19 minute read

In Serbia

il suo aiuto. In quelle terre infatti vivevano bulgari: lo confermavano la storia, le tradizioni, l’etnografia e i trattati internazionali, ovvero il trattato di Santo Stefano.

Teodorov, temendo l’imposizione di condizioni di pace molto pesanti, concluse il suo intervento con un appello: «Non vengano i bulgari ridotti in schiavitù».46

Advertisement

L’abbandono della punizione dei responsabili di crimini aveva permesso alla Bulgaria non solo di perseverare nella negazione di qualsiasi coinvolgimento, ma anzi le offrì la possibilità di agire in continuità anche nella politica espansionista: le terre sottratte con il trattato di Berlino, rivendicate durante le guerre balcaniche e durante la Grande Guerra, venivano ancora considerate come terre bulgare, in perfetta continuità con le politiche degli anni precedenti. La bulgarizzazione forzata non solo non era stata punita, ma di fatto, a causa del disinteresse internazionale, ricevette una legittimazione.

In Serbia

Mentre a Parigi le varie commissioni discutevano sulle condizioni da applicare ai paesi sconfitti, in Serbia si facevano i primi bilanci complessivi dell’occupazione bulgara e austro-ungarica. Alla Conferenza di pace vennero presentati dei dati agghiaccianti. Su una popolazione complessiva di poco più di 4 milioni di abitanti, le vittime erano state 1.247.435; di queste 402.000 erano soldati e circa 845.000 civili. Secondo le stime, tra la popolazione 15.000 erano morti in seguito ai crimini commessi dagli austro-ungheresi nel 1914, 360.000 erano morti a causa delle epidemie, 140.000 durante la ritirata attraverso l’Albania, 70.000 erano stati uccisi durante l’occupazione, 80.000 erano le vittime dei campi d’internamento e dei lavori forzati e 180.000 erano morti a causa della fame.47 Cifre a cui vanno aggiunti 114.000 invalidi militari e 150.000 invalidi civili.48

Le cifre presentate a Parigi furono certamente eccessive. In particolare, le vittime causate dall’epidemia e nel corso della ritirata assumevano dimensioni estremamente grandi.

Quante fossero state realmente le vittime non venne mai accertato, e anco-

46 AJ, 336-22-3794, discorso ministro Teodorov in occasione della consegna del trattato di pace, 19 settembre 1919. 47 Vladimir Stojančević, Srbija i srpski narod za vreme rata i okupacije 1914-1918, in Vladimir Stojančević, Srbija…, cit., p. 67. 48 Ibidem.

340

ra oggi rimane un dato sconosciuto.49 Tuttavia, è certo che furono alcune centinaia di migliaia; di queste, almeno 25.000 morirono direttamente per mano bulgara, sia nelle fosse di Surdulica e Leskovac, sia nel corso della repressione dell’insurrezione in Toplica; almeno 3.000-4.000 furono i serbi e i filoserbi uccisi in Macedonia, mentre pare verosimile il numero di circa 50.000 morti nei campi di concentramento in Bulgaria e ai lavori forzati.

La gravità dell’occupazione bulgara fu comunque evidente poiché causò un drastico cambiamento della struttura sociale ed economica della Serbia orientale, della Macedonia e del Kosovo.50 Sulla base delle relazioni inviate dalle nuove autorità serbe, alcuni paesi del distretto di Zaječar, che non fu tra i più colpiti come invece accadde ad alcuni distretti della Serbia meridionale e della Macedonia, offrirono il seguente quadro della situazione: considerando sia i soldati morti sia le vittime civili il numero degli abitanti di Bor era sceso da 3.580 a 3.000, di Trnavac da 1.200 a 940, di di Slatina addirittua da 2.500 a 1.350;51 simili cifre riguardavano anche altri comuni del distretto come Gornja Bela Reka, il cui numero di abinanti scese da 1.200 a 990, e Rgotina, dove da 2.743 il numero di abitanti scese a 2.197, mentre a Brestovac la differenza fu ancora più drastica, dal momento che di 2.800 ne rimasero 1.734.52

