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«Cosa dura, pulita e solida»
pittura, incisione, acquerello e disegno consente lo studio e l’elaborazione di quel paio di temi che, tra paesaggio e natura morta, diverranno modelli definitivi. Per questi aspetti, la bibliografia è assai ampia ed esaustiva. Sono infine da considerare le vicende della fortuna (o della sfortuna) critica: quale immagine è stata in quegli anni inoltrata. A chi, e per quali scopi, si parla della pittura di Morandi?
Cosa dura, pulita e solida
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L’esperienza con il gruppo di «Valori Plastici» aveva garantito al pittore una buona visibilità e l’opportunità di partecipare alla tournée tedesca che dall’aprile al giugno del 1921 si mosse tra Berlino e Hannover. Certo la pittura di Morandi difficilmente si poteva comprimere nelle categorie formali dei pittori adunati da Mario Broglio (nonostante l’indulgenza alle «teorie» che sin dal 1918 Riccardo Bacchelli notava nelle nature morte coeve). È stato giustamente osservato che le stesse riproduzioni dei dipinti, sulla rivista, ponevano con maggiore enfasi le strutture lineari, «di un rigore un poco gelido, che viene letto fatalmente come principio d’autorità»3. Fino al 1924 sarà confermato il contratto con Broglio4 .
Giorgio De Chirico presentò Morandi alla Fiorentina Primaverile del 1922 come artefice di un’arte che è «cosa dura, pulita e solida», guidata da uno «spirito casto, asciutto e di prim’ordine». In uno studiato equilibrio tra partecipazione al «grande lirismo» che è la «metafisica degli oggetti più comuni» e una definita «italianità», De Chirico non rinuncia a delineare i tratti del suo Morandi: buon artefice d’Europa che persegue con purezza e in povertà il
3 R. Bacchelli, Giorgio Morandi, «Il Tempo», 29 marzo 1918; P. Fossati, «Valori Plastici» 1918-22, Torino, Einaudi, 1981, p. 26; A. Lepik, Un nuovo Rinascimento per l’arte italiana? «Valori Plastici» e il dialogo artistico Italia-Germania, in «Valori Plastici», catalogo della mostra, a cura di P. Fossati, P. Rosazza Ferraris, L. Velani (Roma, Palazzo delle Esposizioni, 1998-1999), Milano, Skira, pp. 158-161. 4 F. Fergonzi, Un contratto inedito tra Giorgio Morandi e Mario Broglio: identificazioni nelle opere, storia collezionistica e novità cronologiche del Morandi metafisico e postmetafisico, «Saggi e Memorie di Storia dell’Arte», 2004, vol. 26, pp. 459-515.
proprio lavoro, vivendo con l’insegnamento delle «eterne leggi del disegno geometrico, base d’ogni grande bellezza e d’ogni profonda malinconia»5 .
A prestare ascolto alle memorie di Giuseppe Raimondi, Morandi aveva una frenetica curiosità. I rapporti con «La Ronda», Vincenzo Cardarelli e Raffaello Franchi lo avevano portato a lambire i precetti del classicismo pittorico (ci sono notizie di studi agli Uffizi, davanti a Ingres, Raffaello, Hayez). Poté curare l’aggiornamento su Cézanne visitando la mostra retrospettiva alla Biennale 1920, una delle ultime occasioni per una verifica dal vivo in Italia6. Volle infine esplorare le tangenze con il Seicento, rilanciato con la celebre mostra fiorentina del 1922 e dagli studi di Roberto Longhi7. Gentileschi, Borgianni, Caravaggio sono nomi che trapelano dai carteggi e non trascurabili chiavi di lettura per le successive nature morte a densi panni8 .
Arcangeli fu tra i primi a notare quanto la personalità di Morandi risultasse aliena alle correnti che nella prima metà degli anni Venti operarono un ripristino della tradizione per via di revival, emulazioni, recuperi. Sono anni in cui Morandi dipinge poco ed espone ancora meno. E di alcune opere che si possono dedurre dai documenti, non è rimasta traccia. Qui è opportuna una prima considerazione. Per gli anni in esame, si segnala una singolare sfasatura tra i tempi della produzione morandiana e quelli della presentazione pubblica.
