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Nell’orbita de «La Voce»
Per una comprensione più precisa dell’itinerario pittorico di Carrà tra futurismo e metafisica, nonché per meglio cogliere le ragioni del medesimo, sembra utile procedere a un parziale riordino della cronologia interna per questa serie d’opere. Un tale riassetto deve per forza di cose operare in relazione alla produzione scritta dell’autore, segnatamene gli articoli a stampa.
Nell’orbita de «La Voce»
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Nel gennaio 1914 Giuseppe Prezzolini pubblicò su «La Voce» un lungo resoconto sul primo anno d’attività lacerbiana. Egli spese parole d’elogio affettuoso ma non risparmiò puntuali accuse alla retorica marinettiana e alla mancata selezione di valori, motivo di un’inflazione di contributi mediocri. In tal modo, secondo l’autore, una difforme proposta estetica, priva di adeguati criteri distintivi, si trovava a prevalere sulla coscienza morale2. A giudizio di Prezzolini la polemica che era appena intercorsa tra Boccioni e Papini in merito all’impiego mimetico d’oggetti reali, onomatopee e scritture parolibere segnava con chiarezza un invalicabile solco tra i redattori fiorentini di «Lacerba» e il futurismo milanese3 . Nell’aprile 1914 «La Voce» pubblicò la laconica dichiarazione di fuoriuscita dal futurismo da parte di Palazzeschi4 .
Carrà fu tra coloro che più espressero timore verso questa prima incrinatura del fronte futurista. Al pittore sembrava spettare la più convinta difesa del movimento marinettiano presso gli interlocutori toscani. E in tal modo egli aveva operato, sostenendo una reiterata polemica con Prezzolini e, di riflesso, con il giovane re-
2 G. Prezzolini, Un anno di «Lacerba», «La Voce», VI, 1914, n. 2, pp. 3-16; n. 4, pp. 33-38; n. 6, pp. 2-5. 3 Cfr. per questo quanto ho scritto in Realtà bruta. Una polemica tra Boccioni e Papini, «Prospettiva», 97, 2000, pp. 82-94. 4 Nel movimento futurista, «La Voce», VI, 1914, p. 43; cfr. G. Tellini, Lo scrittore e il suo interprete. Il carteggio di Palazzeschi con Giuseppe de Robertis, «Studi Italiani», XI, 1999, n. 1-2, pp. 31-80. Sulla figura cruciale di De Robertis si veda G. De Robertis, Della Voce letteraria, «Il libro italiano», II, 1938, pp. 264-266 e cfr. Giuseppe De Robertis, a cura di M.C. Chiesi e M. Marchi (catalogo della mostra, Firenze, Accademia La Colombaria, 14-28 ottobre 1983), Firenze, Gabinetto G.B. Vieusseux, 1983; Giuseppe De Robertis, a cura di L. Caretti, Firenze, Olschki, 1985.
dattore Giuseppe De Robertis. Avendo il direttore negato a Carrà lo spazio per un’ennesima replica fu apostrofato come «professore d’impostazione teutonica»5. Ma si trattava di animosità piuttosto superficiali e realmente prive d’argomenti per noi significativi.
L’unica materia di contesa apprezzabile, sul piano delle questioni artistiche, era quella relativa all’impiego o meno delle «parolibere». In effetti, i precetti letterari fatti pubblicare sulle pagine di «Lacerba» erano fra le più controverse innovazioni marinettiane. Di certo, quegli esempi spingevano una quantità d’emuli a prove di poesia parolibera dagli esiti spesso mediocri6 .
Il libro di Carrà Guerrapittura, dato alle stampe nel marzo 1915, è un episodio importante di questa tensione. Il volume comprendeva dodici «disegni guerreschi» con vasto reimpiego di modelli propri e altrui (da Picasso a Severini allo stesso Boccioni). Gli esiti non sempre si affrancavano da una scolastica scomposizione cubista, talvolta appena complicata dall’espediente del collage o della scrittura parolibera a rivelare moti d’animo (fig. 4.1)7. Alle immagini seguiva una più lunga sezione di testi, allestita con poche modifiche a brani lacerbiani già editi, qualche frammento polemico e sei «divagazioni medianiche». Di queste almeno una, la quarta, riprendeva con chiarezza lo schema radiale sperimentato da Apollinaire nel già citato poema Zone8 .
