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e «grande fuga» dei civili
L’invasione dell’autunno 1915. Tra «evacuazione dello Stato» e «grande fuga» dei civili
Nonostante l’evidente vantaggio delle proposte tedesche e austro-ungariche, nella prima metà del 1915 il governo Radoslavov tenne ancora le porte aperte ad eventuali proposte dell’Intesa. Trattative vennero infatti condotte anche con Francia, Gran Bretagna e Russia, che erano giunti ad fare importanti concessioni sia in Macedonia che in Tracia.70
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Tuttavia, nel corso dell’estate del 1915 alcuni fattori contribuirono alla scelta definitiva dei rappresentanti di Sofia. In giugno, data l’urgente necessità di sottomettere la Serbia e congiungere Vienna a Costantinopoli, la Germania e l’Austria avevano offerto alla Bulgaria il possesso immediato dell’intera Macedonia; poco dopo la diplomazia austro-tedesca aveva convinto i turchi a concedere la Tracia orientale ai bulgari fino alla linea Enos-Midia.
Inoltre, gli avvenimenti dell’estate sul fronte occidentale e soprattutto su quello orientale, che avevano messo gli Imperi centrali in una condizione di momentaneo vantaggio, furono agli occhi dell’imperatore Ferdinando e del primo ministro Radoslavov un argomento estremamente rilevante.71
Il trattato venne siglato il 24 agosto/6 settembre. In esso la Bulgaria si impegnava ad affiancare Germania e Austria-Ungheria nell’attacco alla Serbia, ricevendo in cambio entrambe le zone della Macedonia e una parte della Serbia a est del fiume Morava, dalla sua confluenza con il Danubio fino al paese di Stalać, per poi scendere tra la Morava meridionale e la Morava occidentale fino alla Skopska Crna Gora, terminando ad ovest lungo la catena della Šar Planina fino ai confini albanesi. Inoltre, qualora Romania o Grecia fossero entrate in guerra al fianco dell’Intesa, la Bulgaria avrebbe ripreso i territori persi nel 1913; infine, venne acconsentito un prestito di 200 milioni di lev. Alcune clausole del trattato mettevano in evidenza l’urgenza della «corsa verso sud» della Germania: l’azione contro la Serbia era infatti da intraprendere entro 30 giorni (da parte bulgara entro 35 giorni), con almeno sei divisioni di fanteria tedesche e austriache e quattro bulgare (che avevano però il doppio di soldati rispetto a quelle tedesche e austriache); il comandante in capo sarebbe stato il
70 In questione era la concessione della Tracia orientale sulla linea Enos-Midia, la Macedonia a est e sud della linea da Egri Palanka attraverso Veles fino a Ohrid (da stabilire più precisamente a guerra finita solo se la Serbia avesse ottenuto adeguate compensazioni in Bosnia-Erzegovina) e la Tracia occidentale fino a Kavala, qualora la Grecia avesse ottenuto adeguate compensazioni in Asia minore; per quello che riguardava la Dobrugia i rappresentanti dell’Intesa non si espressero, mentre i prestiti venneri acconsentiti a condizione dell’entrata in guerra. Richard Crampton, op. cit., pp. 440-441. Petar Opačić, op. cit., p. 67; Васил Радославов, op. cit., p. 118. 71 Richard Crampton, op. cit., pp. 441-442.
