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La figura dell’anarchico
un manipolo di manifestanti, mentre in secondo piano passa il feretro avvolto in un drappo rosso. Lungo i due lati si agitano le bandiere nere; sullo sfondo spicca un traliccio metallico, a sinistra, e il disco del sole intersecato da falci multicolori di riflessi.
Così composto, il quadro di Carrà appare complementare ai temi degli altri importanti quadri futuristi dipinti nel corso del primo anno d’attività seguito alla pubblicazione del Manifesto della pittura futurista. Con la Città che sale Boccioni aveva raffigurato la crescita della metropoli; il loisir cittadino era invece oggetto della Danza del pan-pan à Monico di Severini. In quelli che furono gli unici due dipinti esplicitamente «politici», la Rivolta di Luigi Russolo e il Funerale anarchico, venne descritta la natura agonistica e aggressiva delle folle. È soltanto congetturabile che il dipinto di Carrà sia stato presentato all’Esposizione d’Arte Libera, tenuta presso il Padiglione Ricordi nel giugno 1911. Pur non essendoci prove documentali a riguardo, l’ipotesi è deducibile dalla natura stessa dell’evento. Si trattava infatti d’una mostra aperta ai contributi degli «operai adulti e giovanetti e ragazzi – artisti in erba, e professionisti che si ribellano a norme e regole restrittive della libertà in arte», a beneficio della Camera del Lavoro milanese. Un’occasione che dunque poteva davvero costituire il primo e più efficace banco di prova del Funerale anarchico dinanzi a un pubblico amico31 .
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La figura dell’anarchico
Fra tutti i pittori del gruppo storico futurista Carrà fu certo colui che ebbe sicuri e documentati rapporti con il mondo degli
31 La mostra al Padiglione Ricordi ebbe infatti qualche attenzione dalla stampa politica: cfr. C. Dell’Avalle, Operai, andate all’Esposizione libera, «La battaglia proletaria socialista», n. 227, 3 giugno 1911, p. 4. La fortuna del dipinto di Carrà negli ambienti rivoluzionari è confermata anche da altri episodi: troviamo il dipinto riprodotto insieme alla Rivolta di Russolo in un capitolo dal titolo Anarchy in art all’interno di The Revolutionary Almanach, compilato a New York nel 1914 dall’agitatore boemo Hippolyte Havel (cfr. A. Antliff, Anarchist modernism. Art, Politics, and the Firts American Avant-Garde, Chicago-London, University of Chicago Press, 2001, p. 95). Nel 1916 il dipinto sarà inoltre oggetto di un articolo dello scrittore ungherese Lajos Kassàk: Carlo D. Carrà Anarchistatemetés cimü Képe alà, «A Tett», n. 11, aprile 1916, pp. 174-176.
Figura 1.4 Carlo Carrà, Nietzsche, «La Rivolta», 10 novembre 1910.
anarchici, al di là delle dichiarazioni di circostanza. Presentando infatti la prima mostra personale di Boccioni, Marinetti gli riconobbe un’«anima avventurosa ed irrequieta di lottatore» e una militanza «negli ambienti anarchici e rivoluzionari»; ma, in realtà, il pittore non era andato molto oltre le inoffensive illustrazioni consegnate alla borghesissima «Illustrazione Italiana» o alla rivista del Touring Club32 .
32 F.T. Marinetti, Mostra collettiva di Umberto Boccioni, in Catalogo della mostra d’Estate in Palazzo Pesaro a Venezia, anno MCMX, p. 9, ora in Archivi del Futurismo, a cura di M. Drudi Gambillo, T. Fiori, Roma, De Luca, 1958, vol. I, p. 101.
Carrà aveva invece frequentato per qualche mese, nel 1900, la comunità londinese degli espatriati italiani, orecchiando le idee di Bakunin e Kropotkin. Negli anni successivi, si era prestato a collaborare con una pletora di riviste e opuscoli d’indole anarchica, stampati malamente e un po’ ovunque nelle tipografie della Valle Padana33. Disegnò le testate del quindicinale anarchico parmense «La Barricata» e del foglio «La sciarpa nera». Per le edizioni della Libreria Editrice Sociale di Milano – che diede alle stampe Calendimaggio di Pietro Gori – Carrà studiò un marchio xilografico, con una prevedibile iconografia del sole dell’avvenire. Eseguì poi un’illustrazione satirica per la copertina de Il cinquantenario di Paolo Valera; con le «note per la ricostruzione della vita pubblica italiana» con cui il fondatore de «La Folla» intendeva infrangere il clima di concordia nazionale un po’ artatamente diffuso con le manifestazioni ufficiali del 1911: «Il proletariato incide i vostri nomi sul frontone nazionale del cinquantenario per additarvi ai posteri come mostri del nostro tempo»34 .
