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La distruzione della cultura serba
L’occupazione: le violenze e la bulgarizzazione della Serbia e della Macedonia (1916)
La distruzione della cultura serba
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Nella primavera del 1916 nelle zone occupate dai bulgari ormai non era più possibile incontrare né un maestri né un religioso serbo, i quali erano stati uccisi o internati in Bulgaria. Particolarmente impressa nella memoria dei contemporanei rimase l’uccisione del metropolita di Skopje Vićentije: rifugiatosi a Prizren, dove era rimasto dopo l’evacuazione dell’esercito serbo in Albania perché non in grado di proseguire venne arrestato epochi giorni dopo l’ingresso dei bulgari nella città. Questi decisero di inviarlo a piedi a Ferizovići, a circa sessanta chilometri a est; l’arcivescovo cattolico intervenne per concedergli almeno di viaggiare in carrozza.1 Da Ferizovići, Vićentije e il diacono Cvetko Nešić furono prelevati la sera stesso del loro arrivo, coperti da sguardi indiscreti e portati fuori città: una volta uccisi, i loro corpi vennero probabilmente bruciati.2
L’eliminazione dei rappresentanti della chiesa ortodossa serba cioé dei membri che tra la popolazione soprattutto rurale avevano una grande influenza, fu forse l’elemento chiave della politica di snazionalizzazione messa in atto: quando nelle chiese e nei monasteri, rimasti vuoti, giunsero i nuovi religiosi bulgari la gente fu costretta ad ascoltarne la lingua, le prediche, a seguire i riti di matrimoni e funerali secondo un uso a loro estraneo.
Ciò significò anche una trasformazione degli edifici religiosi, soprattutto in Macedonia, il cui aspetto interiore andava adattato alle nuove esigenze: mentre in alcuni casi furono letteralmente rasi al suolo, in altri venne cancellata l’iconografia serba e sostituita da quella bugara. Ma ciò non riguardò solo le chiese serbe: diversi furono i casi in cui l’esarcato si sostituì in maniera violenta all’altro tradizionale nemico, la chiesa greca, mentre diversi furono
1 Rapport…, cit., tomo I, doc. 5, pp. 14-15, testimonianza dell’arcivescovo cattolico di Prizren monsignor Myedia. 2 Ivi, doc. 29, pp. 70-71, testimonianza di Bojana Nešić (moglie del diacono Cvetko Nešić).
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gli edifici di culto musulmani distrutti completamente.
A Skopje la chiesa greca venne spogliata di tutto e resa inutilizzabile per le funzioni religiose, mentre le moschee vennero profanate e utilizzate a tutt’altro scopo: la più importante moschea della città venne utilizzata come prigione per i soldati serbi (e poi come magazzino e autofficina);3 tra Negotino e Štip, a Dragovo la moschea fu utilizzata come dormitorio per le truppe,4 mentre nello stesso comune, nel villaggio di Ađiredžeplija, la moschea fu trasformata in stalla;5 a Kurija la moschea venne semplicemente distrutta nel dicembre del 1915 insieme alla scuola, e il materiale fu usato come legna per il riscaldamento dei soldati bulgari.6 Una sorte simile ebbe anche la moschea di Rosamen, saccheggiata proprio come la chiesa ortodossa serba dello stesso villaggio.7
Le chiese serbe soprattutto dei villaggi vennero utilizzate attivamente nella bulgarizzazione, poiché vennero spogliate di tutto ciò che le identificava come serbe e vennero utilizzate dal clero bulgaro appena insiediatosi al posto di quello serbo. La «trasformazione» delle chiese avveniva sotto la direzione del Comitato rivoluzionario bulgaro composto da comitadji: nelle chiese nei dintorni di Skopje, a Kučevište, Pobužje, Gluš, Banjan, Čurčere e in altri villaggi, al posto delle immagini sacre serbe vennero dipinte quelle bulgare, al posto delle icone serbe vennero portate quelle bulgare ecc.8 Pittori vennero inviati dal metropolita Neofita anche nei monasteri al fine di riscrivere l’iconografia locale e donatori privati assicurarono i mezzi finanziari per una buona riuscita dell’opera.9 Generalmente le chiese venivano saccheggiate e gli archivi distrutti, tranne i registri delle nascite che sarebbero servite per il reclutamento nell’esercito.