La perdita principale consisteva nella scomparsa della forza lavoro maschile soprattutto nei settore agricolo, che, in un paese basato fondamentalmente sull’agricoltura come la Serbia, significava l’impoverimento di molte

49 Nella storiografia serba non si mette in discussione la cifra presentata alla Conferenza di Pace; cambiano semmai solo le percentuali all’interno del numero complessivo: a volte aumentano o diminuiscono i civili uccisi direttamente, altre volte aumentano o diminuiscono quelli morti in seguito alle epidemie, alla ritirata e a causa della fame. In alcuni casi queste cifre vengono confermate anche attraverso pericolosi calcoli demografici, basati sul confronto dei censimenti del 1910, del 1916 (effettuato dagli occupanti) e del 1921, Un esempio è Vladimir Stojančević, Srbija i srpski narod za vreme rata i okupacije 1914-1918, in Vladimir Stojančević, Srbija…, cit., pp. 6870, il quale effettua calcoli sulla diminuzione della popolazione senza prendere in considerazioni importanti elementi quali le emigrazioni di turchi durante e dopo le guerre balcaniche, di albanesi dopo le insurrezioni del 1913 e del 1918, dei macedoni filobulgari dopo la fine del conflitto mondiale, nonché le vittime civili dei conflitti balcanici e soprattutto delle repressioni serbe contro gli albanesi. Queste lacune mettono in evidenza un altro aspetto alquanto problematico della storiografia serba contemporanea: mai infatti vengono citate le vittime civili delle varie nazionalità, ma tutto vengono semplicemente considerati come serbi. 50 Sull’argomento sono praticamente inesistenti studi critici. 51 AJ, MIP-DU, 334-20, br. 42, da presidente tribunale Bor a sottoprefetto Zaječar, 7/20 gennaio 1919; br. 25, da presidente tribunale Trnavac a sottoprefetto Zaječar, 8/21 gennaio 1919; e br. 427, da presidente tribunale Slatina a sottoprefetto Zaječar, 10/23 gennaio 1919. 52 AJ, MIP-DU, 334-19, br. 40, da presidente tribunale Gornja Bela Reka a sottoprefetto Zaječar, 10/23 gennaio 1919; br. 24, da presidente tribunale Brestovac a sottoprefetto Zaječar, 10/23 gennaio 1919; e br. 555, da presidente tribunale Rgotina a sottoprefetto Zaječar, 30 gennaio/12 febbraio 1919.

341

famiglie, in particolare di quelle che avevano perso più maschi, ma anche una diminuzione complessiva della produzione agricola globale.53

Ciò era aggravato dalle condizioni economiche in cui si trovavano le zone rurali della Morava e della Macedonia dopo tre anni di requisizioni, saccheggi e tassazioni di ogni tipo.

Solo per quanto riguarda il bestiame, fondamentale non solo per l’allevamento e dunque la produzione di latticini e carne, ma anche per il lavoro nei campi e nel trasporto dei prodotti agricoli, i danni risultarono drammatici. Erano stati portati via 500.000 buoi, insieme a 100.000 cavalli, 2.000.000 di pecore, 500.000 capre, 30.000 asini e muli, 500.000 maiali; complessivamente i danni causati dalla Bulgaria rappresentavano il 50% dei danni totali, i quali fecero diminuire in totale il numero dei capi di bestiame in percentuali comprese tra il 60% (pecore) e il 90% (cavalli).54

Inoltre erano stati portati via o distrutti gran parte dei carri e dei macchinari agricoli, e perfino i più semplici attrezzi come zappe e accette.55

In totale i danni al settore agricolo e dell’allevamento furono calcolati in 6.457.300.000 franchi francesi.56