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generale tedesco Von Mackensen.72
L’8/21 settembre i bulgari dichiararono la mobilitazione generale e la «neutralità armata»: 800.000 uomini organizzati in 12 divisioni erano pronti. Il 18 settembre/5 ottobre la Russia lanciò a Sofia un ultimatum chiedendo di terminare le attività ostili e di licenziare gli ufficiali tedeschi dall’esercito bulgaro; ma il 22 settembre/5 ottobre, dopo che alla Russia si erano unite la Francia e la Gran Bretagna, l’ultimatum venne respinto. Il giorno successivo i tedeschi e gli austriaci lanciarono l’offensiva in Serbia, a cui i bulgari si unirono il 28 settembre/11 ottobre, dichiarando però guerra tre giorni dopo.73 In quell’occasione l’imperatore Ferdinando emanò il «Manifesto al popolo bulgaro», un documento controfirmato da tutti i ministri che idealmente si ricollegava alle parole che il generale Savov aveva pronunciato nel 1913 preannnunciando l’attesa di «tempi migliori» per risolvere la questione macedone:
Bulgari, Voi siete testimoni dello sforzo eccezionale che ho compiuto in quest’ultimo anno, da quando è scoppiata la guerra europea, per mantenere la pace nei Balcani e la serenità nel paese. Io e il governo ci siamo preoccupati finora di mantenere la neutralità e di perseguire gli ideali del popolo bulgaro. Entrambi i gruppi belligeranti delle Grandi Potenze riconoscono la grande ingiustizia che ci è stata fatta con la separazione della Macedonia. Tutti sono d’accordo nell’affermare che la maggior parte della Macedonia sarebbe dovuta appartenere alla Bulgaria. Solo la nostra perfida vicina Serbia è rimasta persistente di fronte ai consigli dei suoi amici e alleati. La Serbia, non solo non ha voluto ascoltare i loro consigli, ma con cattiveria ed avidità ha attaccato il nostro caro territorio, e il nostro esercito è stato costretto a combattere per la difesa del proprio paese. Bulgari, tutti gli ideali nazionali mi hanno imposto a spingere nel 1912 il nostro coraggioso esercito in guerra, in cui con grande sacrificio si è spiegata la bandiera della libertà e si sono rotte le catene della schiavitù. I nostri alleati serbi furono allora la causa principale per cui abbiamo perso la Macedonia. Stanchi ed esausti, ma non sconfitti, abbiamo dovuto ammainare le nostre bandiere in attesa tempi migliori. Questo tempo favorevole è arrivato molto prima di quanto ci aspettassimo. La guerra europea si avvicina alla fine. Le
72 Ivi, p. 442. Sulle trattative e sulla rilevanza dell’accordo si vedano inoltre: Михаило Аполстолски (a cura di), op. cit., p. 388; Žarko Avramovski, Austrougarsko-bugarske suprotnosti oko deobe Srbije, in Srbija 1915.godine, Zbornik radova br. 4, 1986, Istorijski institut, Beograd 1986. e Andrej Mitrović, Tajni ugovori izmedju centralnih sila i Bugarske od 6. Septembra 1915. Godine, in Medjunarodni problemi, XXX Beograd, 1978, n. 3-4, pp. 47-66. 73 Richard Crampton, op. cit., pp. 442-443.
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vittoriose armate degli Imperi centrali sono già in Serbia e avanzano rapidamente. Chiamo il popolo bulgaro alle armi in difesa della propria terra natia, ferita dal fedifrago vicino, e alla liberazione dei nostri fratelli schiavi del giogo serbo. La nostra opera è giusta e santa. Ordino allora al nostro coraggioso esercito di scacciare il nemico da quelle zone dell’Impero, di sconfiggere il fedifrago vicino e di liberare i nostri fratellli dal peso della schiavitù del giogo serbo. Combatteremo contro i serbi insieme ai coraggiosi eserciti degli Imperi centrali. Che il soldato bulgaro voli di vittoria in vittoria! Avanti! Che Iddio benedica le nostre armi!74
Dopo mesi di attenta riflessione diplomatica in cui l’annessione della Macedonia non era mai stata messa in discussione, dopo l’intensa opera di denuncia dei crimini serbi e numerosi attacchi dei comitadji, la necessità della liberazione della Macedonia dal giogo serbo esplodeva nelle parole dell’imperatore in tutta la sua forza. E in una situazione estremamente complessa e già gravemente compromessa tra la popolazione macedone, tali parole non potevano che trovare un deciso sostegno.
L’offensiva dei tre paesi alleati cominciò nei pressi di Belgrado, dove era concentrato il grosso delle truppe austro-tedesche. Inizialmente il pesante fuoco d’artiglieria fu diretto contro le postazioni dell’esercito serbo, ma ben presto le granate della «Grande Berta» e delle altre armi d’artiglieria cominciarono a cadere sull’intera città, continuamente e senza un obiettivo preciso.75
In breve la capitale venne devastata; molti edifici vennero distrutti e molti civili persero la vita.
