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I. I funerali dell’anarchico Carrà
I. I funerali dell’anarchico Carrà
Dinanzi ad un caposaldo della pittura futurista come I funerali dell’anarchico Galli di Carlo Carrà (1911, New York, The Museum of Modern Art) apparirebbe naturale porsi alcune questioni. Chi era questo anarchico Galli? Per quali ragioni morì, e per quali altre il suo funerale innescò un tumulto? Quali furono le intenzioni di Carrà nel voler dedicare a questo oscuro episodio il suo più ambizioso dipinto della prima fase futurista, e che cosa rimase di queste intenzioni nel successivo decorso artistico dell’autore? E in quale modo, infine, tale vicenda può aiutare a capire qualcosa dell’impasto ideologico, piuttosto confuso, del primissimo futurismo, in rapporto alle arti visive?
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Negli anni, il dipinto di Carrà ha raccolto un discreto curriculum espositivo. È noto che proprio esso aprì la sequenza degli undici quadri che l’autore inviò alle mostre europee del 1912. Passato nella collezione berlinese di Wolfgang Borchardt nel maggio 1912 e poi in quella dell’artista olandese Paul Citroen, l’opera guadagnò una crescente fortuna come emblema dei tratti più rivoltosi del futurismo. Complice anche la perdita di molte opere cruciali, il dipinto è senz’altro, insieme al collage Dimostrazione interventista (1914), l’immagine più rappresentativa del Carrà futurista e dell’intero movimento, nel suo complesso. Cataloghi e schede che lo hanno accompagnato, tuttavia, oltre che ribadire alcuni errori ormai sedimentati, appaiono noncuranti nei confronti di simili domande1. Né si è tentato un reale
1 Cfr. come ultimo esempio la scheda del quadro in Futurismo: avanguardiavanguardie, a cura di D. Ottinger, catalogo della mostra (Centre National d’Art et de Culture Georges Pompidou, Paris, 2008-2009; poi Scuderie del Quirinale, Roma, e Tate Modern, London), Milano, 5 Continents Editions, 2009, n. 32, pp. 140-141, a firma
confronto critico con gli argomenti, i dati e i documenti emersi negli ultimi due decenni di studi, dove si è particolarmente approfondito il rapporto tra le avanguardie storiche e le ideologie politiche del loro tempo2 .
Per rispondere alla prima domanda bisogna per prima cosa evitare di lasciarsi fuorviare dalle tarde ed erronee memorie dello stesso Carrà, osservando invece quell’elementare scrupolo storiografico che consiglia di prendere sempre con molta cautela i ricordi dei pittori; e poi, naturalmente, provare a recuperare fonti un po’ più attendibili.
È sufficiente, per iniziare, aprire il Dizionario biografico degli anarchici italiani3. Qui si può leggere la voce dedicata ad Alessandro Galli. E si può così apprendere la vita, e la morte, del protagonista del quadro, che è il fratello minore di Alessandro, Angelo. Costui venne ucciso – e la differenza non è da poco, come si vedrà – non durante il famoso sciopero generale del 1904 (come affermò Carrà nelle sue memorie, e al suo seguito pressoché tutti i commentatori), bensì due anni dopo, durante un altro sciopero, che tuttavia – come si è potuto ricostruire dalle testimonianze dell’epoca – non ebbe affatto connotati memorabili; anzi.
