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Nelle città macedoni
provano i brividi solo nel pronunciare la parola “bulgaro”».43
Le stime approssimative sostennero che in Macedonia furono sostanzialmente queste zone tra Veles, Prilep e Brod (regione del Poreče) a patire di più l’arrivo dei bulgari e la violenza dei comitadji. 44
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Nel periodo compreso tra l’inizio dell’avanzata bulgaro e il 7/20 gennaio 1916, data in cui venne registrato l’ultimo massacro nella zona, circa 2.000 civili in maggioranza donne e bambini vennero uccisi nelle maniere più disparate. Le indagini confermarono che ovunque le donne e le ragazze, e spesso anche le bambine dai 10 anni in su, venivano generalmente stuprate prima di essere uccise.45
Nelle città macedoni
Il metodo utilizzato nell’eliminazione dei notabili fu un sistema impiegato non solo nei paesi serbi o filoserbi ma soprattutto nelle città, dove il connubio tra comitadji ed esercito bulgaro divenne forse ancora più evidente. L’eliminazione mirata di singoli cittadini messa in atto dalle nuove autorità mise in evidenza un elemento importante: nei paesi si acquartierarono varie bande che rappresentavano l’autorità assoluta e sembrò quasi che i bulgari lasciarono volontariamente l’organizzazione del nuovo sistema amministrativo e di polizia nelle mani dei comitadji. Tale supposizione trovò conferma nel ruolo che i comitadji ebbero nelle città.
Questi infatti riservarono per sé anche nelle città i posti dell’autorità civile e soprattutto le funzioni di polizia. A Bitola essi si riservarono anche il pieno possesso del commercio dei beni alimentari, mentre a Debar, Prilep e in altre città gli stessi sottoprefetti dei distretti erano comitadji. 46 E anche a Skopje, scelta come sede del sistema d’occupazione in Macedonia e Kosovo, diversi
43 Rapport…, cit., tomo II, doc. 108, pp. 43-54, relazione sui crimini bulgari nella contrada di Azot (Veles). 44 Rapport…, cit., p. 8; Slađana Bojković-Miloje Pršić, Stradanje..., cit., doc. 140, o. br. 21245, da colonnello Pešić a Ministero della Guerra, 11 giugno 1918 (originale in AS, Arhiva institucija pod bugarskog okupacijom 1915-18, k. 1), p. 286. 45 R. A. Reiss, Austro-bugaro-nemačke povrede ratnih zakona i pravila: dopisi jednog praktičara-kriminaliste sa srpskog maćedonskog fronta, pubblicato in Slađana Bojković-Miloje Pršić, O zločinima Austrougara-Bugara-Nemaca u Srbiji 1914-1918: izabrani radovi, Istorijski muzej Srbije, Beograd, 1997, p. 217; e testimonianza Vasilije Trbić, in relazione del colonnello Petar Pešić a Ministero della Guerra, o. br. 21245, pubblicato in Slađana Bojković-Miloje Pršić, Stradanje.., cit., p. 140 (originale in AS, Fond Arhiva Institucija pod bugarskom okupacijom 1915-1918). 46 R. A. Reiss, Les infractions…, cit., pp. 172-173.
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posti – compresi quelli di sindaco, di sottoprefetto del distretto, di commissario di polizia - vennero ricoperti da comitadji. 47 Reiss giunse alla conclusione in base alla quale sembrò addirittura che i comitadji fossero stati incaricati di amministrare la Macedonia e che agissero sotto la stretta sorveglianza del comitato centrale di Sofia della VMRO, che manteneva in loco uno dei suoi membri più importanti, il professor Penčev.48 Ciò trovò conferma anche nel fatto che molti dei comitadji provenivano dalla Macedonia egea49 ed erano stati appositamente trasferiti nelle zone meridionali dell’ex Regno di Serbia per consolidare il controllo sulla regione. Nelle città la situazione era evidentemente più complessa che nelle zone rurali, dal momento che la presenza di strati sociali apertamente anti bulgari era molto più radicata; era infatti presente una classe borghese che, seppur non molto numerosa, rappresentava la manifestazione evidente dello Stato e della cultura serba. Se nei paesi infatti i cosiddetti «notabili» e l’intellighenzia non erano altro che i sacerdoti, i funzionari comunali e gli agricoltori più possidenti che si erano posti al servizio dell’amministrazione serba, nelle città la questione risultava molto più articolata. Oltre ai rappresentanti dello Stato che erano rimasti nelle proprie case – funzionari comunali, distrettuali e dei dipartimenti-, molti dei quali erano giunti dalle «vecchie frontiere» insieme alle loro famiglie, oltre ai sacerdoti e ai maestri, obiettivo della politica nazionalista bulgara divennero inevitabilmente anche altre categorie di cittadini. Tra queste figuravano gli intellettuali, fossero essi professori di liceo, medici, avvocati, notai, giornalisti o altro; ma anche i proprietari delle industrie (poche e di piccole dimensioni di solito), i commercianti e tutti quelli che svolgevano un lavoro necessariamente vincolato a «buoni rapporti» con l’ormai passata amministrazione serba.
