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Il rientro degli internati
Il rientro degli internati
Al momento della sigla dell’armistizio, uno dei problemi principali che si pose sia agli eserciti dell’Intesa che a quello bulgaro fu la questione dei prigionieri di guerra e degli internati civili serbi, greci e rumeni presenti nei numerosi campi sparsi per il paese. Una delle clausole firmate il 13/29 settembre prevedeva infatti il loro rilascio immediato, ma nulla era stato intrapreso per organizzare un loro soccorso e il loro rientro.
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Nel momento in cui le autorità francesi dell’Armata orientale, guidate dal generale d’Esperey, fecero il loro ingresso a Sofia, nessuno sapeva con precisione quante persone si trovassero nei campi e soprattutto non si sapeva quali fossero le loro condizioni. Durante la guerra infatti le autorità bulgare, compresa la Croce rossa, si erano sempre rifiutate di fornire i dati sul numero dei prigionieri e soprattutto degli internati, sui luoghi di prigionia, sulle loro condizioni e sulla mortalità, perseverando, nel caso dei civili, nella politica che considerava la Morava e la Macedonia come delle zone liberate e dunque i loro abitanti come dei naturali sudditi bulgari, non come civili di un paese invaso e conquistato. Nonostante ciò erano filtrate alcune notizie.
L’«Echo de Bulgarie» il 1/14 maggio 1917 pubblicò per la prima volta i dati sul numero di prigionieri. Secondo le stime ufficiali, in Bulgaria vi erano 31.492 soldati e sottoufficiali e 187 ufficiali, in Austria-Ungheria 96.668 e 709 ufficiali, in Germania 25.879 e apparentemente nessun ufficiale. Nessun accenno venne fatto in merito ai civili, né a quella particolare categoria delle reclute-lavoratori; in questione infatti erano solo gli appartenenti dell’esercito serbo fatti prigionieri dall’inizio della guerra.
Circa un anno dopo però, il 1/14 febbraio 1918, la Croce rossa austriaca diffuse dei dati diversi: in totale, i prigionieri di guerra serbi erano 21.000 in Bulgaria, 93.473 in Austria-Ungheria e 33.615 in Germania;117 infine, dopo vari solleciti da parte delle autorità olandesi che si erano tra l’altro lamentate del fatto che i bulgari rimandavano la consegna dei dati,118 il 27 agosto/9 settembre, la Croce rossa bulgara comunicò ufficialmente che in Bulgaria si trovavano 19.450 prigionieri di guerra serbi, mentre i civili erano in tutto 14.324.119
117 AJ, 336-62-7764, relazione console serbo a Praga Vučković sul numero dei prigionieri e degli internati serbi in Austria-Ungheria, Germania e Bulgaria, senza data, p. 4 e p. 8. 118 AS, MID-PO, 1918, III/568, da Le Haye a Ministero esteri serbo, 24 agosto/6 settembre 1918. 119 AJ, 336-62-7764, relazione console serbo a Praga Vučković sul numero dei prigionieri e degli internati serbi in Austria-Ungheria, Germania e Bulgaria, senza data, p. 4 e p. 8. L’autore aggiunge che secondo i dati in possesso dal governo serbo però in alcuni campi in Austria la mortalità era altissima e aveva causato ad Aschau 8.000 morti, a Mathausen 9.000, Nadjmedjer
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In realtà la situazione era molto diversa. Già ai primi di ottobre il colonnello francese Trusson, in qualità di rappresentante del comandante dell’Armata d’Oriente, ordinò la formazione di una commissione per verificare lo stato dei prigionieri e degli internati in alcuni campi e il trattamento loro riservato.120 Immediatamente Trusson ordinò al rappresentante serbo della commissione, il capitano Jevtić, l’evacuazione dei prigionieri e degli internati serbi in treno fino a Caribrod (Dimitrovgrad). Jevtić si mise subito all’opera, facendo partire il primo convoglio già il 4/17 ottobre ed organizzandone quotidianamente altri per un totale di circa 1.000 persone al giorno.121