Ecco infatti come un osservatore dell’epoca descrisse i fatti milanesi del 19064:
b.m.; sulle controverse mostre del centenario cfr. i giudizi di E. Braun, Futurism: London, «The Burlington Magazine», 151, 2009, n. 1278, pp. 633-634; C. Michaelides, Futurism: Milan and Rovereto, ivi, n. 1274, pp. 340-342 e M. G. Messina, Il futurismo nell’anno 2009: un percorso fra le mostre, «Studiolo», 7, 2009, pp. 253-261. 2 Gli studi sul rapporto tra avanguardie storiche e politica radicale sono numerosi; per la situazione europea si veda: J. Ungersma Halperin, Félix Fénéon. Aesthete & Anarchist in Fin de Siècle Paris, New Haven-London, Yale University Press, 1988; P. Leighten, Re-Ordering the Universe: Picasso and Anarchism, 1897-1914, Princeton University Press, Princeton, 1989; A. Varias, Paris and the Anarchists: Aesthetes and Subversives during the Fin de Siècle, New York, St. Martin’s, 1996; D. Scholz, Pinsel und Dolch: anarchistische Ideen in Kunst und Kunsttheorie 1840-1920, Berlin, Reimer, 1999, pp. 282-288; R. Roslak, Neo-impressionism and anarchism in fin-desiècle France: painting, politics and landscape, Aldershot, Ashgate, 2007. Sugli orientamenti politici nella storiografia del futurismo, cfr. W. L. Adamson, Contexts and Debates Fascinating futurism: The historiographical politics of an historical avantgarde, «Modern Italy», XIII, n. 1, February 2008, pp. 69-85. 3 Dizionario biografico degli anarchici italiani, Pisa, Biblioteca Franco Serantini, vol. I, 2004, p. 658. 4 Filippo Turati e Anna Kuliscioff: 1900-1909, a cura di A. Schiavi, Torino, Einaudi, 1977, p. 431, 11 maggio 1906.
una buffonata più ridicola e più pietosa dello sciopero d’ieri non si avrebbe potuto nemmeno immaginare. Ragazzaglia dai 12 ai 17 anni si divertiva in piazza a far correre i questurini, alle 11 di sera tutti tranquillamente andarono a casa e la rivoluzione ebbe termine. C’è il fattaccio dell’uccisione dell’anarchico Galli, e per fortuna non dalla forza pubblica, se no, neppur la comm[issione] esec[utiva] della Camera del Lavoro che si comportò benissimo e con gran energia, combattendo fieramente gli anarchici, neppur essa sarebbe stata capace di frenare la pazzia teppistica della ragazzaglia.
A dare questi giudizi era Anna Kuliscioff a Filippo Turati. Il «fattaccio» cui fa riferimento la Kuliscioff era l’uccisione del Galli da parte del custode dello Stabilimento Macchi di via Farini. Durante quei giorni di sciopero, trecento operai metalmeccanici della fabbrica stavano lavorando regolarmente. Un gruppo di giovani anarchici tentò d’imporre un blocco; il custode Giuseppe Beretta cercò di bloccarli, ma venne colpito insieme alla moglie. Spaventato, estrasse un comune coltello, «di quelli che si usano dalla povera gente per tagliare il pane» e provò a menare fendenti un po’ alla cieca; caddero colpiti in due, e a non rialzarsi più fu il ventiquattrenne Angelo Galli, ferito al nono spazio intercostale e morto d’emorragia.
Dopo l’accoltellamento di Galli lo stabilimento fu presidiato da due guardie di Pubblica sicurezza. Verso sera un gruppo d’un centinaio di anarchici si portò dinanzi al cancello dello stabilimento e cominciò a vociare minacciosamente, agitando bandiere rosse e nere. Forzate le porte, il gruppo entrò nel cortile, e si mise a infrangere i vetri con bastoni e sassi. Usciti nuovamente in strada, i dimostranti presero a sassate un tram diretto a Giussano. L’annuncio dell’imminente arrivo d’un plotone di carabinieri, mezzo squadrone di cavalleggeri e tre compagnie di fanteria bastò a far allontanare i dimostranti5 .
Le cronache cittadine definirono il Galli, con una certa esagerazione, «notissimo anarchico militante, assiduo oratore di comizi». Per ordine delle autorità, il suo corpo finì al cimitero di Musocco per l’autopsia. Fu autorizzata una cerimonia funebre dinanzi al piazzale del cimitero periferico, con l’esplicito divieto di confluire lungo la strada per Milano.
5 La serata. Una dimostrazione di anarchici, «Corriere della Sera», 11 maggio 1906, p. 2.
Tre giorni dopo, circa seicento tra anarchici e sindacalisti si ritrovarono per quello che apparve, ai cronisti, più un comizio che un funerale. La scena descritta non sembra lontana dal funerale di Quinto Pallesi che, mezzo secolo più tardi, si potrà leggere nell’invenzione romanzesca del Metello di Vasco Pratolini.
