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Stile della rivoluzione, rivoluzione dello stile
una parola imbecille e sciupata nella bocca d’un Turati o di un Bissolati antilibici»68 .
Eccitata prima e irritata poi dalla chiassosa declamazione astratta, la platea veniva infine rassicurata, quando non sedata, dai toni della propaganda nazionalista69. Marinetti si sentiva autorizzato a forzare confronti politicamente insipienti, vivificando la propaganda bellica con la mescolanza del registro poetico, più o meno alto, e di accostamenti grotteschi, quando non popolareschi o triviali. Quanto, ad esempio, il celebre titolo Zang Tumb Tuum è stato debitore, prima ancora delle fiorite e libere onomatopee, della canzonetta Cin Cin bum bum? Con il sottotitolo Canzone del Generale Turco il brano prese a circolare nel dicembre 1911, e la nazione intera venne rese familiare a un refrain che richiama, e sembra poter anticipare, il noto testo marinettiano70 .
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Le speranze di ribellione anarchica vennero così sopravanzate, nel giro d’un paio d’anni, dal mito della rigenerazione sociale attraverso l’escalation militarista d’impianto coloniale e irredentista. La tensione sovversiva non resistette al riallineamento nazionale e allo spirito di riunificazione spirituale catalizzati dall’ingresso in guerra nel 1911.
Stile della rivoluzione, rivoluzione dello stile
Abbiamo sin qui osservato una parte del quadro politico entro cui si muoveva confusamente, tra mimetismi e opportunismi, la militanza dei futuristi. Queste circostanze contribuirono allo slittamento dagli ideali anarchici verso uno spirito nazio-
68 Grande serata futurista, «Lacerba», n. 24, 15 dicembre 1913, p. 289. 69 E. Gentile, La politica di Marinetti, in Id., Il mito dello Stato nuovo, cit., p. 149, cita un resoconto del 15 gennaio 1911 in cui si afferma che Marinetti aveva tentato una dimostrazione antiaustriaca al teatro lirico di Milano, «quasi per far dimenticare al pubblico il fiasco solenne che […] avevano fatto le poesie declamate da lui». 70 L. Goglia, F. Grassi, Il colonialismo italiano da Adua all’impero, Roma-Bari, Laterza, 1981 (2004), p. 167: «Da Sciarasciat – a Bir, ad Ain Zara / fu il turco general / all’italian fatal… / I bersaglier – del colonnello Fara / non fanno impallidir / il prode Gran Visir / Cin cin bum bum… / per Allah! / o turca mezzaluna! / Se i nemici han del valor / corriamo più di lor».
nalista. La seconda occasione di discontinuità non fu offerta dalla cronaca politica, quanto dalle vicende stesse del gruppo futurista. In effetti, la tournée europea organizzata da Marinetti nel corso del 1912, con i dipinti realizzati nel biennio precedente (fra cui proprio il Funerale), sortì almeno due effetti di rilievo. Il primo fu quello di assorbire i pittori nella preparazione dei quadri, facendo loro accantonare ogni elaborazione teorica dopo i due manifesti del 1910. Il secondo effetto fu quello di spingere i pittori a misurarsi apertamente con i dispositivi e le regole del mercato.
Nel presentare a Londra Funerale anarchico Carrà inserì in catalogo una didascalia persuasiva: «Dramatic interpretation of the scuffle between cavalry and the revolutionary proletariat». Poco dopo, il dipinto fu acquistato dal collezionista berlinese Borchardt, che speculò sull’acquisto in blocco della prima tranche di opere futuriste organizzando una parallela mostra itinerante. Nato come genuina testimonianza d’un ideale, il capolavoro di Carrà era così precipitato nella logica delle leggi economiche. Da oggetto ideologico, innervato di una brutale simbologia e di un vissuto provocatorio, il dipinto era divenuto un manufatto merceologico, subordinato all’eteronomia dello scambio mercantile71 .
Per dieci anni decoratore e illustratore vissuto ai margini del mercato, Carrà ottenne il primo vero successo della sua carriera subendo la più classica (e punitiva) legge dell’industria culturale. E, in modo non dissimile, il meccanismo agì su Boccioni: nei carteggi di questo periodo, il mutamento di tono (dalle trepide speranze a uno smaliziato resoconto mercantile) si nota pressoché ovunque72 .