Nel complesso il libro era privo di sistematicità, né l’ambizione a rispondere a Pittura e scultura futurista di Boccioni, edito solo pochi mesi prima, sembrava essere riuscito. La stessa vis polemica si era adagiata, a questa data, sulla ripetizione rituale di un formulario normalizzato. Più che di polifonia è lecito parlare di un imbarazzato frammentismo.
Il dato più rilevante sembra essere un altro. Il libro manifestava in pieno l’oscillazione fra la ricerca visuale e quella graficotestuale, seguendo la commistione, fortemente voluta da Marinetti, tra leggibilità della scrittura e visibilità iconica. Questo
5 C. Carrà, A. Soffici, Lettere 1913/1929, a cura di M. Carrà e V. Fagone, Milano, Feltrinelli, 1983, p. 73 (Carrà a Soffici, Milano, 4 gennaio 1915). 6 F.T. Marinetti, L’immaginazione senza fili e le parole in libertà, «Lacerba», I, n. 12, 15 giugno 1913, p. 121. 7 Cfr. Fergonzi, La Collezione Mattioli, cit., p. 221. 8 F. Rovati, Guerrapittura di Carlo Carrà, «Prospettiva», n. 115-116, 2004, pp. 66-95.
Figura 4.1 Carlo Carrà, Divagazione medianica n. 4, in Id. Guerrapittura, Milano, Edizioni futuriste di «Poesia», 1915.
problema non era però unicamente pertinente all’uso congiunto di differenti forme linguistiche. In realtà, con l’adesione alle teorie delle parole in libertà e ai modi delle tavole tipografiche marinettiane veniva a configurarsi un’immagine nuova, e piuttosto ambigua, d’artista. La specificità della pittura, con la tecnica e la storicità del proprio operare, era deposta, e con essa l’immagine stessa del pittore come detentore di un mestiere. Avanzava invece una figura anfibia e una personalità bipolare, nel migliore dei casi abile a sfrenate, ma infantili, sperimentazioni e sostanzialmente incapace di legare il divenire della propria ricerca a una
salda coscienza storica. «Non sono uno specialista», enunciava con grande enfasi Carrà in apertura di volume. Condensando i principali aspetti dottrinari del movimento futurista, il pittore reclamava per sé la polisemia delle sensazioni e la negazione di categorie e specialità. In tal modo, però, ogni carattere distintivo e ogni criterio di giudizio s’indebolivano fino a invalidare ogni possibile attestazione di valore9 .
La lunga lettera con cui Soffici rese a Carrà il proprio giudizio di lettura convalida questo argomento. Soffici dichiarò di apprezzare per sobrietà e qualità plastiche un paio di tavole, fra le quali Inseguimento, elogiata negli stessi termini anche da Papini. In maniera ben più profonda della sommaria stroncatura vociana di De Robertis, la recensione confidenziale di Soffici fu una densa esortazione a incrementare tecnica e prassi pittorica, ricusando ogni avvitamento teorico e l’infantilismo dei facili scavalcamenti ortografici e lessicali. In realtà, anche Carrà desiderava mantenere salde distinzioni fra lavoro pittorico ed esercizio poetico10 . In gioco, insomma, non era tanto la persistenza o la violazione dello statuto del pittore – né la pratica del paroliberismo, almeno per Carrà, erodeva un ruolo in lui ben più consolidato, rispetto a un Soffici sempre in oscillazione tra scrittura poetica, teorica e pittura. Al punto che le avvertenze di Soffici sembrano un monito indirizzato, più che a Carrà, a se stesso.
