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I disastri della guerra

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sperienza artistica: essa non poteva apparir altro che un diletto innocuo, escluso a priori dalla politica. Il modello di una via italiana alla modernità nazionale, che la storia sembrava porgere alle avanguardie – come si è visto nel capitolo precedente – non poteva reggere, ora, alla prova della cronaca.

La parabola della pittura pura si arrestò, dinanzi alla domanda d’immagini al servizio della propaganda, alla creazione di un mito visibile e condivisibile che divorava la forma pura, l’arabesco, l’armonia di colori e linee, restituendo figure, eventi, azioni di immediata riconoscibilità sociale. Dentro questo spazio, l’immagine riacquistava quella chiara densità ideologica che le ricerche formalistiche del futurismo, dopo i quadri del 1911 come il Funerale anarchico, avevano smarrito.

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I disastri della guerra

È certo, per tornare a Sintesi futurista della guerra, che il manifesto venne solamente ideato e abbozzato in carcere; e anzi, così come venne raccontato dai protagonisti, l’episodio sembra far parte della vasta mitografia futurista. La stampa e la diffusione avvennero nelle settimane seguenti. Nella loro condizione di libertà provvisoria, ai futuristi era impedito di partecipare alle manifestazioni pubbliche. Marinetti però ebbe modo di scendere a Roma per organizzare la protesta con il gruppo locale di pittori futuristi, fra cui Balla e Mario Sironi, il quale con ogni probabilità in questa occasione venne a conoscenza del volantino.

Qualche tempo dopo la loro pubblicazione, le tesi di Sintesi futurista della guerra furono rielaborate e trovarono spazio in un ampio manifesto (In quest’anno futurista) all’indirizzo degli studenti d’Italia, il 29 novembre 1914. Questo manifesto recupera la forma convenzionale dell’impaginazione tipografica lineare, a conferma di un doppio registro d’intervento. Le prosa era riservata al pubblico colto, alle élites intellettuali che frequentavano le riviste. La sintesi grafica e le sinossi erano invece destinate a un pubblico più vasto, talvolta poco o male alfabetizzato.

I testi di Marinetti sembrano dunque oscillare tra due forme di base. Da un lato il manifesto vero e proprio, dove prevale l’ar-

gomentazione e la leggibilità di un testo ordinato per nessi logici e sintattici, come ancora in Per la guerra, sola igiene del mondo, dato alle stampe all’inizio del 1915, con ampi reimpieghi di argomenti e slogan diffusi a partire da Uccidiamo il chiaro di luna! Dall’altro lato, si venivano sperimentando soluzioni visive d’impatto immediato.

Coerenti con le loro posizioni, tutti gli esponenti del movimento futurista si arruolarono volontari. Marinetti riepilogherà le vicende dei primi mesi di guerra nel manifesto L’orgoglio italiano, che uscì nel dicembre 1915 anche con la firma di Sironi. Altri due firmatari, Umberto Boccioni e l’architetto Antonio Sant’Elia, caddero poco tempo dopo al fronte.

Il movimento futurista si era reso protagonista delle più intense fasi dell’azione e della propaganda interventista; si può anzi dire che abbia fornito a essa un patrimonio di soluzioni ideologiche, letterarie, visuali, grafiche e tipografiche tali da giustificare l’esistenza di uno specifico interventismo futurista34 .

Questa predominanza scomparve nel corso della guerra. I motivi di questa rimozione appaiono piuttosto chiari: il futurismo era dominato da un’esplicita conflittualità, laddove invece nei giornali di trincea dominava un ideale di pacificazione tra le classi. Come ha osservato Mario Isnenghi, l’immaginario futurista, fondato su un agonismo polemico e sull’antagonismo della distruzione, era fortemente sfasato rispetto alla logica rassicurante e alla banale pedagogia dei giornali per le truppe35 .

L’esperienza di guerra costituì una radicale discontinuità ad ogni livello della coscienza. Indusse un forte mutamento antropologico e psicologico, aprendo un nuovo paesaggio mentale che, come hanno dimostrato i fondamentali studi di Paul Leed e Eric Fussell, comprendeva la crisi dell’identità, la dissociazione tra l’io e il mondo e una rinnovata percezione della corporeità nell’esperienza della morte e del dolore36 .

34 Si veda A. D’Orsi, Interventismo, in Il Dizionario del futurismo, Firenze, Vallecchi, 2001, vol. I, ad vocem. 35 M. Isnenghi, Giornali di trincea, Torino, Einaudi, 1977, p. 71. 36 Rinvio ai classici studi di E. J. Leed, No Man’s Land. Combat & Identity in World War I, Cambridge, Cambridge University Press, 1979; P. Fussell, The Great War and Modern Memory, Oxford, Oxford University Press, 1975; per la situazione in Italia, v. A. Gibelli, L’officina della guerra. La Grande guerra e le trasformazioni del mon-

Secondo Agostino Gemelli, tra i primi a studiare sistematicamente la psicologia dei combattenti, la logorante guerra di posizione aveva stabilito un «restringimento del campo della coscienza», un «impoverimento del bagaglio individuale d’immagini», spingendo a un’esclusiva attenzione alle condizioni materiali e allo svanire delle motivazioni ideali37 .

Fino al 1917 vi furono solo modesti tentativi d’educazione collettiva; dopo Caporetto, si avviò una strategia sistematica e consapevole per incidere sulla psicologia delle truppe. L’azione di propaganda fu curata da una struttura che, a pieno regime, produceva cinquanta giornali per i soldati con tirature stimate fino a 200.000 copie38 .

I primi giornali per i soldati seguivano una linea d’intrattenimento grossolano e umoristico, senza nascondere un’indole antipolitica. Erano realizzati da gruppi d’ufficiali borghesi di complemento, provenienti dalle fila dell’interventismo democratico. Avevano basse tirature e diffusione locale, all’insegna di un volenteroso spontaneismo. Il linguaggio impiegato era perlopiù ordinario, burlesco e remissivo39 .

Secondo il comando italiano, il soldato italiano era alieno dalla violenza, incapace di reagire apertamente al nemico e orientato invece a svolgere azioni spontanee di solidarietà e fraternità. La propaganda doveva quindi agire seguendo una strenua riconversione ideologica ed emotiva del soldato, per renderlo aggressivo e guerriero. È in questo contesto che Sintesi futurista della guerra subì una metamorfosi, ripresentandosi a un pubblico del tutto nuovo.

do mentale, Torino, Bollati Boringhieri, 1991 e cfr. M. Isnenghi, Il caso italiano: tra incanti e disincanti, in Gli intellettuali e la Grande Guerra, Atti del convegno (Trento, 4-6 novembre 1998), a cura di V. Cali, G. Corni, G. Ferrandi, Bologna, Il Mulino, 2000, («Annali dell’Istituto storico italo-germanico in Trento», Quaderni, 54), pp. 247-262. 37 A. Gemelli, Il nostro soldato, Milano, Treves, 1917. 38 N. Della Volpe, Esercito e propaganda nella Grande Guerra (1915-1918), Roma, Ufficio Storico dell’Esercito, 1989; G. L. Gatti, Dopo Caporetto. Gli ufficiali P nella Grande Guerra: propaganda, assistenza, vigilanza, Gorizia, Libreria Editrice Goriziana, 2002. 39 Isnenghi, Giornali, cit., p. 45; sul tema dell’infantilismo di questi codici comunicativi, cfr. ora A. Gibelli, Il popolo bambino. Infanzia e nazione dalla Grande Guerra a Salò, Torino, Einaudi, 2005.

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