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I comitadji in azione: l’attacco di Strumica-Valandovo
delle atrocità serbe rappresentavano in ogni caso una demonizzazione del rivale, aumentando il desiderio di vendetta che già in molti covava dal «tradimento serbo» del 1912-13. Questo desiderio era presente certamente tra gli ufficiali, ma nasceva ora la necessità di trovare una motivazione sufficiente nella truppa per prepararla ad un eventuale intervento contro la Serbia; e la veicolazione nei soldati di senso di rivalsa e odio, commisti a caritatevoli slanci nella difesa dei compatrioti vittime del giogo serbo, sembrò probabilmente essere un elemento sufficientemente forte.
Ciò avveniva al di là delle trattative diplomatiche in corso, che pure sembravano propendere in favore degli Imperi centrali: la questione messa in evidenza nei giornali bulgari era infatti l’intrattabile annessione della Macedonia, cosa che doveva apparire chiara non solo a tedeschi e austro – ungheresi ma anche al blocco opposto.
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I comitadji in azione: l’attacco di Strumica-Valandovo
La Macedonia, nel pieno del processo di serbizzazione messo in atto dalle autorità serbe a partire dal loro insediamento, ritornò ad essere al centro delle azioni dei comitadji. Le azioni continuarono ad essere organizzate soprattutto da macedoni emigrati in Bulgaria, con l’appoggio delle autorità bulgare; ma con lo scoppio della guerra si erano intensificati anche i contatti con l’esercito austro-ungarico (e poi con quello turco), che per destabilizzare le zone meridionali della Serbia partecipava attivamente al rifornimento e all’addestramento di comitadji e bande albanesi.32
Molti macedoni che già si trovavano in Bulgaria vennero inquadrati in una sorta di unità con compiti diversivi sottoposte ad uno dei maggiori esponenti della VMRO, Todor Aleksandrov. Queste bande, agendo dal territorio bulgaro, riuscirono nel 1914 e soprattutto nel 1915 (prima dell’entrata in guerra della Bulgaria) ad infliggere numerose perdite alle truppe serbe di stanza nella Macedonia orientale.33
Un esempio delle azioni condotte fu la distruzione del ponte sul fiume Vardar nei pressi del paese di Udovo, avvenuta nel novembre del 1914: l’interruzione delle vie di comunicazione in Macedonia, vitali per l’esistenza stassa della Serbia, era infatti uno degli obiettivi principali dei comitadji.
Nella primavera del 1915 avvennero però scontri di una certa dimensione tra truppe regolari serbe e comitadji. Ai primi di marzo, nei pressi di Gradac
32 Andrej Mitrović, Srbija u Prvom…, cit., pp. 174-175. 33 Михаило Аполстолски (a cura di), op. cit., p. 387.
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si era svolte una vera e propria battaglia durata un giorno intero,34 mentre il 21 marzo/4 aprile 1915 un gruppo di circa mille comitadji attaccò una guarnigione dell’esercito serbo nei pressi di Valandovo-(stazione di Strumica).
L’azione, partita dal territorio bulgaro, coinvolse oltre che macedoni anche molti turchi autoctoni; pare vi parteciparono inoltre anche graduati austriaci e soldati bulgari.35 Divisi in gruppi, rivolsero l’attacco verso la cittadina di Valandovo e verso la stazione di Strumica, con l’obiettivo apparente di interrompere la linea ferroviaria e quella telegrafica;36 nella battaglia rimasero vittime circa 200 soldati serbi37 e un numero imprecisato di comitadji. Ciò che colpì non fu solo il numero elevato di morti, ma il fatto molti soldati serbi erano stati oggetto di tremende atrocità prima di essere uccisi. Per questo motivo venne allora richiesta da parte del governo serbo la formazione di una commissione internazionale per esaminare i cadaveri di una conquantina di soldati massacrati, che secondo alcune informazioni erano stati fatti a pezzi o bruciati vivi dopo essersi arresi e consegnati ai comitadji. 38 Ed effettivamente, la commissione composta da rappresentanti di missioni mediche straniere in Serbia, riscontrò che numerosi soldati erano dapprima stati feriti e poi torturati e bruciati vivi.39 Sul posto giunsero anche diveri giornalisti stranieri, soprattutto francesi, per verificare l’accaduto.40
Le dimensioni dell’episodio indussero a pensare che si era trattato di un vero e proprio scontro di guerra; non a caso la diplomazia serba lanciò pesanti accuse contro la Bulgaria, ritenuta di essere la responsabile dell’attacco. Radoslavov negò ogni coinvolgimento, sostenendo che si era invece trattata di una sollevazione di «sudditi serbi» contro la «tirannia serba»41 ed etichettando le affermazioni della diplomazia serba come false.
