viii. classico e italiano. morandi nel decennio paesano
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tazione che si sfrangia fino alla sgranatura totale dell’immagine, nei bordi superiori e inferiori del foglio. I volumi architettonici sono appena delineati e poi ombreggiati a sfumino. Sulla rivista, ne sortisce un effetto di grana fotografica, di fuori fuoco; la nitida immagine al centro si rilascia progressivamente agli estremi. L’altro foglio propone un edificio chiuso in primo piano da un muretto che lambisce l’estremità inferiore della carta; la casa emerge dalla vegetazione nel nitore della parete calcinata, con un’ombra portata dallo sporto del tetto. Intorno sono fronde a tratti sommari, angolati, più volte ribaditi negli incroci diagonali, che si spengono progressivamente lasciando il vuoto del foglio a chiudere la composizione. Sono apparizioni del paesaggio, più che descrizioni vere e proprie. Nessuna geografia immediatamente riconoscibile, solo la possibilità di un affondo visivo, di un lento scrutinio. I tempi della percezione sono rallentati; l’enigma della realtà può trasferirsi nella natura. Se mai è esistito un paesaggio puro ed estraneo alla retorica rurale, non è dissimile da questo. Il problema, per Morandi, è che sul «Selvaggio» si scriveva, anche, su di lui. Ecco però come. Letture squadriste e paesane L’articolo su Morandi che Achille Lega pubblicò sul «Selvaggio» nel luglio del 1927 chiederebbe quel minimo di rispetto dovuto all’intelligenza mimetica degli emuli. Lega offrì in effetti un ragionamento di piena ortodossia sofficiana; e qui iniziarono a prendere estensione quei caratteri del Morandi «selvaggio» che non sarà difficile riscontrare fino almeno al 1932. Lega assicurò che il pittore si muoveva lungo la linea della buona tradizione (e a modo d’esempio Maccari impaginò la lastra grande della Natura morta con cestino di pane). Il carattere sobrio e modesto dell’autore era all’origine di un lavoro lento e coscienzioso, che sottoponeva all’osservatore la familiarità delle cose nei loro aspetti più umani. La poesia degli oggetti comuni si offriva senza inganni e lenocini, confidando nel senso moderno della composizione19. L’ar19
A. Lega, Giorgio Morandi, «Il Selvaggio», 30 luglio 1927, p. 3.