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Il sistema delle requisizioni
soldati bulgari deportano tutte le 408 persone a Prilep; alcuni morirono lungo la strada, poiché non ricevettero nulla da mangiare. Dopo tre giorni e tre notti di marcia, che da molti fu affrontata solo a piedi nudi, giunsero a Veles, e infine caricati su dei vagoni (50-60 alla volta) e portati a Jambol in Bulgaria. Durante tutto il viaggio, durato otto giorni, i bulgari ripetevano loro: «Voi siete delle spie serbe, noi non ci fidiamo di voi, vi uccideremo tutti».70
Nel frattempo, non appena la popolazione di un villaggio veniva deportata, seguendo la prassi e le leggi introdotte pochi mesi prima, i loro beni vennero messi in vendita; spesso però gli immobili dei deportati venivano confiscati e assegnati ai musulmani locali i quali, essendo rimasti gli unici abitanti di quelle zone, formavano ormai una popolazione omogena.71
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Alla fine del 1916, circa 10.000 famiglie erano state internate da tutte le zone sotto occupazione bulgara,72 ma soprattutto dalla Macedonia. Gruppi di persone continuarono ad essere internate anche dalla Morava, così come singoli individui, e allo stesso tempo altri civili vennero utilizzati per lavori forzati. Dal comune di Kravac (distretto di Zaječar) nel dicembre del 1915 vennero ad esempio internati 21 uomini, mentre altri 19 nel 1916 e nel 1917.73
Per quanto riguarda i lavori forzati, nel comune di Tešica (distretto della Morava) vi vennero costrette anche le persone tra i 60 e gli 80 anni già alla fine del 1915; nel comune vennero trasferiti dei macedoni e dei turchi che si comportarono da padroni rubando di fronte agli occhi delle autorità bulgare.74
Tuttavia pare che la Macedonia (le zone lungo il fronte e quelle abitate da serbi e proserbi) patì molto di più, quasi a testimonianza dell’impegno che i bulgari profusero nella Morava in nome della bulgarizzazione.
Il sistema delle requisizioni
Fino al momento dell’entrata in guerra, in Bulgaria funzionava dal marzo del 1915 un Comitato centrale per la salute pubblica, il cui compito era il controllo dei prezzi, la distribuzione dei generi alimentari, il blocco delle esportazioni di frumento, farina, foraggio e altro in previsione di una mobilitazione,
70 Rapport…, cit., tomo III, doc. 242, testimonianza firmata da vari abitanti del paese, pp. 79-80. 71 Mileta Novaković, op. cit., p. 45. 72 Ljubomir Stojanović, op. cit., p. 28. 73 AJ, MIP-DU, 334-19, elenco internati comune Kravac, 3/16 febbraio 1919. 74 AJ, Ministero degli Interni (14), 2-15, relazione presidente tribunale comune Tešica, 8/21 gennaio 1919.
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guerra o di catastrofi naturali. Ciò era stato voluto dal governo data l’intensa attività di compratori tedeschi e austriaci che già allora faceva temere restrizioni in campo alimentare in Bulgaria.75
Dopo varie vicissitudini, con l’entrata in guerra, il Comitato centrale venne designato come responsabile per i rifornimenti di frumento, farina, zucchero, sale, petrolio e tabacco destinati all’esercito, mentre il Comando supremo avrebbe dovuto gestire le requisizioni nei territori occupati.76 Nel gennaio del 1916 però il Ministero della Guerra prese su di sé la responsabilità di tutti i rifornimenti all’esercito mentre il Comitato limitò la sua azione alla popolazione civile; le sue diramazioni locali tuttavia non funzionarono mai in maniera efficiente, soprattutto per quanto riguarda la limitazione dell’esportazione di alcuni generi alimentari, e già nella primavera successiva il governo fu costretto alla riorganizzazione del Comitato.77
Le branche locali detenevano il potere di stabilire i prezzi, di decidere quali colture seminare e di coscrivere la popolazione civile sia maschile che femminile al lavoro, in particolar modo alla lavorazione dei campi incolti.78 Come il Comitato centrale aveva la possibilità di ordinare la militarizzazione di un’industria per prenderne il totale controllo, così potevano fare i comitati locali per i prodotti manifatturieri, appoggiati da tribunali speciali per chi si opponesse.79 Gestivano inoltre le requisizioni di prodotti agricoli e bestiame: secondo il regolamento del Comitato, ad ogni famiglia doveva essere lasciato mensilmente 250 chili di cereali a testa per uso personale e altri 200-250 per ettaro destinati alla semina insieme a determinate quantità per il bestiame.80
