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Bianco e nero, colore

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Indice dei nomi

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non disgiunta dal buon senso edificante. Il mio paese aprì con il disegno dedotto da Case a Grizzana: quel che seguiva era una descrizione del paesaggio etrusco di Tarquinia, fitto di cornioli, popolato di cinghiali e solcato da banditi, «fieramente turrito e murato». Cardarelli utilizzò un registro descrittivo di vivido impressionismo. Il suo sguardo percorreva l’intero orizzonte del paesaggio, ne saggiava alcuni aspetti in profondità, ricorrendo a retoriche visive e uditive. Ma ancor più, era chiara l’identità tra paesaggio e biografia, tra storia e geografie regionali. Lo scrittore percorreva il paesaggio per decodificarlo nella sua stratificazione, per leggere attraverso i luoghi del quotidiano i segni del tempo, della classicità, della storia. L’impostazione era tutt’altro che strapaesana: mancava il voluto senso dell’eccesso, la dimensione sardonica, parodistica anche; qui, l’intenzione era di riconciliare il vernacolo con il classico, infondere l’immagine della campagna in un lessico ricercato e finito. E rispetto alla sospensione temporale di Morandi, Cardarelli lasciava volentieri spazio all’elegia.

C’è però una dimensione morale, in questi apologhi, che vale la pena di ricordare. È dove si parla dell’estraneità del colono alla dimensione utilitaristica: egli lavora la terra che non possiede. Il dominio delle cose reali senza il loro possesso: la purezza morale del contadino descritto da Cardarelli sembrava voler richiamare quella del suo illustratore.

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Bianco e nero, colore

Non sorprende la scarsità dei referti critici intorno alla partecipazione di Morandi alla Biennale veneziana del 1928. Invitato a partecipare in qualità d’acquafortista, Morandi condivise con Maccari, Bartolini e Romanelli la stipatissima trentaquattresima sala, dedicata al bianco e nero. Qui trovarono spazio non meno di un centinaio di opere tra grafica, medaglie, mobili e sculture. Dall’unica immagine rintracciata sull’allestimento, si deduce un ordinamento delle stampe su doppia fila, ammassate senza troppe distinzioni lungo le pareti, non di rado ostacolate da poltroncine, tavoli ed espositori di cartelle grafiche. Un criterio assai

punitivo, che non aiutò certo gli invii di Morandi ad acquisire una dignitosa visibilità25 .

Le poche menzioni provennero da coloro che già conoscevano Morandi ed erano in grado di rintracciarlo nell’affollata sala. Ancora una volta, fu tempestiva la segnalazione di Carrà, che all’interno di una veloce recensione volle ricordare fra i pittori anche Maccari e Morandi, qui in veste di «ottimi bianconeristi»26. In una pagina più ampia, Mario Tinti pose in evidenza l’effetto dirompente del clan Maccari: «Il gusto della borghesia italiana, malvezzato da vent’anni di estetismo e di critica profumiera, si trova sconcertato di fronte alle immagini irsute e scarnite degli artisti “selvaggi”». Passò così a menzionare l’opera dipinta di Lega, Galante, Soffici, Rosai e Maccari, soffermandosi infine su Morandi27:

col suo gruppo di acqueforti, il cui tessuto chiaroscurale ha la ricchezza e la profondità d’una voce di violoncello, raggiunge quel grado di efficienza e di maturità «tecniche» che costituisce l’estremo raffinamento eticomeditativo del talento naturale. Morandi su queste incisioni non è soltanto un artista di acuta, intensa — ed attualissima — sensibilità, ma è, nell’antico senso della parola, un maestro; del maestro italiano ha il contegno e la sicurezza del «mestiere» senza tuttavia cadere in virtuosismi tecnici e in raggelamenti formali. Equilibrio stupendo fra virtù e istinto, nel quale, semmai, qualche volta l’arte prevale sull’impulso emotivo, avvolgendolo in una classica quietitudine.

Di straordinaria «unità lirica» parlò un altro quotidiano attento ai bolognesi, mentre sul romano «Tevere» Corrado Pavolini spinse con più coraggio Morandi entro una triade d’autori (gli altri erano Tosi e Carrà) accomunati dalla devozione a tradizioni regionali e da un’indole di sobria dedizione al mestiere28: «In quella canicola tutto esiste come puro suggerimento architettonico, in un’immobile esaltazione di forme abbagliate. Il paese italiano ha

25 Archivio Storico delle Arti Contemporanee, Venezia. Foto Giacomelli, 1928, n. 275. Nell’immagine sono distinguibili, sull’estrema sinistra, il Paesaggio con il grande pioppo, 1927 (Vitali 34) e la Grande natura morta con lampada a destra, 1928 (Vitali 46). 26 C. Carrà, La nuova pittura italiana, «L’Ambrosiano», 26 maggio 1928. 27 M. Tinti, Commenti all’arte italiana d’oggi, «Il Resto del Carlino», 19 luglio 1928. 28 G. Galassi, «Corriere Padano», 30 giugno 1928; C. Pavolini, La XVI Biennale veneziana. Tosi, Carrà, Morandi, «Il Tevere», 31 maggio 1928, p. 3.

in Morandi un descrittore schietto e doloroso, dotato di facoltà primitive».