A Carrà appartiene pure un corrusco ritratto di Nietzsche che apparve nel periodico anarchico «La Rivolta» (fig. 1.4). Il foglio milanese si stava distinguendo per una intensa propaganda delle idee di Stirner e Kropotkin, promossa da una sua collana di opuscoli militanti35. Nei primi mesi del 1910, tuttavia,
33 Sulla militanza anarchica di Carrà cfr. U. Carpi, L’estrema avanguardia del Novecento, Roma, Editori Riuniti, 1985, pp. 15-40; A. Ciampi, Futuristi e anarchici. Quali rapporti?, Pistoia, Archivio famiglia Berneri, 1989; Id., voce Anarchismo, in Dizionario del futurismo, a cura di E. Godoli, Firenze, Vallecchi, 2001, vol. I; Laura Iotti, Frequentazioni anarchiche di Carlo Carrà, «Bollettino Archivio G. Pinelli», n. 29, luglio 2003, pp. 25-29. Sulle riviste del periodo resta fondamentale L. Bettini, Bibliografia dell’anarchismo, vol. I. Periodici unici anarchici in lingua italiana, Firenze, Crescita Politica editrice, 1972. Un quadro generale in G. Lista, Arte e politica: il futurismo di sinistra in Italia, Milano, Mudima, 2009. 34 È noto anche che Carrà strinse amicizia con la scrittrice rivoluzionaria Leda Rafanelli; cfr. A. Ciampi, Leda Rafanelli-Carlo Carrà: un romanzo: arte e politica di un incontro ormai celebre, Venezia, Centro internazionale della grafica, 2005; dell’autrice si veda in particolare Bozzetti sociali, Milano, Società Editrice Milanese, s.d.; le illustrazioni di Luca Fornari richiamano con ogni evidenza la tradizione lombarda del realismo «sociale» (come ad es. p. 129, tav. 17, Un ristorante alla moda, parafrasi di Ricchezza e miseria di Emilio Longoni); cfr. De Felice, Mussolini, cit., p. 136, sul rapporto della Rafanelli con Mussolini. 35 La conoscenza di Stirner e Kropotkin in Italia venne favorita dalle edizioni francesi, come la «Bibliothèque anarchiste» di Stock; già nel luglio 1900 Prezzolini comunicava queste letture agli amici fiorentini Papini e Morselli: cfr. G. Papini, G.
la posizione della rivista appariva in netto contrasto con le tesi del futurismo. Un anonimo redattore denunciò i toni bizzarri e messianici di Marinetti, cogliendo il risvolto reazionario del proclamato disprezzo per la donna. Si trattava, per l’autore, di una «banda di giovani e giovinetti oziosi», il cui «socialismo molle e addomesticato» era contrapposto al «socialismo dei facchini e dei villani»36. Carrà consegnò infine a «La Rivolta» il ritratto in memoriam di Pietro Gori nell’aprile 1911 (fig. 1.5), quando il Funerale era ormai in via di compimento.
Ma cosa poteva ancora rappresentare la figura dell’anarchico verso il 1910? Non molto di più di un residuo romantico del ribellismo antiborghese dell’Ottocento, quando non il cascame di un sovversivismo velleitario: più una metafora letteraria che una minaccia concreta37 .
Certo, è pur vero che furono gli anarchici italiani a gettare il terrore un po’ in tutta Europa alla fine del secolo, promuovendo sanguinose azioni spettacolari e guadagnando temibile fama. Sante Caserio aveva pugnalato a morte Sadi Carnot nel 1894. Antonio Cánovas del Castillo, primo ministro spagnolo, fu ucciso dal foggiano Michele Angiolillo nel 1897. Un anno dopo, sul lungolago di Ginevra, Luigi Luccheni uccise Elisabetta di Baviera. Il crescendo culminò con il regicidio di Gaetano Bresci nel luglio 1900.
I gesti dimostrativi e clamorosi degli anarchici restarono per definizione fatti isolati estranei a ogni spazio politico. Anzi, lo stesso Labriola ammise che la «corsa pazza ad umiliarsi» dopo l’attentato a Umberto I aveva costituito la «liquidazione definitiva del sovversivismo italiano»38. I residui casi appartenevano più alla cronaca che alla politica. Proprio nel febbraio 1910 Giovanni Passannante, l’attentatore di Umberto I nel lontano 1878,
Prezzolini, Carteggio I. 1900-1907. Dagli «Uomini Liberi» alla fine del «Leonardo», a cura di S. Gentile e G. Manghetti, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2003, p. 32. Sulla ricezione di Stirner in Italia, attraverso la mediazione di Paolo Orano e di Georges Calogero, v. G. Penzo, Max Stirner. La rivolta esistenziale, Milano, Marietti, 1971. 36 Pirro, Il Futurismo, «La Rivolta», n. 4, 29 gennaio 1910, p. 3. 37 G. Berti, L’anarchia fra realtà e immaginario, in Gli italiani in guerra. Conflitti, identità, memorie dal Risorgimento ai nostri giorni, a cura di M. Isnenghi, vol. II: Le «Tre Italie». Dalla presa di Roma alla Settimana Rossa (1870-1914), Torino, Utet, 2008, pp. 119-126. 38 A. Labriola, Storia di dieci anni, Milano, Il viandante, 1910, p. 68.

Figura 1.5 Carlo Carrà, Piero Gori, «La Rivolta», 10 maggio 1911.
era morto in manicomio a seguito d’una disumana detenzione; ai poveri resti non venne neppure risparmiata un’autopsia volta a dimostrare, alla luce della «scienza» lombrosiana, l’innata attitudine delinquenziale.
Un anarchico storico come Gori era ormai perlopiù ricordato come l’autore di Addio Lugano bella. La «Voce» prezzoliniana lo vide «più pedagogo che ribelle» e gli riconobbe i meriti di misura, cautela, misericordia: «non si ricorda nessuno scatto da commediante, nessun vetro fracassato, nessuno scoppio di quelle bombe verbali per mezzo di quali i rivoluzionari da burla cerca-