Questo sistema in teoria doveva essere applicato anche nei territori occupati, dal momento che applicarono il proprio sistema legislativo, senza crearne uno apposito per le zone occupate (anche se erano i militari a detenere il potere): molti furono infatti i manuali rinvenuti lasciati dai bulgari nelle varie sedi comunali e distrettuali in Serbia e Macedonia.81 Tuttavia la situazione critica fece imporre un sistema di requisizioni che colpirono gravemente la popolazione civile serba e macedone. A causa delle necessità dell’esercito e dell’esportazione di generi alimentari, bestiame e beni agricoli in Germania, la Bul-
75 Richard Crampton, op. cit., p. 491. 76 Ivi, p. 493. 77 Ivi, p. 494. 78 Ivi, p. 495. 79 Ivi, pp. 495-496. 80 Ivi, p. 496. 81 AJ, MIP-DU, 334-22, Правилникъ за водене на регистритѣ, въ които се вписватъ актозетѣ за гражданското съцтояине, София, 1908; Закон за стопански грижи и общецтвена прѣдбидливостъ, София, 1907; Законъ за селскитѣ общини, София 1903; ecc.
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garia mise in atto nelle zone d’occupazione in Serbia e Macedonia una sistema di requisizioni simile ad un «saccheggio di Stato», secondo regole precise.82
Il sistema «legale» delle requisizioni era composto innanzitutto dall’espropriazione dei beni e da un sistema di imposte molto pesante.
Il 19 novembre/2 dicembre 1915 le autorità bulgare (il capo delle istituzioni al seguito del II Corpo d’Armata) emisero un ordine in base al quale chiunque fosse a conoscenza o in possesso di beni senza proprietario avrebbe dovuto farlo presente alle locali autorità delle finanze che avrebbero provveduto alla registrazione e alla confisca di quei beni. Il giorno dopo a Kriva Palanka (ma è da supporre che misure simili vennero intraprese ovunque) il tenente Popov diffuse l’ordine aggiungendo che la denuncia andava effettuata entro due settimane: in caso contrario chiunque venisse scoperto sarebbe stato portato dinanzi al tribunale militare per essere giudicato.83
L’elemento fondamentale fu che con l’espressione «beni senza proprietario» si intendevano non solo i beni dei serbi ritiratisi con l’esercito, ma anche di quelli fuggiti e perfino di quelli internati dagli stessi bulgari.84 Gli ordini emanati dalle autorità d’occupazione che determinavano dunque tutti quei beni sia privati che pubblici serbi come «res nullius» furono confermate a più riprese sia dal governo che da Ferdinando.85
I beni sequestrati venivano generalmente spediti a Sofia e poi venduti all’asta. I principali quotidiani riportavano sia le date stabilite per tali aste sia i regolamenti stabiliti dai Ministeri dell’Agricoltura e del Commercio, che in alcuni casi prevedevano ad esempio la precedenza nell’acquisto per i funzionari statali o in altri casi la distribuzione alle società di beneficienza per i meno abbienti.86
In altri casi venivano in parte spediti a Sofia e in parte venduti in loco; i beni presi nelle abitazioni dei funzionari serbi di Dojran vennero ad esempio venduti nella vicina Valandovo,87 mentre il bestiame e i beni degli abitanti della regione del Poreče internati vennero venduti a Brod. In questione erano non solo materiali e bestiame ma anche lana, caffè e altri generi alimentari,
82 Sevdelin Andrejević, Ekonomska eksploatacija Srbije za vreme bugarske okupacije, in Srbija 1917. godine, Zbornik sa naučnog skupa, 6/1988, Istorijski institut, Beograd, 1988, p. 54. 83 Rapport….., cit., tomo I, doc. 60, p. 265. Ordine n. 18 del comandante di tappa Kriva Palanka, tenente Popov, 20 novembre/3 dicembre 1915. 84 Victor Kuhne, op. cit., p. 297. 85 Ivi, p. 298. 86 Mileta Novaković, op. cit., p. 106 e p. 108. 87 AJ, MIP-DU, 334-16, senza numero, relazione crimini bulgari a Dojran, p.1; stessa relazione in Rapport…, cit., tomo III, doc. 270, pp. 152-155.
