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La Commisisone interalleate d’inchiesta

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In Serbia

In Serbia

I crimini bulgari alla Conferenza di Pace

La Commissione interalleata d’inchiesta

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La gravità della politica perseguita dai bulgari nei territori occupati e i numerosi crimini commessi contro la popolazione civile erano questioni che il governo serbo doveva affrontare approfondendo tutto quello di cui era venuto a conoscenza durante il conflitto. La fine della guerra implicava un’imminente Conferenza internazionale per la sigla dei trattati di pace, in cui una parte doveva necessariamente riguardare la punizione dei responsabili non solo dello scoppio della guerra ma soprattutto dei danni e delle sofferenze inflitte agli abitanti delle zone occupate. Infatti, le molte pubblicazioni volute dai governi dei vari paesi in conflitto per denunciare i crimini commessi dagli avversari facevano presagire che l’argomento sarebbe stato di sicuro affrontato durante le future discussioni. In tal caso la Serbia avrebbe avuto molto da dire, sia nei confronti dell’Impero austro-ungarico e in parte della Germania, sia – e soprattutto – nei confronti della Bulgaria. Ciò presupponeva però la raccolta di ulteriori dati, lo svolgimento di inchieste, la scrittura di relazioni che oltre ad avere un fondamento scientifico potessero garantire la serietà e l’imparzialità. Per questo da molte parti pervennero richieste per la formazione di una commissione internazionale, composta da serbi e stranieri di paesi alleati o neutrali: del resto i precedenti esistevano già, fin da quando nel 1914 l’olandese Van Tienhoven e lo svizzero Schmitt fecero parte del comitato che indagò sui crimini austro-ungarici.

Le prime proposte per la formazione di una commissione internazionale vennero fatte già verso ai primi di settembre del 1918, quando l’offensiva finale era al termine delle preparazioni.

Allora il presidente della Croce rossa serba scrisse, in un comunicato al Comitato centrale della Croce rossa internazionale a Ginevra, che:

Il governo serbo ha già diverse volte portato all’attenzione dei governi alleati e neutrali il comportamento delle autorità austro-ungariche e bulgare nelle zone occupate. Ha anche inviato loro due particolari memorandum riguar-

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danti il modo in cui la popolazione serba viene trattata in quelle zone. Le proteste serbe sono però rimaste, nella maggior parte dei casi, senza risposta. Poco tempo fa siamo venuti a conoscenza del fatto che il governo austriaco ha invitato il segretario della Croce rossa svedese a visitare la Serbia insieme a un giornalista. Noi crediamo che una tale commissione incompleta e scelta dagli austriaci non possa dare un quadro obiettivo della situazione, per cui chiediamo di formare una commissione composta da neutrali e imparziali riconosciuti per la loro obiettività. Il governo serbo ci ha pregati di inviare al governo austriaco una proposta affinché i membri della commissione siano scelti insieme dai due governi; tale commissione potrebbe inoltre recarsi nella zona occupata dai bulgari. Preghiamo per questo il Comitato internazionale di chiedere il consenso al governo bulgaro.1

L’inizio dell’offensiva fece però cadere questa ipotesi, che prevedibilmente non sarebbe stata comunque accettata da parte bulgara.

Non appena l’esercito serbo entrò in Macedonia, il Ministero della Guerra si fece carico di raccogliere tutti i dati relativi ai crimini. Già il 15/28 settembre il Comando supremo, appena insediatosi a Skopje, ordinò ai comandi delle Divisioni «Bitola», «Bregalnica», «Vardar», «Morava» e «Kosovo», di agire immediatamente per raccogliere dati sulle atrocità che il nemico aveva commesso sul territorio serbo, sui saccheggi, sulle estorsioni, sugli stupri e in generale su tutti quanti i misfatti.2 Lo scopo dell’ordine era creare delle pubblicazioni per la propaganda contro la Bulgaria: il capo dello Stato maggiore ordinò infatti poco dopo di inviare il materiale all’agenzia topografica di Stato, che avrebbe raccolto le fotografie più importanti e le avrebbe inviate al Ministro della Guerra (in 12 copie).3