34 AS, MID-PO, 1915, XV/138 e 139, pov. br. 3802, da Ministero della Guerra a Ministero degli Esteri, 16/29 marzo 1915. 35 AS, MID-PO, 1915, XV/188, pov. br. 11973, relazione comandante truppe protezione ferrovie Đorđević e maggiore Blažarić a Ministero della Guerra, 26 marzo/8 aprile 1915. 36 AS, MID-PO, 1915, XV/159, da prefetto Tikveš a Ministero degli Interni, 21 marzo/2 aprile 1915. 37 AS, MID-PO, 1915, XV/199, da ispettorato polizia Bitola a Ministero degli Interni, 29 marzo/11 aprile 1915. 38 AS, MID-PO, 1915, XV/188, pov. br. 11973, relazione comandante truppe protezione ferrovie Đorđević e maggiore Blažarić a Ministero della Guerra, 26 marzo/8 aprile 1915; XIII/376, pov. br. 3906, da Ministero della Guerra a Ministero degli Esteri, 23 marzo/5 aprile 1915. 39 AS, MID-PO, 1915, XIII/742 e 743, Proces verbal d’enquete medicale sur les incidents de Strumica. 40 AS, MID-PO, 1915, XIII/513, da consolato ad Atene a Ministero degli Esteri, 28 marzo/10 aprile 1915; XIII/525, da Consolato a Salonicco a Ministero degli Esteri, 30 marzo/12 aprile 1915. 41 Васил Радославов, op. cit., p. 124.
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Dell’attacco di Valandovo-Strumica tuttavia emergeva un’altra preoccupazione tra le autorità serbe, non minore rispetto a quelle di ordine internazionale. La presenza di numerosi turchi dei villaggi circostanti tra i comitadji era infatti strettamente collegata alla rivolta scoppiata in precedenza a Veles, quando numerosi turchi locali insorsero contro i continui maltrattamenti subiti.42 Si trattava cioè di un problema molto più vasto di un singolo attacco di comitadji: in questione era infatti una convergenza di obiettivi tra comitadji e turchi autoctnoni che si esprimeva per la prima volta attraverso il coinvolgimento su larga scala della popolazione locale e che rischiava di avere conseguenze molto gravi per la già fragile stabilità della regione. Tre giorni dopo l’attacco, il comandante delle truppe serbe in Macedonia ribadì lo stato di forte preoccupazione in un telegramma dai toni molto preoccupati al Ministero della Guerra. Chiedendo rinforzi per affrontare i numerosi gruppi di comitadji ammassati ai confini orientali e pronti a nuove azioni, sottolineò infatti che molti di loro stavano già entrando in Serbia e che «tutta la popolazione nel nostro territorio li aiuterà nell’attacco».43
Queste preoccupazioni riguardo ad una possibile insurrezione generale vennero in parte smentite dalle indagini condotte dalle autorità civili sull’accaduto.
Già il giorno stesso dell’attacco il prefetto del dipartimento Štip aveva ipotizzato che dietro l’azione ci fosse l’esercito bulgaro alla ricerca di un casus belli, e che secondo il piano preparato in Bulgaria l’assalto avrebbe dovuto avere un carattere di insurrezione popolare. L’idea nata a Sofia prevedeva inoltre che nel caso avesse avuto successo sarebbe stato dunque giustificato un intervento diretto delle truppe regolari bulgare a protezione della popolazione insorta, mentre in caso contrario si sarebbe riversata la colpa esclusivamente sui comitadji44. Questa ipotesi di una «imposizione» dell’insurrezione sembrò essere confermata da alcune indagini condotte nei giorni successivi.
