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Dopo il tifo: il nuovo abbandono

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che la popolazione civile si ritrovò costretta a subire nuove grandi sofferenze dovute alla situazione di guerra. Queste sofferenze raggiunsero anche le regioni meridionali, che fino ad allora erano rimaste del tutto estranee agli orrori della guerra. Le città e i paesi della Serbia meridionale e della Macedonia infatti vennero colpite come tutte ogni altro luogo del paese dal tifo, e fino alla primavera del 1915 la popolazione civile di quelle zone rimase come nel resto del paese abbandonata a se stessa, senza la minima possibilità di ricevere delle cure mediche. Rimasero tutti vittima dell’epidemia, la vissero in prima persona sui loro corpi o su quelli dei loro familiari; e anche se, in particolare nelle zone rurali, la situazione non era ancora carente dal punto di vista alimentare, tutti ebbero di fronte a sé le immagini quotidiane delle migliaia di profughi provenienti dalle zone settentrionali del paese, messi in fuga dalla paura e dal ricordo delle atrocità dell’agosto precedente e giunti in luoghi sconosciuti senza alcuna fonte di sostentamento.

Dopo il tifo: il nuovo abbandono

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Come indicato da molti, nonostante la guerra durasse già da tempo e la Serbia fosse di fatto isolata e in preda all’epidemia di tifo, la situazione alimentare, per quanto fosse ben lontana dalla normalità, ancora non appariva grave. Eccezione erano quelle zone devastate dalla prima invasione austroungarica e le città in cui si erano concentrate le masse di profughi: in entrambi i casi non solo vi era un disperato bisogno di cibo, ma bisognava urgentemente procurare anche tutti gli altri generi necessari alla sopravvivenza - vestiti, scarpe, coperte, ma anche attrezzi agricoli per riprendere il lavoro nei campi, semi, materiali per riparare le case e le stalle distrutte. La pessima situazione finanziaria delle casse statali e la confusione generale, l’epidemia e le necessità belliche, impedirono però l’organizzazione di un rapido intervento da parte del governo e

e alla stima di Strong, vale la pena ricordare anche i seguenti dati: Edward Stuart sostiene che morirono metà dei 60.000 prigionieri austroungarici, che in Serbia vennero contagiate 250.000 persone tra dicembre 1914 e luglio 1915 e che ci furono 55.000 morti, sia civili che militari; E. Stuart, op. cit., p. 124. Negli studi più recenti, Dragana Lazarević-Ilić (Epidemija pegavog tifusa u valjevskom kraju 1914. i 1915. godine, in Glasilo Podružnice Srpskog lekarskog društva Zaječar) afferma che vi furono 500.000-600.000 ammalati, 135.000 morti dei quali 35.000 soldati (nella sola Valjevo morirono 4.000 abitanti); il più volte citato Isidor Đuković, op. cit., p. 22 e pp. 167168 non si sbilancia e fa una «media» delle stime di altri autori (che cita), attestandosi sulla cifra di 1.050.000 ammalati e un numero indefinito di morti compreso tra 80.000 a 500.000. Tra gli autori che cita: Kosta Todorović, 150.000 morti in totale, e quasi la metà dei medici serbi; Dimitrije Antić, 35.000 prigionieri austriaci morti, 135.000 totali in Serbia; Luković-Nežić, 127.000 tra soldati e civili; Nešković, 130.000 civili e 80.000 militari.

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delle autorità locali.

Le preoccupazioni vennero dirette, per quanto possibile, innanzitutto al ristabilimento della produzione agricola: il 12/25 febbraio 1915 il Ministero per l’Economia nazionale propose infatti l’utilizzo delle truppe per far fronte alle necessità alimentari di tutti. A causa infatti della mancanza di forza lavoro umana e animale e, per quanto riguarda le zone lungo il fronte a causa della guerra stessa, la semina autunnale non era stata praticamente fatta; il cibo scarseggiava soprattutto nelle zone che avevano subito l’invasione, ed era quindi indispensabile effettuare la semina primaverile.