A Firenze Morandi aveva infatti esposto nature morte risalenti a un paio di anni prima, e in quel momento oltrepassate in favore di una più elaborata superficie pittorica. Nel biennio 1920-21 si assiste alla progressiva rimozione delle dislocazioni e degli straniamenti «letterari» della stagione metafisica. L’estraneità enigmatica
5 G. De Chirico, Giorgio Morandi, in La Fiorentina Primaverile, catalogo della mostra, Firenze, 8 aprile-31 luglio 1922, pp. 153-154, ora in Id., Il meccanismo del pensiero, cit., pp. 236-237. 6 F. Fergonzi, Sfide visive per l’esordiente Morandi, «Arte in Friuli. Arte a Trieste», 21-22, 2003, pp. 189-200. 7 Mostra della pittura italiana del Seicento e del Settecento (Firenze, 1922), Roma, Bestetti e Tumminelli, 1922; la polemica sul Seicento si legge, ben annotata, in P. Barocchi, Testimonianze e polemiche figurative in Italia, vol. 2: Dal Divisionismo al Novecento, Messina-Firenze, G. D’Anna, 1974, pp. 412-429. 8 G. Raimondi, Anni con Giorgio Morandi, Milano, Mondadori, 1970, pp. 185210.
delle cose, nei loro accostamenti eccezionali, si traduceva nel colloquio familiare con gli oggetti comuni e nella loro più piana (ma non banale) disposizione. Di qui l’intensificazione di un problema squisitamente formale, un compiuto mutamento stilistico9 .
Alla celebre natura morta 51 del 192010, da più parti segnalata come apertura alla nuova maniera, è opportuno affiancare un’altra prova, che sembra condividere con la precedente l’anno di produzione e poco altro. Poiché su questo tavolino rettangolare con vaso, scatola aperta, bricco, un paio di bottiglie e orologio da tavolo prende forma con ancora più convinzione la ricerca morandiana. Di quest’opera, Natura morta 42, esiste infatti una ripresa in controparte con poche varianti nell’incisione Vitali 132, di cui rimane un solo esemplare, poco felice, ma che anticipa la più nitida e studiata acquaforte con cestino di pane, ripartita in due episodi (su lastra piccola e grande), dell’anno successivo. Intorno a questo triplo esercizio sembra giocarsi buona parte del destino delle nature morte coeve. Tenuta stabile la sorgente luminosa da destra, si opera su scarti minimi d’altezze e punti di vista, oltre a valutare la possibilità di una riduzione totale del supporto a favore di uno spazio neutro e indeterminato.
Indicativa del valore di quest’elaborazione è la presenza delle due incisioni (Vitali 14 e 15) sul «Selvaggio» di Mino Maccari: tra gennaio e luglio 1927, vale a dire sei anni dopo la loro realizzazione (fig. 8.1). Morandi insisterà non poco, mi sembra, nel proporre la deliberata inattualità di certe sue prove, in questo torno d’anni. I temi d’altra parte incalzano e partecipano a riprese, d’après, variazioni, anche a lunga distanza. Se non è un ragionamento compiutamente seriale, è almeno la possibilità, o la scoperta, di un procedere attraverso la più vasta disponibilità delle tecniche e il serrato paragone tra soggetti omogenei. Ne è un esempio tra gli altri il Paesaggio 1922 a inchiostro su carta, impiegato come immagine di copertina per il volume Stagioni
9 W. Haftmann, Giorgio Morandi. La vita esemplare di un pittore, in Giorgio Morandi 1890-1990, catalogo della mostra (Bologna, Galleria Comunale d’Arte Moderna, 1990), a cura di M. Pasquali, Milano, Electa, 1990, p. 24. 10 Il riferimento numerico di dipinti e incisioni rinvia ai cataloghi, curati da L. Vitali, Morandi. Catalogo generale, Milano, Electa, 1977, e L’opera grafica di Giorgio Morandi, Torino, Einaudi, 1964.
Figura 8.1 Giorgio Morandi, Natura morta con il cestino del pane (lastra piccola), 1921, «Il Selvaggio», 15 gennaio 1927.
di Giuseppe Raimondi11. Il confronto è proponibile tanto con il Paesaggio 108, 1922, quanto con il celeberrimo Paesaggio 1925 Jesi, qui ripreso in controparte.
Fra le poche segnalazioni del periodo, è utile ricordare quella di Carrà. Il quale spese buona parte dell’articolo a ricordare i trascorsi futuristi, le «durezze» e le «ineguaglianze» di quel primo periodo, seguito dai «getti di una ispirazione ineguale» nella
11 M. Pasquali, E. Tavoni. Morandi. Disegni. Catalogo generale, Milano, Electa, 1994, Appendice, n. XXXI; G. Raimondi, Stagioni. Seguite da Orfeo all’Inferno e altre favole, Milano, Il Convegno Editoriale, 1922.