Da alcune relazioni è visibile che ciò venne effettuato immediatamente anche in Morava. Nella chiesa di Kamenovo, nei pressi di Požarevac, il saccheggio avvenne tra il 18 e il 20 ottobre per poi essere ripetuto alla fine del gennaio 1916,10 mentre a Dragocvet, vicino a Jagodina, ciò avvenne «al mo-
3 AJ, MIP-DU, 334-17, relazione su stato edifici religiosi Skopje e dintorni, 14 dicembre 1918. 4 Rapport…, cit., tomo III, doc. 394, testimonianza di Chaban Redjeppa Alihovitch, imam di Dragovo, pp. 287-288. 5 Ivi, doc. 395, testimonianza di Djamil Assana Betchir, imam di Adjiredjeppliya, p. 288; e AJ, 334-16 testimonianza di Džamail Asan Bećir, 24 novembre 1918. 6 Ivi, doc. 397, testimonianza di Houssein Ademovitch, imam di Kourija, p. 289. 7 AJ, MIP-DU, 334-16, testimonianza di Ašim Velijović, 14 dicembre 1918. 8 Rapport..., cit., tomo I, doc. 2, p. 9; AJ, 388-8-59 e 60, tel. br. 2186, da Commissione interalleata a Legazione serba a Parigi, 8 dicembre 1918. 9 Rapport..., cit., tomo I, doc. 2, p. 10. 10 AJ, Ministero della Fede (69), 65-senza numero, relazione parroco chiesa Kamenovo, 24 dicembre 1922.
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mento dell’ingresso dei bulgari».11 Simili relazioni testimoniarono che anche i tedeschi e gli austriaci ebbero lo stesso comportamento.
Le chiese e i monasteri più importante furono oggetto di una sistematica requisizione degli oggetti più preziosi che testimoniavano la vita religiosa serba. Uno dei primi obiettivi fu il monastero di Dečani in Kosovo, il luogo sacro più importante per i serbi; nel giro di pochi giorni una commissione di cinque esperti si recò sul luogo catalogò tutti gli oggetti più importanti inviandoli a Sofia, mentre al loro seguito archeologi austriaci e ungheresi fecero propri numerosi resti di grande importanza.12
Dalla chiesa di Sveti Naum sul lago di Ohrid furono inviati al Museo nazionale di Sofia su ordine del metropolita Boris due plaštanice13 ricamate in oro, una scatola per doni d’argento massiccio, una scatola d’argento, due vangeli in slavo antico intarsiati d’argento e altri oggetti sacri.14
Questi esempi furono sufficienti a far intravedere come la spoliazione dei principali luoghi di culto dei materiali sacri conservati non era frutto di un’opera di saccheggio, bensí rispondeva ad un piano ben preciso del governo bulgaro.
Prima dell’ingresso in guerra vennero infatti formate all’interno di ogni armata delle commissioni speciali con a capo un etnografo, il cui compito era il censimento immediato innanzitutto dei libri e dei manoscritti delle biblioteche delle sedi religiose e delle scuole; il materiale più importante andava spedito poi a Sofia, generalmente alle istituzioni culturali. In questo piano rientravano anche gli oggetti sacri più importanti, le reliquie e quanto potesse rappresentare un interesse per le istituzioni bulgare; il lavoro delle commissioni venne intrapreso dapprima in Macedonia. Così, già il 1/14 novembre 1915, Stoilov, etnografo presso lo Stato maggiore della II Armata ebbe a scrivere:
In base al Suo ordine, signor colonnello, è stata formata una commissione composta da A. P. Stoilov come presidente e da N. Tumparov e Gr. Vasilev come suoi membri il 18 di questo mese, con il compito di recarsi a Skopje per raccogliere presso le istituzioni ufficiali e i locali privati dell’amministrazione e dei funzionari serbi le carte e i libri collegati all’attività dell’ultima propaganda e alla dominazione serba degli ultimi tre anni. La commissione si è recata lo stesso giorno a Skopje. Appena giunta si è messa al lavoro. Il presidente Stoilov, che era già venuto in città il 13 e il 14 ottobre e che aveva ordinato di preservare gli archivi e i libri della sede metropolita serba, del ginnasio e della direzione divisionale, ha ordinato di procedere innanzitutto
11 AJ, 69-65-senza numero, br. 45, relazione parroco chiesa Dragocvet, 10 agosto 1919. 12 Victor Kuhne, op. cit., pp. 300-301. 13 Telo utilizzato durante le liturgie. 14 AJ, 69-65, br. 688, relazione su chiese Eparchia Veles-Debar, 17/30 giugno 1919.