Per questo motivo, oltre alla questione dei crimini di guerra, una delle preoccupazioni principali nel primo periodo della Conferenza di pace fu quella di assicurare il recupero immediato di almeno una parte del bestiame perso in modo da far ripartire il settore principale della economica, l’agricoltura. Ma i tentativi di obbligare Germania e soprattutto Bulgaria a restituire alla Serbia nell’arco di pochi mesi almeno il bestiame necessario al lavoro nei campi per la semina del 1919 non ebbero risultati.57 Caddero nel vuoto anche le richieste espresse da Pašić a Clemencau per ottenere anche la consegna da parte bulgara, nell’arco di tre mesi (a partire dal febbraio 1919), di macchinari agricoli, di locomotive e di materiale ferroviario nell’arco di tre mesi .58

Per far fronte alla situazione, oltre ad una serie di insignificanti aiuti da parte del governo e dell’esercito, i contadini serbi furono costretti a comprare, spesso indebitandosi, i capi di bestiame dalla Croazia e dalla Vojvodina o

53 Momčilo Isić, Ekonomske prilike na selu u Srbiji 1919. godine, in Slavenko Terzić (a cura di), Srbija na kraju Prvog svetskog rata, Zbornik radova 8-1990, p. 65. 54 Ivi, pp. 66-67. 55 Ivi, p. 66. 56 Ibidem. 57 Momčilo Isić, Ekonomske prilike na selu u Srbiji 1919. godine, in Slavenko Terzić (a cura di), Srbija na kraju Prvog svetskog rata, Zbornik radova 8-1990, pp. 68-69. 58 AJ, 336-22-433, nota da Pašić a Clemencau, 26 febbraio/11 marzo 1919; e 908, 20 marzo/2 aprile 1919 (viene allegato l’elenco del tipo e numero di macchinari, locomotive e capi di bestiame).

342

addirittura dalla Bulgaria stessa.59

Lo Stato tentò di intervenire più decisamente, ma fu troppo tardi: comprò infatti 5.000 tonnellate di semi di grano estivo del Manitoba, i quali vennero però distribuiti soltanto in aprile ai dipartimenti per poi raggiungere i contadini in alcuni casi addirittura nell’autunno successivo. La gente affamata usò, in ultimo, i semi ricevuti per fini alimentari.60

E proprio le terribili condizioni alimentari in cui si trovavano i civili in conseguenza dell’occupazione bulgara erano destinate a durare e a provocare altre vittime. In un articolo di un giornale economico uscito nel maggio del 1919, l’autore scrisse:

Se vi recherete nei villaggi vedrete la miseria più nera, soprattutto in quelle famiglie sole dove non c’erano figli maschi adulti. Sono tutti senza vestiti, scalzi e debilitati dalla fame. Vedrete giovani con le rughe sulla fronte, senza più traccia della loro gioventù; vedrete le loro vene in evidenza come la corteccia di un ceppo di vite.61

La Serbia era ritornata in ogni senso ai livelli precedenti alle guerre balcaniche. Basti pensare che al momento della formazione del Ministero della Salute pubblica, nel 1918, in tutto il paese erano rimasti solo 35 medici a disposizione della popolazione civile. Molti erano infatti morti, mentre tanti altri si trovavano ancora al servizio dell’esercito.62 Tutto era da ricostruire: anche le scuole elementari, specialmente per gli oltre 200.000 orfani,63 tra le quali almeno 130 erano state distrutte o saccheggiate.64

Nelle regioni meridionali, ed in particolare in Macedonia, le autorità serbe ripresero quello che avevano incominciato nel 1912, seguendo le stesse teorie in merito alla scarsa coscienza nazionale della popolazione slava macedone e alla sua tendenza ad adattarsi al suo «conquistatore».65 Ma ritrovarono gli

