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La Macedonia
L’interesse delle grandi potenze fu quindi per così dire solo politico e diplomatico, e in un certo senso economico. Da questo punto di vista i Balcani furono il teatro in cui gli interessi delle grandi potenze giunsero ad un momento di scontro cruciale che fu tra i preludi fondamentali della Prima guerra mondiale; e le violenze commesse contro i civili in questi anni, così come le politiche di nazionalizzazione messe in atto dopo la conclusione delle guerre e i revanscismi, in primis quello bulgaro, furono i preludi alle violenze sistematiche e alle politiche di sterminio messe in atto negli stessi territori durante la Prima guerra mondiale.
La Macedonia
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La regione, cui viaggiatori e diplomatici delle potenze europee si riferivano nel XIX secolo con il termine «Macedonia», era compresa tra i laghi di Prespa e Ocrida a ovest, il complesso della Šar-planina e dei Rodopi a nord, il fiume Mesta a est fino al mar Egeo e i monti Olimpo e Pindo a sud. Durante il dominio ottomano era suddivisa in unità territoriali dette vilayet, i cui centri erano Skopje (il vilayet di Skopje comprendeva anche il Kosovo), Salonicco e Monastir/Bitola. Come nelle altre parti dell’impero, il criterio di suddivisione della popolazione era religioso e le masse di contadini, analfabete e in condizioni di estrema povertà, non conoscevano il senso di appartenenza nazionale ma solo quello religioso e regionale2 (tanto che, come accennato, nelle città il multilinguismo era la regola e anche nelle campagne i contadini erano in grado di usare più di una lingua)3. L’economia della regione era basata sull’agricoltura e su un sistema di proprietà terriera che vedeva al vertice i proprietari turchi e al suo servizio una serie di contadini senza terra e dimora fissa o affittuari della terra. Esistevano anche dei piccoli proprietari terrieri, perlopiù di religione musulmana, le cui condizioni non erano comunque molto diverse rispetto agli altri.4
Balcani. Per una critica a questo approccio, ancora molto comune al giorno d’oggi, si veda: Maria Todorova, Immaginando i Balcani, trad. it. di Bleve I. – Cezzi F., Argo, Lecce 2002. 2 Elisabeth Kontogiorgi, Population Exchange in Greek Macedonia, Clarendon Press, Oxford, 2006, p. 3. 3 Ivi, p. 19. 4 La contrapposizione grande proprietario terriero turco/contadino cristiano sottomesso non deve però trarre in inganno. Nel caso dei contadini bulgari della seconda metà del XIX secolo, la «controparte» non erano i proprietari terrieri turchi, nei cui čiflik lavoravano solo l’8% di loro, ma lo stato ottomano e l’insicurezza amministrativa e materiale, il meccanismo fiscale disincentivante da esso imposto -va ricordato che con il riordinamento giuridico ottomano del
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Tra i musulmani, che verso la fine del XX secolo rappresentavano il 45% della popolazione, i turchi erano concentrati nelle città, lungo le vallate dei fiumi e le vie di comunicazione; gli albanesi gheghi, nella parte nord-occidentale e quelli toschi nella parte sud-occidentale (ma un sesto di toschi aveva aderito al patriarcato ecumenico ortodosso). Tra i cristiani i greci vivevano e nelle zone costiere e nelle città commercialmente più importanti (Salonicco, Monastir/ Bitola, Kavala, Serres, Kastoria); i cincari o arumeni (o valacchi, definiti anche kuco-valacchi in maniera dispregiativa), residenti in alcune zone a nord-ovest di Monastir/Bitola; e quelli generalmente indicati come slavi, abitanti la Macedonia del Vardar e quella orientale (del Pirin), parlanti un vernacolare bulgaro e la maggior parte dei quali appartenenti all’esarcato bulgaro (dopo la sua creazione nel 1870). Infine gli ebrei, in maggior parte sefarditi, concentrati nelle città (a Salonicco, dove nel 1908 erano circa 60.000, e negli altri centri principali come Monastir/Bitola, Skopje, Kavala).5
In questo contesto, soprattutto a partire dal 1870 si sviluppò tra i governi bulgari, serbi e greci un vero e proprio confronto per il possesso della Macedonia, che si manifestò soprattutto sul terreno religioso e culturale. Fu questo a detta degli esperti della commissione Carnegie «il germe dell’intero conflitto macedone».6