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macchinari agricoli.88
Tutto ciò che si trovava all’interno di una casa dichiarata «res nullius» veniva censito e poi rivenduto: gioielli, utensili da cucina, stoffe ecc.89
La requisizione di tali beni avveniva tramite commissioni locali appositamente formate (probabilmente alle dipendenze del Comitato) con il compito di censire casa per casa i beni da sequestrare. Il ruolo delle commissioni di fatto non fece che legalizzare quanto avveniva già prima delle loro formazione, quando singoli ufficiali, poliziotti e funzionari prendevano ciò che «era loro necessario» dalle case vuote:90 in entrambi i casi infatti i beni vennero ritenuti come bottino di guerra.
Gli immobili venivano invece venduti direttamente sul posto: il quotidiano «Dnevnik» del 30 aprile/13 maggio 1916 riportò ad esempio che a Bitola le autorità procedevano ogni giovedì a vendere all’asta le case, i magazzini e i mulini abbandonati dai loro proprietari,91 mentre in altri luoghi avvenivano il lunedì, il mercoledì e il venerdì.92 Qualora i beni non fossero venduti, le autorità bulgare provedevano alla formazione di commissioni che avrebbero posto i beni in affitto; ordini simili, provenienti sempre dai Ministeri dell’Agricoltura e del Commercio, vennero riportati dai quotidiani bulgari per i dipartimenti di Knjaževac, Prilep, Priština, Veles e altri in maniera quasi quotidiana.93
Le fabbriche – le poche esistenti, come quella tessile di Leskovac - e soprattutto gli stabilimenti termali vennero nazionalizzati e dati direttamente in affitto; a gestirne i contratti era sempre direttamente il Ministero dell’Agricoltura in collaborazione però con il Ministero dell’Industria.94 Stesso accadde alle aziende minori, dalle latterie ai mulini fino alle maggiori aziende artigianali, che in alcuni casi vennero militarizzate95 (era questa l’applicazione del regolamento del Comitato centrale). Gli affitti andavano pagati anche se le fabbriche non funzionavano: così gli impiegati della pelletteria di Niš, tra i quali uno di loro aveva firmato il contratto di locazione, furono costretti a pagare
88 AJ, MIP-DU, 334-16, senza numero, relazione crimini bulgari nel Poreče; e AJ, 336-23, Pillage de guerre et autres violations du droit de proprieté privée, p. 1. 89 Ibidem. 90 AJ, MIP-DU, 334-22, senza numero, relazione Commissione bulgara di Priština per l’accertamento dei beni senza proprietario, 29 aprile/11 maggio 1916. 91 Mileta Novaković, op. cit., p. 106. 92 AJ, 336-23, Pillage de guerre…, cit., p. 1. 93 Mileta Novaković, op. cit., p. 107; AS, MID-PO, 1916, XVII/504, Economic exploatation of Serbia; Victor Kuhne, op. cit., pp. 298-299. In tutte queste fonti vengono riportati i quotidiani e i giorni di pubblicazione degli annunci. 94 Mileta Novaković, op. cit., pp. 111-112 e p. 124. 95 Sevdelin Andrejević, op. cit., p. 58.