Finanziando la pubblicazione di Guerrapittura Marinetti poteva garantire la presenza di Carrà al proprio fianco, nel momento in cui più chiara si stava manifestando la scissione dei fiorentini. Ma questa presenza non poteva durare ancora per molto. A settembre Giuseppe De Robertis ricevette la proposta di dirigere la nuova serie della «Voce», con il mandato di stabilire un’intesa con Palazzeschi, Soffici e Papini. De Robertis fornì subito le proprie assicurazioni sulla linea editoriale, garantendo l’estromissione di Marinetti come di Italo Tavolato, lo scandaloso autore dell’Elogio della prostituzione11 .
9 Carrrrà futurista, Guerrapittura. Futurismo politico. Dinamismo plastico. Disegni guerreschi. Parole in libertà, Milano, Edizioni futuriste di «Poesia», 1915. 10 Carrà, Soffici, Lettere 1913/1929 cit., pp. 80-85; la recensione di G. De Robertis a Guerrapittura, in g.d.r., Deh, Pietà, «La Voce», VII, 1915, p. 655. 11 Cfr. M. C. Chiesi, 1914: «La Voce» a De Robertis, «il Vieusseux», 1988, n. 3, pp. 55-96.
All’inizio di dicembre Prezzolini comunicò il passaggio della direzione de «La Voce» a De Robertis. Subito uscì su «Lacerba» un editoriale che ratificò il congedo dal futurismo, secondo un’ideale continuità con le ragioni della cautissima adesione al movimento di Soffici e Papini. L’articolo manteneva una clausola di garanzia per i contributi validi che fossero provenuti dal gruppo futurista. Questa era un’assicurazione verso Carrà, il quale rimaneva diviso tra una forte intesa con Soffici e una fedeltà sia ideale che assai pratica al gruppo marinettiano12. Tale è la ragione per cui il pittore ingaggiò nella primavera del 1915 un’altra polemica con Prezzolini, in seguito a un pesante atto d’accusa contro il suo più generoso mecenate13. Carrà avrebbe avuto bisogno di un altro anno di riflessioni e di lavoro per sancire il suo definitivo distacco.
Uno stretto scambio epistolare a fine maggio 1915 consentì a Soffici e Carrà il chiarimento delle reciproche posizioni. Soffici spinse Carrà a un impegno esclusivo nella pittura, apprezzandone il disegno vivo e sostanzioso. Costui sembrò cogliere prontamente le indicazioni, dal momento che poco dopo, siamo a giugno, scriveva a Papini: «In questo momento che ogni azione artistica è annientata io lavoro calmamente a costruire e a rivedere forme». E di seguito, poco dopo, in un passo assai noto: «Non ho più pregiudizi di sorta. Faccio ritorno a forme primitive, concrete, mi sento un Giotto dei miei tempi»14 .
Siamo nel momento esatto in cui Carrà ricusa ogni tentazione di scomposizione dinamica e d’impiego di parolibere. Egli ripristinò la corretta grafia della propria firma, con le due erre in luogo di quell’effetto onomatopeico così sgradito a Soffici. Il quale, da parte sua, andava recuperando una «pittura infinitamente semplice e gradevole», assecondando un’indole di «dilettantismo scelto», come scriverà in novembre15 .
12 G. P., Congedo, «La Voce», VI, n. 22, 1914, pp. 2-3; G. Papini, A. Soffici, «Lacerba» il futurismo e «Lacerba», «Lacerba», II, n. 24, 1 dicembre 1914, p. 323. 13 G. Prezzolini, F.T. Marinetti disorganizzatore, «La Voce», VII, n. 8, 30 marzo 1915, pp. 510-517. La polemica su «Lacerba» tra Carrà e Prezzolini si può seguire in C. Carrà, A proposito di Futurismo, III, n. 2, 10 gennaio 1915, p. 14; G. Prezzolini, Risposta a Carrà futurista, III, n. 3, 17 gennaio 1915, p. 23; C. Carrà, Sul passatista Prezzolini, III, n. 4, 24 gennaio 1915, p. 31. 14 Il carteggio Carrà-Papini, a cura di M. Carrà, Milano, Skira, 2001, p. 61. 15 Carrà, Soffici, Lettere 1913/1929 cit., p. 91.