59 Momčilo Isić, op. cit., pp. 70-71. 60 Ivi, p. 73. 61 Ivi, p. 75. L’autore cita un articolo apparso sul «Trgovinski glasnik», n. 21, 3/16 maggio 1919, p. 2. 62 Vojislav Subotić (a cura di), Pomenik poginulih i pomrlih lekara i medicinara u ratovima 1912-1918, Srpsko Lekarski Društvo, Beograd 1922, p. 7. 63 Rudoplh R. Reeder, The continuing needs of Serbia and her Children; aims, program and methods of the Serbian Child Welfare Association of America, Serbian Child Association of America, 1922. L’autore sottolinea che in questo numero non erano compresi gli orfani dei civili internati o uccisi dai bulgari. 64 Ivi, pp. 5-6. 65 Dmitar Tasić, Rat posle rata: Vojska Kraljevine Srba, Hrvata i Sloveneca na Kosovu i Metohiji i u Makedoniji 1918-1920, Utopija-Institut za strategijska istraživanja, Beograd, 2008,

343

stessi problemi già incontrati negli anni della loro amministrazione in quelle regioni.

Alla fine di ottobre del 1918 scoppiò una nuova rivolta albanese nei distretti albanesi della Macedonia occidentale e che le autorità serbe attribuirono al saccheggio di bestiame operato da singoli banditi.66 Le autorità locali, proprio come nel 1913, richiesero a più riprese l’intervento dell’esercito regolare per disarmare la popolazione albanese e riportare l’ordine.

Le azioni degli insorti, che questa volta assumevano i termini di lotta per l’unificazione all’Albania, continuarono con varia intensità anche negli anni successivi coinvolgendo tutti i territori abitati da albanesi e giungendo fino al Sangiaccato; soltanto nel 1924 le autorità jugoslave poterono considerare la lotta conclusa.67

Come già nel 1915 ripresero anche le diserzioni di massa, non solo tra gli albanesi ma anche tra i macedoni. Nel 1920, oltre a numerosi macedoni reclutati nell’esercito bulgaro durante la guerra i quali avevano deciso di non far ritorno in Macedonia, alle sole voci su un’imminente reclutamento masse di uomini fuggirono in ogni dipartimento: il culmine venne raggiunto a Bitola, dove non si presentò il 66% dei chiamati.68

I gravi problemi interni a cui l’ormai ex Regno di Serbia doveva far fronte divennero ancor più evidenti al momento della proclamazione del Regno SHS.

Da una parte infatti vi era un paese, la Serbia (come del resto anche il Montenegro), uscito dalla guerra con perdite in termini di vite umane e di danni materiali, enormi; dall’altro vi erano delle regioni dell’ex Impero austro-ungarico la cui popolazione aveva partecipato attivamente alla guerra per il proprio paese e sulle quali non era avvenuto alcun combattimento. La Croazia, la Bosnia, la Vojvodina e la Slovenia avevano certamente patito le sofferenze del conflitto: ma esse non erano paragonabili a quanto vissuto dalla Serbia.

L’abisso economico tra le due parti del nuovo Stato fu uno dei problemi principali del nuovo governo di Belgrado. I serbi, in quanto vincitori, avrebbero detenuto a lungo il potere, senza riuscire a creare delle condizioni interne solide e stabili. I problemi della «questione jugoslava» erano molti: la presenza di varie nazionalità, di strutture economiche e sociali molto diverse fra loro, l’esistenza di tre grandi gruppi religiosi (cristiani ortodossi, cattolici e musulmani), la convivenza di vinti e vincitori, di carnefici e vittime, di culture e storie spesso contrastanti.

p. 24. 66 Ivi, p. 42. 67 Ivi, p. 278. 68 Ivi, p. 80.

344

Le questioni interne non erano però le uniche a cui la nuova entità statale dovette far fronte. Le pressioni internazionali erano infatti molto pesanti: le controversie con l’Italia a proposito della «questione adriatica» e dell’Albania crearono molte tensioni e preoccupazioni, mentre i tentativi di esercitare un ruolo egemonico nei Balcani si scontrarono con i piani della grandi potenze.