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dalla sede metropolita […] Tra libri e archivi ho riempito 22 casse, di cui 21 indirizzate alla Biblioteca nazionale di Sofia e 1 al Ministero della Guerra […].15
Il lavoro degli etnografi si intensificò estendendosi in fretta a tutta la Macedonia. A fine ottobre (primi di novembre) Vasilev, membro della commissione per Skopje, si recò a Veles dove tra l’altro:
Dal 25 al 31 ottobre ho esaminato a Veles gli archivi e le biblioteche del ginnasio serbo, della sede vescovile, del collegio maschile (scuole elementari), dell’ispettorato alle scuole serbe del distretto della Bregalnica, della prefettura del dipartimento, della casa del maestro serbo Simić, delle tre chiese e della cappella della città, del monastero Sveti Velikomoćnik Dimitrije fuori città, delle biblioteche private di alcune famiglie ecc. Gli archivi e i libri serbi più importanti, come anche alcuni incunaboli bulgari e alcuni libri e manoscritti greci, li ho raccolti e messi in 12 casse. […]16
Nei giorni successivi Vasilev visitò Prilep:
Dal 4 al 12 compreso ho soggiornato nella città di Prilep per lavoro ufficiale. In questo periodo ho esaminato le biblioteche e gli archivi del ginnasio maschile serbo, delle scuole elementari serbe, del municipio, dell’ufficio dell’ispettore scolastico. La mia missione a Prilep è stata coronata da un pieno successo per la scienza poiché ho visitato i monasteri Sveta Bogorodica, sulla cima del monte Zlatovrh e il monastero di Treskavec, a circa 15 chilometri da Prilep. In questi luoghi ho trovato 9 manoscritti in bulgaro e serbo antico risalenti al XV e al XVII secolo con alcune iscrizioni sul nostro passato. […] I libri, i manoscritti, le iscrizioni e i beni etnografici raccolti li ho portati presso lo Stato maggiore della II Armata, che li indirizzerà alla Biblioteca nazionale e al Museo etnografico nazionale di Sofia. In totale presso lo Stato maggiore della II Armata si trovano ora 16 casse con libri, manoscritti, incunaboli e iscrizioni.17
Alla fine del 1915 gli esperti della II Armata si recarono anche a Ohrid e Resan, esaminando tutti i materiali delle chiese e dei monasteri della zona. In gennaio fu la volta di Strumica, in febbraio di Dojran e della regione del
15 ЦВА, ф. 40, оп. II, а. е. 936, л. 31-33, pubblicato in Петър Хр. Петров (a cura di), op. cit., pp. 293-294. 16 ЦВА, ф. 40, оп. II, а. е. 935, л. 36-37, pubblicato in Петър Хр. Петров (a cura di), op. cit., p. 295. 17 ЦВА, ф. 40, оп. II, а. е. 935, л. 38, pubblicato in Петър Хр. Петров (a cura di), op. cit., p. 297.
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Tikveš: anche in questi casi i dettagliati rapporti inviati allo Stato maggiore del II Corpo d’armata confermarono la vera e propria caccia ai patrimoni bibliotecari delle istituzioni e delle chiese (e monasteri) della Macedonia. In uno dei rapporti conclusivi Stoilov fece un riassunto di quanto inviato a Sofia:
[...] Dal giorno della nostra vittoria [...] ho potuto visitare le seguenti città e i seguenti monasteri: Palanka, il monastero Osogovski, Kumanovo, Skopje, Ferizović, Prizren, Đakovo, il monastero di Dečani, Veles, Kavadar, Negotino, Vataša, i monasteri Mokliški e Drenovski, Prilep, il monastero Treskavski, Bitola, Resan, Ohrid, Struga, Dojran, Strumica e i paesi di Vodoča e Velusa, Petrič. In tutti questi luoghi, come già sapete, sono riuscito a riempire 72 casse di diverse dimensioni con manoscritti, oggetti archeologici ed etnografici, archivi e altro. [...]18
Queste sistematiche ricerche degli oggetti e dei libri di valore, che già di per sé rappresentarono una grave forma di «saccheggio di Stato» ebbero però un risvolto estremamente violento. Mentre i manoscritti antichi serbi, greci e bulgari venivano inviati a Sofia, mentre dalle biblioteche venivano selezionati i materiali più importanti, tutto ciò che non era ritenuto di interesse veniva distrutto, quasi sempre in maniera solenne al fine di dimostrare anche visivamente la distruzione della cultura serba.