La mobilitazione di guerra non consentì in questo periodo un confronto diretto. Per vie autonome, le opere di Soffici e quelle di Carrà sembravano però avviarsi verso un esito sostanzialmente omogeneo. Le forme elementari di Soffici recuperavano l’essenzialità iconica di una imagerie popolare non esente da fonti colte (il Rimbaud dell’Alchimie du verb: «J’amais les peintures idiotes…») e dal precoce impiego già nei dipinti del 1911. Carrà si avviava a ricognizioni pittoriche su volumi assai scabri e semplificati, «forme concrete poste nello spazio», memori delle geometrie ingenue del Quattrocento toscano come delle rudimentali composizioni di Henri Rousseau: esempi di stile, questi, del tutto assenti nella sua precedente produzione16. Ecco perché Carrà insisteva nel confronto con Giotto. Al contrario di Soffici, sapeva di non poter contare su un adeguato retroterra. Il suo unico passato era un presente futurista sempre più imbarazzante.
A questa data, Soffici operava entro una continuità d’intenti che solo l’arruolamento interruppe. Carrà stava invece vivendo una drammatica rottura. Il poemetto in prosa La rosa delle volontà, del dicembre del 1915, ne è testimonianza17:
Chi fu a precipitare il mio destino nel profondo pozzo di tufo Giotto Paolo Uccello Povero palombaro tra opachi vapori di sogni A quando il volo A quando il volo
Giotto e Paolo Uccello divennero per Carrà le personificazioni dell’artista pronto a partire da una condizione di tabula rasa. Le tappe di una così rinnovata cognizione del mestiere pittorico, anticipate dal poema vociano, s’intrecciarono per tutto il 1916 in una densa vicenda artistica e editoriale.
Il 3 gennaio 1916 Giuseppe De Robertis ricevette da Soffici il manoscritto dei Primi principi di un’estetica futurista e da Carrà
16 Cfr. M. Fagiolo Dell’Arco, «Lo stupore del primordiale»: vita e opere di Carrà dal 1916 al 1920, in Carlo Carrà: il primitivismo 1915-1919, a cura di M. Fagiolo Dell’Arco (catalogo della mostra, Venezia, Chiesa di San Bartolomeo, 1988-1989), Milano, Mazzotta, 1988. 17 C. Carrà, La rosa delle volontà, «La Voce», VII, n. 18, 15 dicembre 1915, pp. 1119-1120.
una lettera che informava dell’avvenuta rottura con Marinetti18 . Più che differenti opinioni in merito al «futurismo teorico e pratico» la scelta di Carrà sembrava avvalorare un mutamento strategico: adottare in pieno il patronage di Soffici e de «La Voce». Non tanto per ragioni d’opportunità economica, in quel 1916 del tutto improbabile, quanto piuttosto per non rinunciare a quell’attività editoriale verso cui tutti i pittori sembravano aver delegato le proprie risorse ed energie.
In mancanza d’esposizioni e di mercato, la visibilità presso una rivista di ormai consolidata tradizione culturale sembrava l’unica strada realisticamente percorribile, nell’attesa di tempi migliori. Dal punto di vista di Carrà, Marinetti non aveva a quel punto nulla di meglio da offrire. Né la cinica promessa di destinare a Carrà una parte d’eredità, in caso di morte al fronte, in cambio della rinuncia all’amicizia con Soffici e Papini poteva costituire un’apprezzabile avance.
Insieme alla notizia dell’avvenuta rottura con Marinetti, Carrà inviò un poemetto che fu pubblicato con il titolo di Notte cristiana nel fascicolo del 31 gennaio 1916. Più che dedicarsi alle composizioni poetiche, Carrà stava però cercando di redigere una propria estetica, in una sorta di dialogo a distanza con Soffici. Il 5 febbraio Carrà spedì il manoscritto delle Parentesi dell’io, promettendo l’invio della documentazione fotografica di nuove opere. «È vergognoso il dirlo ma io non ho che l’arte e gli amici, quei pochi che ho trovato a Firenze. Nelle “parentesi dell’io” che ti mando c’è qua e là riflesso questo stato d’animo»19 .
