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La bulgarizzazione

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Bibliografia

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in Bulgaria.144

La bulgarizzazione

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Secondo la Commissione interalleata, la maggior parte degli omicidi commessi in quel periodo – ma anche successivamente - ebbero un carattere politico: si intendeva eliminare l’élite serba per lasciare il popolo senza una guida. Insieme ai notabili venivano uccise spesso anche le loro famiglie, compresi i figli.145 Questo sistema ebbe naturalmente delle eccezioni: nella città di Negotin, dove era cospicua la presenza valacca, non vennero commessi crimini né durante il 1915 né in seguito (crimini però vennero commessi nei villaggi circostanti),146 mentre Priština, dove la presenza albanese era molto numerosa, sembrò essere l’unica città ancora vivibile: i negozi erano aperti e i generi alimentari disponibili, mentre non furono registrati casi i crimini commessi da bulgari o albanesi. Lì anche i molti profughi che come nelle altre città del Kosovo cercavano un rifugio o un modo per far ritorno alle loro case non ebbero eccessive difficoltà nella sopravvivenza.147 Questi diversi comportamenti delle autorità bulgare furono probabilmente dettate dal fatto che valacchi e albanesi non rappresentavano per loro un pericolo. Eppure, in altri casi, furono singoli ufficiali a non mettere in pratica le direttive ricevute. A Prizren il 21 novembre/3 dicembre furono arrestate 33 persone tra sacerdoti, funzionari, professori, maestri e maestre, e il giorno successivo mandati a piedi verso Ferizović, dove furono incarcerati. Il 3/16 dicembre vennero però inaspettatamente liberati dal generale Ribarev e fatti tornare indietro a Prizren, con l’ordine di aiutare il comitato per il sostentamento della popolazione.148 Una probabile spiegazione della liberazione fu la presenza, tra gli ufficiali di stanza nella zona, di numerosi «russofili»: per qusto anzi si stabilì una sorta di collaborazione con i serbi del luogo, a cui erano uniti dall’antiturchismo, e molti di loro vennero assunti nelle istituzioni comunali.149

144 Dobrosav Turović-Nebojša Ivanović, Leskovac i leskovački kraj 1915-1918, Istorijski arhiv Leskovac, Leskovac, 2006, p. 98. 145 Rapport…, cit., tomo I, p. 8. 146 AJ, MID-DU, 334-15, pov. br. 87, da presidente tribunale Negotin a prefetto dipartimento Krajinski, 28 luglio 1919. 147 AS, MID-PO, 1916, XV/458 testimonianza del dottor Marselo, 3/16 febbraio 1916. 148 Ivi, p. 33 e p. 35. 149 Petar Petrović, op. cit., p. 38.

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L’interpretazione della Commissione del comportamento bulgaro nelle zone conquistate, confermata dalla molte testimonianze, dalle inchieste e soprattutto dalle dichiarazioni di prigionieri bulgari e dai documenti dell’amministrazione bulgara rinvenuti a guerra conclusa, portò alla luce un elemento fondamentale della politica nazionalista del governo Radoslavov e di Ferdinando.

L’elemento di novità non era certo il fatto che le eliminazioni fossero di carattere politico; già durante le guerre balcaniche era stata messa in atto una politica di omogeneizzazione del territorio attraverso l’espulsione o l’annientamento dell’altro. Era avvenuto contro i turchi; contro gli albanesi, ad opera dei serbi; contro i greci e i serbi, ad opera dei bulgari; contro i bulgari, ad opera dei greci. Di carattere politico fu certamente la serbizzazione della Macedonia tra il 1912 e il 1915, quando ad esempio numerosi religiosi e maestri dell’esarcato furono costretti ad andarsene, mentre non veniva riconosciuto alcun diritto a chi si riteneva bulgaro.

Il vero elemento di novità fu invece la sistematica eliminazione dei notabili, pianificata prima dell’ingresso in guerra e messa in atto dalle truppe regolari bulgari secondo un procedimento prestabilito. Le modalità con cui le persone venivano arrestate, il fatto che vennero scelti luoghi appositi per le esecuzioni, o ancora la necessità – non rispettata – di tenere nascoste le esecuzioni alla popolazione civile rispondevano ad una politica elaborata con cura e con chiare intenzioni criminali: ciò fu confermato dalla contemporanea decisione di istituire una serie di campi di concentramento per civili, anche questa frutto di una politica stabilita già prima dell’ingresso in guerra, in cui fin dai primi giorni cominciarono ad affluire migliaia di persone.

Di pari passo alle esecuzioni di massa e all’internamento, il piano del governo Radoslavov prevedeva la costituzione di nuove istituzioni bulgare nei territori occupati: amministrazione, chiese, scuole, associazioni culturali e altro. Alla politica di snazionalizzazione dell’elemento serbo veniva cioè affiancata una bulgarizzazione forzata della popolazione civile, che nella Serbia orientale e meridionale aveva il compito più difficile: far risvegliare nelle coscienze delle persone le loro origini bulgare, sottolineate «scientificamente» dalla missione degli esperti di Sofia.

Ciò venne messo in pratica attraverso il divieto dell’uso della lingua serba, la costrizione al versamento di contributi per società di beneficienza bulgare, la distruzione del patrimonio librario pubblico e privato delle zone occupate, così come attraverso l’intensificazione degli internamenti per chi si opponeva: i campi in Bulgaria si riempirono di civili e divennero dei luoghi di enormi sofferenze in cui i comandanti e gli ufficiali erano i padroni assoluti delle vite umane degli internati.

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Tuttavia, al progetto di snazionalizzazione e di bulgarizzazione pianificato a Sofia, si sovrapposero una serie di questioni che contribuirono in maniera decisiva ad aggravare le sofferenze della popolazione civile sia in Serbia che in Macedonia. La corruzione dei funzionari statali e l’autorità degli ufficiali dell’esercito furono alla base di continue violenze commesse contro singoli e interi paesi; violenze che si manifestarono attraverso torture, percosse, estorsioni, requisizioni arbitrarie e soprattutto violenza sessuale nei confronti delle donne; parimenti, la necessità di generi alimentari che scarseggiavano in Bulgaria stessa portarono alla creazione di un sistema di requisizioni continue che ridussero la popolazione alla fame. In Macedonia tutto questo venne accentuato dal ruolo dei comitadji, divenuti ormai i dominatori incontrastati della regione.

Elementi questi che comparvero già alla fine del 1915 e che accompagnarono l’eliminazione dei notabili serbi, ma che tuttavia sarebbero esplosi l’anno successivo per non terminare più fino alla fine del conflitto. Nel 1916 la popolazione civile in Serbia e in Macedonia si sarebbe trovata nel pieno della bulgarizzazione forzata, senza la minima possibilità di ricevere aiuti o essere in qualche modo salvata.

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