Le città della Macedonia, in particolare Skopje e Bitola, che contavano circa 45.000 abitanti ciascuna, dovevano inoltre diventare i nuovi centri di propagazione della cultura bulgara, e per questo era quanto mai necessario un totale sradicamento della presenza serba.
A Skopje l’ingresso delle truppe bulgare avvenne l’8/21 ottobre senza la presenza dei comitadji e tra una folla in festa per le strade. Immediatamente si instaurarono le nuove autorità: la polizia cominciò a presentarsi alle case di singoli cittadini e ben presto si diffuse tra la gente la consapevolezza che la frase spesso ripetuta dagli ufficiali bulgari al momento dell’arresto, motivato da un «internamento a Sofia», in realtà significava una condanna a morte. Quotidianamente infatti venivano rinvenuti cadaveri nel fiume Vardar di persone
47 R. A. Reiss, Les infractions…, cit., p. 159 e pp. 173-174. 48 Ivi, p. 176. 49 Ivi p. 177.
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che erano state prelevate dalla polizia solo qualche giorno prima. E autorità di polizia sapevano chi arrestare: e tuttavia spesso era sufficiente solo la delazione di qualcuno.50 Inoltre, quasi misteriosamente scomparvero in quei giorni 70 seminaristi.51
Allo stesso tempo vennero intraprese delle misure al livello legale. Tra le prime vi furono l’introduzione del divieto assoluto dell’uso della lingua serba e una serie di misure restrittive per la popolazione serba. Conformemente all’ordine del prefetto del dipartimento di Skopje emanato il 5/18 dicembre, il 9/22 dello stesso mese il capo della polizia Zlatarov emise infatti un ordine in base al quale si vietava ai serbi di uscire dalle proprie abitazioni se non in caso d’estrema urgenza (in questo caso poteva uscire solo un membro della famiglia); inoltre, tutti gli abitanti della città avrebbero dovuto parlare in bulgaro, mentre l’uso del serbo veniva vietato anche nelle strade.52
Secondo una testimonianza pare che diversi maschi, soprattutto giovani, vennero in quel periodo portati in Bulgaria per imparare il bulgaro.53
A complicare la situazione fu la presenza in città delle truppe tedesche, che avevano scelto Skopje come uno di quei luoghi in cui mantenere delle guarnigioni in prossimità del fronte meridionale. Il loro ingresso sconvolse letteralmente la città.54
In città si sviluppò subito una rivalità tra l’esercito bulgaro, stanziatosi sulla riva sinistra del fiume Vardar, e quello tedesco, che teneva la riva destra. I due eserciti erano rappresentati in città dalle più alte cariche: il generale Petrov, capo di Stato maggiore dell’esercito bulgaro, e il generale Mackensen, che rimase a Skopje per un anno, fino all’ingresso in guerra della Romania.55 Entrambi gli eserciti si macchiarono di numerosi saccheggi, e già questo fu in alcuni casi motivo di scaramucce armate: ma la rivalità si manifestava soprattutto attraverso la volontà dei tedeschi di ridicolizzare gli alleati bulgari e attraverso la differenza di «status» tra i due alleati. I tedeschi infatti mantenevano il
50 AS, MID-PO, XV/462, testimonianza del dottor Marselo, 3/16 febbraio 1916; e XV/867, rapporto console serbo ad Atene, 30 gennaio/12 febbraio 1916; Deuxième livre bleu serbe, Librairie militaire Berger-Levrault, Paris-Nancy, 1916, Annexe n. 19, p. 26; 51 AS, MID-PO, 1916, XV/632, pov. br. 9639, da Ministero della Guerra a Ministero degli Esteri, testimonianza del dottor Kalistratos, 1/13 aprile 1916. 52 AS, MID-PO, 1916, XV/399, pov. br. 196, da console Salonicco a Ministero degli Esteri, relazione sulle testimonianze dei medici Kuskutis, Valjuljis, Marselos, 28 gennaio/10 febbraio 1916; e Rapport…, cit., tomo I, doc. 61, pp. 265-266, ordine n. 13, prefetto di polizia Skopje S. Zlatarov, 9 dicembre 1915. 53 AS, MID-PO, 1916, XV/867, rapporto console serbo ad Atene, 30 gennaio/12 febbraio 1916. 54 AS, MID-PO, 1916, XV/461, testimonianza del dottor Marselo, 3/16 febbraio 1916. 55 A. R. Reiss, Les infractions…, cit., p. 159.