De Robertis era sollecitato anche per ragioni economiche («Ho bisogno di danari! Prendi di mira qualcuno danaroso: sai che per una terza persona ci si riesce meglio a fare sborsare un po’ di soldi a chi ne ha tanti»). Carrà esortava i suoi nuovi sponsor a un’adeguata promozione delle proprie opere. Nel poscritto, si coglieva l’occasione per marcare ulteriormente le distanze da Boccioni.
Ma la vera notizia di questa lettera è che Carrà aveva pronti tre nuovi quadri e un disegno indicato col titolo Il poeta mondano:
18 Archivio Contemporaneo «Alessandro Bonsanti», Gabinetto G.B. Vieusseux di Firenze. Fondo Giuseppe De Robertis [d’ora in poi FDR], C. Carrà a G. De Robertis, 3 gennaio 1916. 19 FDR, C. Carrà a G. De Robertis, 5 febbraio 1916.
«Ho fatto un disegno (il poeta mondano) che ti sembrerebbe Ingres, per le dolcezze lineari. Ma si vede però il post-impressionismo».
A quale opera può fare riferimento il disegno? Forse a uno degli studi per il Fanciullo prodigio (fig. 4.2) alla cui finestra compaiono penna e calamaio, peraltro assenti da altri disegni. Un’allusione comunque neutralizzata dalla presenza della piccola tromba. D’altra parte, il papier collée ancora impiegato per questa tela (lunghe fettucce ritagliate dal manifesto-réclame del libello interventista di Francesco Penazzo Per la coscienza della nuova Italia), richiama soluzioni dell’anno precedente, oltre alla conoscenza dei primi «trofeini» di Soffici. La datazione al 1915 va confermata e spinta fino al termine ante quem del mese novembre, quando uscì l’opuscolo di Penazzo.
Come si è visto, nel frattempo Carrà aveva portato a conclusione Le parentesi dell’io, testo che verrà pubblicato più tardi, in aprile, dopo la Parlata su Giotto20. Nelle Parentesi si può leggere un passo riferibile al cosiddetto Antigrazioso, il cui titolo originario è Bambina (fig. 4.3). Non vi era in effetti alcuna ragione perché Carrà utilizzasse il medesimo titolo di una scultura che Boccioni aveva realizzato tre anni prima e che era stata già più volte pubblicata e commentata. Inoltre, un dipinto dal medesimo titolo Antigrazioso figurava nel libro di Boccioni Pittura e scultura futurista. Credo sia importante sottolineare il titolo originale, anche alla luce di quanto scritto da Carrà21:
Da bambini gli oggetti e le cose ci sorprendono per la loro novità formale. L’organo visivo è nel bambino il primo fattore che eccita la nativa curiosità. […] Il bambino per natura è un plastico […] Ma, dallo stupore infantile davanti alle cose, al fatto plastico cosciente e volontario, vi è più distanza di quella che intercorre dal grido caotico al canto. In noi, che pure ci sentiamo ancora bambini, di fronte al mistero plastico dell’universo, il fatto artistico, dalla forma gelatinosa ed embrionale si precisa nell’opera.
Siamo a marzo e Carrà inizia a stendere i paragrafi del Giotto. È convinto che il testo in lavorazione meriti la priorità, come scrive a De Robertis, il 10 marzo: «Lavoro a preparare il saggio sulla pittura. Lo pubblicherai nel numero di aprile. È una cosa un po’
20 FDR, C. Carrà a G. De Robertis, 19 febbraio 1916. 21 C. Carrà, Le parentesi dell’io, «La Voce», VIII, n. 4, 30 aprile 1916, pp. 215-217.

