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L’insurrezione del febbraio/marzo 1917 in Toplica
Il 1917: la repressione dell’insurrezione in Toplica e le condizioni nei campi di internamento
L’insurrezione del febbraio/marzo 1917 in Toplica1
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La politica delle autorità d’occupazione bulgare, la cui violenza estrema stava ormai diventando la caratteristica principale, non aveva per nulla inciso sull’«attrazione» dei civili serbi e sulla loro assimilazione forzata, ma anzi aveva generato un risentimento diffuso e numerose sofferenze. Le ingiustizie, i saccheggi e le requisizioni, le continue punizioni e i severi maltrattamenti avevano soprattutto in Serbia definitivamente rinvigorito l’opposizione della popolazione civile verso coloro che erano ritenuti degli occupanti, le cui responsabilità nei massacri e nelle deportazioni del 1915-16 erano note a tutti, anche all’estero: oltre alle pubblicazioni del 1916, il Ministero degli Esteri serbo inviò infatti il 24 febbraio/9 marzo 1917 una nota molto dettagliata ai paesi alleati e neutrali sul comportamento dei bulgari nelle regioni occupate.2
Alla dura condizione determinata dall’insieme di questi soprusi, si aggiungevano le condizioni economiche di numerosissime persone, che erano peggiorate tanto da far diventare la fame dovuta alla carenza di cibo l’elemento costante del regime bulgaro.3
Episodi di attacchi contro le autorità d’occupazione, in particolare nella zona sotto il controllo austro-ungarico, ve n’erano stati già nel corso del 1916; e tuttavia sembra che una certa organizzazione emerse solo nella seconda metà
1 Sull’insurrezione si veda anche: Jovan Derok, Toplički ustanak i oružani otpor u okupiranoj otadžbini 1916-1918, Prosveta, Beograd, 1940; Andrej Mitrović, Toplički ustanak: mesto u srpskoj istoriji, SANU, Beograd, 1993; Božica Mladenović, Žena u topličkom ustanku 1917, Socijalna misao, Beograd, 1996; Idem, Dnevnik Koste Milovanovića Pećanca: od 1916. do 1918. godine, Istorijski institut SANU, Beograd, 1998; Idem, Kazivanja o Topličkom ustanku, M & N, Novi Sad, 2007. 2 Ljubomir Jovanović, Pobuna u Toplici i Jablanici, govor u Narodnoj Skupštini 12. aprila 1918. godine na Krfu, Geca Kon, Beograd, 1918, p. 25. 3 Richard Crampton, op. cit., p. 457.
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dello stesso anno ad opera di alcuni ufficiali dell’esercito serbo4 rimasti in patria perché feriti, ammalati o perché avevano deciso di disertare. In particolare influì la notizia dell’ingresso in guerra della Romania, che pare diede speranza alla popolazione e soprattutto alle migliaia di soldati serbi che si nascondevano nei paesi e nei boschi. Già allora le forze tedesche furono impegnate nella repressione di un tentativo d’insurrezione nei pressi della città di Kragujevac.5
Alla fine di settembre il Comando supremo dell’esercito serbo inviò il tenente Kosta Milovanović Pećanac nella regione della Morava con il compito preciso di organizzare un’insurrezione collegata al momento dell’offensiva finale delle truppe alleate da Salonicco. Il tenente venne allora a conoscenza dell’esistenza di numerosi gruppi di ex soldati organizzati in bande di cetnici, come le tante bande che nei decenni precedenti avevano operato dalla Macedonia alla Bosnia, del tutto simili a quelle di comitadji bulgari e di andartes greci in Macedonia protagoniste delle guerre balcaniche.6
Una di queste era comandata da un ufficiale serbo rimasto in Kosovo perché ferito, Kosta Vojinović Kosovac. Il suo nome divenne subito conosciuto all’interno delle autorità bulgare, e le sue azioni mettevano spesso in allarme l’esercito. Tuttavia, come per qualsiasi altro caso, ufficialmente non era considerato che un bandito: e le punizioni per chi lo sosteneva, seppur severe, non violavano l’integrità della persona. Così il 26 dicembre 1916/8 gennaio 1917 il tenente colonnello Isikrov, a capo della regione occupata dall’XI Reggimento della III chiamata, ordinò che i villaggi di Posica, Boranci, Belo Polje, Babica, Žarevo e Čokotar (tutti nei pressi di Brus), responsabili di aver sostenuto Kosta Milovanović dovessero fornire cibo e alloggio ad un’unità di 100 soldati e 10 cavalli che si sarebbe stanziata in quelle zone. Nell’ordine si imponeva anche un certo controllo sulla popolazione maschile;7 e tuttavia non erano presenti né fucilazioni, né internamenti, come invece sarebbe avvenuto più tardi.
L’ordine di Kutinčev, consegnatogli già ai primi di gennaio dal Comando supremo dell’esercito bulgaro, sul reclutamento degli uomini dai 18 ai 45 anni, aveva provocato nel popolo una reazione di panico. Ad esso erano seguite già ai primi di febbraio le date per i reclutamenti in ogni distretto.8 Nessuno era disposto ad andare a servire nelle file dell’esercito nemico: per questo motivo
4 Andrej Mitrović, Srbija u Prvom…, cit., pp. 342-343. 5 Ivi, pp. 345-346. 6 Ivi, p. 348. Sulle azioni di queste bande nel periodo precedente all’insurrezione in Toplica si veda: Andrej Mitrović, ustaničke borbe u Srbiji: 1916-1918, Srpska Književna zadruga, Beograd, 1987. 7 AJ, 334-22, Заповъдь по Окупационния рајонь на 11-й опьлченски полкь, 26 dicembre 1916. 8 Victor Kuhne, op. cit., p. 307.
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molti degli ex soldati serbi che si nascondevano nei boschi aumentarono notevolmente, creando le premesse per la formazione di un serio movimento d’insurrezione che fino ad allora non erano riusciti a costituire. Proprio l’aumento degli uomini datisi alla macchia e il forte malcontento tra la popolazione furono gli elementi che spinsero i comandanti cetnici ad organizzare una rivolta.
Tra l’8/21 e il 9/22 febbraio tutti i capi cetnici si riunirono a Obilić, nei pressi di Pusta Reka, per discutere sul da farsi. Nonostante l’opposizione di Kosta Milovanović Pećanac, tutti i presenti, guidati da Kosta Vojinović Kosovac, votarono a favore dell’insurrezione immediata.9 Dopo alcune scaramucce in vari luoghi, gli insorti si mossero apertamente contro i bulgari, liberando già il 13/26 febbraio la città di Kuršumlija. Quello stesso giorno, in aperto contrasto con Pećanac, Kosovac, presentandosi come rappresentante del Re e dell’esercito serbo, incitò il popolo alla rivolta generale, inviando suoi emissari per la Morava affinché tutti insorgessero.10 E in pochi giorni vennero liberate Prokuplje (17 febbraio/2 marzo), Lebane (18 febbraio/3 marzo), Vlasotince e altri centri, creando intere sacche di territorio libero nelle regioni della Toplica e della Jablanica. Come un vero esercito, il 13/26 febbraio decretarono la mobilitazione di tutti gli abili alla leva nella Morava e la formazione di unità militari con relativi zone d’azione e obiettivi;11 in pochi giorni il numero degli insorti salì a oltre 5.000, per poi raggiungere una cifra di oltre 10.000.12 Nelle zone principali la popolazione stessa, e in particolare le donne, partecipò attraverso varie modalità al sostegno degli insorti: nascondendoli, curandoli, procurando loro il cibo e agendo come fiancheggiatori.13
Le autorità bulgare, nonostante ciò, non vollero ancora ammettere la presenza di un movimento d’insurrezione nei loro territori, considerando le azioni dei cetnici come semplice brigantaggio.14 Il generale Kutinčev diede al Comando dell’esercito operativo bulgaro un quadro della situazione appena l’ 1/14 marzo: descrivendo gli attacchi subiti, affermò che le truppe di stanza in Morava erano poche e senza motivazione (metà di loro, aggiunse, erano costituite da turchi), mentre le autorità civili non facevano che diffondere il panico impaurite dalle pressioni della popolazione civile. Per questo Kutinčev rivolse
9 Milivoje Perović, Toplički ustanak, (prima ed. 1958) Vojno delo, Beograd, 1959, p. 120. 10 Ivi, p. 128. 11 Ivi, p. 141. 12 R. A. Reiss, Les infractions…, cit., p. 293. 13 Si veda a tal proposito: Božica Mladenović, Žena u Topličkom ustanku, cit. 14 Ciò avvenne nonostante le autorità austriache avessero già segnalato a gennaio la presenza di un movimento d’insurrezione, e non di semplici azioni di briganti, nelle zone tra Kruševac e Kuršumlija: Andrej Mitrović, Srbija u prvom…, cit., p. 350.
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un appello affinché fossero mandati rinforzi.15
In quei giorni la situazione si fece esplosiva e la questione non poté dunque più essere sottovalutata. Alle truppe del colonnello Zlatanov, comandante della I Brigata della III chiamata, impegnate in veri e propri combattimenti nei pressi di Lebane, si unirono già il 4/17 marzo i primi rinforzi.16 In quei giorni Radoslavov confidò al console austro-ungarico a Sofia che la causa dell’insurrezione era l’ «atteggiamento troppo benevolo» dei bulgari, ma che da allora in avanti non ci sarebbero stati più dilemmi. Parole queste che fecero dichiarare al console, in un rapporto al suo Ministero degli Esteri, che: «Un atteggiamento moderato verso i serbi fin’ora non c’è mai stato: per questo è fuori da ogni dubbio che sarà messa in atto una sentenza talmente sanguinosa che il nostro tempo non ha ancora visto».17 Una previsione, quella del console austro-ungarico, confermate dal quotidiano governativo «Dnevnik», che il 22 febbraio/7 marzo pubblicò una dichiarazione in cui la repressione violenta veniva giustificata:
Nelle circostanze anormali, dove l’azione di certe leggi è sospesa e dove più parti del paese sono governate da leggi eccezionali, la responsabilità morale viene prima di quella legale. Oggi la responsabilità morale è determinata dagli obiettivi di guerra che perseguiamo. Noi lottiamo per la nostra esistenza, il che significa che tutte le azioni che rappresentano un ostacolo devono, qualunque sia la loro origine, essere punite… In questi tempi eccezionali, il solo principio che, anche dal punto di vista della giustizia ordinaria, ha la sua ragione d’essere è quello delle sottomissione incondizionata. Si è parlato molto della «tolleranza», che dagli uni viene approvata e dagli altri condannata. I principi della disciplina di Stato sono al primo posto. Qualsiasi politica che non risponda a questi principi deve essere punita. Qualsiasi azione proveniente da singoli individui, tesa ad indebolire lo Stato, deve essere annullata. Noi non abbiamo che un punto di vista: «La patria è in pericolo»; e una sola parola d’ordine: «La patria innanzitutto».18
Il generale Kutinčev venne sostituito, e per sedare la rivolta il 5/18 marzo giunse il colonnello Protogerov, nominato dal Comando supremo bulgaro comandante temporaneo dell’Area d’ispezione militare Morava. Il suo arrivo segnò un punto di svolta molto importante nel sistema d’occupazione bulgaro
15 Milivoje Perović, op. cit., p. 132. 16 Ivi, p. 133. 17 Andrej Mitrović, Srbija u prvom…, cit., p. 368. 18 Victore Kuhne, op. cit., p. 310.
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e nella violenza contro la popolazione civile serba, mentre qualcosa di radicale era avvenuto nei massimi comandi dell’esercito bulgaro e nel governo.
Protogerov era infatti lo stesso colonnello che alla fine del 1915 era stato tra i principali responsabili del massacro dei prigionieri serbi dell’ospedale di Štip, e che aveva instaurato nella città e nei suoi dintorni, insieme a Todor Aleksandrov, una sorta di regime personale, cosa che aveva provocato all’inizio del 1916 forti preoccupazioni nel governo di Sofia.
Protogerov rappresentava all’interno dell’esercito bulgaro la fazione, evidentemente sempre più forte ed autonoma, dei comitadji (che, ricordiamo, erano stati inquadrati nell’esercito regolare bulgaro): la sua nomina a comandante della Morava in quel periodo di forte crisi, le cui dimensioni fecero tremare il governo bulgaro, significò dunque il ricorso dello Stato stesso alla violenza dei comitadji, alla forza e alla brutalità estrema. Nessuno meglio di Protogerov, che delle grandi insurrezioni di Gornja Džumaja (1902) e di Ilinden (1903) era stato uno degli attori principali, conosceva dall’interno le modalità della guerriglia e dell’organizzazione delle bande, e dunque dei metodi per neutralizzarle.