La Bulgaria inoltre rimaneva un pericolo costante. La grave crisi in cui si trovava aveva infatti ridato forza alla VMRO, che non aveva affatto abbandonato le rivendicazioni sulla Macedonia. Con la fine guerra infatti comitadji, che avevano per tre anni rappresentato la struttura del potere locale in Macedonia e le forze della «polizia segreta» in Morava, spostarono il loro centro d’azione nelle città appena oltre il confine bulgaro, in quei territori che storicamente facevano parte della regione macedone: Ćustendil, Gornja Džumaja, Nevrokop e soprattutto Petrič.69 Da lì la loro azione riprese il carattere che aveva avuto prima della Grande Guerra, quando venivano infiltrate bande armate nei confini dell’allora Regno di Serbia con vari compiti. Alla testa della VMRO vi erano ancora Aleksandrov e Protogerov, che oltre ad azioni armate organizzarono un vasto programma politico teso dapprima all’unione della Macedonia con la Bulgaria e poi almeno ad una sua autonomia.Tra il 1919 e il 1934, anno dell’attentato al re Alessandro per mano degli ustascia croati e della stessa VMRO, le irruzioni dei comitadji in Macedonia registrate furono 467.70

Furono tutti questi problemi probabilmente a porre fine definitivamente alla questione della punizione dei criminali di guerra. Se da un lato le grandi potenze alla Conferenza di Pace avevano precluso di fatto la possibilità di estradizione degli accusati bulgari, all’interno del paese si era scatenata una vera e propria caccia al «collaborazionista». Attraverso l’istituzione di tribunali speciali, sostenuti da una nuova normativa legale che prevedeva la punibilità di chiunque si fosse compromesso con i regimi d’occupazione, soltanto tra il 1919 e il 1920 vennero esaminati oltre 2.600 casi di cittadini del Regno di Serbia che si erano messi al servizio delle autorità bulgare, rendendosi spesso complici o diretti colpevevoli delle violenze commesse contro i civili.71

Tuttavia, la maggior parte di loro venne graziata in seguito ad alcune amnistie, la più importante delle quali fu proclamata il 10/23 dicembre 1920.

Conclusa a livello legale e politico, la questione dei crimini di guerra diventò allora un fattore puramente materiale. Si era infatti aperto il complesso sistema di trattative sulle modalità di riparare i danni da parte dei bulgari, que-

69 Ivi, p. 121. 70 Ivi, pp. 142-143 e p. 227. L’autore sottolinea che al suo interno cresceva però una fazione nettamente autonomista che si scontrò con i due: guidata da discepoli dell’idea di Jane Sandanski, era composta da persone che non si sentivano «né serbe, né bulgare, né greche». 71 AJ, 63-59-1/21, dati complessivi sui procedimenti nei confronti di «collaborazionisti».

345

stione destinata a durare parecchio tempo. Nella categorizzazione dei danni entrarono anche gli omicidi commessi sugli innocenti.

Alle testimonianze raccolte dalla Commissione interalleata se ne aggiunsero molte altre, e tutte terminavano con la stessa formula evidentemente fatta inserire dalle autorità serbe:

[…] Per l’uccisione di mio figlio Miodrag Jovan, accuso il comandante bulgaro Kunev e le altre persone che ho nominato, e chiedo che le autorità agiscano affinché i responsabili vengano puniti secondo la legge, e li obblighino a pagarmi 50.000 dinari come danni, per il mio mantenimento e quello della famiglia dell’ucciso.72

[…] Per questo omicidio accuso Jordan Kutev e Hristo Tomić, e chiedo che le autorità agiscano affinché, oltre alla punizione, che mi vengano pagati 50.000 dinari per il mantenimento mio e dei miei figli.73