Figura 4.2 Carlo Carrà, Il fanciullo prodigio, 1916.
complessa e, credo, non ti dispiacerà. […] Se credi nel numero in corso di formazione pubblicherai le mie parentesi che ti ho inviate il mese scorso»22 .
Il numero della «Voce» era in chiusura, quindi le Parentesi slittarono ad aprile. Intanto, Carrà concluse la vendita della Bambina a Papini, mentre il Giotto era ormai pronto, come si legge in data 16 marzo: «Carissimo, ti manderò fra tre o quattro giorni una “parlata su Giotto”, dunque resta inteso che la “parentesi dell’Io” la pubblicherai sul numero d’aprile»23 .
Pochi giorni dopo Carrà comunicò l’avvenuto invio del mano-
22 FDR, C. Carrà a G. De Robertis, 10 marzo 1916. 23 FDR, C. Carrà a G. De Robertis, 16 marzo 1916.

Figura 4.3 Carlo Carrà, Bambina, 1916.
scritto, contestualmente alla spedizione della Bambina a Papini24 . Carrà giudicava la Parlata «la cosa più viva che ho fatto, di teorico», assicurando De Robertis con queste parole: «Come vedi ti ho accontentato. E ho fatto di tutto per costruirlo il meglio possibile». Testimonianza sia di una redazione assai problematica, sia di una specifica richiesta da parte del direttore. Aver «accontentato» De Robertis non può significare altro che la Parlata nacque come precisa committenza da parte della redazione vociana: un evidente invito ad approfondire temi e ragioni dei nomi buttati giù ne La rosa delle volontà.
24 FDR, C. Carrà a G. De Robertis, 20 marzo 1916.
E in effetti, la risposta di De Robertis e di Papini era per Carrà lusinghiera, sia per le parole spese che per il concreto sostegno. I documenti confermano inoltre che a guidare l’attività critica e teorica di Carrà erano i redattori de «La Voce». Così infatti scriveva De Robertis recapitando a Carrà un vaglia di cinquanta lire come compenso per le pubblicazioni: «Vedi di prepararmi qualche altra cosa intanto, su Paolo Uccello, o, per esempio, sul modo di procedere in certe tue ricerche pittoriche, o sulla tua cura di essenzializzazione»25 .
Carrà ringraziava De Robertis con queste parole: «Grande gioia mi ha preso l’animo, e vuoi per i conquibus, e vuoi, più ancora, per le parole di lode tue, e quelle di Papini. Lavoro molto alla pittura – e di questa ho risolto problemi importantissimi: se avrò tempo e voglia ne parlerò»26. Alle poche lire garantite dall’editore de «La Voce» si sommavano le cinquecento rateizzate da Papini, che consentirono a Carrà di riprendere con maggiore convinzione il lavoro. Papini, che stava cercando di convincere Soffici all’acquisto de La Carrozzella (per quanto il potenziale acquirente fosse in quel momento al fronte), venne informato della «costruzione» di un nuovo dipinto, La casa dell’amore27. Se Carrà si riferisce qui al dipinto oggi conosciuto sotto questo titolo e datato 1922, è dunque opportuno farne risalire la prima stesura alla primavera del 1916 e postulare una lunga sospensione del lavoro (una pratica peraltro non inusuale, nel pittore), fino alla rielaborazione in vista della presentazione dell’opera alla Biennale di Venezia del 1922. Segno insomma che il progetto pittorico del 1916 agirà, per motivi di varia natura, in un arco cronologico assai più ampio, le cui conseguenze saranno presenti almeno fino alla svolta stilistica dei paesaggi di Camogli del 192328 .
25 FDR, C. Carrà a G. De Robertis, 24 marzo 1916. 26 FDR, C. Carrà a G. De Robertis, 26 marzo 1916. 27 Il carteggio Carrà-Papini, cit., p. 72. 28 Cfr. per questo la scheda di C. Casali in Da Renoir a De Stael. Roberto Longhi e il moderno, a cura di C. Spadoni (catalogo della mostra, Ravenna 2003), Milano, Mazzotta, 2003, p. 296.