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controllo pressoché su tutto: posta, telegrafo e ferrovia.56
Tuttavia, la necessità di mantenere una situazione di almeno apparente tranquillità nei rapporti tra gli alleati fece passare inosservate numerose violenze commesse da entrambi. Così a metà novembre, quando molte donne dei paesi intorno a Skopje – secondo le testimonianze almeno 350-400 donne e loro figli – si presentarono al comando tedesco per protestare contro le violenze subite da ufficiali tedeschi e bulgari venne loro risposto di andarsene immediatamente.57
Lady Paget, che era rimasta in città per accudire i feriti serbi ricoverati nel suo ospedale, fu costretta ad abbandonare il suo lavoro proprio su ordine dei tedeschi. Ciò avvenne un mese dopo il loro ingresso, periodo in cui il suo ospedale poté funzionare seppure sotto stretta sorveglianza bulgara. Venne a mancare alla popolazione civile, e in particolare ai profughi, un aiuto fondamentale; in quel periodo infatti, la missione di Lady Paget distribuì aiuti finanziari a circa 820 civili (con le famiglie in totale circa 2.530 persone) che da Skopje dovevano far ritorno alle proprie case, come ordinato dalle autorità bulgare; nella maggior parte dei casi si trattava di belgradesi, ma molti erano i serbi di altre città delle «vecchie frontiere» e del Kosovo; vi erano comunque casi di bulgari di Macedonia, montenegrini e altri, così come persone che si erano recati nella città in cerca dei propri cari (generalmente soldati scomparsi).58
Tedeschi e bulgari, oltre a saccheggiare (in particolare le case rimaste vuote, da cui vennero scardinate anche le porte e le finestre da usare come legna per il fuoco), requisirono subito tutto il cibo disponibile, riducendo la gente alla fame; nonostante ciò, costrinsero la cittadinanza a fornire il sostentamento necessario. Chi poté osservare la situazione notò però una differenza importante: mentre i tedeschi riuscirono a mantenere un buon tenore alimentare, probabilmente perché tra le loro fila era funzionante un sistema di rifornimenti, i bulgari apparivano sfiniti.59
All’estremo sud del paese, a Bitola, città che fino a pochi anni prima era una delle più importanti nei Balcani meridionali, le cose non andarono molto diversamente. Nella città, già nei primi giorni dell’occupazione (l’ingresso avvenne il 20 novembre/3 dicembre), venne costituito un comitato amministrati-
56 AS, MID-PO, 1916, XV/404, tel. br. 899, da console Salonicco a Ministero degli Esteri, testimonianza console greco Skopje, Frangistos 12/25 febbraio 1916. 57 AS, MID-PO, 1916, XV/867, rapporto console serbo ad Atene, 30 gennaio/12 febbraio 1916. 58 AJ, MIP-DU, 334-17, libro contabile degli aiuti distribuiti ai profughi di Skopje, maggio 1916. 59 AS, MID-PO, 1916, XV/399, pov. br. 196, da console Salonicco a Ministero degli Esteri, 28 gennaio/10 febbraio 1916; e AS, MID-PO, 1916, XV/404, tel. br. 899, da console Salonicco a Ministero degli Esteri, testimonianza console greco Skopje Frangistos 12/25 febbraio 1916.