[…] Per l’assassinio di mio marito Mihailo accuso le persone sopra nominate e chiedo che oltre alla loro punizione si condannino loro e lo Stato bulgaro a pagarmi per l’assassinio di mio marito e per il mantenimento mio e dei miei figli 150.000 dinari.74

Non sappiamo se le somme richieste furono effettivamente versate. Certo è che anche in questo il risarcimento delle vittime fu molto complesso e lungo. Ancora nel 1923 il Ministero per le Politiche sociali lamentava al Ministero della Giustizia delle gravi lacune nei progetti sulla legge per i risarcimenti:

[…] Per le persone che hanno subito dei danni materiali, nella Legge sul pagamento dei danni di guerra è previsto un risarcimento; e per le persone che sono state rese inabili nell’internamento e nel confino e per questo sono rimasti invalidi, così come per le famiglie di quelle persone che sono in tal modo morte, che sono state uccise o che sono scomparse, nella Legge sull’aiuto temporaneo agli invalidi è previsto il diritto a delle pensioni di invalidità; e tuttavia, per quelle persone che sono state internate, confinate, deportate, imprigionate, prese come ostaggi, costrette ai lavori forzati, picchiate, violentate e in generale maltrattate, e che sono comunque rimaste abili al lavoro, non è stato ancora prevista alcuna forma di risarcimento. […].75

72 AJ, MIP-DU, 334-11, testimonianza di Dragoljub Celić, 1/14 marzo 1919. 73 AJ, MIP-DU, 334-11, testimonianza di Savesta Rakić, 1/14 marzo 1919. 74 AJ, MIP-DU, 334-11, testimonianza di Nedelja Stojanović, 12/25 marzo 1919. Le testimonianze simili sono numerose. 75 AJ, 63-32-96, br. 62659, da Ministero per le Politiche sociali a Ministero della Giustizia, 15

346

Anche un’eventuale compensazione in denaro non poteva però placare gli animi di chi era stato vittima dei crimini bulgari. Il ricordo degli anni passati sotto occupazione e delle sofferenze patite era troppo forte e l’idea che i responsabili restassero impuniti e che lo Stato serbo avesse deciso di mettere fine alla questione attraverso il silenzio non rimase senza proteste. Jovan Hadži-Vasilijević, tra i primi a pubblicare un libro denuncia sui crimini bulgaria Vranje, nel 1922 terminò così la sua opera:

[…] Proprio mentre sta terminando la stampa di questo libro ricordo delle vittime conosciute, molte donne dei dipartimenti di Vranje e Toplica, a cui i bulgari hanno ucciso i figli, le figlie e i mariti, a Belgrado chiedono al Governo e al Parlamento che i colpevoli bulgari vengano al più presto giudicati da un tribunale internazionale […].76

Il riferimento era probabilmente alla drammatica lettera inviata da 26 vedove di religiosi uccisi dai bulgari, la cui disperazione e rabbia non potevano placarsi così in fretta. L’appello, lanciato al governo e alla Conferenza degli Ambasciatori, non lasciava dubbi:

Sono già trascorsi alcuni terribili anni da quel periodo tremendo, quando la rabbia bulgara devastò quella parte del nostro popolo che ebbe la sfortuna di cadere sotto il loro potere. A Surdulica, Arapova Dolina, Vrla Reka, Radičeva Bara e in altri luoghi sono stati ritrovate terrificanti fosse colme di cadaveri; si continua tuttavia a rinvenirne delle altre, e la montagna di ossa diventa di giorno in giorno più alta. In ognuna delle fosse si trovano alcune decine di scheletri, ma in alcune il loro numero supera il centinaio, come a Pirot, Kremenica e Jelašnica. La consapevole regola della politica bulgara: «sterminare dapprima l’intellighenzia e poi il nome serbo», è stata messa in atto attraverso uno dei metodi più brutali. Le vittime di questa regola sono i nostri figli, i nostri fratelli e mariti. Loro sono stati uccisi dai bulgari, loro sono stati massacrati in modo terribile. Gli esempi dei martìri dei nostri uomini sono innumerevoli. Padri sono stati brutalmente uccisi davanti agli occhi dei figli, madri davanti agli occhi delle figlie e viceversa. La baionetta bulgara, assetata di sangue, aveva il compito di terminare il lavoro, mentre i lamenti quotidiani di persone innocenti, che a lungo risuonarono a Surdulica, avevano il significato di una messa funebre per il nostro popolo. Questi martiri sono le vittime più tremende dei giorni in cui la nostra

giugno 1923. 76 Jovan Hadži-Vasilijević, op. cit., p. 119.