Poco dopo il colonnello Tucaković, nominato a metà ottobre come rappresentante ufficiale serbo presso il comando delle truppe d’occupazione dell’Intesa a Sofia, si trovò di fronte ad una situazione la cui drammaticità non poteva essere intuita. Secondo i primi dati ricevuti dal comando alleato, in Bulgaria vi erano 152 ufficiali e 20.246 soldati prigionieri e 35.754 internati civili.122
Decine di migliaia di persone, molte delle quali in condizioni di debilitazione estrema, affamati, ammalati e senza vestiti si riversarono in maniera disorganizzata nelle strade della Bulgaria, dirigendosi alla rinfusa verso le città principali o mettendosi in cammino direttamente verso la Serbia. I campi erano stati letteralmente aperti: dopo mesi e anni di detenzione, civili e militari potevano finalmente oltrepassare le recinzioni di filo spinato, anche se ciò non significava che le loro sofferenze erano terminate. La difficoltà maggiore stava ancora una volta nel reperimento di generi alimentari:
[…] Per quanto riguarda i magazzini bulgari di vestiti, calzature, coperte e altro, non si può fare niente per i nostri prigionieri perché i magazzini sono vuoti, mi ha detto il colonnello Trusson. Fino ad ora sono state distribuite circa 1.000 coperte prese alla Croce rossa bulgara soprattutto alle donne e ai bambini che vengono trasportati […]. Per quanto riguarda la possibilità di rifornire il nostro esercito operativo di risorse bulgare attraverso Niš e Pirot, la cosa non è nemmeno immaginabile. I tedeschi hanno letteralmente esaurito la Bulgaria. A Sofia la popolazione
4.500, Boldogasonj 7.000, Braunau 2.000, Hajnsrisgrad 2.500, Gredig 4.500. Inoltre erano morti molti dei 30.000 prigionieri costretti ai lavori forzati sul fronte italiano in condizioni drammatiche. 120 AS, MID-PO, 1918, III/514 e 515, pov. br. 14133, da Ministero della Guerra a Ministero degli Esteri, 15/28 ottobre 1918. Della commissione facevano parte Trusson stesso, il capitano francese Longéron, il tenente-colonnello inglese Futlon e soprattutto il capitano serbo Jevtić, appena liberato dalla prigionia, e il dottor Ivanov, segretario del Ministero della Guerra bulgaro e capo della sezione per i prigionieri di guerra in Bulgaria 121 Ibidem. 122 VA, p. 3, k. 120, f. 5, 7/6, pov. br. 348, telegramma da maggiore Marinković a Comando supremo, 7/20 ottobre 1918.
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non ha nemmeno del pane. I prezzi sono altissimi. L’ambasciatore americano a cui mi sono rivolto per un aiuto urgente riguardo a determinati generi come tè, zucchero, sapone e altro mi ha detto che tè e caffè non si trovano da nessuna parte. Un chilo di zucchero costa 30 lev, come pure un normalissimo sapone per lavarsi […].123
Mentre a Plovdiv,
[…] Ogni giorno per le strade della città si vedono soldati e civili serbi, che solo in questi ultimi giorni hanno ricevuto delle uniformi francesi, mendicare del pane per sopravvivere finché finalmente liberi non arrivi il momento del rientro in patria. Ogni giorno alcuni di loro muoiono senza alcun aiuto medico, soprattutto per la fame e per la debilitazione […].124
Ulteriori difficoltà provenivano dall’opposizione delle autorità bulgare, che a volte si trasformava in nuovi massacri pur di non far trapelare la reale dimensione dell’internamento.