È difficile leggere queste righe senza avvertire l’autorità morale e il lessico imposto da Soffici. D’altra parte, il giovane autore di Cubismo, futurismo, espressionismo aveva avuto modo di istruirsi direttamente con Soffici29. E non è escluso che l’importante segnalazione fosse frutto di un ben preciso suggerimento. Resta indubbio che il Morandi paesista, ancorché solo incisore, poté almeno beneficiare della rinnovata fortuna critica del paesaggio, decretata già nella prima mostra del Novecento Italiano e nell’appassionata recensione di Lionello Venturi30. Dipinti di Lega, Tosi e Pratelli furono allocati, come esempio di «profonda e schietta italianità», dall’ancora influente Margherita Sarfatti sulle colonne de «Il Popolo d’Italia». Ma davanti alla povertà della critica, quello che spicca è il commento che Maccari affidò a un’immagine e a un testo. L’immagine è l’incisione de Il Poggio al mattino; il testo è un memorabile passo di Leopardi, «alla XVI Biennale», che il direttore del «Selvaggio» sembra voler offrire come omaggio all’autore31 .

29 C. Pavolini, Cubismo, futurismo, espressionismo, Bologna, Zanichelli, 1926; Fondazione Primo Conti, Fiesole. Centro di Documentazione e ricerche sulle avanguardie storiche, Fondo. Corrado Pavolini. Lettere di A. Soffici e Pavolini, 30 settembre 1920 e 8 aprile 1922. 30 L. Venturi, Il paesaggio. Un problema della Mostra del Novecento (1926), in Pretesti di critica, Milano, Hoepli, 1929, pp. 192-196. 31 M. G. Sarfatti, Posizioni e problemi fondamentali alla XVI Biennale di Venezia, «Il Popolo d’Italia», 19 maggio 1928; «Il Selvaggio», 30 maggio 1928, p. 28, Leopardi alla XVI Biennale; sia consentita un’ampia citazione (Zibaldone, 3047): «La forza, l’originalità, l’abbondanza, la sublimità ed anche la nobiltà dello stile, possono, certo in gran parte, venire dalla natura, dall’ingegno, dall’educazione, o col favore di queste acquistarsene in breve l’abito, ed acquistato, senza grandissima fatica metterlo in opera. La chiarezza e (massime a’ dì nostri) la semplicità (intendo quella ch’è quasi uno colla naturalezza e il contrario dell’affettazione “sensibile” di un qualunque genere ella sua ed in qualsivoglia materia e stile e composizione, come ho spiegato altrove), la chiarezza e la semplicità (e quindi eziandio la grazia che senza di queste non può stare, e che in esse per gran parte e ben sovente consiste), la chiarezza, dico, e la semplicità, quei pregi fondamentali d’ogni qualunque pittura, quelle qualità indispensabili, anzi di primissima necessità, senza cui gli altri pregi a nulla valgono e colle quali niuna pittura, benché niun’altra dote abbia, è mai dispregevole, sono tutta e per tutto opera, sono ad effetto dell’arte. Le qualità dove l’arte deve meno apparire, che paiono le più naturali, che debbono infatti parere le più spontanee, che paiono le più facili, che debbono altresì parer conseguite con somma facilità l’una delle quali si può dir che appunto consiste nel nascondere intieramente l’arte, e nella niuna apparenza d’artifizioso e di

Alla prima mostra sindacale emiliana Morandi raccolse un pugno di segnalazioni, che dimostrano però come l’attenzione nei suoi confronti fosse assai cresciuta nel volgere di poco tempo. Nino Bertocchi pose il pittore nel mucchio dei partecipanti, osservando la «casta ed intellettuale espressione di un pensiero e di un sentimento poetico generati dalla contemplazione di oggetti apparentemente poveri d’interesse pittorico. L’arte di Morandi è argomento di studi e di polemiche attualissime, in cui non è il caso d’intervenire in maniera affrettata, pigliando lo spunto dalle tre acqueforti che il pittore ha mandate a questa mostra»32. Con ogni evidenza, a questa data le «polemiche attualissime» altro non potevano essere che quelle sollevate dal «Selvaggio» e dall’«Italiano». Grazie a esse, il nome di Morandi prese ancor più a circolare.

La partecipazione alla seconda mostra del Novecento Italiano nel 1929 dovette cogliere l’attenzione della Sarfatti, che ricordò le «sobrie iridature cromatiche» nella cronaca d’apertura alla Biennale del 1930. Qui Morandi espose per la prima volta tre pitture in una sala condivisa con i torinesi promossi da Venturi (Chessa, Galante, Levi, Paulucci, Menzio). Ojetti dichiarò di preferire le acqueforti alle «caste nature morte su polverosi toni bigi e giallastri». Assai più lungimirante il raffronto fotografico che su «La Casa Bella» accostò al Cardinal Decano di Scipione la Natura morta 141, presente anche in catalogo e più volte riprodotta dalla stampa. Una vera «oasi d’intelligenza», confermò Carrà, offerta dal «maggiore e più squisito dei pittori bolognesi», «notissimo in tutta Italia specialmente per certe nature morte di una finezza penetrata»; «un caso che non si liquida, e nemmeno si spiega – aggiunse Raffaello Franchi – con un commento frettoloso a tre o quattro tele»33 .

travagliato; esse sono appunto, le figlie dell’arte sola, quelle che non si conseguono mai se non collo studio, le più difficili ad acquistarne l’abito, le ultime che si conseguiscano, e tali che acquistatone l’abito, non si può tuttavia mai senza grandissima fatica metterlo in atto. Ogni minima negligenza del pittore nel dipingere, in quanto ella si estende, la semplicità e la chiarezza, perché queste non sono mai altro che il frutto dell’arte, siccome abituale, così ancora attuale». 32 Nino Bertocchi, La prima mostra del Sindacato Emiliano-Romagnolo, «L’Italia Letteraria», 1 dicembre 1929, p. 4; G. Marescalchi, Artisti emiliani, «Corriere Padano», 16 novembre 1929, p. 4: «L’attenzione che ha saputo richiamare su se stesso è pienamente giustificata e meritata». 33 M. Sarfatti, Spiriti e forme nuove a Venezia, «Il Popolo d’Italia», 4 maggio

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