347

Patria era di fronte a una sfida. Ma dovevano veramente esserci tutte quelle vittime? No! Loro sono solo il frutto della rabbia bulgara, della sete di sangue, della mancanza anche di una sola scintilla di sentimenti umani, dell’odio bestiale verso tutto ciò che è serbo. Morendo da innocenti, ai nostri uomini restava solo la speranza che la loro Patria li avesse vendicati, nel momento in cui sarebbe di nuovo tornata a splendere. Quando voleva uccidere Caca, la figlia di padre Trajko di Turekovac, un tale Stevan di Trnovo (ancora oggi si trova lì), affilando il coltello davanti a lei a sua madre disse: «Non ti spaventare, la lama sarà affilata, non farà male». «La affili pure ora per noi, ma verranno i nostri e ve la faranno pagare», rispose lei prima di essere uccisa in modo barbaro. Venne il momento in cui arrivarono i nostri. Tutti i criminali bulgari fuggirono in Bulgaria, convinti che li avrebbero cercati e che avrebbero dovuto pagare per tutte le loro atrocità. Essi si aspettavano in ogni momento di essere chiamati a pentirsi dei propri peccati. Perché è atroce il crimine di uccidere decine di migliaia di innocenti, lasciando un numero enorme di vedove e ancor di più orfani, che oggi vivono una vita di stenti senza i propri genitori. Ma loro, nessuno li ha cercati!.. L’accordo di pace prevedeva che venissero processati, eppure, nonostante questo, nessuno li ha cercati……. I vari Kalev, Kalkadžijev, Cipušev e tutti gli altri carnefici dei serbi oggi emettono un sospiro di sollievo e passeggiano tranquilli in Bulgaria, ormai convinti che non saranno chiamati a rispondere dei propri atti. E del resto di che cosa dovrebbero avere paura, se le nostre autorità rilasciano anche quei criminali che erano nelle loro mani, come il comandante del campo di Jambol, che nonostante s fosse macchiato di crimini disumani è stato da poco rilasciato dal carcere nella fortezza di Niš. E Surdulica, pensano loro, comincia ad essere coperta dal manto dell’oblìo…. Qualcuno ha forse davvero cominciato a dimenticare Surdulica, Ma noi vedove, sorelle, madri e figlie dei nostri martiri no di certo. E siccome fino ad ora non abbiamo avuto giustizia, ecco che ora la cerchiamo da noi. Noi chiediamo che i criminali bulgari vengano quindi processato al più presto. E dal momento che non riteniamo giusto che il peso di un numero così elevato di orfani ricada sulle spalle del nostro già sovraccarico paese, chiediamo che se ne occupi la Bulgaria, ovvero che assicuri loro l’esistenza. Per riuscire in questa impresa, ci rivolgiamo a voi, care sorelle, per un sostegno. Facciamo appello ai vostri sentimenti e vi preghiamo di sostenere energicamente queste nostre richieste e di agire insieme a noi con la vostra rispettabilità, ovunque sia necessario. In nome di tutte le vedove e di tutti gli orfani di vittime innocenti, [seguono firme 26 vedove, nda].77

77 AJ, 388-8-368 e 369, br. 3087, nota da Ministero degli Esteri a Legazione a Parigi (si trasmette la lettera delle 26 vedove), 24 marzo 1922.

348

This article is from: