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Rivoluzionari e riformisti
Rivoluzionari e riformisti
Nonostante le critiche espresse dai riformisti, il mito dello sciopero generale e dell’insurrezione prese sempre più spazio dopo i fatti del 1904, fino a saldarsi con la crescente fortuna delle tesi di Georges Sorel, che in quegli stessi anni stava pubblicando a puntate, sulla rivista «Il divenire sociale», le tesi poi raccolte nel 1908 in Considerazioni sulla violenza.
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Dinanzi allo spregiudicato iter dell’autore, i giudizi su Sorel restavano tuttavia assai controversi. I rivoluzionari riconobbero il suo pensiero come l’unico in grado di rendere attuali le teorie di Marx. Più che una teoria politica, Sorel appariva loro come uno «stato d’animo» che sostanziava la mitologia collettiva dello sciopero generale, grazie alla spontanea forza rivoluzionaria delle masse proletarie, senza gli impicci delle mediazioni politiche21 .
Arturo Labriola riconobbe nelle proposte di Sorel un fenomeno d’intransigenza estraneo alla legalità esistente, di matrice antistatale e sostanzialmente «inventivo» (cioè: «non può battere le vie solite, ma ispirarsi alla profonda coscienza della sua genialità e quindi del suo diritto a tentare l’esperimento»)22. Per Gramsci, memore del giudizio di Lenin sul «ben noto confusionario», si trattava piuttosto di un antigiacobinismo «settario, meschino, antistorico» d’intrinseca irresponsabilità23 .
L’immagine di Sorel si era così assestata in quella, certo non meno caotica, dell’autore che intendeva operare una sintesi tra il marxismo e il pensiero di Proudhon, Bakunin, Bergson e Nietzsche. Era certo un programma politicamente velleitario, ma che restava seducente agli occhi di molti intellettuali. Una
21 Cfr. per questo le considerazioni di W. Mocchi, Dopo lo sciopero generale, «Avanguardia socialista», 30 settembre 1904; R. Michels, Storia del marxismo in Italia, Roma, Mongini, 1910, p. 117 e E. Leone, La teoria sindalicalista, Palermo, Sandron, 1910; per un quadro complessivo della fortuna è utile la ricostruzione di P. Vita-Finzi, Le delusioni della libertà, Firenze, Vallecchi, 1961, pp. 29-41, da cfr. con G. L. Goisis, Sorel e i soreliani. Le metamorfosi dell’attivismo, Venezia, Helvetia, 1983, p. 377. 22 A. Labriola, Economia, Socialismo, Sindacalismo, Napoli, Società editrice partenopea, 1912, p. 312. 23 A. Gramsci, Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce, Roma, Editori Riuniti, 1996, p. 137; il giudizio di Lenin si legge in Materialismo ed empiriocriticismo, Roma, Editori Riuniti, 1953, p. 273.
parte della cultura vociana riconobbe in Sorel le possibilità d’una sintesi «classica e umanistica» tra vocazione insurrezionale e tradizione del mito, confermando l’idea di una «aristocrazia idealista» e il primato della élite intellettuale. In una memorabile intervista con «La Voce», Sorel confermò che la violenza proletaria era un sintomo del ritorno del «senso eroico». Il proletariato doveva compiere uno sforzo ideologico per scavalcare l’intera ideologia borghese, con il suo bagaglio democratico e politico, e risalire al pensiero classico, foriero di miti agonistici24 .
La fortuna di Sorel era insomma strettamente legata al diagramma delle contrapposizioni tra rivoluzionari e riformisti, in un arco di anni – quando non di mesi – che si sovrappone pienamente alle prime elaborazioni teoriche del futurismo. L’ondivaga ricezione del pensiero di Sorel era tuttavia strettamente commisurata ai mutamenti che egli stesso andava elaborando, sino ad abbandonare del tutto il sindacalismo, nel momento in cui esso gli apparve neutralizzato dal socialismo parlamentare e mantenuto in vita soltanto dalla velleitaria ritualità delle masse scioperanti25. In una lettera a Mario Missiroli del 1910 Sorel ammetteva di essersi allontanato per tempo dalla violenta deriva del sindacato rivoluzionario, e quindi di non avere responsabilità morali dinanzi ad essa26 .
Gli osservatori più attenti erano naturalmente a conoscenza di queste distinzioni. Gaetano Salvemini riteneva il socialismo rivoluzionario connaturato alla confusa ideologia del suo Cocò – la figura satirica del giovane meridionale dall’incerta vocazione intel-
24 Cfr. in particolare l’interpretazione offerta da G. Prezzolini, La teoria sindacalista, Napoli, Perrella, 1909, p. 180 (su cui G. Papini, G. Prezzolini, Carteggio II. 1908-1915. Dalla nascita della «Voce» alla fine di «Lacerba», Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2000, p. X e 158); A. Lanzillo, Colloquio con Georges Sorel, «La Voce», I, n. 52, 9 dicembre 1909, pp. 220-221; di Sorel, Lanzillo tradusse Le illusioni del progresso, Palermo, Sandron, 1910, e La religione d’oggi, Lanciano, Carabba, 1911, che seguivano di poco l’edizione di Considerazioni sulla violenza, promossa da Croce (Bari, Laterza, 1909). 25 G. Sorel, Sindacalismo traditore, «Il Resto del Carlino», 24 maggio 1910. 26 G. Sorel, Da «Proudhon a Lenin» e «L’Europa sotto la tormenta», Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1973, p. 457, G. Sorel a Mario Missiroli, 1 novembre 1910: «D’autre part, les ouvriers écartent les gens qui leur vantent les actes criminels. Je suis enchanté de n’avoir plus aucune relation dans le monde révolutionnaire; je me suis retiré à temps pour ne pas avoir même une responsabilité morale».