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vo composto da tre membri dell’organizzazione rivoluzionaria macedone provenienti da Sofia e da quattro membri della zona. Il potere di questo «consiglio comunale» era pressoché illimitato e ad esso era sottoposta anche la polizia.60 Unitamente al comitato agiva il sindaco Vladov, il cui interesse principale era, secondo le testimonianze, l’arricchimento personale. Come prefetto del dipartimento venne nominato Aleksandar Bojadžijev, figlio di un importante generale bulgaro, che appena insediatosi impose il censimento della popolazione; e immediatamente gli insegnanti e i religiosi, compresi quegli esarchisti che avevano accettato di rimanere al servizio delle autorità serbe,61 anche in questo caso vennero «inviati a Sofia» (e anche qui i testimoni confermarono che tale frase rappresentava in realtà una condanna a morte). Come a Skopje e nel resto della Macedonia anche a Bitola i comitadji ricoprivano funzioni di polizia, mentre nelle loro mani era anche il commercio dei generi alimentari.62 Molti civili, compresi coloro che non si ritenevano affatto vicini alle autorità serbe, vennero poi uccisi mentre proprio come a Skopje la presenza delle truppe tedesche creò una situazione di rivalità con quelle bulgare; la condizione dei soldati bulgari era tale che molti già esprimevano apertamente il desiderio di far ritorno alle proprie case.63 Anche in questo caso infatti il problema principale dell’esercito di Ferdinando era il cibo: a causa della presenza tedesca, del monopolio dei comitadji, della povertà diffusa e probabilmente anche a causa di gravi carenze nel sistema di rifornimenti provenienti da Sofia, gli stessi soldati bulgari furono letteralmente ridotti alla fame: la loro razione era di mezzo chilo di pane al giorno.64 Anche in questo caso la popolazione venne costretta a fornire il sostentamento per le truppe tedesche e soprattutto bulgare.65
Ciò che avvenne a Skopje e a Bitola fu un esempio di quanto messo in atto in tutte le città macedoni: a Kruševo i comitadji istituirono una commissione speciale con i compito di stabilire chi uccidere e chi punire, mentre a Prilep appoggiati dalle autorità militari e dai civili bulgari i comitadji di Vasilj Karafilov si scatenarono in una caccia al serbo casa per casa.66 A Veles, alcuni tra
60 R. A. Reiss, Stradanje grada Bitolja, in Slađana Bojković-Miloje Pršić, O zločinima…, cit., p. 116. 61 Deuxième livre…, cit., annexe n. 21, p. 27. 62 R. A. Reiss, Les infractions…, cit., p. 153 e p 213. 63 AS, MID-PO, 1916, XV/406, br. 418, da console Salonicco a Ministero degli Esteri, testimonianza medici greci Kalistratos e Livacas, 13/25 febbraio 1916. 64 AS, MID-PO, 1916, XV/541, pov. br. 1698, da Ministero degli Interni a Ministero degli Esteri, 9/22 aprile 1916. 65 AS, MID-PO, 1916, XV/475, relazione su testimonianze profughi a Salonicco, da Ministero degli Interni a presidente Pašić, 9/22 marzo 1916. 66 Rapport…, tomo II, doc. 129, rapporto crimini dipartimento Bitola, 30 dicembre 1918, p. 203 (distretto di Kruševo) e p. 208 (distretto di Prilep); A Kruševo, nei primi giorni dell’occupa-
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gli elementi più influenti della comunità che avevano apertamente parteggiato per i serbi e che si erano impegnati contro le scorribande dei comitadji locali, vennero singolarmente prelevati dalle loro case e uccisi. Si trattava anche in questo caso di veri e propri rapimenti: soldati bulgari e comitadji si recavano in piena notte presso le vittime, per arrestarle non prima di averle derubate del denaro. In prigione venivano poi torturati e infine gettati nel fiume Vardar.67
Le testimonianze di molti profughi, tra i circa 4.000 che in quel periodo oltrepassarono il confine greco per sfuggire al terrore bulgaro, descrissero le stesse scene in ogni città da cui provenivano: oltre quelle già citate, la stessa sistematica eliminazione dei notabili serbi o filoserbi colpì anche Štip, Kriva Palanka, Kratovo, Đevđelija, Ohrid e Struga.68
Come a Skopje e Bitola, oltre alle violenze continue, ovunque vi era una grave carenza di generi alimentari,69 tanto che a Đevđelija il mercato si svuotò di prodotti, semplicemente perché non ce n’erano già più,70 mentre già all’inizio del 1916 a Ohrid vennero registrate tra i civili delle morti per denutrizione.71
La conquista della Macedonia da parte dei bulgari aveva dunque causato un nuovo grave sconvolgimento in tutte quelle zone che ormai dal 1912 si trovavano in costante crisi. Nuovi gravi traumi colpirono la società macedone, vittima dell’omogeneizzazione nazionale messa in pratica, questa volta, dai bulgari. Le violenze delle guerre balcaniche si stavano ripetendo per la terza volta, con l’unica differenza che ora venivano compiute su tutto il territorio in maniera sistematica ed organizzata, sotto la direzione e il controllo delle massime autorità di Sofia. Per questo anche tra la popolazione civile filobulgara si andava sempre più diffondendo la paura per le azioni dei comitadji stessi, il cui regime di terrore non risparmiò nemmeno chi si riteneva fedele al governo bulgaro o perlomeno neutrale.
Comparvero per questo i primi gravi contrasti tra esercito regolare e comitadji: a Bitola il colonnello Ivanov cercò di prendere le difese della popolazione ma dovette sottostare alle decisioni del comitato della città,72 mentre a Pri-
zione, su ordine di tale commissione, i comitadji uccisero un notabile trascinandolo poi avanti e indietri per la città per spaventare la gente; seguirono poi gli altri omicidi. AJ, MIP-DU, 334-11, senza numero, testimonianza di Pera Nanović, 9 dicembre 1918. 67 Rapport…., cit., tomo II, doc. 107, pp. 42-43, relazione sui crimini a Veles, 3 dicembre 1918. 68 AS, MID-PO, 1916, XV/475, relazione su testimonianze profughi a Salonicco, da Ministero degli Interni a presidente Pašić, 9/22 marzo 1916. 69 Ibidem. 70 AS, MID-PO, 1916, XV/471, senza numero, da Ministero degli Interni a presidente Pašić, 6/19 marzo 1916. 71 Richard Crampton, op. cit., p. 456. 72 R. A. Reiss, Les infractions…, cit., p. 154.
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lep ad un certo punto il loro potere divenne così forte e le loro scorribande così impopolari che le autorità bulgare per contenerlo li inquadrarono nell’esercito stesso (soprattutto nell’XI Divisione macedone73), utilizzandoli spesso per i «lavori sporchi». A detta dei prigionieri bulgari interrogati da Reiss, i comitadji erano infatti presenti in vari reggimenti dell’esercito bulgaro e avevano tra l’altro il compito di eseguire le condanne a morte sancite dalle corti militari nei confronti degli stessi soldati bulgari.74 Tuttavia l’arruolamento dei comitadji non fu sufficiente: il loro potere fu talmente evidente che vertici dell’esercito furono costretti ad inviare i capi comitadji a Niš in occasione della visita del Kaiser (5/18 gennaio 1916) presentandoli come «rivoluzionari macedoni».75
Ciò contrasta con l’interpretazione che Reiss diede dello scioglimento delle bande comitadji e del loro inquadramento nell’esercito: spiegò quanto accadde come dettato più dal desiderio di eliminare la «concorrenza» nei saccheggi che da una reale preoccupazione per la popolazione civile.76 E tuttavia sembra più plausibile il fatto che effettivamente autorità bulgare e comitadji entrarono in una fase di contrasto aperto: infatti, da una situazione iniziale congiunta in un’unità di intenti, la loro presenza e il potere nelle loro mani divennero presto motivo di preoccupazione anche per una parte del governo bulgaro.
La struttura che si andava profilando in Macedonia rischiava infatti di diventare un problema per lo stesso governo Radoslavov: era chiaro infatti che il potere della VMRO e dei comitadji che si esprimeva attraverso la detenzione di pressoché tutte le funzioni amministrative e di polizia della Macedonia, avrebbe potuto condurre a gravi conseguenze sul piano dell’unità nazionale.
Il Ministero degli Interni inviò in primavera l’ispettore di polizia Svinarov con il compito di redigere un rapporto sulla situazione, dal momento che erano giunte notizie in base alla quali nelle zone tra Veles, Štip e Radoviš andava creandosi un movimento autonomista. Svinarov registrò che nel dipartimento di Štip il colonnello Protogerov e il capo comitadji Aleksandrov, i responsabili della strage dei soldati serbi dell’ospedale della città, detenevano indiscussamente il potere. I due avevano creato una sorta di loro «regno privato» che rischiava di creare seri problemi alla Bulgaria. Protogerov e Aleksandrov avevano nominato uomini di loro fiducia in tutti i distretti e i comuni del dipartimento, affiancando ad ognuno di loro un comitadji che dirigeva la polizia del luogo. Il loro potere si estendeva fino ai tribunali militari, presso i quali la
73 L’XI Divisione macedone venne formata nel settembre del 1915 soprattutto con i disertori provenienti da Serbia e Grecia. Al momento della sua costituzione contava 33.000 soldati e ufficiali. 74 Ivi, pp. 174-175. 75 Ivi, p. 174. 76 Ivi, p. 176.
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loro parola era legge: per questo molti crimini non vennero puniti. Nella zona, continuò Svinarov nella sua relazione, avevano commesso diversi omicidi di filoserbi e di persone ritenute traditori; e tuttavia tali omicidi non erano ancora terminati. La loro amministrazione si scontrava spesso con i funzionari inviati dalla Bulgaria, che spesso o venivano cacciati (Svinarov sottolinea che erano odiati dagli uomini di Protogerov e Aleksandrov) o chiedevano loro stessi il trasferimento poiché non riuscivano a sopportare il clima. I conflitti però erano anche con l’esercito, e in più di un caso i comandanti delle piazze erano stati sostituiti su richiesta delle autorità comunali. Svinarov sostenne che era giunto il momento di prendere serie misure contro quelli che definì eufemisticamente «abusi di potere». Secondo l’ispettore era necessario portare i quadri dalla Bulgaria ed espellere i comitadji dai posti di polizia e dall’esercito.77
Molti crimini commessi in Macedonia, in particolare quelli perpetrati dai comitadji nei villaggi, avvennero mentre ancora l’esercito serbo si trovava in Kosovo e le operazioni belliche non erano terminate. Lo Stato maggiore dell’esercito operativo bulgaro diramò infatti soltanto il 29 novembre/12 dicembre, quando caddero le ultime città macedoni – Dojran, Đevđelija e Struga -, il comunicato della vittoria: «Il giorno 29 novembre 1915 sarà ricordato come una data storica per l’esercito e il popolo bulgaro. In questo giorno è stata liberata l’intera Macedonia e sul suo territorio non si trova più nemmeno un soldato nemico».78
Tuttavia, i massacri e soprattutto l’eliminazione dei notabili vennero messe in atto sia prima che dopo la creazione ufficiale della struttura amministrativa della Macedonia, quando anzi presero la forma di organizzate deportazioni. Il generale Petrov, nominato il 17/30 novembre comandante della futura Area d’ispezione militare Macedonia79 da parte del Comando supremo, decretò la formazione effettiva dell’entità amministrativa soltanto l’8/21 dicembre, in cui la base del sistema legislativo fu individuata nei regolamenti già applicati nelle regioni macedoni conquistate nel 1912.80 Da allora vennero registrati i primi
77 ЦДА, ф. 313, оп. 1,а.е.2193, л. 10–11, ДОКЛАДНА ЗАПИСКА ОТ ИНСПЕКТОРА НА ПОЛИЦИЯТА Л. СВИНАРОВ ЛИЧНО ДО МИНИСТЪРА НА ВЪТРЕШНИТЕ РАБОТИ И НАРОДНОТО ЗДРАВЕ ЗА РОЛЯТА НА Т. АЛЕКСАНДРОВ И АЛ. ПРОТОГЕРОВ ПРИ УПРАВЛЕНИЕТО НА МАКЕДОНИЯ, 13 maggio 1916, Цит. по Георгиев, В., Ст. Трифонов, История на Българите 1878-1944 в документи, tом ІІ 1912-1918, София, 1996, с. 490-491, liberamente consultabile all’indirizzo internet www.anamnesis.info/documents.htm. 78 Воененъ календаръ Отечество за 1917. год., Издрине на в. Военни извѣстия, София, 1917, p. 32. 79 L’Area d’ispezione militare Macedonia comprendeva i dipartimenti di Skopje, Kumanovo, Tetovo, Štip, Kavadar (Tikveš), Bitola, Ohrid, Prizren e Priština. 80 ЦДА, ф. 52, оп. 3, а.е. 46, л. 4, Цит. по Георгиев, В., Ст. Трифонов, История на Българите 1878-1944 в документи, tом ІІ 1912-1918, София, 1996, с. 486, liberamente consul-
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internamenti di massa.