Lo schieramento del reggimento Nizza di Cavalleria sbarrava l’accesso a viale Certosa, per mantenere il gruppo dei dimostranti entro il perimetro del piazzale. La cassa funebre era stata ricoperta da una bandiera rossa e una nera, e da un cuscino di garofani rossi con nastri neri inviato dalla Camera del Lavoro. Il cronista del «Corriere della Sera» annotò che «la maggioranza era una vera raccolta di cappellacci neri, di cravatte rosse o nere svolazzanti: e soprattutto degli immancabili garofani rossi». Quindi si soffermò sui tentativi del corteo di infrangere il cordone di polizia6 .
Precedevano il feretro quindici bandiere di diverse sezioni della Camera del lavoro e di Associazioni operaie […] Dopo le bandiere venivano alcune corone di garofani rossi seguite dal feretro portato sulle spalle da sei giovanotti volenterosi: infine fu la folla disordinata e chiacchierante. Il corteo così composto uscì dai cancelli e cominciò il giro del piazzale: dopo averne compiuto la metà e giunto all’inizio del viale per Milano che era stato sbarrato dalla cavalleria cambiò improvvisamente direzione e volle passare fra i cavalli e infilare il vialone. Prima ancora che questa idea venisse ai dimostranti, le bandiere che precedevano il feretro – (davanti al quale i soldati abbassarono le lance in segno di saluto) – furono abbassate in atto di sprezzo per la truppa, alla quale furono indirizzate ingiurie triviali.
Quando i portatori del feretro tentarono di rompere il cordone, nacque un vero tafferuglio: i soldati sospinti dalla folla si sforzarono di mantenere i ranghi: i dimostranti urlavano quanto più era loro possibile e naturalmente coloro che più urlavano erano i più lontani dalla truppa. Il feretro sballottato qua e là sembrava sulle onde di un mare in tempesta. Era triste il pensiero che in quella cassa ci fosse un corpo umano e che a questa salma col pretesto di un dimostrazione di simpatia si mancasse in tal modo di rispetto: quel rispetto che i dimostranti reclamavano dai soldati affinché lasciassero passare il feretro attraverso il cordone e con esso tutta la folla che lo seguiva. Durante il tafferuglio qualche sassata venne lanciata verso i soldati e qualche piattonata venne data da questi per liberarsi dai dimo-
6 I funerali dell’anarchico Galli. Una triste cerimonia, «Corriere della Sera», 14 maggio 1906, p. 4.
Figura 1.1. Carlo Carrà, Studio per «Funerale anarchico», 1910.
stranti più accalorati che per passare tra cavallo e cavallo si aggrappavano alle selle. In complesso nulla di grave, nessun ferito. […] Finalmente il corteo – se tale ancora si poteva chiamare – visto che non era riuscito nel suo intento, ritornò nel cimitero. Qui nel piazzale interno il feretro fu deposto a terra: attorno si accalcò la folla e cominciarono i discorsi. Crediamo inutile il riassumerli uno per uno: il frasario delle idee e degli anarchici e dei rivoluzionari sono ormai noti né essi mutarono dinanzi alla solennità della morte: basti dire che invece delle parole di saluto al compagno morto si pronunciarono parole d’odio e le ingiurie più plateali e sozze all’indirizzo della stampa tutta tacciandola di menzognera e di venduta.
Placati gli animi, presero la parola due vecchie conoscenze dell’anarchia milanese come Comunardo Braccialarghe e Paolo Valera. L’emozione spinse loro a istituire paragoni, piuttosto azzardati, con i «grandi combattenti per la libertà, da Mazzini a Garibaldi». Terminata così la cerimonia, la folla si disperse verso Milano senza causare altri incidenti. Insomma, a leggere le cronache né la morte di Galli né i due successivi tumulti (nella fabbrica e al cimitero) paiono memorabili. Se osserviamo il foglio con la prima idea del quadro (fig. 1.1), ci appare, in effetti,