Gli ufficiali a cui venne assegnato questo compito eseguirono subito l’ordine. Nel corso dell’avanzata trionfante verso la Serbia i rapporti che giungevano in continuazione al Comando supremo confermavano tutto quanto era stato denunciato nel corso del conflitto sul comportamento tenuto dai bulgari in Morava e in Macedonia e ne delineavano le tragiche dimensioni. I primi contatti con la popolazione erano stati accompagnati dalle immediate lamentele per le sofferenze subite, che in ogni città e paese si ripetevano con le stesse modalità. L’ingresso nelle zone tra Vranje, Surdulica e Leskovac, che nel 1915 e nel 1916 erano state testimoni dell’eliminazione pianificata dell’intel-

1 AJ, MIP-DU, 334-39, (1923), da Croce rossa serba a Comitato internazionale Croce rossa, 27 agosto/9 settembre 1918. 2 VA, p. 3, k. 119, f. 1, 2/38, da Comando supremo a comandi Divisioni «Bitola», «Bregalnica», «Vardar», «Morava» e «Kosovo», 15/28 settembre 1918. 3 VA, p. 4/1, k. 43, f. 3, 35/17, telegramma da Comando supremo a comandante I Armata, 5/18 ottobre 1918.

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lighenzia, dei notabili e dei religiosi, colpì più di ogni altra cosa. Il capitano Pavličević, il primo che riportò il contenuto delle domande rivolte agli abitanti di Vranje per sapere come avevano vissuto durante l’occupazione, sentendo i racconti di alcuni cittadini in merito alle atrocità, alle torture, ai saccheggi e al resto, si rivolse ai suoi superiori chiedendo che non appena si fosse insediato il nuovo tribunale sarebbe stato opportuno ascoltare l’intera popolazione.4

Le tragedie, anche se raccontate brevemente,5 fecero a quel punto comprendere ai vertici militari che il proposito di agire da soli e di produrre del materiale per la propaganda non era più sufficiente. Fu per questo che il comandante della I Armata, al quale il capitano Pavličević aveva inviato la proposta, andò oltre, chiedendo al Comando supremo la formazione di una commissione internazionale di esperti per condurre delle indagini in maniera scientifica.6

Dello stesso parere fu il colonnello Tucaković, che dopo aver ricevuto dai cittadini di Pirot un rapporto sul comportamento bulgaro nella città durante l’occupazione, aveva già proposto che venissero ascoltati tutti i cittadini anche delle altre città in Serbia;7 probabilmente però ciò che vide durante il primo periodo di permanenza a Sofia, quando le conseguenze dell’internamento divennero evidenti, lo spinse a pensare di intraprendere azioni più ampie.

Ulteriori spinte per la formazione di una commissione internazionale vennero dai resoconti di Reiss. Il criminologo svizzero, che attraverso le sue inchieste e i suoi articoli era stato la voce principale di denuncia durante tutto il conflitto, si era messo subito all’opera per raccogliere più testimonianze possibili, recandosi di città in città al seguito delle truppe serbe che avanzavano rapidamente verso nord. Già due giorni prima dell’armistizio si trovava a Veles, letteralmente sulla linea del fronte dove i combattimenti erano ancora in corso; pochi giorni dopo andò a Kumanovo, ma già il 21 settembre/4 ottobre interrogò i civili dei paesi vicino a Preševo, il 23 settembre/6 ottobre quelli di Vranje e poi di Vladičin Han, Surdulica, Leskovac e Vlasotince; fermandosi anche nei paesi lungo il percorso, il 30 settembre/13 ottobre entrò a Niš, per poi andare a Prokuplje, Aleksinac, Ražanj e il 13/26 ottobre a Ćuprija. La sua veloce cavalcata attraverso la Morava terminò il giorno dopo a Svilajnac, solo qualche ora dopo la ritirata tedesca; passò poi nelle zone che erano state sotto

4 VA, p. 4/1, k. 43, f. 3, 35/12, relazione capitano Pavličević, 23 settembre/6 ottobre 1918, inviata dal Comandante della I Armata al Comando supremo. 5 Si vedano ad esempio le altre relazioni del capitano Pavličević: VA, p. 3, k. 119, f. 1, 2/51, relazione crimini a Leskovac, 29 settembre/12 ottobre 1918, e p. 3, k. 119, f. 1, 2/52, relazioni crimini Niš, 3/16 ottobre 1918. 6 VA, p. 4/1, k. 43, f. 3, 35/12, relazione capitano Pavličević, 23 settembre/6 ottobre 1918, inviata dal Comandante della I Armata al Comando supremo. 7 VA, p. 3, k. 113, f. 8, 6/6, da colonnello Tucaković a Comando supremo, 23 ottobre/5 novembre 1918.