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7.000 lev al mese nonostante la fabbrica non fosse in funzione poiché i bulgari avevano portato via il materiale e i macchinari.96 Tale appropriazione non colpì solo la proprietà privata, ma venne applicata anche sui prodotti dello Stato: nei depositi del Monopolio del tabacco a Niš vennero rinvenuti e subito rivenduti dalle autorità bulgare 1.000.000 di chilogrammi di tabacco.97
I bulgari introdussero anche il proprio sistema di tassazione, molto diverso da quello serbo, aggiungendo tipi di imposte fino ad allora sconosciute in Serbia come il begluk, o tassa sul bestiame.98
Esso si basava su un insieme di nove imposte totali di base che ogni casa doveva pagare, mentre a livello locale alcuni comuni introdussero altre particolari forme di tassazione e alcune categorie, come i commercianti, ne ebbero altre in aggiunta: complessivamente la popolazione civile, già stremata, fu sottoposta ad un regime fiscale di cinque volte maggiore rispetto a quello serbo.99 Il nuovo sistema prevedeva anche una sorta di contributi volontari la cui raccolta veniva effettuata tre volte l’anno.100
La situazione dei civili fu aggravata dal fatto che le autorità deprezzarono il dinaro serbo alla metà del suo valore effettivo rispetto al lev, per poi, alla fine del 1916, abolirlo completamente introducendo pene severe per chi ne veniva trovato in possesso.101
L’attenzione dei bulgari fu naturalmente rivolta alle zone rurali in cui le risorse agricole e il bestiame rappresentavano la necessità primaria per l’esercito e per la popolazione civile stessa in Bulgaria. In ogni villaggio le autorità imposte dai bulgari effettuarono dei censimenti del bestiame, in particolare di quello di grandi dimensioni (buoi, cavalli, maiali), certificandone le caratteristiche e il proprietario,102 mentre in dei registri appositi venivano meticolosamente schedati i capi di bestiame posseduti da ogni persona e le relative tasse da pagare.103
96 Ivi, p. 56. 97 AS, MID-PO, 1916, XVII/503, Economic exploatation of Serbia. 98 AS, MID-PO, 1916, XVII/493, Economic exploatation of Serbia. 99 Sevdelin Andrejević, op. cit., pp. 54-55. 100 AJ, MIP-DU, 334-20, Данъчна книжка (libretto delle tasse) г. Тодор Ивьунчиски за събиране данъчитъ за периода 1916-1918 год. 101 AS, MID-PO, 1916, XVII/497, Economic exploatation of Serbia. 102 AJ, MIP-DU, 334-21, Свидтелства за стопанисване на едъръ добитъкъ (Attestazioni per l’amministrazione del bestiame di grossa taglia). Il libro contabile riguarda alcuni comuni del distretto di Knjaževac nel 1916. 103 AJ, MIP-DU, 334-23, Поимененъ списъкъ за данъка върху овцитѣ и козитѣ (Elenco nominativo per il pagamento delle tasse sul possesso di pecore e capre) за 1916 година на (градь или село) Орашцица, околия Лѣесковец, окржгь врански.
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Vennero inoltre costituite delle commissioni locali (distrettuali) per le requisizioni che controllarono la produzione stessa, marchiando il bestiame e seguendo attentamente le colture e le mietiture:104 organizzarono in alcune zone dei centri per la raccolta e la lavorazione del latte, mentre a Niš (e probabilmente in altre città) fondarono delle istituzioni come la Direzione statale per l’agricoltura e la Sezione agraria militare per l’Area Morava.105
La situazione critica in cui si trovava la Bulgaria fu visibile in un comunicato del prefetto del dipartimento di Kumanovo del 13/26 maggio 1916, in cui si ordinò che i rappresentanti dei villaggi dovessero eseguire un’attenta ispezione nei territori di loro competenza per verificare se c’era del bestiame lasciato indietro dagli eserciti – bulgaro, tedesco, austriaco e serbo - e dai funzionari e dai profughi serbi; in tal caso andava immediatamente radunato e consegnato ai sottoprefetti.106
L’utilizzo delle risorse locali era destinato sia all’esercito che alla popolazione civile in Bulgaria.107 Nelle città appena si veniva a sapere di qualche bene che sarebbe stato utile veniva effettuata la requisizione: nel febbraio del 1916 a Skopje, al commerciante Todor Čakarević vennero sequestrati dagli ufficiali dell’esercito bulgaro 500 chilogrammi d’oppio e inviati immediatamente in Bulgaria. Al commerciante non fu data alcune ricevuta di requisizione, sostenendo che il prezzo sarebbe stato stabilito dal Comitato di Sofia; ma nelle settimane successive, in seguito alla continue lamentele del commerciante e delle sue figlie, il comandante della città non solo ribadì la sua estraneità alla questione del rilascio delle ricevute ma ne ordinò l’internamento in Bulgaria.108 A Bač, quando i cittadini tentarono di opporsi alla requisizione imposta dal sindaco, vennero duramente picchiati.109
104 Sevdelin Andrejević, op. cit., p. 57. 105 Ivi, pp. 59-60. 106 AJ, MIP-DU, 334-22, n. 1574, okružno, da prefetto dipartimento Kumanovo Petrov a sottoprefetti distretti, 13/26 maggio 1916. 107 Sevdelin Andrejević, op. cit., p. 59. 108 AJ, MIP-DU, 334-17, testimonianza di Trajko Čakarević, 25 novembre 1918. 109 AJ, MIP-DU, 334-19, testimonianza di Sultana Delković, 28 novembre 1918.
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