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L’amministrazione della Macedonia: il caso serbo
«liberate».91 Un anno più tardi tre serbi vennero condannati a morte a Costantinopoli per crimini di guerra commessi durante l’occupazione di Rakalar.92
Poca cosa di fronte alle conclusioni della commissione Carnegie, secondo cui nelle guerre balcaniche le violenze non furono il frutto di eccessi compiuti da soldati, ma vi presero parte anche le popolazioni locali, con l’obiettivo di sterminare la popolazione nemica: l’esercito greco e quello turco ebbero ordini ben precisi sulla politica di sterminio da applicare, mentre quello serbo e quello bulgaro, nonostante non avessero ricevuto simili ordini, si dimostrarono intenzionati a non mantenere abitanti di nazionalità nemica sui territori conquistati.
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L’amministrazione della Macedonia: il caso serbo
A un anno di distanza dall’ingresso delle truppe serbe in Macedonia, Kosovo e nel Sangiaccato di Novi Pazar, lo stato caotico in cui si trovavano queste regioni nascondeva una realtà diametralmente opposta all’eldorado della retorica nazionalista degli anni precedenti.
La realtà in cui si dibattevano le nuove autorità fu letteralmente fotografata dal Ministro delle Finanze Laza Paču, in un’interrogazione parlamentare del 12/25 ottobre 1913 sulla politica finanziaria da adottare nei territori «liberati»:
Noi non conosciamo quei territori; li stiamo scoprendo ora. Per determinare il bilancio per quei territori dobbiamo prima conoscerli, conoscerne i bisogni, la loro forza finanziaria [...]. Come funzionava, signori, l’amministrazione finché in quei territori il Comando supremo teneva nelle proprie mani tutta l’amministrazione? Potevano forse quei territori restare senza tribunali, ad esempio, anche per un solo giorno? [...] I tribunali sono stati creati lì mentre vigeva ancora l’amministrazione militare. Cioè - ho usato l’espressione sbagliata - mentre quei territori venivano considerati come zona di guerra. Il Comando supremo si è allora rivolto al governo affinché venissero inviati dei giudici e i giudici vi sono stati mandati, pagati con il bilancio militare [...] E su proposta del Comando Supremo [...] è stato mandato il personale di polizia minimo indispensabile. [...] Finché si trovava lì l’autorità militare, questa ha dislocato il personale necessario per le poste e i telegrafi [...] Quando è stata ordinata la smobilitazione le autorità dislocate fino ad allora sono passate sotto la nostra amministrazione statale [...] Quando questi funzionari sono andati in ferie non sono stati adeguatamente sostituiti. [...] Spesso i comunicati anche molto importanti sono arrivati a Belgrado con 3, 4, 5, 8
91 Report..., Appendix A, documento 13, p. 281-282. 92 AS, MID-PO, 1914, VII/542 e 543, sentenza di morte, tribunale militare Costantinopoli.
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giorni di ritardo [...] Le prime notizie sull’attacco albanese sono giunte 50 ore dopo [...]. Ma questo non è tutto. Bisogna dare a quella gente dei medici, perché non è giusto che rimangano senza nemmeno un medico. Ma, signori, una cosa è volere e un’altra è potere. Anche volendo non si può fare, perché non abbiamo medici. È necessario agire il prima possibile anche per l’economia. Ma, signori, anche qui è molto difficile perché innanzitutto non abbiamo personale e in secondo luogo bisogna vedere come stanno le cose nell’economia di quei territori. [...]. E, signori, che dire della sicurezza? All’inizio avevamo 2.000 gendarmi, ma si è dimostrato che erano pochi. Li abbiamo aumentati a 3.000 e ancora una volta erano pochi, e anche se volessimo aumentarne nuovamente il numero non possiamo perché non ci sono persone disposte ad andare lì anche solo per fare i gendarmi. E ora fatemi passare all’educazione. [...] Vedremo in un secondo momento come si muoverà il lavoro educativo in futuro, ma per ora dobbiamo mantenere quanto abbiamo trovato [...]. Lo stesso vale per la chiesa [...]. E che dire delle strade e delle ferrovie! Quando, a causa dell’attacco albanese, abbiamo avuto la necessità di mandare nei nuovi territori l’esercito, per due volte abbiamo dovuto mandarlo via Salonicco, perché purtroppo con Bitolj praticamente non abbiamo comunicazione [...]. E che dire per i casi più banali, quando una strada si può a malapena chiamare strada, perché tale non è. In realtà é come se non esistesse!93
Nel periodo intercorso tra la «liberazione» e il discorso del ministro erano avvenuti alcuni fatti importanti che vanno ricordati: la guerra con la Bulgaria, una rivolta albanese, e soprattutto una lotta delle autorità serbe per il controllo del territorio e per la sua definitiva annessione.
Durante la prima guerra balcanica la popolazione macedone aveva accolto gli eserciti serbo e greco tra pianti e manifestazioni di gioia per «i fratelli giunti in aiuto per la liberazione dal giogo turco». Tuttavia, in poco tempo, in seguito al comportamento delle nuove autorità, l’entusiasmo lasciò il posto allo sgomento e si trasformò in rabbia e odio.94
I nuovi territori vennero suddivisi in entità amministrative poste sotto il controllo militare: nel caso serbo, vennero creati sette distretti dipendenti dal Comando supremo dell’esercito di stanza a Skopje.95 Fu il primo segno che i
93 SB, NS, VI seduta ordinaria, 12/25 ottobre 1913, risposta Ministro delle Finanze a interrogazione parlamentare, pp. 128-130. 94 Report...., cit., p. 50. 95 Михаило Аполстолски (a cura di), Македонија во време на балканските војни (1912-
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governi non avevano molta fiducia nelle popolazioni dei nuovi territori.
Le autorità militari insediatesi infatti si dimostrarono ben lungi dal rappresentare i portatori e i garanti della libertà che ci si aspettava, e anzi avevano subito messo in atto un vero e proprio programma di assimilazione della popolazione locale. Le differenze di lingua, costumi, il senso di appartenenza all’esarcato o di identificazione con la nazionalità bulgara vennero interpretati come frutto di una bulgarizzazione subito dalle originarie popolazioni serbe o greche e che tale processo era tato messo in atto dal clero, dagli insegnanti, dagli elementi rivoluzionari – i comitadji, tutti individuati come il nemico principale.
Questi ultimi, che godevano tra la popolazione locale una fama di eroi (mentre le bande serbe greche erano molto meno numerose e faticavano ad avere supporto dalla popolazione, al contrario dei bulgari), vennero arrestati dalle nuove autorità e puniti come vagabondi e briganti.96 Le scuole dell’esarcato, ritenute i centri propagatori della cultura bulgara, vennero chiuse mentre gli insegnanti, qualora avessero voluto mantenere il posto di lavoro, venivano costretti a insegnare in serbo o greco. Quelli che continuarono a dichiararsi bulgari furono perseguiti – generalmente arrestati.97
Peggiore fu il trattamento riservato ai membri del clero bulgaro. I vertici dell’esarcato in Macedonia -gli arcivescovi di Skopje, Bitola, Veles, Ohrid, Debar (in quest’ultima città anche il vicario), vennero costretti, attraverso processi sommari o minacce, a lasciare la Macedonia.98 I sacerdoti dovettero celebrare le lirturgie in serbo o in greco, e in caso di rifiuto, venivano allontanati e al loro posto venivano nominati nuovi sacerdoti; alcuni vescovi subirono anche violenze da parte dei soldati.99
Insieme al clero locale anche i fedeli furono costretti a dichiararsi serbi o greci, pare anche firmando una dichiarazione appositamente formulata, in cui si chiedeva perdono al metropolita di Skopje Vićentije per aver dimenticato la fede dei padri ed essersi abbandonati all’esarcato.100 Sembra che molti rappresentanti del clero dell’esarcato si dimostrarono disposti a riconoscere l’autorità del metropolita serbo e dunque del patriarcato ecumenico, anche se non mancarono coloro che si rifiutarono: per questo motivo da Skopje partirono alla volta della Bulgaria 42 tra maestri e funzionari dell’organizzazione eccle-
1913), Втората балкансја војна,in Историја на макендонскот народ, књига втора, Институт за национална историја, Скопје, 1969, p. 379. 96 Report..., cit., p. 51. 97 Ivi, p. 52; З. Тодоровски – Ж. Бужашка, (a cura di), op. cit.,p. 12. 98 Report..., cit., pp. 165-168. 99 Ivi, p. 52. 100 Ivi, p. 53.
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siastico-educativa, mentre altri 15 furono cacciati da Kosovska Mitrovica.101 In alcuni casi la firma del riconoscimento dell’autorità serba fu raggiunta con la coercizione anche drammatica del clero e dei notabili: a Kumanovo 50-60 di loro furono convocati nella cattedrale di San Demetrio con l’inganno e costretti a firmare.102
Le misure contro il sistema ecclesiastico e scolastico vennero affiancate da una sistematica politica di terrore messa in atto contro chiunque si esponesse in senso pro-bulgaro. I notabili -compresi i mercanti, i gestori di librerie, i proprietari di ristoranti ecc.- che erano «patrioti bulgari» venivano prelevati in segreto dai membri dell’organizzazione segreta serba «Mano nera» (Crna ruka in serbo), che si era estesa alle città macedoni e che operava al fianco dell’esercito regolare, picchiati e in molti casi «fatti sparire». Molto più dura fu la sorte dei villaggi, dove le bande di cetnici collegate alla Mano nera erano al servizio delle autorità locali filoserbi o filogreci- con un passato non sicuramente limpido- che molto semplicemente indicavano chi torturare, picchiare o uccidere.103
La situazione raggiunse il culmine alcuni mesi dopo l’instaurazione delle autorità serbe, quando lo scoppio della guerra contro i bulgari fece ritenere opportuno prendere misure preventive contro le persone considerate «pericolose». Per questo motivo a Veles il 17/30 giugno vennero arrestati tutti i maestri e i sacerdoti insieme a circa 150-200 abitanti, e sei di loro vennero poi prelevati dalla prigione, torturati e uccisi, a monito di eventuali proteste. Lo stesso giorno vennero arrestati a Skopje 200 persone -anche qui compresi i maestri e i sacerdoti, 99 dei quali vennero mandati a Mitrovica; a Tetovo altri 200 circa, a Kumanovo 150, a Palanka alcune centinaia; a Bitola, tra il 17/30 giugno e il 19 giugno/2 luglio, gli arresti furono oltre 600. A Resen gli arresti furono una cinquantina in città e tra i 250 e i 300 nei villaggi circostanti. Alcuni «provocatori» vennero scortati in Serbia fino a Smederevo e poi deportati in Bulgaria104. E nello stesso periodo la popolazione dei villaggi, soprattutto delle zone di Tetovo, fu vittima di reclutamenti forzati per combattere «il peggior nemico della Serbia».105
Il rapido svolgimento della guerra contro i bulgari aveva dato la conferma definitiva ai serbi sul possesso della Macedonia. Dovettero però passare ancora alcuni mesi perché da Belgrado si cominciasse ad estendervi il sistema giuridico e amministrativo vigente nei vecchi confini che avrebbe dovuto pian piano sostituirsi all’esercito. E nel frattempo le violenze continuarono. La situazione
101 З. Тодоровски – Ж. Бужашка, (a cura di), op. cit.,p. 140. 102 Report..., cit., p. 173. 103 Report..., cit., pp. 169-170. 104 Ivi, pp. 173-179. 105 Ivi, p. 171.
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sembrò cambiare a settembre, quando cominciarono le discussioni a Belgrado sull’integrazione delle nuove regioni nel Regno di Serbia.