Testimonianze riportarono che tra le macerie erano visibili resti di corpi di donne e bambini76 e che nelle strade c’erano «alcune donne impazzite».77 All’ospedale la dottoressa Slavka Mihajlović osservò che:
I feriti arrivano in continuazione. Sono in maggioranza donne e bambini. Portano in braccio i più piccoli, mentre i più grandi e i feriti lievi vengono accompagnati a piedi. I familiari o i vicini li estraggono dalle macerie e dalle case incendiate. Molti muoiono lungo il percorso, e allora chi li accompagna non sa che fare di loro lì, nel mezzo della strada. Noi lavoriamo come delle macchine, come in trance. Nessuno dice niente. I nostri volti sono terribili,
74 Citato in Radoslavov, op. cit., pp. 168-169; pubblicato in lingua serba in Slađana Bojković - Miloje Pršić, Stradanje srpskog naroda u Srbiji, Istorijski muzej Srbije, Beograd 2000, p. 207. 75 Živko Kezić, Borba s neprijateljem po beogradskim ulicama, in Agonija Beograda u svetskom ratu, Grupa živih branilaca Beograda iz 1914. i 1915. godine, Beograd 1931, pp. 104-105. 76 Sveta Milutinović, Poslednji branioci Beograda, in Agonija…, cit. p. 150. 77 Ivi, p. 114.
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martoriati. Sotto i nostri occhi infiammati scendono lunghe occhiaie scure.78
In città i morti vennero seppellitti nei giardini, poiché era troppo pericoloso trasportarli ai cimiteri, anch’essi colpiti ripetutamente dal fuoco nemico.79 E tutti i medici disponibili non ebbero soste nel loro lavoro: come il dottor Ryan, della Croce rossa americana, che fu visto correre da una parte all’altra della città in automobile per soccorrere i civili feriti e portarli all’ospedale.80
Proprio civili pare diventarono l’obiettivo degli aerei e delle imbarcazioni sul Danubio, quando in più occasioni diressero le loro bombe sugli edifici già in fiamme dove molti erano accorsi per spegnere gli incendi e sulle strade in cui la notte si riversavano colonne di profughi diretti fuori città.81 Dopo tre giorni di bombardamenti intensi le truppe austro-tedesche entrarono a Belgrado da tre punti diversi.
Tra il 25 settembre/8 ottobre e il 27 settembre/10 ottobre la città divenne luogo di una battaglia condotta strada per strada,82 a cui partecipò attivamente anche la popolazione civile, non solo aiutando i soldati ma alzando barricate e imbracciando loro stessi le armi.83 Civili e soldati si diressero alla rinfusa verso sud, presi nella morsa della disperazione. Una giovane belgradese, Mara Radenković, annotò nel suo diario:
Sulle nostre teste si rompe tutto. Sulla nostra casa sono già cadute tre granate. A fianco a me si sono rotti i vetri delle finestre. Abbiamo deciso di andare oltre piazza Slavija, ma aspettiamo che la battaglia si calmi: per strada si sentono fischiare i proiettili […] disperata, piena di dolore mi metto il cappotto e dopo aver gridato agli altri di seguirmi corro di sopra e chiedo al nonno le chiavi del portone. Lui ne me la vuole dare e mi dice che è tardi per fuggire, che dobbiamo restare perché se partiamo moriremo […]. Faccio per sfondare il portone e in quel momento lui mi getta le chiavi. Afferrandola come una bestia afferra la sua preda trascino la nonna e Joca e dopo aver aperto il portone, con l’aiuto di Dio, andiamo via insieme all’esercito. Una pioggia di proiettili ci cade addosso […] ci sono feriti ovunque […] un ferito sta esalando l’ultimo respiro, un altro viene bendato ecc. Piena di egoismo ma
78 Slavka Mihajlović, op. cit., pp. 120-121. 79 Bogosav Vojnović-Pelikan, Agonija Beograda 1915. godine, in Agonija..., cit., pp. 187-188 e pp. 201-202; Đoka B. Nestorović, Herojski pad Beograda, in Agonija..., cit., pp. 475-477. 80 Đoka B. Nestorović, op. cit., p. 480. 81 Bogosav Vojnović-Pelikan, op. cit., p. 191-193; e p. 229. 82 Mihajlo Živković (comandante della difesa di Belgrado nel 1915), Odbrana i pad Beograda, in Agonija…, cit., p. 78. 83 Živko Kezić, op. cit., p. 118; Bogosav Vojnović-Pelikan, op. cit., p. 201; Slavka Mihajlović, op. cit., pp. 122-123.