Non era difficile insomma rendersi conto che, nel corso di pochi mesi, il potenziale sovversivo del Funerale anarchico era stato sostanzialmente disinnescato dalle circostanze della vita politica e delle regole del mercato: tanto valeva, allora, farne
71 M. M. Lamberti, I mutamenti del mercato e le ricerche degli artisti, in Storia dell’Arte Italiana, vol. 7, Torino, Einaudi, 1982, p. 152, n. 33; A. Giuliani, Povero futurismo antagonista, in Autunno del Novecento, Milano, Feltrinelli, 1984, p. 10. 72 Cfr. Umberto Boccioni. Lettere futuriste, a cura di F. Rovati, Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto, Rovereto, Egon, 2009, pp. 45 sgg.
valere le ragioni di sola «rivoluzione» visiva. Ma anche questo era un problema, stavolta di carattere squisitamente pittorico. Ed ecco perché.
Nel testo di presentazione dei quadri futuristi per la prima esposizione a Parigi nel 1912 ci si imbatte in quella che sembra essere la descrizione dei Funerali. Il passo è assai noto, ma non sarà inopportuno riprenderlo per intero: «Si nous peignons le phases d’une émeute, la foule hérissée de poings et les bruyants assauts de la cavalerie se traduisent sur la toile par des faisceaux de lignes correspondant à toutes les forces en conflit, en suivant la loi de la violence générale du tableau. Ces lignes-forces doivent envelopper et entraîner le spectateur qui sera en quelque sorte obligé de lutter lui aussi avec les personnages du tableau»73 .
Un conto era però raccontare il tumulto della folla per iscritto, confidando nella presa, più emotiva che logica, di locuzioni astratte come «linee-forza»; altra cosa saper dipingere questa folla sulla tela. Nessun pittore tra i cinque firmatari aveva le capacità tecniche né la formazione accademica per poter affrontare una complessa composizione con figure. Alla prova dei fatti, Boccioni si dimostrò incapace di realizzare più di tre figure e, se lo fece, fu costretto a mantenersi nel registro del ritratto, quando non della vignetta. I quadri di figura di Carrà, che pure è l’autore con maggiore capacità di mestiere, sono pochissimi, e quasi tutti risalenti alla successiva stagione metafisica; dopo la quale avvierà, sino alla morte, una carriera dedita pressoché esclusivamente al paesaggio. Non diversamente Severini, che almeno nella fase futurista si accontentò di scene affollate sì, ma con i personaggi ridotti a silhouettes colorate.
Da un punto di vista strettamente stilistico, i Funerali dell’anarchico Galli appare agli osservatori d’oggi come un quadro poco risolto, quando non francamente infelice. Il problema era quindi di carattere tecnico: ancora nella primavera del 1910, un autore come Carrà non aveva a disposizione un linguaggio pittorico, né una sufficiente padronanza delle più recenti fonti visive, in grado di tradurre efficacemente il veemente dinamismo dei protagonisti.
73 Les exposants au public, in Les peintres futuristes italiens, Paris, Bernheim Jeune, 1912, pp. 1-14.
Le forme del violento conflitto visivo restavano così imprigionate in una stesura densa e tormentata. Quando Apollinaire vide il quadro lo giudicò, non senza perfidia, un’opera ispirata alla maniera corrusca di Georges Rouault; un altro osservatore parigino si spinse a un confronto derisorio con Édouard Detaille, il celebre pittore accademico di battaglie74. Il suo aspetto ritorto e cupo e la retorica velleitaria lo avvicinano molto, in questo senso, all’altro grande quadro a teorema, parimenti mancato e in pari grado stilisticamente sopravvalutato, che è naturalmente Materia di Boccioni.
Insomma, bastarono alcuni mesi e un po’ di circolazione delle opere per rendersi conto che il potenziale sovversivo non poteva certo risiedere nel naturalismo descrittivo di un mito romantico. Era necessario rimuovere gli ultimi residui illustrativi e compiere il passaggio dalla poetica delle «linee forza» e del dinamismo a una più efficace trascrizione astratta. Ma sul piano dei contenuti, intanto, il tema dell’insubordinazione sociale sembrava far posto a un disimpegnato intrattenimento.
In un testo del 1913 il pittore scrisse di voler dare forma a «i colori della velocità, della gioia, della baldoria, del carnevale più fantastico, dei fuochi d’artifizio, dei café chantants e dei musichalls»: quegli stessi luoghi che il sitibondo pittore piemontese nella sua giovinezza con ogni probabilità doveva aver adocchiato, con rassegnata invidia, alla stregua del miserevole protagonista delle Riflessioni di un affamato di Emilio Longoni. La sincera inclinazione anarchica del pittore stava assumendo le forme d’una rissosità goliardica. La rivoluzione non era più l’insurrezione armata dei proletari, il radioso evento della classe salariata, ma un saturnale di massa.
