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Dar forma al mito dell’insurrezione

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Indice dei nomi

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lettuale e dallo spirito irresponsabile, verrebbe da dire prefuturista – «insuperabile nel rompere le vetrate, nel fracassare le panche»27 . Come avvertì poco dopo Croce, la causa del socialismo s’identificava ormai nella democrazia parlamentare, nei liberisti antistatali, nella critica degli intellettuali; il sindacalismo rivoluzionario, abbandonato dallo stesso Sorel, appariva ormai dissolto28 .

Tra il 1904 e il 1909 era sembrato possibile dare vita a un movimento politico operaio, su base sindacalista-soreliana, da contrapporre al partito socialista divenuto un partito costituzionale di riforme democratiche. Questo tipo di sindacalismo proponeva un effettivo sovvertimento della democrazia: ma era ormai chiaro che «l’ora non era prossima». Dopo il voto di fiducia del 1910 al nuovo governo Luzzatti che aveva promesso il suffragio allargato, il Congresso del Partito Socialista confermò infatti la maggioranza riformista; essa però si divise tra il gradualismo di Turati e l’indirizzo sempre più governativo di Bissolati. La prospettiva di una palingenesi sociale avrebbe dovuto attendere, secondo la proverbiale formula di Labriola, che le classi lavoratrici avessero prima vuotato, «sino all’amarissima feccia, il calice democratico»29 .

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Dar forma al mito dell’insurrezione

Nei primi anni del secolo, un artista che avesse voluto agitare ideali progressisti e di socialismo difficilmente sarebbe potuto andare oltre le risorse offerte dal truce realismo «sociale» espresso nel quindicennio precedente, o il rifugio nell’allegoria liberty. Sul piano visivo, il repertorio si era infatti polarizzato tra la rabbiosa iconografia dell’insubordinazione dei salariati (sull’esempio di Emilio Longoni, L’oratore dello sciopero, 1891) e la radiosa prospettiva

27 G. Salvemini, Cocò all’Università di Napoli o la scuola della mala vita, «La Voce», II, n. 3, 3 gennaio 1909, pp. 9-10. 28 La morte del socialismo (Discorrendo con Benedetto Croce), «La Voce», III, n. 3, 9 febbraio 1911, p. 501; sull’impatto di queste pagine si veda E. Garin, Cronache di filosofia italiana, 1900-1943, Bari, Laterza, 1955, p. 221. 29 A. Labriola, L’ora non è prossima, cit. in N. Valeri, La lotta politica in Italia dall’Unità al 1925, Firenze, Le Monnier, 1958, p. 309.

palingenetica di riscatto sociale. Ancora nel 1909, un pittore come Plinio Nomellini era in grado di realizzare un dipinto come Nuova gente (ora Genova, Galleria d’Arte Moderna): un corteo di figure d’idealizzata nudità, al seguito d’un gran drappo rosso mosso dal vento, in un tripudio di ghirlande e fiori colorati. Presentato alla Biennale di Venezia, suscitò il rude entusiasmo d’un foglio combattivo come «La battaglia proletaria»30 .

Il modo in cui le Considerazioni sulla violenza di Sorel fornivano un approdo mitico agli ideali di sovversione sociale poteva essere, come si è detto, politicamente controverso e prestarsi ad opposti usi strumentali. Ma a quanti erano interessati alla traduzione di quegli stessi ideali in codici figurativi, anziché in elaborazioni dottrinali, era il miglior esempio per dimostrare il formidabile impatto della folla, anche sul piano della costruzione delle immagini.

Il bozzetto di Carrà presenta, come si è visto, una composizione piuttosto tradizionale, se non statica, impostata con un drammatico controluce. A confronto con il dipinto compiuto, questo foglio appare assai convenzionale, e senza alcuno specifico attributo futurista. Nonostante sia esplicitamente datato al 1910, è però assai difficile considerarlo uno studio preliminare, tanto differisce dal dipinto; anzi, il ricordo di Carrà sembra smentire questa datazione a ridosso del dipinto finale, poiché egli stesso in Vita d’un pittore ricordò di aver realizzato questo disegno appena rientrato a casa dopo la manifestazione. La doppia incongruenza sembra potersi emendare con un confronto stilistico. Il disegno presenta infatti un’impronta schiettamente previatiana, cronologicamente non molto discosta dai fatti narrati. Proprio nel 1906, infatti, Carrà si era iscritto alla scuola di Cesare Tallone all’Accademia di Brera, e aveva avuto modo di conoscere Previati.

Nella sua versione definitiva (fig. 1.2), il quadro presenta alcune differenze di rilievo: un più ravvicinato punto di vista,

30 Rolanda, Il Lavoro all’VIII Esposizione veneziana, «La battaglia proletaria», III, n. 133, 7 agosto 1909, dove, con faticosa prosa, il recensore conferma il conformismo estetico dei rivoluzionari politici: «Quella folla di lavoratori che segue una rossa bandiera svolazzante, lasciando sullo sfondo le officine deserte, quei visi che sembra ci guardino e ci si avvicinino seguendo la marcia ascensionale noi li avevamo già visti e prevediamo in quel quadro, un passo della faticosa e pur sempre avanzante marcia del proletariato».

Figura 1.2 Carlo Carrà, I funerali dell’anarchico Galli, 1911.

un generale infoltimento della composizione, una drammatizzazione del chiaroscuro, i tracciati segmentati di aste, manganelli e bastoni agitati dalla folla e, soprattutto, due nuove figure in primo piano. Quello che si perde in compostezza scenografica è guadagnato in enfasi dinamica. I primi rudimenti del futurismo pittorico vennero così utilizzati per conferire ad un ormai remoto fatto delle cronache milanesi le stigmate di un evento memorabile: la figurazione allegorica della proclamata insurrezione futurista. Per provare allora a capire quali furono le reali intenzioni di Carrà è innanzitutto necessario descrivere con un po’ di precisione il dipinto.

Figura 1.3 Vignetta pubblicata ne «L’uomo di pietra», 10 settembre 1904.

Il quadro condensa tre temi: la figura dell’anarchico, il funerale, il tumulto della folla durante la carica delle forze dell’ordine. L’apice narrativo è risolto in una serie di contrasti dove si volle rappresentare, anziché la psicologia del dolore (come ad esempio ne Il lutto di Boccioni) la confusa dinamica d’un tafferuglio.

La composizione è organizzata in tre gruppi più o meno distinti di figure; ma, a volerle guardare bene e senza preconcetti, è piuttosto difficile attribuire loro un significato chiaro. Il personaggio chiave è naturalmente quello installato quasi al centro del quadro (e assente nel disegno), nell’atto di agitare un bastone verso la propria sinistra, dove appare una guardia a cavallo. Sul margine estremo vi è la figura di un borghese – anch’essa non presente nel bozzetto – desideroso di associarsi alla repressione, menando da par suo il bastone da passeggio. Verosimilmente, per questo personaggio Carrà può aver fatto riferimento all’analoga figura che assiste alla carica di esercito e carabinieri durante l’ultimo giorno del mitico sciopero del 1904, in una vignetta che comparve sul giornale satirico milanese «L’uomo di pietra» (fig. 1.3).

Sulla destra, un gruppo di quattro guardie sta fronteggiando

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