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anche di dolore per non cadere nelle mani del nemico continuo a scappare senza neanche avvicinarmi per aiutare questi poveracci, per cui in ogni altro momento mi sacrificherei e a cui voglio un bene immenso perché sono figli della Patria e per lei cadono […] Siamo arrivati a Čubura. La gente fugge portando con sé dei fagotti. Anche io volevo andare con loro, però mia nonna mi ha detto che non poteva andare avanti e che dovevamo restare lì […] Ho pregato le gente sui carri che si dirigevano verso Torlak di prendere almeno mia nonna e mio fratello, io avrei continuato a piedi. Ma invano. Nessuno ha ascoltato le mie preghiere. Visto che non potevo fare niente sono entrata nella casa di una mia amica seguendo la nonna. Piangendo l’ho pregata in continuazione di raccogliere le forze per poter continuare a fuggire insieme. Ma lei era molto stanca e non ha potuto proseguire.84
Mentre la popolazione era in fuga e l’esercito in ritirata, i primi contingenti tedeschi e austriaci entrati in città si abbandonarono al saccheggio indiscriminato, arrestando tra l’altro numerosi civili.85 Tre quarti della popolazione fuggì dalla città, concentrandosi in veri e propri campi a cielo aperto nei pressi delle stazioni ferroviarie di periferia, in attesa di un treno che li portasse al sicuro.86 Affamati e senza niente, si ritovarono ancora una volta in condizioni disperate, mentre il nemico conituava verso di loro la sua avanzata.
Stessa sorte di Belgrado ebbero le altre città lungo il Danubio verso cui era concentrata l’offensiva austro-tedesca: da Obrenovac, a ovest della capitale, fino a Veliko Gradište, al confine con la Romania, dove il bombardamento causò molti danni.87 Smederevo fu particolarmente colpita dall’artiglieria tedesca: molte case vennero rase al suolo, soprattutto nella zona centrale della città.88
Come da Belgrado anche da queste città masse di civili fuggirono disperatamente verso sud, si durante i bombardamenti che al seguito dell’esercito, schiacciato dalla forza nemica.
Il crollo definitivo era questa volta imminente; e l’intero apparato statale andava al più presto sgomberato per evitare la scomparsa dello Stato serbo oltre che sul piano geografico anche su quello politico. Di fronte all’ormai certa conquista da parte del nemico, si poneva anche la questione della popolazione civile che sarebbe rimasta nelle zone occupate, e di quale fosse il modo mi-
84 Archivio storico di Belgrado (d’ora in poi: IAB), zarh, k. 9, lični fond Živana Petrovića, 3; dnevnik Mare Radenković, pp. 3-5. 85 Milan Đoković, Deca pod okupacijom, in Beograd u sećanjima, 1900-1918, Srpska književna zadruga, Beograd, 1977, p. 213; Živko Kezić, op. cit., pp. 134-135. 86 Bogosav Vojnović-Pelikan, op. cit., p. 205 e p. 238. 87 Arhiv Jugoslavije (AJ), Ministero della Giustizia - 63(63), 27-12-25, doc. 15526, da presidente tribunale Veliko Gradište a Ministero della Giustizia, 22 agosto 1923. 88 Boža Nikolajević, Pod Nemcima, Prosveta, Beograd 1923, p. 33.
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gliore per evitarle sofferenze, viste le esperienze passate. Per questo il governo serbo il 1/14 ottobre 1915 aveva già preparato una serie di direttive sulla probabile evacuazione generale. «Di fronte agli inevitabili cambiamenti che le operazioni belliche impongono, per proteggere nel miglior modo possibile le vite dei non combattenti: uomini, donne e bambini e per salvaguardare le case e i beni» si era infatti deciso che il male minore per la popolazione fosse rimanere dove si trovava (ad eccezione di quei luoghi al centro delle operazioni belliche), e si era ordinato che le autorità comunali dovessero rimanere al loro posto per garantire l’ordine: una volta giunto il nemico avrebbero dovuto continuare il proprio lavoro «affinché la popolazione accetti pacificamente il suo destino». Secondo le direttive del 1/14 ottobre anche i membri del clero sarebbero dovuti rimanere al proprio posto, mentre la gente avrebbe dovuto continuare a svolgere il proprio lavoro pacificamente, senza offrire al nemico motivi di provocazione.