Già il capitano Jevtić aveva segnalato che i bulgari facevano di tutto per ostacolare il rientro dei prigionieri e degli internati, sostenendo che non vi erano treni a sufficienza, motivo per cui molti si erano diretti di propria spontanea volontà a piedi verso la Serbia. Inoltre, le autorità bulgare tentavano ripetutamente di impedire le visite della commissione voluta da Trusson nei campi, soprattutto per non far vedere a francesi e inglesi le donne, i bambini, i vecchi, gli invalidi che si trovavano in gran numero nei campi e le loro drammatiche condizioni.125 Affamati e ammalati, con vestiti laceri e senza biancheria, scalzi, sporchi, tra loro vi erano anche molti menomati dal freddo, senza dita delle mani e dei piedi e altri resi ciechi o mutilati a causa del lavoro nelle miniere.126
Notizie molto più allarmanti provenivano dai campi stessi.
Quando venne firmata la tregua, il 29 settembre/12 ottobre 1918, nel campo di Sliven scoppiò una sorta di rivolta. Lo stato era confusionale, e i bulgari per tentare di calmare la situazione dissero ai prigionieri che il campo era stato affidato ad un tenente colonnello serbo. Per questo motivo alcuni uscirono, mentre altri accettarono le offerte di guardie che per soldi li avrebbero fatti
123 Ibidem. 124 AJ, MIP-DU, 334-22, testimonianza di Dragoljub Antonović, 12/25 ottobre 1918. 125 AS, MID-PO, 1918, III/514 e 515, pov. br. 14133, da Ministero della Guerra a Ministero degli Esteri, 15/28 ottobre 1918. 126 AJ, MIP-PO, 334-8-52, br. 131, relazione colonnello Tucaković, 31 ottobre/13 novembre 1918. Pubblicato parzialmente, insieme ad altre relazioni e comunicati del colonnello Tucaković, in Isidor Đuković, Izveštavanje delegata srpske Vrhovne komande iz Bugarske (oktobar – decembar 1918), in Vojno-istorijski glasnik, 1-2/2002, pp. 69-89.
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passare oltre la recinzione. Il comandante però, che aveva fatto diffondere la voce falsa sulla consegna del campo ai serbi, organizzò un gruppo di guardie con il compito di uccidere chi usciva fuori.127
Secondo altre informazioni, massacri venivano compiuti anche lungo il confine, come tra i villaggi di Božnica e Trno dove i bulgari uccidevano quotidianamente i prigionieri e i civili internati che tornavano dalla Bulgaria.128 Un ufficiale serbo riportò:
In questi giorni i bulgari hanno ucciso tutti i nostri prigionieri e le persone che erano internate in Bulgaria. I bulgari commettono questi omicidi ogni giorno tra i villaggi di Božica e Prosa, sulla strada che percorrono tornando dalla Bulgaria. Le uccisioni sono in costante aumento.129
Per questo motivo Il 6/19 ottobre il governo serbo intervenne per chiedere alle autorità bulgare l’immediata cessazione di qualsiasi uccisione nei confronti degli internati che da soli tornavano in Serbia.130
Nel suo primo comunicato al Comando supremo serbo, il 14/27 ottobre, Tucaković, vedendo a Sofia masse di ex internati ed ex prigionieri, scrisse che bisognava organizzare il trasporto e l’accoglienza di tutte queste persone a Pirot, e che intanto si doveva urgentemente provvedere all’invio di cibo, vestiti, scarpe perché molti erano scalzi (almeno 10.000 paia per iniziare a Sofia, aggiunse).131 Viste le drammatiche condizioni Tucaković decise di recarsi personalmente anche in altri luoghi dove era stata segnalata l’esistenza di campi per prendere al più presto le misure necessarie alla sopravvivenza e al rientro di quelle persone. Due giorni dopo si recò quindi in due campi, dove le terribili condizioni delle persone gli fecero chiedere di aumentare al più presto la capacità d’accoglienza a Pirot, in modo da poter assistere anche 5.000 ex prigionieri e internati al giorno. Fino a quel momento, aggiunse, in Serbia ne erano stati trasportati 10.900.132
127 Relazione di Mihailo Jovanović, maestro di Vlaoce (distretto Homolje), 15 nov. 1918, pubblicata in Slađana Bojković-Miloje Pršić, Stradanje...., cit., p. 325, (originale in AS, Fond bugarskih..., k. 2). 128 VA, p. 4/1, k. 43, f. 3, 35/16, telegramma da comandante stazione Vladičin Han a comandante I Armata, 3/16 ottobre 1918. 129 AJ, 336-46-7113, o. br. 18892, Comando I Armata, 4/17 ottobre 1918. 130 AS, MID-PO, 1918, III/513, n. 555/1, urgente, da generale D’Eperey a colonnello Trusson, 6/19 ottobre 1918. 131 VA, p. 3, k. 113, f. 8, 6/4, telegramma da colonnello Tucaković a Comando supremo, 14/27 ottobre 1918. 132 VA, p. 3, k. 113, f. 8, da colonnello Jovanović a Comando supremo (inoltra il telegramma decifrato di Tucaković), 19 ottobre/1 novembre 1918.
