
10 minute read
i casi di Dolgovac-Kostinci e Bogumili
venne applicato, come già nel corso delle guerre balcaniche, il principio della colpa collettiva, e a farne le spese furono indistintamente uomini, donne e bambini.
Nel caso delle città le esecuzioni si fecero mirate: al momento dell’ingresso dell’esercito bulgaro i comitadji disponevano di liste precise di persone da eliminare. Ogni banda di comitadji aveva una sua zona d’azione: il vojvoda Milan Čurlik agiva a Prilep e dintorni, Petar Lesov, Simon a Kočani, Donče a Kratovo, Krsta e Čaulev a Kruševo, Gavrilo Stojlov e Rista Čauče in Toplica (più tardi)22, Brlo a Štip e così via. L’obiettivo furono anche in questo caso i «traditori», ma soprattutto quegli elementi individuati che rappresentavano la cultura, la religione e le istituzioni serbe: i maestri e i professori, i sacerdoti, i notabili, i funzionari, i commercianti.
Advertisement
I massacri di civili in Macedonia: i casi di Dolgovac-Kostinci e Bogumili
Il connubio tra comitadji ed esercito bulgaro venne dunque ulteriormente rinsaldato nel comportamento tenuto nei confronti della popolazione civile. Nel corso dei mesi di ottobre e novembre avvennero diversi attacchi diretti verso quei villaggi in cui la popolazione era compattamente serba o filoserba che era sempre stata renitente alla propaganda bulgara del periodo anteguerra.23 Per questo motivo vennero colpite solo alcune zone della Macedonia, soprattutto quelle tra Veles, Prilep e la regione del Poreče, nei pressi di Brod.
In più di un villaggio fu sterminata l’intera popolazione. Dolgovac (oggi Dolgaec), a poca distanza dalla città di Prilep, fu uno di questi. Quando il 1/14 novembre vi entrarono le truppe bulgare dell’VIII Divisione, l’intento di uccidere tutti fu fin troppo chiaro:
Appena arrivarono i primi due soldati bulgari mia cognata Petra andò loro incontro. Le chiesero se fosse bulgara o meno e dove fossero gli uomini. Lei rispose che erano nell’esercito serbo. Al che uno dei due disse: «Zemi je Vančo, karaj ja tamo», e subito dopo la trafissero con la baionetta. Cadde morta. Krsta, figlio di Petra, che aveva appena cinque anni, corse verso di lei ma anche lui fu ucciso con un colpo di baionetta.24
22 Rapport..., cit., tomo I, p. 9. 23 Rapport…., cit., p. 8. 24 AJ, MIP-DU, 334-19, testimonianza di Kone Zdravković, 14 dicembre 1918.
166
I soldati bulgari, accompagnati da alcuni turchi di un villaggio vicino, Crnilište, irruppero poi in diverse altre case saccheggiandole e sgozzando le persone che vi incontravano: nella maggior parte dei casi si trattava di donne e bambini.25
Le stesse scene avvennero a Kostinci, villaggio adiacente a Dolgovac: circa 40 civili radunati in un’abitazione vennero trucidati dopo essere stati picchiati e derubati.26 Altri 12, soprattutto donne anziane, furono sgozzati in un cortile vicino, anche questa volta da soldati bulgari e turchi di Crnilište armati di «fucili e accette».27 Saccheggi e massacri all’interno di abitazioni avvennero in diversi altri casi, finché i restanti civili dei due villaggi non furono radunati al grido di «Cani, al macello! Madre vostra serbofila! Andate a vedere il vostro re Pietro!»28 e portati in un campo in una zona chiamata «Samakovo». Il gruppo, composto da circa 200 civili, venne quindi accerchiato dai militari con la baionetta in canna, mentre altri 40 soldati e turchi rimasero all’interno del gruppo; quando uno di questi si avvicinò al parroco, anch’egli nel gruppo, e gli tagliò la gola, cominciò il massacro di tutte le donne, i bambini e gli anziani radunati a Samakovo.
Dell’episodio rimasero le testimonianze dei pochi sopravvissuti. Uno di loro ricordò: «I coraggiosi soldati bulgari e i turchi cominciarono allora a “volare” da un uomo all’altro, alle donne, ai bambini, seminando la morte con i loro coltelli insanguinati».29
Non molto distante da Dolgovac e Kostinci avvenne un massacro simile. Già nei primi giorni dell’invasione, quando ancora le truppe bulgare erano relativamente lontane dalle città Macedonia, i comitadji fecero irruzione nel villaggio di Bogumili (oggi Bogomila) presentandosi alla porta di alcuni abitanti ed estorcendo loro ingenti somme di denaro. L’atmosfera in cui ormai versava la Macedonia, in cui la popolazione filobulgara esultava per l’imminente liberazione, fece sentire i comitadji a tal punto liberi di agire che oltre alle estorsioni uccisero almeno quattro abitanti, che pure avevano versato loro le somme richieste. Agirono indisturbati, apparentemente senza il pericolo di rischiare un arresto da parte delle autorità serbe che erano intente con tutte le
25 AJ, MIP-DU, 334-19, testimonianza di Vaska Petrović, 10 dicembre 1918; in parte pubblicata in Rapport..., cit., tomo III, doc. 296, pp. 189-190. 26 AJ, MIP-DU, 334-19, testimonianza di Nane Serafimović, 11 dicembre 1918; in parte pubblicata in Rapport.., cit., tomo III, doc. 306, pp. 196-197. 27 AJ, MIP-DU, 334-19, testimonianza di Petar Mijailović, 10 dicembre 1918; in parte pubblicata in Rapport..., cit., tomo III, doc. 354, p. 256. 28 AJ, MIP-DU, 334-19, testimonianza di Gvozdan Stanojević, 10 dicembre 1918; e Rapport…, cit., tomo II, doc. 298, pp. 191-192. 29 AJ, MIP-DU, 334-19, testimonianza di Stojanka Stojkov, 12 dicembre 1918.