Allo stesso tempo era però prevista un’evacuazione dei vertici dello Stato; la Banca nazionale avrebbe infatti dovuto trasportare i suoi beni finanziari il prima possibile a Bitola, mentre i funzionari statali, se non chiamati a ritirarsi, avrebbero potuto scegliere dove rimanere. Il parlamento avrebbe poi dovuto seguire il governo,89 ovunque si fosse spostato.
A metà ottobre, a causa della situazione sul fronte orientale in Macedonia, il generale Popović ordinò ai comandanti delle divisioni sotto il suo comando di organizzare in accordo con la polizia l’evacuazione del denaro statale, dei buoni del tesoro, dei preziosi, degli archivi e in generale di tutto ciò che avesse un valore. L’evacuzione andava preparata con razionalità e senza che la popolazione se ne accorgesse, al fine di evitare il panico; per il momento il piano doveva prevedere un’evacuazione «verso ovest»,90 sempre in direzione di Bitola. Il rapido peggioramento anche della situazione sul fronte settentrionale spinse nello stesso periodo il governo Pašić a ordinare anche ai funzionari statali delle più importanti istituzioni di raggiungere la città di Bitola,91 che ormai era stata scelta come destinazione finale della ritirata generale. Il piano del governo e del Comando supremo prevedeva come ultima misura anche il ritiro generale nelle zone meridionali del paese per non perdere il contatto con la Grecia e le truppe alleate di stanza a Salonicco; restavano comunque ancora
89 VA, p. 7, k. 65, f. 1, 7/2, istruzioni del governo serbo in caso di evacuazione, 1/14 ottobre 1915, inviate il 5/18 ottobre dal Ministero della Guerra al comando truppe «Nove oblasti». 90 VA, p. 7, k. 65, f. 1, 7/1, br. 9314, da comandante truppe «Nove Oblasti» a comandi territoriali Bregalnica, Bitola, Vardar, Kosovo, Ibar; unità Kriva Palanka e truppe d’Albania, 2/15 ottobre 1915. 91 Dušica Bojić, Srpske izbeglice u Prvom svetskom ratu (1914-1921), Zavod za udžbenike, Beograd, 2007, p. 98.
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vive le speranze e le voci di un imminente arrivo di contingenti francesi e inglesi in aiuto dell’esercito serbo impegnato a trattenere l’avanzata austro-tedesca a nord e bulgara a est, tanto che le autorità locali a Niš, Leskovac e in altre città avevano organizzato dei comitati d’accoglienza e avevano già addobbato le strade a festa. E tuttavia non arrivò nessuno:92 le urgenti richieste d’aiuto inviate in quei giorni quotidianamente ai governi alleati ricevettero sempre risposte negative.93
In treno, diversi funzionari statali insieme alle loro famiglie riuscirono a raggiungere la Grecia trasportando i beni e i valori di di alcune tra le più importanti società statali94 (la destinazione finale era sempre Bitola), mentre numerosi deputati avevano raggiunto con i familiari il porto di Salonicco allontandosi in direzione opposta al governo e al Comando supremo. (Non vi rimasero a lungo, poiché nonostante il parere inizialmente contrario degli alleati molti di loro si spostarono già a dicembre a Roma e in Francia95). Eccezione fecero alcuni socialdemocratici, che su decisione del comitato direttivo del partito rimasero nella città di Jagodina senza abbandonare la popolazione.96
Il governo e l’esercito dovevano essere gli ultimi a dirigersi verso sud, ma il piano fu bloccato dall’avanzata bulgara: già il 16/29 ottobre infatti le truppe di Sofia avevano occupato la città di Vranje e con essa la linea ferroviaria Niš-Salonicco. Per questo motivo due giorni dopo Pašić ordinò quindi a tutti coloro in procinto di partire per Bitola –ai restanti funzionari, soprattutto- di far ritorno verso la Serbia centrale;97 lo stesso giorno il governo si trasferì a Kruševac e Trstenik, mentre il corpo diplomatico e le missioni straniere furono dirette a Kraljevo e Čačak. Il 19 ottobre/1 novembre tutti, compreso il Comando supremo, si concentrarono nella città di Kraljevo.
Insieme ai vertici dello Stato e dell’esercito, moltissimi civili abbando-
92 Durante l’offensiva degli Imperi centrali del 1915 il govero serbo richiese più volte l’aiuto degli alleati, rimanendo però inascoltato. Sul perché delle decisione degli alleati di non intervenire nel fronte balcanico si veda: Petar Opačić, op. cit. Nella decisione definitiva ebbe certamente un ruolo decisivo il nuovo fallimento della spedizione nei Dardanelli dell’agosto prcedente. 93 Petar Opačić, op. cit., p. 126. 94 AS, MID-PO, 1915, XXX/409, da presidente Pašić a console serbo ad Atene, 3/16 ottobre 1915; in questione sono la Lotteria di Stato (Državna lutrija), la Società di navigazione (Brodarsko društvo), la Società per il macello del bestiame (Društvo za klanje i preradu stoke) e alcuni istituti finanziari minori. 95 AS, MID-PO, 1915, XXX/420, br. 5824, da console serbo a Roma Ristić a presidente Pašić, 8/21 dicembre 1915. Nel telegramma si comunica che a Roma si trovano già 11 deputati e che presto ne arriveranno altri da Salonicco; e XXX/423, da Ministero degli Interni a Ministero degli Esteri, 21 dicembre 1915/3 gennaio 1916. Lista deputati serbi a Salonicco (76 persone) e relative famiglie (in tutto 221 persone) in partenza per la Francia. 96 Dragiša Lapčević, Okupacija, Štamparija Tucović, Beograd, 1926, p. 27. 97 Dušica Bojić, op.cit., p. 98.
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narono le proprie case e ne seguirono le tracce. Tra loro vi erano molti provenienti dalle città bombardate lungo il fronte, soprattutto da Belgrado, ma anche molti altri che si erano messi in fuga anche se lontani dai luoghi di battaglia. Tra la popolazione della Serbia nord-occidentale ancora una volta riemersero i ricordi dei crimini del 1914, mentre dalle zone orientali del paese molte città si svuotarono quando si paventò un ingresso dei bulgari, delle stesse truppe che nel 1913 avevano distrutto la città di Knjaževac. A un anno di distanza dalle fughe di massa dai territori nord-occidentali del regno, per le strade della Serbia si rivedevano infatti le stesse tragiche scene di fiumi di civili in fuga verso sud. E ancora una volta i profughi che avevano inondato le strade erano diventati un ulteriore problema per i continui spostamenti dell’esercito. In alcune zone infatti le masse di profughi che portavano con sé beni e bestiame impedivano di fatto il movimento delle truppe, rischiando di provocare una situazione con «conseguenze fatali» (proprio come l’anno precedente). Il 13/26 ottobre il generale Jurišić-Šturm, comandante della III Armata, ordinò al sottoprefetto del distretto della Morava di far intervenire le forze di polizia per inviare i profughi nei paesi e e per far spazio alle colonne salmerie,98 mentre allo stesso tempo si rivolse al Comando supremo perché intervenisse e bloccasse i profughi ammassati nelle città di Ćuprija e Paraćin (lungo la principale via di ritirata dell’esercito e dei civili) rimandanoli alle proprie case dopo aver requisito loro il bestiame.99
Lungo la principale direttiva della ritirata da nord, nella città di Jagodina, i profughi arrivavano giorno e notte senza sosta in treno, sui carri e a piedi. Molti non avevano nemmeno un pezzo di pane da mangiare, e i più poveri erano senza scarpe e con pochi vestiti. I locali erano affollati di persone che cercavano un po’ di ristoro, ma le loro soste non duravano a lungo perché il nemico avanzava velocemente.100 Le stesse scene si ripetevano in tutte le città e i paesi della Serbia centrale.
Come per il governo, il Comando supremo e le missioni straniere, il 19 ottobre/1 novembre Kraljevo divenne anche il rifugio per circa 100.000 civili in fuga dal fronte settentrionale e da quello orientale.101 Lì Henry Barby ebbe modo di osservare:
98 VA, p. 4/3, k. 10, f. 4, 12/1, o. br. 7914, da generale Jurišić-Šturm a sottoprefetto distretto Morava, 13/26 ottobre 1915. 99 VA, p. 4/3, k. 10, f. 4, 12/1, o. br. 7914, da generale Jurišić-Šturm a Comando supremo, 13/26 ottobre 1915. 100 Dragiša Lapčević, op. cit., p. 32. 101 Henry Barby, L’Épopée Serbe. L’agonie d’un peuple, Librairie militaire Berger-Levrault, Paris-Nancy, 1916, p. 30.