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Per organizzare al meglio il loro rientro, il 16/29 ottobre il Ministero degli Interni serbo ordinò di indirizzare gli internati e i prigionieri in luoghi prestabiliti. A Pirot tutti quelli che provenivano dalla Trinska dolina, a Salonicco quelli da Ruplo, mentre quelli originari di Vranje, Zaječar e Negotin potevano essere indirizzati direttamente nelle loro città. Tutto questo veniva posto nelle mani delle autorità militari, che dovevano occuparsi anche, del cibo, della disinfezione, delle cure ecc. e sotto la cui responsabilità venivano posti dunque anche i civili.133
Tucaković però fece capire che tale suddivisione non poteva essere sempre rispettata a causa della condizione dei prigionieri e degli internati che spesso non erano nemmeno in grado di raggiungere i luoghi stabiliti. Il 20 ottobre/2 novembre segnalò infatti che molti di coloro che ritornavano erano ammalati, soprattutto di tubercolosi e di infiammazioni renali, ed erano allo stremo delle forze, suggerendo di ricoverarli in ospedali prima di mandarli a casa, prestando loro tutte le cure necessarie.134
Per questo motivo si stabilì che una volta concentratisi a Sofia, i sani venissero inviati a Pirot, dove pure erano stati organizzati degli ospedali e delle stazioni di «primo aiuto», mentre gli ammalati dovessero essere trasportati a Salonicco con appositi treni sanitari.135
Ciò non significava che quelli destinati a Pirot fossero in buone condizioni: la differenza tra sani e ammalati era infatti più un eufemismo per indicare coloro in grado di continuare il percorso e coloro i quali senza un aiuto urgente sarebbero probabilmente morti. Il 21 ottobre/3 novembre il comandante della Divisione «Morava», di stanza a Pirot, informò il Comando supremo che quotidianamente passavano dalla città circa 700 persone. In media dalla Bulgaria ne venivano inviati 1.000, ma molti si recavano direttamente alle loro case. Data la possibilità di accoglierne anche di più, chiese che ne venissero inviati al giorno 2.000, sottolineando che molti di quelli che arrivavano erano comunque ammalati.136
Da Sofia il colonnello Tucakovic comunicò il 24 ottobre/6 novembre che, nonostante l’evacuazione dei prigionieri e degli internati avesse subito
133 VA, p. 3, k. 120, f. 5, 7/18, telegramma da Ministero della Guerra a Comando supremo, 16/29 ottobre 1918. 134 VA, p. 3, k. 120, f. 5, 7/23, telegramma da colonnello Jovanović a Comando supremo, 20 ottobre/2 novembre 1918. 135 VA, p. 3, k. 120, f. 5, 7/29, br. 218, telegramma da maggiore Stanković, capo della Commissione per l’accoglienza dei prigionieri, a Comando supremo, 24 ottobre/6 novembre 1918; e p. 3, k. 120, f. 5, 7/33, telegramma cifrato da colonnello Tucaković a Comando supremo, 24 ottobre/6 novembre 1918. 136 VA, p. 3, k. 120, f. 5, 7/24, da Comando Divisione «Morava» a Comando supremo, 21 ottobre/2 novembre 1918.