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l’occupazione austro-ungarica.8

Le testimonianze che raccolse in quei giorni furono la base per le relazioni che avrebbe scritto di lì a poco tempo. Esse furono fondamentali: e tuttavia non sufficienti per avere un quadro completo dei tre anni di occupazione bulgara. Lui stesso, in una delle sue inchieste, scrisse che:

[…] Nel corso della perlustrazione del dipartimento di Požarevac mi sono recato nelle seguenti cittadine e nei seguenti paesi: Požarevac, Boževac, Kobilje, Ranovac [...] Lungo il percorso ho raccolto molti dati in dei villaggi in cui non sono potuto trattenermi per condurre un’indagine […]. Sono cosciente del fatto che per un’indagine completa sarebbe necessario percorrere tutto il dipartimento per accertare i crimini commessi dai bulgari […]. Non l’ho potuto fare perché il tempo passa in fretta e perché Lei [il presidente Pašić, nda] desidera la relazione al più presto […].9

A metà ottobre, dopo che anche il governo greco aveva proposto la formazione di una commissione internazionale per i crimini commessi dai bulgari nella Macedonia egea,10 Pašić ordinò che venissero al più presto formate delle commissioni a cui si sarebbero aggiunti degli stranieri; per questo si sarebbe rivolto al governo inglese affinché inviasse alcuni esperti della propria Croce rossa, e lo stesso avrebbe fatto con la Croce rossa americana.11 Fu il primo passo, che dopo varie trattative con autorità militari ed ecclesiastiche (la chiesa serba voleva un suo rappresentante nella commissione dato che i religiosi erano stati tra le principali vittime)12 e dopo vari inviti a eminenti personalità straniere portò alla formazione della Commissione interalleata d’inchiesta.

Questa si insediò a metà novembre a Skopje; oltre al presidente Ljubomir Stojanović, ne facevano parte il giurista Slobodan Jovanović e il plenipotenziario serbo Gavrilović, nonché il sostituto procuratore della repubblica di Lione A. Bonnassieux e il colonnello inglese H. B. Mayne (che giunsero in Serbia alla fine di dicembre). Nella relazione finale furono incluse diverse inchieste di

8 Sava M. Đorđević, Spomenica dr. Rajsu. Od srca ka srcu: epopeja srpske i savezničke vojske 1914-1918, I. Kovačević-Z. Ružičić-S. M. Đorđević, Šabac-Beograd, 1988, pp. 84-97. 9 R. A. Reiss, Izveštaj Gospodinu predsedniku Ministarskog saveta (grad Požarevac), 8/21 gennaio 1918, in Slađana Bojković-Miloje Pršić, O zločinima... cit., p. 179. 10 AS, MID-PO, 1918, III/630, tel. 406, da consolato serbo ad Atene a governo (a Corfù), 29 settembre/12 ottobre 1918. 11 AS, MID-PO, 1918, III/633, da consolato serbo a Londra a governo (a Corfù), 2/15 ottobre 1918. 12 AS, MID-PO, 1918, III/670, pov. br. 14434, da Ministero della Guerra a presidente Pašić, 24 ottobre/6 novembre 1918; e III/671, da metropolita di Serbia a Ministero degli Interni, 2/15 ottobre 1918.

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Reiss e l’indagine svolta da Mileta Novaković, Kosta Kumanudi e dall’americano William A. Drayton nella Serbia orientale.

Da quel momento in poi tutte le relazioni e le testimonianze raccolte dalle autorità locali e da personale appositamente incaricato, così come tutti gli ulteriori rapporti militari vennero mandati direttamente alla commissione,13 che divenne l’unico organo competente per indagare sui crimini bulgari.

