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Le vittime del tifo

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Bibliografia

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Non la pensava evidentemente così Mabel Grujić, che allora fu probabilmente la prima persona a decidere di istituire un ospedale infantile.

La proposta venne immediatamente accolta dal Ministero degli Interni, che suggerì come sede la capitale temporanea Niš, soprattutto per il gran numero di profughi presenti e perché vi era spazio aperto a sufficienza.133 La sistemazione incontrò però non poche difficoltà, tanto che il 18/31 agosto Mabel Grujić a nome dell’amministrazione dell’ospedale si rivolse alle autorità comunali per protestare. Il personale, composto da due medici, due infermiere professioniste e altri aiutanti, insieme a tutto il materiale portato - letti, brande, biancheria, vestiti, cibo e altro per un valore di 200.000 dinari – venne alla fine sistemato in un’ala del palazzo del Consiglio comunale.134

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St. Clair Stobart e Mabel Grujić furono le iniziatrici di un’altra rivoluzione, parallela a quella sanitaria in corso, ma nata in maniera del tutto autonoma e dettata interamente da motivazioni di carattere umanitario, che rappresentò in quella situazione di estrema miseria uno dei pochi momenti di sollievo per un paese nel pieno di una guerra totale. Probabilmente vi furono altri casi simili; di certo fu grazie a loro che molti civili, lasciati soli nel periodo peggiore dall’inizio della guerra, riuscirono a salvarsi.

Le vittime del tifo

Il grido d’allarme del dottor Ryan lanciato attraverso le pagine del New York Times quando già l’epidemia era esplosa in tutta la Serbia, secondo cui metà della popolazione locale sarebbe morta qualora non si fosse intervenuti subito, fu per fortuna smentito. La violenza del tifo aveva comunque spazzato via le vite di oltre la metà del personale medico serbo, numerosi medici e infermieri stranieri e soprattutto moltissimi soldati, prigionieri di guerra e civili. Tra questi ultimi rimasero vittima soprattutto i profughi delle regioni settentrionali che si erano ammassati nelle città della Serbia centrale e meridionale e che erano costretti a vivere di fatto per le strade, senza cibo e vestiario e che rappresentavano dunque (insieme ai soldati austro-ungarici prigionieri) la categoria più debole. La situazione estremamente caotica soprattutto nel primo

vare anche in seguito. A settembre ad esempio giunse una missione olandese. AS, MID-PO, 1915, XXI/200, da console Salonicco a Ministero degli Esteri, 22 agosto/4 settembre 1915; e AS, MIDPO, 1915, XXI/201, da console Londra a Ministero degli Esteri, 3/16 agosto 1915. 133 AS, MID-PO, 1915, XXII/71, da Ministero degli Interni, Sezione sanitaria, a Ministero degli Esteri, 4/17 agosto 1915. 134 AS, MID-PO, 1915, XXII/78, delibera Consiglio comunale Niš, 23 agosto/5 settembre 1915.

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periodo dell’epidemia, la mancanza di un sistema sanitario, la vastità delle regioni coinvolte e molti altri fattori non permisero di stabilire mai con precisione quali fosse il bilancio dell’epidemia di tifo.

Alla fine della guerra la delegazione serba alla Conferenza di pace a Parigi presentò nei rapporti ufficiali sulle perdite civili e militari in Serbia il dato secondo cui a causa del tifo e di altre epidemie, tra la fine del 1914 e la prima metà del 1915, morirono 360.000 civili;135 la cifra si scontrava però con le opinioni dei più autorevoli medici e scienziati che avevano operato sul campo e che avevano vissuto in prima persona i momenti peggiori dell’epidemia. Strong, che rimase in Serbia fino all’autunno per accertarsi che il tifo fosse stato realmente sconfitto, sostenne che nei 6 mesi dell’epidemia in totale i morti furono all’incirca 150.000; nel periodo peggiore arrivavano negli ospedali militari anche 2.500 ammalati al giorno, mentre il numero di casi di contagio riportati tra i civili era allora almeno di tre volte superiore. La mortalità a seconda dei luoghi e delle condizioni variava dal 30 al 60%, con picchi del 70%; metà dei 60.000 prigionieri austro-ungheresi morirono per il tifo.136 La mortalità toccò i livelli più alti laddove l’ambiente era più malsano e la gente più povera e indebolita; a Djevdjelija, dove vivevano 7.000 persone, molte delle quali in condizioni di povertà, pare che prima che il tifo si placasse morì ben il 75% della popolazione.137

Dati questi che fecero ammettere allo stesso Strong che «The epidemic of typhus which occurred in Serbia in 1915 was one of the most severe which the world has known in modern times».138

Anche se sconfitto, il tifo lasciò delle conseguenze molto gravi: in molti casi di guarigioni, dopo un certo periodo di tempo si manifestavano delle cancrene che nel 70% dei casi portavano alla morte e in molti altri all’amputazione di arti inferiori o estremità (in aprile a Belgrado l’ospedale era già pieno di cancrene post-tifo);139 gravi erano anche le conseguenze sull’apparato muscolare e neurologico.140

Qualunque fosse il bilancio reale delle vittime dell’epidemia,141 certo è

135 Rapport sur les dommages de guerre, p. 14, citato in Vladimir Stojančević, Stvarnost Srbije 1915. Godine, in Srbija i srpski narod za vreme rata i okupacije, Narodni Muzej Leskovac, Leskovac, 1988, p. 21. 136 Richard Strong, op. cit., p. 3 e pp. 6-7. 137 Earl Bishop Downer, op. cit., p. 41. 138 Richard Strong, op. cit., p. 3. 139 Earl Bishop Downer, op. cit., pp. 37-38. 140 Ivi, pp. 21-22. 141 La mancanza di dati attendibili ha creato, come spesso accade in questi casi, una «girandola» di affermazioni. Così –per riassumere le principali-, oltre ai dati della delegazione a Parigi

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