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dei rallentamenti, erano già stati evacuati in 22.000, senza contare i molti che tornavano in patria da soli. Il rientro dei restanti andava organizzato al più presto: il 30 ottobre/12 novembre il generale Chrétien si rivolse direttamente al Ministero della Guerra bulgaro per chiedere di intervenire urgentemente nei campi di Sliven e Haskovo dove i prigionieri e gli internati rimasti vivevano in condizioni deplorevoli e dove venivano registrate ogni giorno delle morti.137
Secondo i dati in possesso di Tucaković venne calcolato che l’evacuazione sarebbe terminata verso il 10/23 novembre;138 ma il 9/22 novembre l’evacuazione era ancora in corso al ritmo di 1.000 persone al giorno e non sembrava proprio potesse entro il giorno successivo. In totale a quella data gli evacuati, prigionieri e internati, erano 40.208, senza includere coloro che si trovavano nella Bulgaria nord-occidentale e i molti tornati da soli in Macedonia.139
Proprio qui, tra la fine di novembre e i primi di dicembre giungevano ancora, dopo lunghe marce, gruppi numerosi di ex internati. A tal proposito venne osservato:
[…] Tra gli internati colpisce il gran numero di donne e bambini. In un gruppo di 140 persone c’erano 30 bambini sotto i 10 anni […]. Nei campi in Bulgaria le famiglie non sempre venivano internate insieme, ma i bulgari obbligavano gli uomini a separarsi dalle donne, i genitori dai figli, i fratelli dalle sorelle […]. La maggior parte di coloro che rientrano sono in uno stato miserevole e stremati. Ogni giorno arrivano notizie di internati morti lungo il percorso verso le loro case […].140
Le sofferenze non avevano fine nemmeno quando finalmente ritornavano nelle proprie città e nei propri paesi: «[…] Molti, una volta arrivati a Skopje, sono morti nell’ospedale, mentre molti altri sono ricoverati in gravi condizioni».141
Secondo le prime analisi delle autorità serbe, nei campi in Bulgaria e nei giorni successivi alla sigla dell’armistizio morirono oltre 25.000 civili e circa
137 AS, MID-PO, 1918, III/573, da generale Chretien a Ministero della Guerra bulgaro, 30 ottobre/12 novembre 1918. 138 VA, p. 3, k. 120, f. 5, 7/33, telegramma cifrato da colonnello Tucaković a Comando supremo, 24 ottobre/6 novembre 1918. 139 VA p. 3, k. 113, f. 8, 6/19, telegramma da colonnello Jovanovic a Vrh. Komanda, 28 novembre 1918. 140 AS, MID-PO, 1918, III/786, numero illeggibile, da Ministero degli Interni a Ministero degli Esteri, 18/31 dicembre 1918. 141 AS, MID-PO, 1918, III/790, da Ministero degli Interni a Ministero degli Esteri, 12/25 dicembre 1918; e AJ, MIP-PO, 334-8-54, pov. br. 5931, da Ministero degli Interni a Presidenza del Consiglio, 19 dicembre 1918/1 gennaio 1919.
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16.000 militari.142
Altri dati fecero giungere più o meno alle stesse conclusioni. Dopo l’insurrezione in Toplica ai 55.000 prigionieri e internati se ne aggiunsero altri 60.000 circa, tutti civili, ma quando alla fine della guerra vennero fatti i conti, testimoniò un ex internato, «non ne abbiamo potuti notare che 53.000, mentre per i restanti 67.000, che 20.000 sono morti per delle ragioni diverse da quelle registrate; di 7.000 non abbiamo potuto ottenere informazioni. Ne consegue che i bulgari li hanno uccisi, eccetto una piccola parte che è riuscita a salvarsi».143
Altre fonti dissero che tra il 1917 e il 1918 a causa delle epidemie morirono soltanto nei campi di Sliven e Gornje Paničarevo circa 8.000 civili internati.144
Alla Conferenza di Pace la delegazione serba presentò un memorandum secondo cui i civili deportati in Bulgaria furono circa 130.000, dei quali 80.000 non fecero rientro alle proprie case.145
Tuttavia, il numero di coloro che persero la vita nei campi non fu effettivamente accertato.