Due giorni dopo il suo arrivo inviò ai suoi superiori un telegramma in cui, oltre a riferire sulla situazione degli scontri, avvertì che il pericolo erano gli impiegati comunali e i funzionari serbi al servizio delle autorità bulgare, e che andavano considerati senza condizioni come nemici. Erano infatti loro, secondo Protogerov, a consegnare agli insorti gli ordini interni delle autorità bulgare, permettendo così loro di allargare il proprio raggio d’azione.19 Nello stesso comunicato, Protogerov scrisse:
Per mantenere il potere e riappacificare questi territori, è assolutamente necessario: primo, che vengano licenziati tutti i funzionari e gli impiegati comunali e statali serbi, sostituendoli con bulgari; secondo, che mi venga data l’autorità illimitata di licenziare e nominare tutti i funzionari tanto civili che militari, di rispondere direttamente di fronte al governo e allo Stato maggiore dell’esercito operativo, di essere io in contatto diretto con loro e non gli organi civili e militari a me sottomessi […]. Questo è un nido infetto da cui i danni e l’infezione possono estendersi anche alla Vecchia Bulgaria. Nelle azioni fino ad ora intraprese per eliminare le bande di briganti ho notato i seguenti errori: 1 – ai comandanti manca il sentimento della vendetta, di cui in sostanza ogni bulgaro deve essere permeato contro questa turpe stirpe serba che ha provocato la guerra mondiale e subdolamente ucciso così tanti nostri soldati inviati nel territorio sulla destra del fiume Morava con vari compiti ufficiali. 2 – ai comandanti manca il sentimento della vendetta contro i briganti e
19 Milivoje Perović, op. cit., p. 154.
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la popolazione che si ribella in segno di «gratitudine» per l’atteggiamento paterno tenuto nei suoi confronti contro i nostri fratelli bulgari che erano fino a 40 anni fa […].20
Le parole di Protogerov fecero intuire da subito la violenza della repressione, che venne di fatto annunciata alla popolazione il 10/23 marzo. In quella data, Protogerov diffuse il seguente ordine:
40 anni fa, i bulgari della diocesi bulgara di Niš erano alla testa del movimento bulgaro intellettuale, politico e religioso. Questo movimento si chiama nella nostra storia «Risorgimento bulgaro». Purtroppo questi migliori bulgari delle zone di Niš – della Morava bulgara – furono, al momento della liberazione della Bulgaria, separati dal corpo bulgaro e uniti ai serbi. Ma Dio ritarda e non dimentica mai. Durante questi 40 anni la Bulgaria si è ingrandita, è divenuta potente intellettualmente e militarmente, ed è arrivata alla possibilità di liberare anche questa parte della Morava bulgara […]. I serbi del vecchio regno serbo – della Šumadija – hanno goduto di questa libertà e approfittato della nostra attitudine leale […]. Questa disobbedienza dei serbi della Šumadija si è manifestata nel momento in cui gli uomini abili al servizio militare tra i 19 e i 40 anni sono stati chiamati non per andare al fronte ma per aiutare i combattenti nelle retrovie. Dopo questo spiacevole incidente di disobbedienza alle autorità mi rivolgo alla popolazione per avvertirla: 1. Di guardarsi che qualcuno non sia corrotto da questi banditi. Tutti gli abitanti della regione devono consegnare alle autorità di polizia le armi entro il 16 marzo corrente, alle 6 di sera. Coloro che verranno trovati in possesso di un’arma dopo questa data, saranno giudicati in base alle leggi previste per i banditi: condannati a morte, le loro case bruciate e le loro famiglie deportate. 2. Coloro che non si presenteranno alle commissioni di reclutamento e coloro che sono stati reclutati e non si presenteranno alle proprie unità, così come i prigionieri che sono fuggiti dai campi, saranno considerati dei banditi e giudicati in base alle leggi previste per i banditi, qualora non si presentassero entro il 15 marzo. 3. I villaggi che nascondono i banditi, i soldati fuggitivi e i prigionieri, e danno loro cibo, saranno considerati come dei covi di banditi e sottoposti alla punizione come al punto 1. 4. I cittadini patrioti che eseguiranno tutti gli ordini della legge e delle autorità godranno di una piena libertà e del soccorso da parte di tutte le autorità.21
20 Ivi, pp. 154-155. 21 AJ, MIP-DU, 334-20, Къмъ населението отъ Моравската военно-инспекционна область, 10 marzo 1917; tradotto in francese in AJ, 336-2; in lingua francese in Rapport…, cit.,
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