In quell’anno il sultano, su pressioni russe e bulgare, ma anche per contenere il crescente nazionalismo greco, concesse la formazione di una chiesa bulgara separata dal patriarcato ecumenico, sempre con sede a Costantinopoli. La maggior parte dei vescovi bulgari vi aderì subito, diventando, anche attraverso la fondazione di un sistema scolastico, la più importante istituzione nella diffusione del senso di appartenenza nazionale bulgaro: ma durante la sua espansione anche in altre zone dei Balcani, soprattutto in Macedonia (nel 1872 comprendeva già, al di fuori dei confini bulgari, le eparchie di Niš e Veles e gli episcopati di Skopje e Ohrid), si trovò contrapposto il clero serbo e quello greco, che sotto l’autorità del patriarca di Costantinopoli spingevano le diocesi macedoni a ritornare sotto la propria autorità.7 Il confronto ebbe presto un importante risultato: quando pochi anni dopo il sultano permise alle comunità di cristiani ortodossi di scegliere se rimanere sotto il patriarcato o unirsi
1858 i contadini erano diventati liberi formalmente usufruttuari di terra miri, cioé statale, e dunque virtualmente piccoli proprietari terrieri-. Al secondo posto nella «controparte» c’era quel ceto legato allo stato ottomano da lealtà politica e affinità religiosa. Si veda M. Dogo, Storie balcaniche. Popoli e stati nella transizione alla modernità, Libreria Editrice Goriziana, Gorizia, 1999, pp. 52-54. 5 Elisabeth Kontogiorgi, op. cit., pp. 19-24. 6 Report of the International Commission to Inquire into the Causes and Conduct of the Balkan Wars, Carnegie Endowment for International Peace, Washington 1914, p. 26. 7 Ibidem.
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all’esarcato, circa i due terzi della popolazione slava della Macedonia optò per l’esarcato.8
Nel 1878 un secondo fattore determinò gli avvenimenti successivi in Macedonia e aumentò l’intensità del confronto, soprattutto tra bulgari e serbi. La guerra russo-turca del 1876-1877 aveva definitivamente compromesso la stabilità della Sublime Porta e aveva segnato l’irruzione russa nelle questioni balcaniche al fianco dei bulgari. Nelle prime trattative di pace la Russia aveva premuto per la creazione di una Grande Bulgaria, che comprendesse la Mesia, la Tracia, la Rumelia, la Macedonia e le città serbe di Pirot e Vranje (detta Bulgaria di Santo Stefano). La realizzazione delle aspirazioni dei nazionalisti bulgari fu però presto sgretolata dall’intervento delle altre grandi potenze. Il Congresso di Berlino infatti rovesciò completamente il progetto russo-bulgaro, e la Bulgaria di Santo Stefano fu smembrata in tre parti: un principato autonomo bulgaro a nord, separato dalla Rumelia orientale, cui venne concesso lo status di provincia vassalla dell’Impero ottomano governata da un cristiano, e infine la Macedonia, che rimase sotto il dominio turco.
Non fu tutto: a complicare la situazione intervenne lo spostamento delle aspirazioni serbe, che si concentrarono definitivamente sulla Macedonia. Fino al 1878 infatti, nonostante la Macedonia già rientrasse nei piani espansionistici serbi, la politica di Belgrado era diretta verso la Bosnia-Erzegovina, la cui popolazione era almeno per la metà serba. Tuttavia, la decisione presa a Berlino (dove per altro erano state sancite le indipendenze serba, rumena e montenegrina) di affidare la regione al controllo austro-ungherese aveva bloccato ogni progetto espansionista serbo, deviandone l’attenzione esclusivamente verso le regioni meridionali: Sangiaccato di Novi Pazar, Kosovo e Macedonia.
Il risultato immediato fu l’impegno profuso dalle autorità serbe nel contrastare l’operato dell’esarcato. Le scuole serbe ricevettero ingenti finanziamenti, nel 1889 Belgrado aprì proprie rappresentanze diplomatiche a Skopje e a Salonicco e in altre città, mentre all’interno del Ministero dell’Istruzione e poi nel Ministero degli Affari esteri vennero formati degli appositi uffici con compiti di propaganda.9
Presero forma definitiva le teorie a giustificazione delle rivendicazioni; mentre in Bulgaria si riteneva naturale l’identità etnica tra macedoni e bulgari e in Grecia si cavalcavano tesi più ardite di ordine culturale, in Serbia si accettò la tesi, espressa dallo scienziato tedesco Teobald Fischer e fatta propria dai circoli di governo serbi, secondo cui in Macedonia viveva una «massa fluttuante» di nazionalità non definita, i cui costumi e le cui tradizioni erano comunque
8 Elisabeth Kontogiorgi, op. cit., pp. 26-27. 9 Savo Skoko, Drugi Balkanski rat, uzroci i pripreme rata, knj. I, Vojnoistorijski institut, Beograd, 1968 pp. 54-55.
