iv. giotto, rimbaud, paolo uccello
117
Il poeta fanciullo e il gentiluomo ubriaco Contestualmente alla stesura del Paolo Uccello, Carrà aveva recuperato una vecchia tela coprendola con una prima versione de I Romantici (fig. 4.5). Come si vede, anche per il quarto dipinto del 1916 emerge un chiaro parallelismo fra pratica della pittura e teoria dello stile. Il titolo dell’opera era Romanticismo, e prevedeva tre figure maschili stanti, un cane e un uccello. Quando Carrà spedì l’ultima lettera citata aveva con ogni probabilità già modificato il dipinto. Al posto del cane si ripresentava la figura infantile dai caratteri marcatamente grotteschi de La bambina. Essa compariva in uno schizzo inviato a Soffici all’inizio di settembre, senza però la coroncina d’oro. Carrà dichiarò noncuranza nei confronti del titolo. Ma cosa vuol dire «Romanticismo», o «I romantici», come l’opera verrà definitivamente battezzata? E perché quelle modifiche? L’infante, con la sua palla di gomma, sta nel mezzo di tre figure professorali che sembrano richiamare, per attributi e ieratica frontalità, i santi dei polittici trecenteschi. Certo vi sono anche lampanti deduzioni dalla pittura di André Derain, appresa a Parigi come sulle tavole fotografiche de «Les Soirées de Paris»: i nasi a quart de brie, il tendaggio sulla sinistra, la fettuccia di pavimento sotto i piedi. «Romanticismo» è da intendere come risoluzione verso un operare pittorico in assenza di grammatica normativa o teorie precostituite. Un simile ragionamento pittorico poteva trovare riscontro efficace nel poeta adolescente: nella figura cioè di Arthur Rimbaud, oggetto dell’onesta plaquette sofficiana del 191148. In alcune opere di questo 1916 non mancano in effetti allusioni ai testi del simbolismo francese, in buona parte dovute alla mediazione di Soffici. Il gravido e attonito Gentiluomo sembra smaltire un’ivresse di origine rimbaudiana, laddove il poeta scopre, nella figura allegorica della navigazione senza pilota, lo scavalcamento del limite fisico del reale. Così agisce anche il pittore, avviato a una metafisica degli oggetti comuni: il bastone 48 Cfr. M. Richter, La formazione francese di Ardengo Soffici, 1900-1914, Milano, Vita e Pensiero, 1969, p. 154; sul significato del dipinto si vedano però le considerazioni di Rovati, Carrà 1916 cit.