Skopje divenne il centro principale da cui partivano i convogli di internati per la Bulgaria (o vi passavano quelli portati a piedi rovenienti dalla Macedonia occidentale e dal Kosovo); il carcere della città divenne il luogo di detenzione temporanea di migliaia di civili arrestati senza nemmeno sapere perché. Secondo le testimonianze uno dei primi convoglio ferroviari, composto da due vagoni - nel primo vi erano almeno ventidue persone, di cui nove religiosi, due monaci e undici maestri, mentre nel secondo vi era un numero imprecisato di persone provenienti dal Kosovo81 partì già il 19 dicembre/1 gennaio 1916.
Nello stesso periodo, oltre all’internamento di numerose famiglie delle città -170 di Prilep, 70 di Kruševo, diverse di Priština e Prizren-, venne ordinato l’internamento di tutta la popolazione maschile da 15 a 60 anni dei distretti di Prilep, Veles e del Poreče.82
Alcune testimonianze riferirono dei particolari in merito all’arresto e alla deportazione. Il 20 dicembre/2 gennaio 1916 si ritrovarono nel carcere di Gostivar i religiosi del distretto, appartenente alla regione del Poreče: lì vennero interrogati ad uno ad uno e maltrattati qualora rispondessero che erano di nazionalità serba. La notte stessa vennero spostati nel carcere di Tetovo, dove subirono altri maltrattamenti. Il 23 dicembre/5 gennaio 1916 furono portati a Skopje e tenuti 5 giorni nella prigione della città. Nel frattempo giunsero molti altri cittadini arrestati, e quando il carcere fu pieno venne dato l’ordine di partire per Vranje. In tutto c’erano circa 750 persone; giunti a Vranje (a piedi) vennero fatti però rientrare a Skopje perché gli ufficiali a capo delle truppe tedesche in marcia verso Salonicco si erano lamentati della confusione e dei blocchi lungo le strade creati dalle colonne di civili destinati all’internamento;83 secondo un’altra versione, Ferdinando concesse la grazia su invito del vescovo (bulgaro) di Kičevo, il quale gli suggerì che un regime così spietato non avrebbe fatto altro che dimostrare al mondo che in Macedonia vivevano serbi e non bulgari.84 La decisione di sospendere l’internamento della popolazione maschile di quei tre distretti e di farli tornare alle loro case raggiunse anche i molti altri gruppi di civili che si trovavano lungo il percorso per la Bulgaria, nelle città di Vranje, Niš, Kumanovo.
tabile all’indirizzo internet www.anamnesis.info/documents.htm. 81 Rapport…., cit., tomo I, doc. 13, pp. 29-30, testimonianza di Anne Ouchtétowich (Ana Uštetović), 25 dicembre 1918. 82 Mileta Novakovitch, L’occupation Austro-Bulgare en Serbie, Librairie Berger-Levrault, Paris, 1918, pp. 43-44. 83 AJ, MIP-DU, 334-20, Komisji za bugarske zločine, testimonianza del sacerdote Mihailo Ugrinović, 14 dicembre 1918. 84 Mileta Novaković, op. cit., p. 44.
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