Tuttavia, nonostante il desiderio del Presidente del Consiglio Nikola Pašić per l’introduzione in quelle regioni di un «regime liberale» che le integrasse senza ulteriori problemi, prevalse l’opzione sostenuta dai circoli militari in favore di un governo dal pugno di ferro. Il 23 settembre/6 ottobre venne pubblicato un decreto di sicurezza per le nuove zone leggermente modificato tre settimane dopo, in cui veniva di fatto confermata la situazione eccezionale in vigore dall’ingresso delle truppe serbe nel 1912. Gli articoli principali del decreto mostravano la preoccupazione delle autorità serbe nel reprimere i movimenti di rivolta: nel decreto si prevedeva infatti che le forze di polizia avrebbero potuto, qualora se ne fosse presentato il bisogno, ricorrere all’aiuto dell’esercito (art. 1) e che ogni tentativo di ribellione contro l’autorità statale era punibile con 5 anni di carcere, mentre i responsabili in fuga, qualora non si fossero presentati nell’arco di 10 giorni alle forze di polizia, venivano condannati a morte (art. 2). Nel decreto venne inoltre introdotto di fatto il concetto di ritorsione contro i familiari e i presunti fiancheggiatori di coloro che venivano considerati ribelli. Se questi ultimi infatti non tornavano alle loro case entro 10 giorni dalla pubblicazione dei loro nomi, le autorità avevano il diritto di deportare le loro famiglie (art. 4), così come tutti coloro nelle cui case venivano nascoste persone armate o criminali. Infine, chi conosceva un criminale e non lo denunciava poteva essere condannato a 5 anni di carcere (art. 16).106
Circa un mese dopo, alla fine di ottobre del 1913, le discussioni nel Parlamento serbo riguardavano ancora le problematiche sul sistema amministrativo nelle nuove regioni. Nella seduta del 23 ottobre il deputato radicale Arandjelović diede una definizione chiara della situazione e della linea politica da continuare a seguire:
Signori, lasciatemi dire solo alcune parole sul tema che già è stato affrontato più volte e che è abbastanza animato […] questo tema è il regime che si deve applicare alle nuove regioni […]. Signori, il regime militare che viene proposto da un partito intero […] non è altro che un assolutismo onesto. […] ci sono molti ufficiali che vivono nella convinzione di essere all’altezza di amministrare le nuove regioni, così come sono stati all’altezza di vincere le battaglie a Kumanovo, Bitolj e sulla Bregalnica, e ci sono ufficiali che ritengono sia un peccato nei confronti della patria non affidare a loro il sacro dovere di amministrare quelle regioni. […] Questo tuttavia è un pericoloso inganno. [...] Da un estremo si passa
106 Uredba o javnoj bezbednosti u oslobodjenim oblastima, in “Srpske novine”, XXX, n. 203, 23 ottobre/5 novembre 1913.
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all’altro: dal regime militare al sistema amministrativo com’é qui oggi nelle vecchie frontiere. Io penso che si debba trovare una via di mezzo, proprio come l’ha trovata il governo. Temporaneamente bisogna lasciare che in queste zone si governi in base al sistema di comando, che in seguito sanciremo per legge; e una volta che la popolazione si adatterà alla nostra autorità, e quando saranno sbiadite le tracce di una schiavitù durata cinque secoli, allora sarà il momento di introdurre il sistema in vigore qui. E per questo, sono dell’opinione che questo regime non debba durare a lungo, 3,4-5 anni al massimo per calmare gli abitanti e per introdurre il sistema in vigore nei nostri vecchi territori.107
Le discussioni sul modo migliore per governare le nuove regioni continuarono serrate; parallelamente però, a testimonianza del fatto che la situazione richiedeva ancora una forte presenza dell’esercito, il governo stanziò per i mesi successivi ingenti somme destinate alle truppe di stanza in Macedonia e Kosovo.
