiera, semplicemente come baluardo dell’italianità. In anni in cui Marinetti era tacciato come «il peggior nemico dell’Italia rurale», il fondatore del futurismo appariva invece loro come il miglior amico delle differenze culturali; e poteva qui essere celebrato dinanzi «agli italiani tutti, al di sopra di ogni preconcetto artistico o politico»19 .
Nel 1927, anno in cui la provincia di Gorizia si staccherà da Udine, subendo un cruento processo di italianizzazione forzata, «La Voce di Gorizia» fu colpita da una sospensione prefettizia; dovette infine soccombere dinanzi alla ristrutturazione fascista della stampa20 .
In una pagina del marzo 1926 Pocarini tentò di mediare le non sopite rivendicazioni avanguardiste con l’indole nazionalistica21:
Per concretare un avvenire radioso all’arte nostra è necessario abbandonare l’attuale sistema di noncuranza tra un dato gruppo avanguardista e l’altro e di addivenire finalmente a quella che io chiamo l’internazionale degli artisti geniali che permetterà a tutti gli avanguardisti del mondo di essere in continua relazione tra di loro, aiutandosi vicendevolmente nella conoscenza delle loro opere […] L’internazionale tra gli artisti geniali, da me auspicata, non prevede assolutamente l’abbandono da parte di qualcuno di quella che è la sua essenza nazionale; nessuno più degli artisti italiani sente tanto fortemente e con orgoglio di razza il più intenso amore per la sua nazionalità, e d’altro canto nessun artista italiano permetterà mai che si faccia azione antinazionale.
Le tesi, squisitamente politiche, circa il «proletariato dei geniali» espresse da Marinetti acquisivano qui un nuovo, più intenso, e cogente significato.
18 Un regesto di questi materiali in Il Novecento a Gorizia: ricerca di una identità. Arti figurative, catalogo della mostra (Gorizia, Musei Provinciali, 2000), a cura di A. Delneri, Venezia, Marsilio, 2000 e in Futurismo. Filippo Tommaso Marinetti, l’avangurdia giuliana e i rapporti internazionali, catalogo della mostra (Gorizia, Fondazione Cassa di Risparmio di Gorizia, 2009-2010), a cura di M. De Grassi, Mariano del Friuli, Edizioni della Laguna, 2009. 19 «Il Selvaggio», 15 luglio 1927, cfr. S. Pocarini, Le onoranze nazionali a Marinetti, «La Voce di Gorizia», 22 novembre 1924. 20 Sulla radicalizzazione del conflitto tra sloveni e governo fascista tra 1927 e 1929 cfr. A. Vinci, Sentinelle della patria. Il fascismo al confine orientale 1918-1941, Roma-Bari, Laterza, 2011, pp. 191 sgg. 21 Cit. in Pocar, Mio fratello Sofronio, Gorizia, Cassa di Risparmio, 1976, p. 182.