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Avevo già vissuto dei momenti molto dolorosi in quegli sfortunati paesi, durante la prima fase della guerra, ma niente si avvicinava agli spettacolo d’orrore e di spavento, di disperazione e di morte a cui stavo per assistere. In tutte le strade si accalcavano processioni da incubo: sventurati contusi, intorpiditi, affamati, erranti senza un focolare, un rifugio o dei viveri, sotto la pioggia, nel fango, dove i più vecchi e i più deboli si abbattevano per non rialzarsi più.102
Kraljevo fu però presto raggiunta dalle truppe nemiche, e in pochi giorni fu abbandonata da tutti. Prese allora forma una colonna composta da decine di migliaia di profughi, di soldati, di memberi del governo, ma anche di stranieri, di prigionieri nemici, di bestiame e materiale di ogni tipo; questa colonna si diresse verso la città di Raška, nel Sangiaccato, dove però potè fermarsi solo pochi giorni. L’avanzata nemica non dava tregua, e la tappa successiva fu Kosovska Mitrovica.
Anche qui la sosta durò pochi giorni, poiché le truppe bulgare erano riuscite ad avanzare quasi fino alla città. La mattina del 3/16 novembre la colonna ripartì in direzione di Prizren, all’estremo sud del Kosovo. L’angoscia e la paura spinsero allora circa 10.000 profughi ad ammassarsi presso la stazione ferroviaria per tentare di salire su qualche treno;103 ma l’ultimo, partito carico dei bagagli e degli archivi del Comando supremo, fu il simbolo della tragedia che i profughi stavano vivendo. Molti morirono nel disperato tentativo di salirvi.104
Alla colonna proveniente da Kosovska Mitrovica se ne aggiunse un’altra proveniente da est, da altre decine di migliaia di civili in fuga dai bulgari. A Priština, Branislav Nušić, famoso scrittore serbo, osservò:
Non era una semplice massa di profughi che si spostava verso il Kosovo, era uno spostamento continuo, era nel vero senso della parola la migrazione di un popolo. Quando i primi carri di questo flusso arrivarono nelle vie di Priština, gli ultimi non erano ancora usciti dalla città di Prokuplje. Tra le due città c’era una colonna senza fine di carri che viaggiavano tre giorni e tre notti senza sosta.105
102 Ivi, p. 19. 103 Ivi, p. 56. 104 L.L. Tomson, Časovi iskušenja, in Silvija Ćurić – Vidosav Stevanović, op. cit., p. 580. 105 Branislav Nušić, Devetstopetnaesta, Prosveta, Beograd, 1978, p. 151.
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Mentre a Štimlje, sulla via per Prizren,
Pian piano la colonna che ha intasato la strada si mette in movimento. Una madre sfortunata, che porta sulle proprie spalle il peso più caro, il suo bambino, stremata, pallida, cerulea in volto; un ferito, che non ancora guarito si è alzato dal letto ed è partito avvolto in una coperta d’ospedale; un padre che porta dei bagagli sulle spalle e una madre che tiene per mano i figli esausti; un prigionierio infreddolito, con l’uniforme strappata, affamato, che quasi impazzito si guarda intorno mentre segue la folla; marinai russi e infermieri francesi, bambini senza genitori, senza vestiti caldi, senza protezione […]106
Stremati da lunghe marce senza cibo e senza vestiti, lungo il percorso verso l’ultima destinazione possibile in territorio serbo molti profughi rimasero vittime del freddo e della fame. Corpi senza vita di anziani, donne e bambini rimanevano ai bordi delle strade insieme ai cavalli e ai buoi morti per la fatica, senza sepoltura. Queste immagini rimasero impresse nella mente di chiunque passasse: «All’improvviso sono inciampato in un ostacolo: era il cadavere di un vecchio. L’abbiamo spostato ai bordi della strada e l’abbiamo abbandonato lì. Ecco una donna stesa sul solco lasciato da un camion impantanato; stringe al suo petto un bambino di due anni, tutto irrigidito. Lui morto, lei pure, di freddo e di fame».107
Prizren fu per la maggior parte dei profughi l’ultima tappa. Molti di loro infatti, stremati dalla fatica, dal freddo e dalla fame, di fronte alla possibilità di oltrepassare le impervie montagne albanesi, scelsero di tornare indietro.108
Contemporaneamente alla fuga generale verso sud, numerosi abitanti delle zone di confine si rifugiarono nei territori rumeni, montenegrini e soprattutto greci. Dalle zone lungo il piccolo confine con la Romania alcune migliaia di persone oltrepassarono infatti il Danubio trovando rifugio nelle città di Turnu Severin e Gruia,109 mentre nel sud-ovest del paese molti altri fuggirono dalla regione della Raška in Montenegro. Molto più numerosi furono coloro che dalle zone in Macedonia lungo il confine con la Grecia si riversarono a Salonicco, in particolare dopo l’attacco a Bitola.
