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Gli stupri di massa
gare fu molto più alto.120
La corruzione era presente ovunque. A Paraćin il pagamento di 80 dinari alla guardia carceraria fu sufficiente a scappare.121 Nel distretto Svrljig diversi soldati e ufficiali si appropriarono di ingenti somme di denaro prelevate a singoli cittadini semplicemente con la minaccia dell’internamento.122
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Gli stupri di massa123
Nella complessa rete di crimini, organizzati dal governo e autonomamente perpetrati dalle autorità d’occupazione, un posto di particolare rilevanza fu la violenza, innanzitutto sessuale, subita dalle donne. Non si trattò solo di una serie di stupri commessi dalla truppa, ma anche di un preciso comportamento approvato ed incentivato dalle stesse autorità. Dopo il clero (e i notabili) l’ostacolo maggiore alla bulgarizzazione vennero infatti considerate le donne:124 erano loro ad allevare i bambini nello spirito della tradizione serba, a dirigerli e a incitarli all’odio verso i bulgari, ad opporsi nella maniera più dura a qualsiasi avvicinamento alla cultura bulgara.
Le donne, secondo la Commissione interalleata, subirono il trattamento peggiore. Vennero bastonate non solo nei villaggi, dove venivano commessi la maggior parte dei crimini, ma anche nelle città. Abitualmente venivano colpite sul ventre, e molte di loro per questo abortirono. Le bastonate erano accompagnate dall’oltraggio al pudore, perché venivano fatte spogliare prima di essere bastonate; vi furono casi in cui le donne vennero bastonate sui genitali.125
Le donne furono considerate fin dall’inizio una sorta di bottino di guerra: «Le femmine dai 10 anni in su sono vostre», ordinavano gli ufficiali ai propri soldati quando facevano il loro ingresso nei paesi.126 Una donna testimoniò a tal proposito:
120 Ibidem. 121 AJ, MIP-PU, 334-11, br. 1923, testimonianza di Stanija Veljković, 11 marzo 1919. 122 Sevdelin Andrejević, op. cit., pp. 24-25. 123 Sulla questione si rimanda a: Bruna Bianchi, Gli stupri di massa in Serbia durante la Prima guerra mondiale, in Marcello Flores (a cura di), Stupri di guerra. La violenza di massa contro le donne nel Novecento, Angeli, Milano 2010, pp. 43-60. 124 Rapport…, cit., tomo I, p. 37. 125 Ivi, p. 16. 126 Slađana Bojković-Miloje Pršić, Stradanje..., cit, doc. 140, o. br. 21245, da colonnello Pešić a Ministero della Guerra, 11 giugno 1918 (relazione tratta da AS, Arhiva institucija pod bugarskog okupacijom 1915-18, k. 1), p. 286.
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Il 12 novembre 1915, appena dopo l’occupazione del nostro villaggio da parte dell’esercito bulgaro, quindici soldati bulgari vennero da me per pernottare. Mentre saccheggiavano la casa mi hanno violentato e picchiato finché non ho detto loro dove si trovava mia figlia Zora di 14 anni. Hanno violentato anche lei.127
Le dimensioni di massa degli stupri furono confermate da più testimonianze. In una di questa, il dottor De Medonsa riferì che a Štip:
In quanto specialista di malattie femminili ho avuto occasione di visitare molte donne e ragazze di Štip e dintorni. Tutte quelle che ho visitato erano state contagiate da malattie veneree o erano incinta. Alle mie domande tutte hanno risposto che le avevano disonorate gli ufficiali e i soldati bulgari, e la maggior parte di loro mi ha detto che ciò era avvenuto con la forza. In base alle loro testimonianze ci sono stati casi in cui cinque o sei soldati armati facevano irruzione nelle case e violentavano le donne. Le loro grida e i loro pianti non hanno aiutato, perché nessuno non poteva correre in aiuto. Inoltre, in qualità di medico comunale, ho avuto occasione di vedere quotidianamente neonati morti, vittime di aborti forzati. Trovavamo questi neonati generalmente lungo il fiume Bregalnica, nei pressi del mulino e in generale vicino all’acqua, dal momento che la popolazione locale ritiene che questi bambini non vadano sepolti ma debbano essere portati via dall’acqua.128
Mentre il sindaco di un villaggio turco a guerra finita testimoniò:
I funzionari bulgari sia militari che civili hanno compiuto un gran numero di stupri di donne e giovani ragazze musulmane della comunità di Iberlia. Spesso facevano andare al comune gruppi di cinque o sei donne, abusavano di loro e poi le rilasciavano, chiamandone delle altre. In tal modo praticamente nessuna donna è rimasta senza essere disonorata.129
Alcuni testimoni, quando gruppi di cittadini maschi venivano arrestati e trattenuti alcuni giorni, si convinsero che lo scopo del loro arresto era proprio facilitare il saccheggio e lo stupro di massa: fu così a Brod, in base al racconto di un testimone:
127 Rapport…, cit., tomo III, doc. 385, testimonianza di Manda Stanoyevitch (Stanojević), Vitcha (Gotovuša), p. 283 128 AJ, MIP-DU, 334-20, testimonianza del dottor De Medonsa, 10 ottobre 1918. 129 Rapport…, cit., tomo III, doc. 379, testimonianza di Pelivan Osman, sindaco Ibarlia, p. 378.
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[…] Quando i bulgari sono entrati a Brod hanno cominciato sistematicamente a distruggere tutto. Quello che hanno fatto alle donne lo sappiamo solo noi. So che una notte hanno arrestato tutti gli uomini in modo che i soldati bulgari potessero più facilmente andare nelle case e fare violenza alle donne indifese. Soldati e ufficiali hanno assalito le donne e le ragazze giorno e notte, andando di casa in casa e violentandole.130
Donne venivano uccise dopo essere state stuprate o venivano fatte stuprare da soldati con malattie veneree.131 Quando una donna, costretta a vivere nelle terribili condizioni del carcere di Niš dove i prigionieri venivano torturati con la fame e le donne violentate da 10 o 15 soldati di seguito, venne trasportata all’ospedale di Vranje perché ammalata vide «circa 100 donne serbe contagiate da malattie veneree trasmesse da soldati e ufficiali bulgari».132 Una delle donne contagiate disse:
I soldati bulgari ordinarono a Théodoren Ristitch (Teodor Ristić) di Trojak di portarmi presso la casa di Nicolas Kognevitch (Nikola Kognević) dove già lavoravo. Fui offerta ad un soldato che mi violentò, nonostante avessi solo 15 anni. Fui contagiata e per questo dovetti subire un trattamento di 4 mesi all’ospedale di Uskub (Skopje).133
Mentre in un altro caso, il console greco a Skopje, prima di essere mandato via, notò che tutte le donne e le ragazze serbe delle vecchie frontiere che ancora si trovavano in città vennero stuprate, e fu testimone di come circa 600 donne ritenute ammalate di malattie veneree vennero caricate su vagoni aperti usualmente utilizzati per il trasporto di sabbia e carbone e dirette verso una destinazione sconosciuta a nord.134
Diverse altre testimonianze confermarono il coinvolgimento delle autorità e la sistematica violenza sessuale. A Tetovo le donne più belle vennero selezionate e suddivise in due gruppi iscritti in un registro. Il primo doveva essere a disposizione degli ufficiali, il secondo dei sottoufficiali: le donne venivano quindi convocate al commissariato di polizia dove venivano poi stuprate in una stanza appositamente dedicata.135
130 AJ, MIP-DU, 334-19, testimonianza Hrista Petrović «Daskalo», 1 dicembre 1918. 131 Rapport…, cit., tomo I, p. 16. 132 AJ, MIP-DU, 334-22, testimonianza di Natalija Bajević, senza data. 133 Rapport…, cit., tomo III, doc. 378, testimonianza di Stevana Mirtchevitch, Troyak (Prilep), p. 280. 134 AS, MID-PO, 1916, XV/404, tel. br. 899, da console Salonicco a Ministero degli Esteri, testimonianza console greco a Skopje Frangistos 12/25 febbraio 1916. 135 AJ, 388-8-40 e 41, tel. br. 39749, da Commissione interalleata a Legazione serba a Parigi,
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Un altro esempio fece sospettare che dietro gli stupri di massa vi fosse un progetto legato alla bulgarizzazione della popolazione. Nel villaggio di Mirovče molte donne violentate non vollero parlarne per la vergogna; ma in un caso, Jelena Stojanović, già madre di quattro figli, rimasta incinta in seguito ad uno stupro, decise di denunciare l’accaduto alle autorità comunali. Invece di ricevere aiuto, queste la obbligarono a non abortire e inviarono dei poliziotti al momento del parto per garantire che tutto andasse bene.136 In un altro caso, una madre testimoniò:
Quando i bulgari entrarono nel nostro villaggio nell’ottobre del 1915, un soldato del reparto telefonico del 41° Reggimento di nome Ristov venne a casa nostra e ci assalì. Io, mia cognata e la mia vecchia madre siamo fuggite verso il bosco, ma mia figlia Talijanka di otto anni rimase in casa. Ristov la prese, si chiuse in camera e la gettò sul letto. Ha passato tutta la notte con lei violentandola ripetutamente. Quando il giorno dopo sono rientrata a casa ho trovato mia figlia ammalata, in mezzo al sangue, con la camicetta e il vestitino anch’essi insanguinati. Perfino lo scendiletto era insanguinato. Ho preso subito mia figlia in braccio e sono andata dal comandante per fare denuncia e lui mi ha inviata dal medico che ha confermato tutto. Ristov non l’hanno trovato, e per questo mi hanno convocata dal comandante a Vlasotince e da lì mi hanno inviata al tribunale di Vranje. Hanno fatto la stesura della mia testimonianza, ma non mi hanno dato alcun aiuto, dicendo che la sentenza doveva essere emessa dal tribunale principale di Skopje. [...] Ho portato anche la camicetta e il vestitino insanguinati alle autorità bulgare per farli esaminare e li ho conservati per quasi tre anni. Poi li ho buttati, perché erano deperiti.137
I sospetti vennero confermati dalle parole del nuovo vescovo di Veles Melentie il 14/27 settembre 1916. Recatosi nel paese di Bogumili, convocò gli abitanti in chiesa per la messa. Dopo la liturgia tenne un discorso in cui disse che le donne non dovevano rifiutare i soldati bulgari ma che dovevano anzi rimanere incinta perché non era peccato. Qualora fossero rientrati i loro padri dal fronte avrebbero dovuto rispondere loro: «voi siete vecchi serbi, noi giovani bulgari».138
Gli stupri vennero insomma messi in atto su larga scala. E spesso risultò difficile testimoniarlo, perché le donne si vergognavano di questa onta: nonostante ciò il gran numero di donne malate e i molti bambini nati naturalmente
17 dicembre 1918. 136 AJ, MIP-DU, 334-16, relazione crimini bulgari nel comune di Mirovče. 137 AJ, MIP-DU, 334-13, testimonianza di Svilenka Pejić, 13 dicembre 1918. 138 Rapport…, tomo III, doc. 400 e 401, testimonianze Helene Natchevitch, Marko Natchevitch e Bogdan Bochkovitch, pp. 292-293.
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