Carrà ebbe modo di menzionare qui per un’ultima volta il Funerale anarchico e lo spiegò come «una grande emozione e quasi un delirio dell’artista», «un vortice di sensazione, una
74 «Sorte de Rouault plus vulgaire que le notre», è il giudizio che si legge in G. Apollinaire, Les peintres futuristes italiens, «L’Intransigeant», 7 février 1912, ora in Oeuvres en prose complétes, vol. II, Paris, Gallimard 1991, p. 407. O.(livier) H.(ourcade), Les Futuristes, «La Revue de France et des Pays Français», 1912, pp. 135-136, sulle opere «présentées si bourgeoisement» alla Galerie Berheim, che disconoscono i propositi bellicosi, scrive: «Mais voici, dans les teintes de Carrà, l’influence de Signorelli; là, voici l’influence de Van Dongen; ici, celle de … Detaille».
forza pittorica e non un freddo intelletto logico»75. Emozione, sensazione, delirio: come molti futuristi, Carrà restava un eroe in calzoni corti. E come aveva già osservato Hermann Broch ne I sonnambuli (il cui secondo episodio, Esch o l’anarchia, è del 1903), l’anarchia poteva essere una forma d’accomodamento piccolo borghese dinanzi a una redenzione fallita.
Poco dopo, nella primavera del 1914, grazie a un secondo cruciale soggiorno parigino e alle risorse grafiche e visive sperimentate in quattro anni di militanza futurista, Carrà si sentì nuovamente in grado di rappresentare un moto di piazza. Il collage oggi noto come Dimostrazione interventista raffigura, in realtà, una ben più rassicurante folla radunata per la festa dello Statuto: Festa patriottica è infatti il titolo originario con cui il foglio venne pubblicato per la prima volta76. Qui Carrà dimostrò di avere ormai a disposizione tutti gli elementi formali – collage, parole in libertà, onomatopee – per una traduzione ben più sintetica ed efficace delle forze tumultuose. Ma quello che aveva così guadagnato il pittore futurista, perdeva per sempre, e irrimediabilmente, il vecchio sovversivo piemontese.
Pochi mesi dopo Carrà ammise la sua ammirazione per lo strappo di Mussolini: «In lui vi è il dramma di tutta la nostra generazione. Ammiriamolo se non altro per il coraggio che va dimostrando»; al direttore della «Voce» il pittore anarchico confidò di voler riporre tutte le sue forze pittoriche al servizio di Mussolini77. Il Funerale dell’anarchico Galli divenne così, e per sempre, il funerale dell’anarchico Carrà, e dell’intera prima stagione del futurismo italiano.
Come si vedrà nel prossimo capitolo, mentre Papini avocava a sé il ruolo di teorico della sovversione futurista78, Soffici
75 C. Carrà, La pittura dei suoni, rumori, odori, «Lacerba», I, n. 17, 1 settembre 1913, p. 185. 76 L. Kachur, Carlo Carrà. Manifestazione interventista, in F. Fergonzi, La collezione Mattioli. Capolavori dell’avanguardia italiana, Ginevra-Milano, Skira, 2003, p. 208. 77 Lettera di Carrà a Prezzolini, 15 novembre 1914, cit. da Gentile, Papini, Prezzolini, cit., pp. 131-132. 78 G. Papini, La necessità della rivoluzione, «Lacerba», I, n. 8, 15 aprile 1913, p. 73: «L’italiano può essere indisciplinato, individualista, turbolento, ma è raramente nel fondo dell’anima, rivoluzionario […] Lo spirito d’indisciplina individuale teorizzato e ingigantito può portare all’attentato anarchico ma non già alla rivoluzione. L’Italia, difatti, ha dato più anarchici isolati che non veri rivoluzionari».
stava insegnando che la vera modernità (e, di conseguenza, il vero primato artistico nazionale) non poteva risiedere in un naturalismo aggiornato al panorama industriale, bensì nel primato dei puri valori pittorici, slegati da ogni estetica contenutistica o illustrativa, in una dialettica tra severità costruttiva «cubista» ed exempla della grande tradizione toscana del Quattrocento. Questo programma consentì il confluire delle teorie pittoriche del futurismo, e delle sue rabbiose iconografie insurrezionali, entro le ben più composte forme d’uno stile moderno e nazionale.