L’8/21 dicembre il re firmò un decreto, approvato dal Consiglio dei ministri pochi giorni prima, sui crediti da fornire ai vari ministeri per le necessità nelle nuove zone per i mesi di gennaio e febbraio del1914. Al Ministero della Guerra venne concessa la somma di 5.000.000 dinari da destinarsi all’esercito, esclusa la gendarmeria e il servizio di frontiera a cui furono destinati altri 1.700.000 dinari; a tutti gli altri ministeri venne concessa la somma complessiva di appena 3.760.000 dinari.108 Per il mese di marzo al Ministero della Guerra vennero assegnati 1.720.000 dinari più 850.000 per la gendarmeria e le truppe di frontiera, mentre ai restanti ministeri 2.140.000 dinari.109
Il 14/27 dicembre 1913 venne approvata la proposta definitiva di legge sull’annessione della Vecchia Serbia al Regno di Serbia e sull’amministrazione da instaurarvi. Ancora una volta però venne sancito il ruolo di subordinazione delle nuove regioni e l’idea di un graduale inserimento nel sistema in vigore nei vecchi confini. L’articolo 7 sanciva che:
107 SB, NS, XVIII seduta ordinaria, 23 ottobre/5 novembre 1913, discorso di Drag. Arandjelović in parlamento, pp. 352-353. 108 SB, NS, 08-12-1913, decreto reale su progetto di legge sull’autorizzazione del Consiglio dei ministri per la concessione di crediti di tutti i rami dell’amministrazione statale necessari nelle nuove regioni nei mesi di gennaio e febbraio 1914, pp. 470-471. 109 SB, NS 14-02-1914, decreto reale su progetto di legge sull’autorizzazione del Consiglio dei ministri per la concessione di crediti di tutti i rami dell’amministrazione statale necessari nelle nuove regioni nel mese di marzo 1914, pp. 855-856.
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Il governo del Regno di Serbia decreterà per le regioni liberate della Vecchia Serbia delle ordinanze con validità di legge, nel caso in cui si dovesse retrocedere per volere del Governo dalle norme costituzionali e legali del Regno di Serbia. […] Le norme costituzionali, le leggi e le ordinanze del Regno di Serbia si applicheranno in parte e gradatamente nelle regioni liberate della Vecchi Serbia.
Gli articoli seguenti stabilivano che le ordinanze per le nuove regioni valessero per 10 anni se non si fosse intervenuti prima con un decreto reale (art. 9); che le ordinanze approvate in precedenza per le regioni rimanessero in vigore (art. 10); che ogni serbo avesse diritto di far causa ai funzionari statali ecc. Inoltre, i funzionari nominati dal Comandante supremo dell’esercito venivano confermati (art. 17).110 In questi ultimi articoli fu evidente oltre alla continuità con il regime militare in vigore anche l’atteggiamento della popolazione delle nuove regioni, composta, secondo quanto indicato, solo da serbi.
Altre norme, che indicavano si fosse trattata più di una conquista che di una liberazione e introdotte per restringere il movimento della popolazione delle nuove regioni durante il conflitto, erano ancora in vigore nel febbraio 1914. Allora infatti lo spostamento, che significava principalmente il commercio, era possibile solo previa autorizzazione del Ministero degli Interni. Questa decisione era rimasta in vigore fino al 29 ottobre/11 novembre 1913, quando si era ritenuto sufficiente l’utilizzo di semplici documenti di viaggio e passaporti per viaggiare anche nei vecchi confini. Tuttavia, ai commercianti delle nuove zone veniva spesso negato il permesso per recarsi in essi, sembra anche per motivi legati agli interessi di commercianti di Belgrado.111
Di fronte a questa legislazione eccezionale, i socialisti serbi attraverso la stampa chiesero: «Se la liberazione di questi territori è un fatto, perché vi è stato instaurato un regime eccezionale? Se è vero che gli abitanti sono serbi, perché non sono uguali di fronte agli altri serbi?»112
Nonostante dunque a livello legislativo e nella prassi le popolazioni delle nuove regioni subissero un trattamento diverso dai cittadini dei vecchi confini, la Vecchia Serbia venne subito inserita nel sistema fiscale del regno, attraverso l’applicazione di un sistema di tassazione estremamente gravoso per quelle aree colpite dalla guerra e in precedenza, sotto i turchi, abituate ad un sistema diverso. Dai nuovi territori vennero previsti prelevamenti annui per 60 milioni
110 SB, NS, 14-12-1913, decreto reale su proposta di legge sull’annessione della Vecchia Serbia al Regno di Serbia e sull’amministrazione da instaurarvi, pp. 506-512. 111 SB, NS, XLV seduta ordinaria, 24-02-1914, interrogazione parlamentare deputato Milorad Pavlović e risposta Ministro degli Interni Stojan Protić, pp. 989-990. 112 Report..., cit., p. 162.