Da un lato le autorità bulgare continuarono ad opporsi in ogni modo possibile alla verifica dei dati, mentre dall’altro il rientro degli internati durò ancora diverso tempo. Per molti di loro non si ebbero più notizie. Un anno dopo la sigla dell’armistizio e diversi mesi dopo l’inizio dei lavori della Conferenza di Pace a Parigi, il Ministero degli Interni serbo riceveva quasi quotidianamente richieste provenienti soprattutto dalla Macedonia in cui famiglie cercavano notizie dei propri cari prigionieri, internati o reclutati forzatamente dai bulgari durante la guerra. Tucaković, il cui lavoro a Sofia non era ancora terminato, fu costretto ad inoltrare le risposte delle autorità bulgare, sempre identiche nel contenuto: la persona cercata non era presente nei loro elenchi, o semplicemente non era stato possibile trovarla.146
142 AJ, 336-62-7764, relazione console serbo a Praga Vučković sul numero dei prigionieri e degli internati serbi in Austria-Ungheria, Germania e Bulgaria, senza data, p. 4 e pp. 8-9. Secondo i dati esposti, il numero totale dei prigionieri di guerra in Bulgaria era di circa 50.000, dei quali fecero ritorno in 32.000, e quello degli internati ammontava ad oltre 80.000, dei quali tornarono in poco più di 51.000, mentre in Austria erano morti 50.000 prigionieri di guerra su 97.000 totali e 20.000 civili su 50.000, in Germania 3.600 su 33.000 e 95 civili su poco più di 1.000, e in Turchia 2.000 militari su 3.000 totali –i civili erano pochissimi-. 143 AJ, MIP-DU, 334-16, testimonianza di Todor Hristodulo, 7 dicembre 1918; anche in Rapport..., cit., tomo III, doc. 229, testimonianza Todor Kristodoulo, 7 dicembre 1918, pp. 68-69. Nella testimonianza si aggiunge che di 40.000 prigionieri e internati civili greci, ne sopravvissero 18.000. 144 AJ, MIP-PO, 334-8-18, br. 131, relazione colonnello Tucaković, 31 ottobre/13 novembre 1918. 145 AJ, 336-22-4304. 146 AJ, 336-22-4918, da Ministero degli Interni a Delegazione serba a Parigi, 25 ottobre/7
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Nessuna notizia si ebbe in merito alle 8.000 donne deportate dai bulgari in Turchia, poiché quando il governo sebro chiese informazioni venne risposto da Sofia che dovevano essere indicati con precisione i nomi di queste donne per poter intraprendere delle ricerche;147 e nemmeno per un gruppo di 120 bambini tra i 5 e i 14 anni, in maggioranza femmine, internati in Bulgaria e mai rientrati. L’Associazione delle donne serbe, che in settembre aveva sollecitato Pašić ad intervenire presso i rappresentanti bulgari a Parigi affinché i bambini venissero fatti rientrare, si vide rispondere che non era possibile soddisfare la richiesta. I motivi indicati erano svariati: la comunicazione tra i rappresentanti bulgari e il loro governo era molto difficile a causa degli ostacoli incontrati dai loro corrieri nel neonato Regno di Serbi, Croati e Sloveni, i luoghi di internamento indicati non esistevano, non erano stati allegati i dati relativi ai bambini in questione e soprattutto la richiesta non era pervenuta dal legale rappresentante serbo a Sofia né era stata citata dalla Commissione interalleata d’inchiesta.148
novembre 1919. 147 AJ, 336-22-1852, da Petrov a Pašić, 14 (mese illeggibile) 1919. 148 AJ, 336-22-3543 e 3826.
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