Per questo motivo il Comando supremo, considerato il periodo di relativa calma al fronte, accolse la proposta del Ministero per l’Economia nazionale e il 20 febbraio/5marzo emise l’ordine in base al quale i soldati avrebbero dovuto aiutare la popolazione nei lavori agricoli e in particolar modo nell’aratura dei campi; inoltre stabilì che gli economi statali e chiunque avesse una formazione scolastica di tipo economico in servizio come ufficiali di riserva dovessero organizzare il lavoro nel modo più efficace possibile.142

Anche in questo caso furono gli appelli lanciati all’estero ad avere una certa importanza, e ancora una volta furono singole organizzazioni a rispondere. Mabel Grujić a marzo denunciò che:

Le donne e i bambini serbi stanno morendo più rapidamente che i soldati al fronte […]. Le riserve alimentari si stanno esaurendo. Se approvigionamenti, e, soprattutto, sementi e attrezzi agricoli, non verranno inviati immediatamente, moriranno di fame. 143

Inoltre, la condizione si era fatta peggiore in seguito alle misure messe in atto per debellare il tifo, come sottolineò molto chiaramente Helen Lozanić nel corso di una conferenza tenuta a New York in maggio sulla situazione in Serbia:

Il bisogno dei profughi è grande. Qualsiasi aiuto giunga immediatamente sarà due o tre volte più prezioso di quanto sarebbe se arrivasse tra qualche mese. Se il tifo deve essere estinto, dobbiamo andare in giro e convincere la gente a bruciare la loro mobilia e i loro vestiti, e a vivere in tenda. Se diciamo loro una cosa del genere, dobbiamo avere qualcosa da dare in cambio di quello che viene distrutto.144

142 VA, p. 3, k. 79, f. 4, 15/2, o. br. 11252, da Comando supremo a comandanti Armate, 20 febbraio/5 marzo 1915. 143 Population dying off, The New York Times, 20 marzo 1915. 144 Tells of Austrian Savagery in Serbia, The New York Times, 18 maggio 1915.

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In risposta a questi appelli in primavera giunsero una serie di aiuti inviati da organizzazioni di soccorso nate spontaneamente all’estero; in maggio fu ad esempio attivo in America il «Serbian Agricultural Relief Committee», che si impegnò innanzitutto nell’invio di aiuti in denaro alle cooperative agricole serbe di Mačva e Pocerina,145 mentre a giugno su iniziativa del console serbo a New York venne organizzata una squadra di 25 automobili il cui compito era il trasporto di materiale sanitario, cibo – frutta e verdure – e altro sempre nei territori devastati dal nemico, esclusivamente a civili.146

Contemporaneamente il «Serbian Relief Fund» organizzò una missione di imprenditori agricoli inglesi il cui obiettivo era quello di aiutare e rivitalizzare l’agricoltura in Serbia, che si stabilì il suo centro a Belgrado per potersi rivolgere alle regioni di confine.147

L’aiuto andava comunque a rilento, anche perché molti civili non avevano fatto ritorno alle loro case. Durante l’epidemia era stato imposto il blocco esplicito del rientro per tentare di riportare la situazione sotto controllo, mentre in seguito il ricordo dei crimini e l’idea di ritornare in quelle zone a ridosso del fronte con il rischio di non ritrovare più nemmeno la propria abitazione pare furono delle motivazioni sufficienti a far sì che molti preferissero ancora rimanere nelle città della Serbia centrale e meridionale, seppure infestate dal tifo.

