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Paolo Uccello, un costruttore
Paolo Uccello, un costruttore
La notizia della morte di Umberto Boccioni raggiunse Carrà mentre lo scritto Paolo Uccello costruttore era appena compiuto39. Con questo saggio Carrà ambiva a dare una più compiuta sistemazione teorica al mutamento stilistico in atto. Nel giudicare il proprio testo «anche migliore della parlata su Giotto», egli aggiornava il suo corrispondente sull’interessamento da parte di Soffici e, per la prima volta, anche di Cardarelli («Non so se agiva per pura diplomazia», aggiunse Carrà)40. De Robertis rispose con un po’ di ritardo, promettendo una pronta pubblicazione pur ammettendo serie difficoltà per i pagamenti41. Certo, l’autore stesso riteneva il Paolo Uccello migliore della Parlata, nella misura in cui egli era qui pervenuto a soluzione più organica e coerente. Nel suo «puerile orgoglio fanciullesco» Carrà si permise ridurre ancor più le persistenze di lessicalità futuriste. Produsse una prosa fitta di toscanismi e arcaismi compiaciuti, suggestionata e immaginifica quanto lontana dallo smarrimento in «stregonerie di un gergo intellettuale fuori stagione». Inutile dire a quale gergo Carrà qui si riferisse.
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Naturalmente, nella valutazione delle «cubicità racchiuse» come dei «piani pietrificati», nel «navigare sonnambulo» come nelle «valutazioni corporali» entrava in gioco il più chiaro meccanismo di riflesso fra l’antico ed austero artefice toscano e il perplesso pittore milanese, disposto ora – giusta una considerazione de Le parentesi dell’Io – «allo stupore infantile davanti alle cose, al fatto plastico cosciente e volontario»42. Questa revisione del fatto artistico si riverberava nella pagina scritta. Le varianti di stesura assumevano così il valore di una più ravvicinata comprensione del fenomeno pittorico e di una progressiva cognizione su ruoli, tecniche, poetiche. È assai eloquente il confronto tra la versione a stampa del Paolo Uccello costruttore e quella che, con ogni evidenza, è una prima redazione manoscritta conservata tra le carte di Car-
39 FDR, C. Carrà a G. De Robertis, 29 agosto 1916. 40 FDR, C. Carrà a G. De Robertis, 30 agosto 1916. 41 Archivi del 900, Museo d’Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto. Fondo Carlo Carrà [d’ora in poi FCC]. G. De Robertis a C. Carrà, 14 settembre 1916. 42 C. Carrà, Paolo Uccello costruttore, «La Voce», VIII, n. 9, 30 settembre 1916, pp. 375-379.
rà43. Rispetto all’articolo vociano, questa versione presenta una serie di differenze sostanziali, che vanno dall’ostentato arcaismo (a partire dalla denominazione di «Paulo»), ai recuperi pascoliani dai Poemi italici, sino alle trame aneddotiche tratte dall’historia altera vasariana44. Rimane tuttavia aperta la questione delle fonti visive: se è vero che il manoscritto pubblicato dimostra la conoscenza delle Vite di Vasari e del Paulo Ucello pascoliano, altra cosa è dimostrare la scelta e la disposizione dell’ideale apparato figurativo, per il quale il primo e più diretto riferimento (il settimo volume della Storia dell’Arte di Adolfo Venturi, uscito nel 1911) non risulta esaustivo45. D’altra parte a quel tempo la fortuna specifica di Paolo Uccello era assai relativa. John Ruskin aveva fatto passare per almeno due volte i lettori delle Mattinate fiorentine nel Chiostro verde di Santa Maria Novella senza però spendere una sola parola sugli affreschi dell’Uccello che tanto colpiranno Carrà e, qualche anno dopo, Sironi. Non molto di più potevano offrire le pagine di Bernard Berenson. Nei Central Painters egli aveva restituito l’immagine di uno zelante prospettico, colpevole di aver sacrificato il senso dei valori tattili all’ostentazione virtuosa d’abilità e all’esibizione di maestria. Berenson consegnava in tal modo un giudizio di laconica inappellabilità: «Paolo Uccello guastò quasi completamente l’intuito del significato plastico che aveva potuto aver da principio, per la smania di far pompa della sua scienza e della sua abilità»46 .