Una prima versione dei risultati dell’inchiesta fu pronta già alla fine di febbraio ed inviata alla delegazione serba alla Conferenza di pace a Parigi: essa era destinata a rappresentare, oltre che la principale fonte di documenti sulle sofferenze della popolazione civile, la base legale d’accusa per le rivendicazioni serbe riguardo alla questione della responsabilità dei crimini bulgari e della loro persecuzione. Nella parte conclusiva si poteva infatti leggere:

Si può affermare che non esiste un articolo della Convenzione dell’Aja e un principio del Diritto internazionale che i bulgari non abbiano violato. L’idea di partenza che ha portato a tutto questo è che i bulgari erano divenuti padroni di fatto e di diritto della Serbia occupata, che era divenuto un territorio esclusivamente bulgaro su cui esercitavano tutti i diritti di un possessore legittimo.14

Nel frattempo vennero fatti alcuni tentativi per richiedere la consegna dei principali responsabili già individuati, soprattutto per tramite delle autorità francesi. Il 25 novembre il generale Chrétien inviò al governo bulgaro una nota riguardante una serie di crimini commessi in particolare contro religiosi serbi. Un mese dopo il Ministro degli Esteri bulgaro Teodorov rispose affermando che il governo bulgaro aveva costituito una commissione d’inchiesta guidata da un colonnello dello Stato Maggiore e da quattro magistrati incaricati di verificare le accuse contenute dei documenti allegati alla lettera del 16 novembre 1918; nonostante le difficoltà incontrate, come l’inaccessibilità di alcuni archivi o l’assenza a Sofia delle persone da interrogare, la commissione era comunque giunta a delle conclusioni:

1- Secondo il dossier inviato il 16 novembre, 44 religiosi serbi sarebbero stati uccisi a Surdulica. La commissione ha effettivamente verificato che in quel luogo sono stati uccisi alcuni religiosi serbi; bisogna tuttavia verificare l’elenco, nel caso vi fossero contenuti i nomi dei religiosi internati in Bulgaria e poi rilasciati, e dal momento che accanto ad alcuni dei nomi indicati non figura la voce «uccisi» ma «dispersi». In ogni caso, la responsabilità di que-

13 VA, p. 4/1, k. 43, f. 3, 35/26, da Comando supremo, Sezione operativa, a comandante I Armata, 23 novembre/6 dicembre 1918. 14 Rapport…, cit., tomo I, p. 34.

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sti crimini è del colonnello Kalkadžijev, comandante del XLII Reggimento di fanteria, del comandante Ilkov, dei tenenti Yurukov e Ratkov, del sottotenente Simeonov, contro i quali sono già in atto dei procedimenti giudiziari. 2- Secondo lo stesso dossier, a Niš sarebbero stati arrestati 36 religiosi serbi e uccisi sulla via per Bela Palanka, mentre a Zaječar ne sarebbero stati arrestati altri 10 a partire dal dicembre 1915 e poi uccisi nei pressi della città. Anche in questo caso la commissione conferma che ci sono stati dei casi simili, ma che anche qui non è possibile accertare i nomi e il numero dei religiosi uccisi. I responsabili saranno indicati in pochi giorni, dopo l’accertamento e il completamento dei dati. 3- La commissione ha verificato che il vescovo serbo Vićentije e il suo diacono Cvetko sono stati uccisi nei pressi di Kačanik: gli indizi portano a credere che il responsabile sia il sottotenente Georgi Popov del XXIV Battaglione di tappa, contro il quale è in corso un procedimento giudiziario. 4- Riguardo alle accuse di maltrattamento dei prigionieri, l’inchiesta verrà conclusa a fine mese. 5- La commissione continuerà le sue indagini sui presunti religiosi uccisi e scomparsi.

Tuttavia, la risposta di Teodorov concludeva che dei responsabili indicati, Ilkov, Simeonov e Popov erano stati arrestati, mentre il colonnello Kalkadžijev era morto sul treno durante il suo trasferimento da Varna a Sofia, e Yurukov era caduto nel corso degli ultimi combattimenti.15

Il 25 dicembre, due giorni prima del comunicato di Teodorov, le autorità francesi inviarono una nuova nota per informare il governo bulgaro sui crimini commessi a Pirot, affinché «potesse ricercare e punire i colpevoli».16 Se però nel caso di Surdulica, Niš e Zaječar la risposta di Teodorov ammetteva l’esistenza di alcuni crimini e affermava una punizione dei colpevoli, in questo caso le parole del ministro furono del tutto esplicative sull’atteggiamento che il governo avrebbe mantenuto sulla questione dei crimini commessi. Il 6 febbraio 1919 infatti comunicò al generale Chrétien i risultati della commissione d’inchiesta appositamente formata «per fornire delucidazioni sulle dette accuse, le quali non menzionano né il nome delle “vittime”, né il loro stato civile»; dopo aver interrogato dei soldati che presero parte all’ingresso nella città, funzionari e altri militari che vi giunsero in seguito, e cittadini originari che visitarono la loro città natale durante l’occupazione, le conclusioni furono:

15 Rapport…, cit., tomo I, doc. 89, pp. 302-303, risposta da Ministro Esteri Teodorov a generale Chretien, 27 dicembre 1918. 16 AJ, MIP-AO, 334-19 (1919), secret, n. 6841, da generale D’Esperey a generale Chrétien, 19 dicembre 1918; e n. 2561/2, da generale Chretien a presidente del Consiglio bulgaro, 25 dicembre 1918.

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Tutte le persone interrogate dalla suddetta commissione sono unanimi nel dichiarare che durante l’occupazione di Pirot da parte delle truppe bulgare, la vita, la libertà e l’onore di tutta la popolazione locale sono stati garantiti; che non vi sono mai stati massacri di soldati o civili serbi, e che le accuse serbe a tal proposito sono tendenziose e infondate. Tutti i testimoni hanno descritto la gioia della popolazione di Pirot al momento dell’ingresso delle truppe bulgare nella città; hanno rilevato la maniera estremamente cordiale e calorosa con cui sono stati accolti gli ufficiali e i soldati bulgari [...]. È evidente che in tali condizioni, i bulgari, salutati come dei fratelli e dei liberatori, non avevano alcun motivo per abbandonarsi a massacri su una popolazione che aveva riservato loro una tale accoglienza e che si dichiarava bulgara [...].17

Dello stesso tono fu la risposta che il generale Lukov, capo di Stato maggiore dell’esercito bulgaro, inviò 27 febbraio 1919 ad un’ulteriore nota del generale Chretien, questa volta in merito al saccheggio di bestiame e di carri commesso a Kriva Palanka dalla II e dalla IV Divisione al momento della loro ritirata. Il generale sostenne, infatti, che quando avvenne il contatto con l’esercito serbo, le truppe bulgare furono obbligate ad andarsene immediatamente senza poter prendere nulla, mentre al contempo bande di cetnici uccidevano soldati bulgari disarmati e i corrieri che venivano inviati a Egri Palanka presso lo Stato maggiore per cercare ordini sul da farsi.

Le bande, aggiunse Lukov, erano così numerose e crudeli che il comandante dello Stato maggiore della Divisione «Drina» permise alle truppe bulgare di mantenere 120 fucili per ogni brigata in modo da potersi difendere. Inoltre, quando durante la ritirata vennero prese loro 1.000 pecore destinate al sostentamento delle truppe, lo stesso comandante ordinò che ne venissero lasciate a disposizione 600. Nonostante ciò, lungo il percorso un sottotenente serbo cercò di prendere sia le armi che il bestiame e i carri lasciati dal comandante della Divisione «Drina». I continui attacchi dei cetnici impaurirono i soldati bulgari e li spinsero letteralmente a correre verso la frontiera: per questo è impossibile che abbiano potuto prendere altro bestiame e altri carri.

Il generale Lukov, terminando la sua risposta, negò anche la responsabilità nell’incendio del magazzino di cereali di Stracin, poiché prima di lasciare il paese l’esercito distribuì tutto quello che poteva alla popolazione civile bulgara che erano costretti ad abbandonare.18

Se tali richieste caddero di fatto nel vuoto, i passi intrapresi direttamente dal governo serbo erano destinati a non essere presi nemmeno in considera-

17 AJ, MIP-AO, 334-19 (1919), da Ministro degli Esteri bulgaro Teodorov a generale Chrétien, 6 febbraio 1918. 18 AJ, Corte reale (DV), 50-8, (1919), n. 1848, da generale Lukov a generale Chrétien, 27 febbraio 1919.

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