A fine novembre il governo Pašić stimò che in Romania si trovavano circa 6.000 profughi, così come altri 6.000 erano in Montenegro, e che in Grecia
106 Ivi, p. 223. 107 Henry Barby, L’Épopée.., cit., p. 59. 108 Ivi, p. 76; Andrej Mitrović, Srbija u Prvom…, cit., p. 216; Bogdan Gledović (a cura di), Prvi svetski rat: Srbija i Crna Gora, Obod, Cetinje, 1975, p. 226. 109 AS, MID-PO, 1915, XXVIII/610, br. 967, da console a Bucarest Brkić a Ministero degli Esteri, 25 ottobre/7 novembre 1915.
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il loro numero toccasse la cifra (probabilmente esagerata) di 30.000.110 Altri 12.000 circa si erano diretti verso Debar,111 al confine con l’Albania, da dove le autorità locali chiesero un aiuto urgente per bloccare o regolare il flusso di profughi perché lì rischiavano di «morire di fame».112
Vennero lanciati degli appelli alle potenze alleate per organizzare la sistemazione e il sostentamento soprattutto dei profughi in Grecia; questa volta non furono solo le autorità serbe a farlo, ma anche quelle greche.113 Ancora una volta, come già in molte altre occasioni, intervennero alcune singole personalità come Mabel Grujić, che intervenne di persona presso esponenti del governo britannico per l’aiuto ai molti profughi rifugiatisi a Salonicco e dintorni.114
Ai primi di dicembre, dopo circa un mese e mezzo dall’inizio dell’offensiva nemica, ogni speranza di evitare la capitolazione era venuta ormai meno. L’ultimo tentativo per evitare l’occupazione dell’intero paese era stato fatto l’11/24 novembre, quando le truppe serbe tentarono di aprirsi una strada verso Skopje, occupata alcuni giorni prima dai bulgari; lo stesso giorno però il comando alleato aveva ordinato ai contingenti francesi, con i quali l’esercito serbo sperava ancora di congiungersi, di ritirarsi da Veles e di rientrare a Salonicco.115
A quel punto, venuta meno la possibilità di un proseguimento verso sud a causa delle manovre messe in atto dall’esercito bulgaro e dal mancato collegamento con le truppe alleate, il 25 novembre/8 dicembre il Comando supremo diede ordine all’esercito di ritirarsi seguendo tre direzioni diverse attraverso le aspre montagne montenegrine e albanesi fino alle sponde del mar Adriatico.
110 AS, MID-PO, 1915, XXVIII/624, br. 2019, da presidente Pašić a console serbo a Parigi Vesnić, 15/28 novembre 1915. 111 AS, MID-PO, 1915, XXVIII/senza numero, nota del presidente Pašić, 30 ottobre/12 novembre 1915. 112 VA, p. 3, k. 67, f. 6, 8/43, br. 1690, telegramma da comandante truppe d’Albania a Comando supremo, 13/26 novembre 1915. 113 AS, MID-PO, 1915, XXVIII/607, br. 63, da Ministero degli Esteri a presidente Pašić, 21 ottobre/3 novembre 1915; e XXVIII/605, br. 1560, da console serbo ad Atene Balugdžić a Ministero degli Esteri, 9/22 novembre 1915. 114 AS, MID-PO, 1915, XXX/204, da console serbo Salonicco a Ministero degli Esteri, 28 novembre/11 dicembre 1915. 115 Andrej Mitrović, Srbija u Prvom…, cit., p. 214.
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