167
loro forze ad impedire l’ingresso del nemico.
Quindici giorni dopo fu la volta delle truppe regolari bulgare, accompagnate dagli stessi comitadji. Il villaggio, che era renitente alla propaganda bulgara già sotto la dominazione turca,30 subì la sorte comune a tutti gli altri villaggi compattamente anti bulgari: la distruzione.
L’ingresso fu seguito subito da vere e proprie stragi, come raccontò un sopravvissuto:
[…] i soldati sono venuti a casa mia e hanno portato fuori mia moglie Bojana, i miei figli Stojana, di due anni, e un neonato non ancora battezzato, mia nipote Lenka, mio figlio Alessandro, sua moglie e i suoi figli Bojana, di due anni e mezzo, Natalija, di tre anni, e mia cognata Mara, moglie di mio fratello. Li hanno fatti uscire e li hanno condotti in un giardino, nei pressi della casa di Kosta Tachitch, e lì, assieme alla famiglia di Kosta, li hanno trucidati a colpi di baionetta uccidendoli tutti.31
Mentre in un’altra testimonianza si disse:
Sono stato testimone di quando i bulgari e i comitadji hanno fatto irruzione nella casa di mia sorella, vedova di Đorđe Ristić. Lei stessa e sua figlia furono massacrate insieme gli altri membri della famiglia (14 circa). Ho visto che i bulgari dapprima le infilzarono con dei coltelli e poi le uccisero. Ho sotterrato, con l’aiuto di qualche vicino, tutti i cadaveri nei dintorni della casa, dove ancora oggi riposano.32
Il resto della popolazione fuggì in preda al panico, mentre le unità bulgare aprirono su di loro un fuoco di mitragliatrice. Molti riuscirono a rifugiarsi nel villaggio di Kastiei, dove furono però in breve raggiunti dai soldati. Qui avvenne un’esecuzione di massa; e ancora una volta le donne, come in molti altri casi, prima di essere uccise vennero stuprate (23 di loro insieme a 10 zingare locali) sotto gli sguardi e le risate degli ufficiali. Lo stupro di massa fu una sorta di rituale collettivo: le donne vennero portate all’aperto sotto la pioggia, denudate e violentate; dopodiché venne ordinato loro di fare degli esercizi di ginnastica, e quando stremate implorarono pietà furono fatte rivestire e picchiate, in alcuni casi a morte.33
30 AJ, Legazione del Regno di Jugoslavia a Parigi (388), 8-50, tel. br. 32000, da Commissione interalleata a Legazione serba Parigi, 18 dicembre 1918. 31 Rapport…, cit., tomo III, doc. 349, testimonianza di Nicolas Georgévitch, 2 novembre 1918, p. 253. 32 Rapport…, cit., tomo III, doc. 358, testimonianza di Kosta Tanevitch, p. 258. 33 AJ, 388-8-50, 51 e 52.
168
Lo stato d’eccitazione, unito alla libertà e all’approvazione dei loro superiori, in cui caddero i soldati bulgari fece sì che una volta stuprate le donne furono uccise nel peggiore dei modi: «Con un colpo violento di coltello le fece un tale squarcio sul ventre che le fuoriuscirono le budella»34, mentre la furia a cui si unirono anche alcuni turchi locali si colorì di rabbia, di vendetta, di maledizione verso quelli che negli anni precedenti erano stati i «padroni». «Un turco di nome Hassan Hadji Ahmetdof (Hasan Hadži Ahmedov) di Cenište, dopo la morte di mia moglie e delle mie figlie, andò verso i loro cadaveri e fracassò loro la testa con il calcio del fucile»35, testimoniò un sopravvissuto.
Gli episodi di Dolgovac e Bogumili furono gli esempi più estremi delle atrocità commesse nei primi giorni dell’occupazione bulgara in Macedonia.36 Numerosi furono i massacri anche in altri paesi. Reiss, riportando le osservazione di un infiltrato serbo in Macedonia, a proposito dei villaggi tra Veles e Prilep (tra i quali anche Dolgovac e Kostinci) scrisse che:
[…] Nel villaggio di Bogomil, furono uccise 95 persone di cui 20 uomini e il resto donne e bambini; (…) nel villaggio di Gostirachna [Gostiražna, nda] 65 persone, di cui 10 uomini e il resto donne e bambini; a Strovié [Strovje, nda] 80 persone tra cui appena 15 uomini […]; a Dolgavatz 280 persone di cui 20 uomini con più di 50 anni e il resto quasi esclusivamente donne e bambini; a Kostentzi, 60 persone di cui 8 uomini e 52 donne e bambini; a Brod, sede del distretto di Poretch [Poreče, nda], il 12/25 dicembre 1915 furono uccise 105 persone durante la notte nel palazzo della sotto-prefettura37, e il giorno dopo altre 100 sulla strada tra Brod e Dobrech; a Stounje, 18 persone.
Mentre altre testimonianze confermarono:
[...] I comitadji bulgari hanno commesso molti crimini nei villaggi serbi intorno a Prilep. Alcuni paesi sono stati saccheggiati e incendiati, e gli abitanti uccisi. Ad esempio so che i villaggi di Košino, Slepče, Strovje, Zrze,
34 Rapport…, cit., tomo I, doc. 17, p. 46-47, testimonianza di Nicolas Gotchewitch (Nikola Gočević). 35 Ibidem. 36 R. A. Reiss, Les infractions…, cit., pp. 20-21. 37 Si fa qui riferimento alla sottoprefettura di Brod. In questa cittadina, pare che il primo periodo fu segnato da una violenza indiscriminata verso i civili e dal saccheggio, ma la situazione si radicalizzò con l’arrivo del sottoprefetto nominato, Stojan Blažev: il giorno stesso del suo arrivo infatti convocò sulla base di una lista già stabilita tutti i notabili del distretto che erano rimasti alle loro case, in tutto 38 persone, e la notte seguente li fece uccidere. I saccheggi e le violenze non si fermarono, anzi lo stesso prefetto se ne rese responsabile in prima persona. AJ, 334-23-senza numero, da sindaci comuni distretto Brod a presidente Pašić, 10 dicembre 1918.
169
Margari e altri hanno sofferto molto a causa dei comitadji bulgari.38
Contemporaneamente alla distruzione di interi villaggi –secondo alcune testimonianze almeno 18 solo nella zona del Poreče39 - esercito bulgaro e comitadji misero in molti altri paesi una sorta di «caccia al serbo». Emerse infatti l’altro aspetto della violenza estrema nei confronti dei civili, ovvero la sistematica esecuzione di singole persone indicate come i notabili, le persone «più in vista». Un testimone raccontò:
[...] So che nella regione del Poreče i bulgari hanno ucciso tutti i notabili serbi […]. Nel monastero turco di Brod [Tekija] i bulgari hanno ucciso alcune centinaia di cittadini di Prilep e dintorni. Tutti i sacerdoti serbi rimasti nella regione del Poreče sono stati uccisi insieme alle più importanti tranne due che sono riusciti a fuggire. In 37 villaggi serbi della zona non ci sono più sacerdoti: ne è stato nominato solo uno bulgaro di Debar. L’esercito e i funzionari [bulgari, nda] hanno assalito donne e ragazze, tanto che nella regione del Poreče non c’è più nemmeno una donna non disonorata.40
Questa sorta di terrore organizzato seguiva quasi sempre uno stesso copione: le vittime venivano generalmente prelevate di notte dalle loro abitazioni e arrestate, per poi essere uccise pochi giorni dopo. Un esempio di cui si ha testimonianza fu il caso della città di Prilep, dove a fine dicembre nella prigione della sottoprefettura vennero uccisi i sacerdoti e i maestri della zona. Arrestati, venne loro spesso estorto il denaro prima di essere uccisi. A farlo erano i comitadji che agivano come agenti di polizia. Dei villaggi di Slatina, Kruchié, Gruja, Manastiritsa e altri vennero prelevati e uccisi sulla strada per Prilep, sempre alla fine del 1915, anche 15 agricoltori; nella prigione della sottoprefettura vennero uccisi altri 4 notabili di Topolnica, 3 di Manastirica (Manastirec), 4 di Belitsa (Belica) e molti altri dei villaggi circostanti.41
Solo in queste zone vennero censite circa 120 vittime, uccise tra il novembre e il dicembre del 1915 in maniera «mirata».42 La violenza e la paura furono tali che a guerra terminata un testimone affermò: «Il terrore che regnava in queste zone non sarà mai dimenticato, né dagli adulti né dai bambini, e si
38 Testimonianza di Đorđe Todorović, in Ljubomir Jovanović, Pobuna u Toplici i Jablanici. Govor u Narodnoj skupštini 12. aprila 1918. godine na Krfu, Knjižarnica Geca Kon, Beograd, 1918, p. 19. 39 AS, MID-PO, 1916, XV/475, relazione su testimonianze profughi a Salonicco, da Ministero degli Interni a presidente Pašić, 9/22 marzo 1916. 40 Testimonianza di Sinadin Stoljević, in Ljubomir Jovanović, op. cit., p. 18. 41 Rapport…, cit., tomo III, doc. 371, Extraits des enquêtes sur les crimes bulgares, pp. 269-276. 42 AJ, MIP-DU, 334-19, senza numero, elenco omicidi.
170