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più vicine a quelle serbe che ad altre, che si sarebbe assimilata alla nazionalità dello stato di cui avrebbe fatto parte.10
Scienziati serbi, bulgari e greci pubblicarono le prime statistiche sulla popolazione della Macedonia, in cui le differenze di vedute risultarono più che evidenti:11
BULGARIAN STATISTICS
(Mr. Kantchev, 1900)
Turks 499,204 Bulgarians 1,181,336 Greeks 228,702 Albanians 128,711 Wallachians 80,767 Jews 61,840 Gypsies 54,557 Servians 700 Miscellaneous 16,407 Total 2,258,224 Turks 231,400 Bulgarians 57,600 Greeks 201,140 Albanians 165,620 Wallachians 69,665 Jews 64,645 Gypsies 28,730 Servians 2,048,320 Miscellaneous 3,500 Total 2,870,620 Turks 634,017 Bulgarians 332,162 Greeks 652,795 Albanians Wallachians 25,101 Jews 53,147 Gypsies 8,91 1 Servians Miscellaneous 18,685 Total 1,724,818
SERVIAN STATISTICS
(Mr. Gopcevic, 1889)
GREEK STATISTICS
(Mr. Delyani, 1904) (Kosovo vilayet omitted)
Fonte: Report of the International Commission to Inquire into the Causes and Conduct of the Balkan Wars, Carnegie Endowment for International Peace, Washington 1914, pp. 28-30.
Nonostante la maggiore attenzione rivolta dai serbi a quella che veniva chiamata Vecchia Serbia (che comprendeva anche il Kosovo e il Sangiaccato), il confronto con l’esarcato sembrava propendere, alla fine del XIX secolo, ancora dalla parte bulgara. Tra il 1896 e il 1897 l’esarcato contava infatti in Macedonia 843 scuole (contro 77 serbe), 1.306 insegnanti (contro 118 serbi), 31.719 studenti (2.873 serbi) e 14.713 bambini negli asili. La maggior parte della popolazione macedone sembrò dunque, proprio come un ventennio pri-
10 Ivi, p. 56; Report..., cit., p. 30. 11 Anche se esistono delle statistiche turche dello stesso periodo, bisogna tener presente che prendevano in considerazione solo i maschi adulti ed erano finalizzate al pagamento delle tasse. Non comparivano dunque né donne ne bambini e venivano ignorati i dati relativi ai nuclei familiari, o al numero di abitazioni. Report..., cit., p. 28.
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ma, essere ancora propensa alla chiesa bulgara.12
Tra la fine XIX e l’inizio del XX secolo il confronto per la Macedonia si spostò sul piano della violenza, diventando di fatto scontro. In questo periodo cominciò infatti l’azione di bande armate perlopiù organizzate e inviate dai paesi contendenti con il compito di favorire la propria causa. Contemporaneamente prese vigore l’idea, già presente tra i socialisti dei paesi balcanici, della nascita di una Macedonia autonoma all’interno di una federazione balcanica: un’idea questa che avrebbe, secondo i suoi sostenitori, salvato la sua popolazione- mista dagli appetiti delle politiche nazionaliste dei paesi vicini.
Nacquero quindi le prime organizzazioni con carattere militare: nel 1893 a Salonicco venne fondata l’Organizzazione Rivoluzionaria Macedone Interna (IMRO o VMRO) a sostegno delle tesi autonomiste, mentre l’anno successivo nacque a Sofia il Comitato Supremo, un’organizzazione di militari che sosteneva l’autonomia macedone come primo passo verso l’annessione alla Bulgaria. Lo stesso anno in Grecia venne costituita la Società Nazionale (Ethniki Etaireia), seguito nel 1904 dal Comitato Macedone fondato ad Atene. Nel 1903 a Belgrado venne costituito il Comitato serbo.
I cetnici serbi, i comitadji bulgari e gli andartes greci intrapresero fin da subito una serie di azioni armate contro le truppe turche di stanza in Macedonia, che furono però sempre seguite dalle brutali repressioni delle autorità ottomane.13 I più attivi, e probabilmente anche i più numerosi, furono i bulgari: nell’ottobre del 1902 il Comitato Supremo organizzò a Gornja Džumaja (oggi Blagoevgrad) un’insurrezione che venne brutalmente repressa causando la distruzione di 15 villaggi, la morte di 139 e la fuga di 470 civili (ma in seguito molti altri fuggirono in Bulgaria o in America).14
L’anno successivo la VMRO, che dalle idee autonomiste era ormai passata al sostegno aperto dell’unione con la Bulgaria, fu alla base dell’insurrezione di S. Elia o di Ilinden. Il 2 agosto 1903 a Bitola/Monastir gruppi di insorti si impadronirono del territorio, e in fretta l’azione si estese alle zone intorno a Salonicco e Adrianopoli (oggi Edirne); ma la repressione turca, guidata da askeri e bashiboutsi, controparte delle bande cristiane, fu tale che 150 paesi e villaggi furono distrutti e saccheggiati, 38.000 civili rimasero senza casa e circa 10.000
12 Report..., cit., p. 27. 13 Insurrezioni contro i turchi si erano verificate anche in precedenza al di fuori della Macedonia, e anche allora vennero seguite dalle repressioni turche. La più (tristemente) famosa, grazie alla denuncia del deputato inglese Gladston, fu quella scoppiata intorno a Plovdiv in Bulgaria nell’aprile del 1876 la cui repressione causò migliaia di morti. A Vinitsa nel 1893 vennero uccisi circa duecento civili in seguito alla scoperta di un deposito di armi e bombe, ecc. 14 Savo Skoko, op. cit., p. 61.
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persone emigrarono nei paesi limitrofi.15
La liberazione dai turchi tuttavia non fu l’unico obiettivo delle bande operanti in Macedonia. Fino al 1908 infatti, anno in cui cessò momentaneamente la loro azione quando in seguito all’avvento al potere a Costantinopoli dei Giovani Turchi maturò la speranza di riforme concrete nella regione, tali bande si rivolsero le une contro le altre, e soprattutto contro le popolazioni civili ritenute nemiche. La loro sfera d’azione si era cioè ampliata e dalla lotta contro un nemico comune divennero lo strumento di nazionalizzazione delle popolazioni civili, messa in atto attraverso la violenza contro «l’altro», in un preludio di quello che accadrà su scala di massa durante le guerre balcaniche e, soprattutto, durante la Prima guerra mondiale.
La speranza nel nuovo governo dei Giovani Turchi si rivelò presto un’illusione. La difficile situazione interna vedeva nei crescenti nazionalismi balcanici un elemento di fondato pericolo, cosa che spinse il nuovo regime a mettere in atto una politica centralistica e ottomanizzante, diretta soprattutto a diminuire l’influenza dell’esarcato, intervenendo mediante la soppressione dei circoli culturali bulgari e lo sfavoreggiamento dell’uso della lingua bulgara, e nominando vescovi serbi nelle diocesi di Debar e Veles.16 Non solo, ma venne messo in atto un tentativo di colonizzazione, il cui progetto prevedeva l’insediamento di circa 200.000 mohadjirs, musulmani della Bosnia-Erzegovina, cui sarebbero state affidate le terre dei grandi proprietari terrieri turchi: quelle stesse terre che lavoravano da secoli i contadini macedoni-bulgari e che finalmente, grazie soprattutto alle rimesse degli emigranti in America, avevano cominciato ad acquistare.17
La politica dei Giovani Turchi ebbe però l’effetto contrario, spingendo le masse verso i nazionalismi, in particolare quello bulgaro, e causando già nella primavera del 1910 la ripresa della lotta armata dei comitadji, che si assunsero la responsabilità di qualsiasi attacco a soldati turchi. La risposta delle autorità fu ancora una volta la stessa: repressioni, perquisizioni, responsabilità collettiva di villaggi in cui persone singole si fossero unite alle bande, vessazioni di vario genere. Pavlov, deputato bulgaro al parlamento ottomano, denunciò nel novembre 1910 che 4.913 persone erano state vittime di assalti, violenze, arre-
15 B. Ratković-M. Đurišić-S. Skoko, Srbija i Crna Gora u Balkanskim ratovima 1912-1913, BIGZ, Belgrado, 1972, p. 16; Savo Skoko, op. cit., p. 68; La commissione Carnegie, riprendendo un rapporto della VMRO, diede dei dati diversi: 200 villaggi distrutti, 12.000 case bruciate, 3.000 donne stuprate 4.700 abitanti uccisi e 71.000 rimasti senza tetto. Report..., cit., p. 34.
16 Richard J. Crampton, Bulgaria 1878-1918. A History, Columbia University Press, New York, 1983, pp. 404-405. 17 Report..., cit., p. 36.
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