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di dinari a fronte di investimenti statali di circa 40 milioni. Lo scontento aumentò, e alcuni deputati in Parlamento accusarono apertamente il governo di aver introdotto un sistema fiscale insostenibile per quelle zone e che avrebbe causato diversi problemi.113
Probabilmente la situazione fu ulteriormente aggravata da una politica di colonizzazione messa in atto dal governo serbo nelle zone a maggioranza albanese. Tracce documentarie ci fanno intravedere il lavoro di una commissione per l’insediamento di stanza a Tetovo, nella Macedonia nord-occidentale. Qui venivano diretti tutti coloro che intendevano trasferirsi dall’estero nelle nuove regioni:114 fu il caso di almeno 17 famiglie serbe di alcuni paesi in Bulgaria, nei pressi di Vidin, Lom-Palanka, Sajovit e Pleven, e di 378 serbi provenienti da Gallipoli, nell’Impero ottomano, questi ultimi giunti privi di ogni cosa a Skopje all’inizio di maggio del 1914 a cui la commissione concesse terre e un aiuto sotto forma di diaria di mezzo dinaro.115
La situazione tra la popolazione civile divenne sempre più antiserba e furono le stesse autorità serbe a registrare -si hanno gli esempi di Prilep e Resen- questo atteggiamento, accompagnato dalla costante attesa dell’esercito bulgaro che li liberasse.116 Il risentimento della popolazione civile venne registrato con preoccupazione anche dalle più alte autorità militari, alla vigilia della Prima guerra mondiale, persino attraverso il controllo della corrispondenza delle reclute provenienti dai nuovi territori. In maggio il colonnello Tufegdžić comunicò da Bitola al suo diretto superiore che:
[...] Gli ex maestri delle scuole dell’esarcato, ora in servizio presso di noi, ricevono ancora sussidi dall’organizzazione bulgara. Anche loro, sembra, si preparano ad ammazzarci tutti qualora ci fosse un intervento della Bulgaria Infine, sono intrisi di un ripugnante odio verso di noi, e viene detto loro di mentire sul cibo e sulla vita in caserma.117
113 SB, NS, XLV seduta ordinaria, 24 febbraio/9 marzo 1914, intervento del deputato Voja Veljković, p. 1007; XLVI seduta ordinaria, 25 febbraio/10 marzo 1914, intervento del deputato Josif Bojnović, p. 1040. 114 AS, MID-PO, 1914, pov. br. 20915, da Sezione per l’insediamento a Ministero degli Esteri, 30 giugno/13 luglio 1914. 115 AS, MID-PO, 1914, pov. br. 255, da Consolato serbo a Sofia a Ministero Esteri, 3/16 maggio 1914; pov. br. 1042, da Ministero Interni a Ministero Esteri, 11/24 maggio 1914. 116 Report..., cit., p. 178. 117 AS, MID-PO, 1914, II/552, pov. br. 305, da colonnello D. Tufegdžić, comandante Reggimento di fanteria «Bitola» a comandante Divisione «Drina», 21 maggio/ 3 giugno 1914.
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