In seguito al fallimento dell’azione e alla ritirata dei comitadji, molti villaggi nei pressi di Valandovo e Strumica si erano letteralmente svuotati, dando l’impressione che i loro abitanti fossero fuggiti per paura delle repressioni serbe: in totale circa 5.500 persone, in prevalenza turchi, avevano abbandonato le loro case portando con sé anche il bestiame.45
42 AS, MID-PO, 1915, XIII/364, pov. br. 550, telegramma da Ministero degli Esteri a Consolato Sofia, 21 marzo/3 aprile 1915. 43 AS, MID-PO, 1915, XIII/394, br. 3393, telergamma da comandante truppe «Nove Oblasti» generale Popović a Ministero della Guerra, 24 marzo/6 aprile 1915. 44 AS, MID-PO, 1915, XIII/380, da prefetto dipartimento Tikveš a Ministero degli Interni, 21 marzo/3 aprile 1915. 45 AS, MID-PO, 1915, XIII/698, pov. br. 4043, da Ministero della Guerra a Ministero degli
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Pochi giorni dopo però le autorità serbe osservarono che molti di loro stavano ritornando alle proprie case. Intervenne allora il ministro della Guerra, ordinando che il rientro dei musulmani dei 13 villaggi lungo il confine con la Bulgaria non fosse ostacolato, consigliando nei loro confronti solo un interrogatorio e sottolineando che non andavano prese per il momento alcune misure.46 I loro interrogatori convinsero le autorità serbe che non fossero fuggiti di propria volontà, bensì che fossero stati costretti ad andare via dagli stessi comitadji: molti testimoniarono l’arrivo di capi comitadji che con minacce e armi in pugno obbligarono tutti a oltrepassare il confine, abbandonandoli però a sé stessi appena entrati in Bulgaria.47 Nonostante ciò, l’ipotesi di un’innocenza dei turchi non convinse il comandante delle truppe delle «Nove Oblasti», che per questo ordinò che coloro che rientravano dalla Bulgaria venissero perlomeno tenuti sotto controllo.48 Presto la situazione peggiorò e prevalsero i metodi repressivi dell’esercito e dell’apparato di polizia già utilizzati in più occasioni dal 1912: le autorità serbe introdussero infatti un regime di terrore nelle zone di Valandovo, Berovo, Pehčevo e Radoviš, arrestando un gran numero di contadini innocenti accusati di aver preso parte all’azione, picchiandoli e uccidendoli, e incendiando numerosi villaggi.49
L’episodio di Valandovo - Strumica fu il più importante tra le azioni condotte dai comitadji. 50 Organizzato con l’ausilio di ufficiali bulgari e austriaci, mise in evidenza alcuni fattori molto importanti. Era stato un attacco su vasta scala con il diretto coinvolgimento dell’esercito bulgaro, ufficialmente ancora neutrale; avevano fatto la comparsa i crimini, simili a quelli descritti dai quotidiani bulgari e attribuiti ai serbi, ma questa volta commessi su soldati serbi; c’era stata la partecipazione più o meno volontaria di alcune migliaia di persone, per per la maggior parte musulmani; infine, c’era stata l’ennesima violenta reazione delle autorità serbe la cui impopolarità diveniva ormai difficile da sopportare per molti.
Un episodio della durata di un giorno aveva fatto tremare la situazione in Macedonia.
Esteri, 3/16 aprile 1915. 46 VA, p. 7, k. 63, f. 4, 4/1, br. 3175, telegramma da Ministero della Guerra a comandante truppe «Nove Oblasti», 10/23 aprile 1915. 47 AS, MID-PO, 1915, XIII/460, interrogatorio di Arastir Andonović, 25 marzo/7 aprile 1915; e XIII/477, da Ministero degli Interni a Ministero degli Esteri, 26 marzo/8 aprile 1915. 48 AS, MID-PO, 1915, da Ministero della Guerra a Ministero degli Interni, 24 maggio/6 giugno 1915. 49 Михаило Аполстолски (a cura di), op. cit., pp. 389-390. 50 Ivi, p. 389.
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