«concentrata la vita economica dell’intero Regno»45 ebbe, oltre che per i civili autoctoni, delle conseguenze molto gravi anche per il resto del paese. Era infatti notevolmente diminuita la quantità di viveri destinati all’alimentazione umana e animale,46 mettendo a rischio le vite sia dei soldati che soprattutto dei profughi rimasti concentrati nelle città dove avevano trovato rifugio. Queste città si ritrovarono letteralmente invase da persone in condizione di estremo bisogno, generando una situazione insostenibile. La capitale provvisoria Niš, che prima della guerra contava 25.000 abitanti, nel gennaio del 1915 ne aveva circa 100.000 (dei nuovi arrivati la maggioranza erano profughi ma vi erano anche molte persone al seguito del governo che vi si era spostato fin dallo scadere dell’ultimatum del luglio precedente: funzionari e loro famiglie, banchieri, imprenditori ecc.).47 Una situazione simile si registrò a Valjevo, Kragujevac e Skopje. Le difficoltà nel garantire un sostentamento alimentare, la mancanza di alloggi in pieno inverno e soprattutto le pessime condizioni igienico-sanitarie stavano stremando i profughi. Di certo erano questioni che non potevano essere risolte in breve tempo, né dalle autorità civili né da quelle militari; la situazione fu inoltre seriamente aggravata dallo scoppio di un’epidemia, quasi inevitabile in quelle condizioni.
L’epidemia di tifo Le piccole città della Serbia centro-meridionale diventarono dunque improvvisamente dei centri di grandi dimensioni, popolati da diverse decine di migliaia di persone. Ai profughi e all’esercito, che contava tra l’altro numerosissimi feriti, si aggiunsero circa 60.000 prigionieri austro-ungarici, la maggior parte dei quali era rappresentata da feriti e ammalati che erano stati abbandonati nell’ultima disperata fuga dai loro comandi. Anche per loro bisognava trovare una sistemazione e un sostentamento: e le già sature cittadine serbe, senza reti fognarie, impianti idrici, senza strade lastricate e edifici in grado di accogliere chi già si trovava in città, non furono in grado di resistere a lungo. In questa situazione di caos generale, di deficienza di cibo, medicinali e vestiario, di scarsissime condizioni igieniche e di estrema promiscuità, scoppiò un’epidemia di tifo esantematico che fu destinato ad essere il nemico principale da combattere nel corso della prima metà del 1915. Andrej Mitrović, Srbija u Prvom...., p. 155. Ivi, pp. 155-156. 47 Arnaldo Fraccaroli, op. cit., p. 19 e p. 21. 45 46
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