A Skopje i libri e i manuali serbi (e francesi) che non vennero inviati a Sofia furono strappati e gettati nel Vardar (secondo altri vennero invece prima rinchiusi in delle casse e poi gettati nel fiume) davanti agli occhi della popolazione;19 a Dojran nella prima metà di dicembre i libri presi dal ginnasio, dalla scuola elementare e dalla biblioteca furono gettati in mezzo alla strada dai soldati bulgari e distrutti.20 In una sorta di «rituale purificatore», nella maggior parte dei casi i libri venivano accatastati nei luoghi più frequentati e dati alle fiamme: pochi tempo dopo l’arrivo dell’esercito bulgaro i libri della biblioteca del seminario di Prizren, seconda per importanza dopo quella di Belgrado, vennero portati su dei carri al cimitero serbo e lì bruciati in roghi che durarono, secondo alcuni, più di due giorni;21 a Pirot due mesi più tardi due commissioni speciali requisirono i libri delle librerie e delle case dei notabili, caricando il
18 ЦВА, ф. 40, оп. II, а. е. 935, л. 16-20, pubblicato in Петър Хр. Петров (a cura di), op. cit., p. 304-307. 19 AJ, 334-20, Komisiji za izviđaj zloupotreba srpskih zarobljenika i interniranih građana u Bugarskoj, senza data; AJ, 388-8-56 e 57, pov. br. 2098, da Commissione interalleata a Legazione serba a Parigi, 30 novembre 1918. 20 AJ, MIP-DU, 334-16, senza numero, relazione crimini bulgari a Dojran, p. 1; stessa relazione in Rapport…, cit., tomo III, doc. 270, pp. 152-155. 21 AJ, MIP-DU, 334-11, testimonianza di Dimitirje Radivojević, 17 settembre 1918.
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tutto su dei carri trainati da buoi. I carri si diressero verso la piazza a Tija Bara e verso il mercato nei pressi della vecchia posta a Pazar: in questi due luoghi, i più frequentati dalla popolazione di Pirot, ammassarono i libri e diedero loro fuoco. Tra la popolazione attonita alcuni giovani riuscirono a portar via alcuni libri, tra le botte e le imprecazioni dei bulgari.22 Ciò che avvenne a Pirot significò che quanto era avvenuto in Macedonia fu successivamente applicato in Morava. E del resto, un ordine emesso il 3/16 maggio dallo Stato maggiore dell’esercito operativo, confermò questa ipotesi: si ordinò infatti che tutti i libri, le mappe e le insegne in serbo dei luoghi pubblici, delle librerie e delle case private venissero raccolti. Di questi, i più importanti andavano spediti al Ministero dell’istruzione pubblica, gli altri bruciati. Inoltre venne stabilito che le librerie potevano continuare a svolgere il proprio lavoro ma non più vendendo libri in serbo.23
In alcuni casi le nuove autorità bulgare riutilizzarono i documenti degli archivi serbi come materiale amministrativo: ciò da un lato rappresentava un’ulteriore metodo utilizzato nella distruzione della cultura serba, ma dall’altro era anche lo stato materiale dell’amministrazione bulgara, evidentemente senza nemmeno la carta per le comunicazioni e gli atti ufficiali.
La necessità di materiale cartaceo venne confermata anche da alcuni ordini emessi dal governo bulgaro: alla fine di marzo il Ministero del Commercio ordinò ad esempio di non bruciare più i libri ma di mandarli alla tipografia nazionale di Sofia che li avrebbe riutilizzati come materia prima per la confezione di carta da vendersi a 75 centesimi al chilogrammo.24
La distruzione coinvolse, soprattutto in Macedonia, anche i luoghi – come i cimiteri - e i monumenti serbi. Il cimitero serbo di Kavadar, in cui erano stati sepolti una trentina di soldati serbi morti nella guerra del 1912, venne letteralmente distrutto: il muro di recinzione abbattutto e il bestiame fatto pascolare al suo interno, le croci di legno bruciate, mentre le tombe divennero di fatto irriconoscibili.25 I nomi iscritti sulle lapidi dei religiosi vennero modificati, e dalle iscrizioni vennero cancellati i suffissi in «-ić» tipicamente serbi, a volte anche sostituiti da quelli in «-ov» di origine bulgara.26 Stessa sorte toccò al cimitero di Valandovo dove erano sepolti i soldati serbi caduti nell’attacco dei
22 Borislava Lilić, Jugoistočna Srbija (1878-1918), Institut za savremenu istoriju, Beograd, 2005, p. 397. 23 Rapport…, cit., tomo II, doc. 102, pp. 32-33. 24 AJ, 336-23, Pillage de guerre et autres violations du droit de proprieté privée, p. 4. (Si riporta il testo pubblicato su «Utro» dell’1/14 aprile 1916). 25 AJ, MIP-DU, 334-16, relazione sull’indagine svolta presso il cimitero di Kavadar, 13 dicembre 1918. 26 Rapport…, cit., tomo I, n. 18, p. 50, relazione sul cimitero di Kavadar, 1 gennaio 1919.
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