43 FCC, Paulo Uccello. Manoscritto a china su 17 fogli, s.d. ma 1916. 44 Questo primo testo è stato da me pubblicato in «Lettere Italiane», 2004, n. 2, pp. 254-262. Per la fortuna letteraria di Paolo Uccello cfr. C. Chiummo, Il Paulo Ucello tra ritratti immaginari e francescanesimo fin de siècle, «Rivista Pascoliana», IX, 1997, pp. 9-31; E. Salibra, Parola e immagine in Paulo Ucello di Pascoli, in I segni incrociati.Letteratura italiana del ’900 e arti figurative, a cura di M. Ciccuto e A. Zingone, Lucca, Mauro Baroni Editore, 1998, pp. 7-31; e R. Ludovico, «Dal granito all’arcobaleno». Cinque secoli di «Vite» di Paolo Uccello, pittore fiorentino, «Quaderni d’Italianistica», XXI, 2000, pp. 121-142. 45 Le Vite vasariane erano disponibili anche in edizioni minori, ad esempio le Narrazioni scelte delle vite di Giorgio Vasari, a cura di G. Signorini, Firenze, Barbera, 1902, oppure la collana «Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti scritte da Giorgio Vasari», diretta da Pier Luigi Occhini ed Ettore Cozzani per Bemporad, dal 1911: erano volumi in sedicesimo, con otto-dieci tavole ciascuno e un’introduzione storica (Fiocco, Sapori, De Rinaldis); Carrà (Parlata su Giotto, cit.) collocava Adolfo Venturi tra i «poveri sgobboni privi di sensibilità». 46 J. Ruskin, Mornings in Florence (1875-1877), trad. di O. G. Giglioli, Mattinate fiorentine con spigolature da «Val d’Arno», Firenze, Barbera, 1908 (e cfr., per questa
È chiaro che, dinanzi a simili precedenti, il Paolo Uccello di Carrà andava reinventato su un doppio piano: quello del giudizio estetico, che doveva rovesciare una tradizione tutto sommato sfavorevole, e quello linguistico, obbligato a misurarsi con un precedente letterario di difficile elusione, in particolar modo per il Quattrocento toscano. Questo precedente era naturalmente dato dalla poetica dannunziana dell’artifex additus artifici e dalla retorica estetizzante di Angelo Conti, il «periegeta» che nel 1907 aveva dedicato a Benedetto Croce una silloge d’ispezioni poetiche lungo un territorio che andava dalla Venezia di Carpaccio alla Toscana dei giotteschi fino all’Umbria dei primitivi47 .
Le varianti delle due redazioni permettono così di stimare la graduale messa a punto di un’originale rivalutazione delle qualità pittoriche e il perfezionamento di un linguaggio specifico e coerente. Rispetto all’abbozzo iniziale la versione vociana recuperò non più di quattro intere pericopi. Gli altri argomenti sembravano sciogliersi entro una prosa meno ellittica e maggiormente strutturata sul piano della progressione logica. Essa viene rifinita mediante la generosa inserzione di costrutti lessicali come «ossei-sbiancati», «verdi-freddi» o «marroni-ferrigni» indisponibili a primo getto. Un’elaborata ekphrasis, non senza recuperi dal campo lessicale futurista, o per meglio dire marinettiano (così le «correnti delle sensazioni», il «navigare sonnambulo»), rivestiva la delicata funzione di saldare il ragionamento prosastico con il riferimento visivo, evitando i più vieti stilismi estetizzanti.
ricezione di Ruskin, A. Del Puppo, Aspetti della ricezione di Ruskin nella stagione delle riviste, in L’eredità di John Ruskin nella cultura italiana del Novecento, a cura di D. Lamberini, Firenze, Nardini, 2006, pp. 119-135); B. Berenson, The Florentine Painters of Renaissance, New York-London, G.P. Putnam’s Sons, 1896 (si cita dalla trad. di E. Cecchi, I pittori italiani del Rinascimento, Milano, Hoepli, 1936, p. 72). 47 A. Conti, Sul fiume del tempo, Napoli, Ricciardi, 1907, con seconda edizione nel 1913; è utile tenere in considerazione anche La Beata Riva, 1900 (ora nell’edizione annotata da P. Gibellini, Venezia, Marsilio, 2000), specie per la comunanza con il tema pascoliano del fanciullino («L’artista è come un fanciullo a cui tutte le cose producono un senso di meraviglia», qui p. 19).