Tutte le iniziative private destinate all’aiuto dei profughi, come già per quanto riguarda il periodo dell’epidemia, risultarono di sicuro importanti. Eppure i loro sforzi non erano nemmeno lontanamente sufficienti a far fronte alla situazione diffusa in Serbia: la raccolta di fondi rimase infatti limitata e non riuscì mai a coinvolgere strati più ampi delle opinioni pubbliche americane, inglesi e francesi, le cui attenzioni rimanevano rivolte principalmente alla si-

145 AS, MID-PO, 1915, XXII/455, da Ministero per l’Economia nazionale a Ministero degli Esteri, 2/25 maggio 1915; nel comunicato si prega di accelerare l’inoltro dei 100.000 dinari inviati dal «Serbian Agricultural Relief Fund». 146 AS, MID-PO, 1915, XXII/289, da console serbo New York a Ministero degli Esteri, 4/17 giugno 1915. Nel comunicato si sottolinea che la missione è finanziata dal Committee of Mercy con 15.000 dollari, dal «Serbian Agricultural Relief Committee» con 5.000, dalla «Srpska Narodna Odbrana» con 2.500 e da una serie di donazioni private. 147 La missione arrivò a Salonicco l’1/14 aprile e si diresse subito a Belgrado. A capo della missione, indicata anche come missione della Croce Rossa degli imprenditori agricoli inglesi, c’era un certo Ving. In totale contava 33 membri, e come già altri, anche loro ebbero dei problemi amministrativi: i loro vagoni furono infatti trattenuti per un certo periodo alla frontiera con la Grecia, presso Đevđelija. Nel mese di giugno venne cosituita una seconda missione, questa volta guidata da un certo Parsous. AS, MID-PO, 1915, XXI/536, telegramma da console serbo a Salonicco a Ministero Esteri, 4/17 aprile 1915; AS, MID-PO, 1915, XXI/537, telegramma da console serbo a Salonicco a Ministero Esteri, 13/26 aprile 1915; e MID-PO, 1915, XXI/538, telegramma da console serbo a Salonicco a Ministero Esteri, 5/18 giugno 1915.

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tuazione in Belgio.148

Una volta sconfitto il tifo cambiò improvvisamente anche l’atteggiamento della Fondazione Rockefeller, che pure all’inizio della primavera si era tanto prodigata per l’invio urgente della missione Strong. Allora i suoi rappresentanti di ritorno dalla Serbia avevano premuto per un’azione immediata sottolineando che almeno 300.000 persone vivevano in una condizione di estremo bisogno e che quanto la situazione di povertà riscontrata in Serbia era ben più grave di quanto visto in tutti gli altri paesi fino ad allora presi in esame;149 nell’estate successiva però la stessa Fondazione Rockefeller riportò che il tifo era stato «contenuto» e che il paese non si trovava in una grande penuria di cibo, ribadendo che la Serbia riceveva una sufficiente assistenza dalle grandi nazioni.150 In conseguenza di ciò Strong fece ritorno in America e non fu intrapreso nessuno sforzo ulteriore per l’invio di aiuti:151 in tutto, la Fondazione Rockefeller aveva speso in Serbia circa 150.000 dollari per la missione sanitaria e appena 40.000 dollari per rifornimenti alimentari destinati alla popolazione. Nient’altro fu fatto nonostante le indicazioni in base alle quali cibo e vestiti erano ancora necessari.152

A Belgrado ad esempio la carne scomparse dall’alimentazione già a luglio, mentre a ridosso della nuova offensiva nemica si bloccarono i treni con i rifornimenti di farina;153 e il 13 agosto Robert Tatlock riferì che «l’afflizione è maggiore che in Francia, anche da quando il governo sta distribuendo il cibo».154

I governi dei paesi alleati perseguirono nella loro politica di non intervento verso la Serbia, mentre le loro preoccupazioni venivano rivolte ad altre

148 Mieczysłav B. Biskupski, op. cit., pp. 55-56. Per operare un confronto, al 15 agosto 1915 il «Serbian Relief Fund» aveva ottenuto donazioni pari a 120.828,56 dollari, mentre il «Belgian Relief Fund» era riuscito a raccogliere 1.049.352 dollari; Red cross halts typhus in Serbia, The New York Times, 15 agosto 1915. Biskupski sottolinea anche che una delle maggiori istituzioni di carità americane, l’«American Relief Clearing House», nonostante avesse dimostrato «orgogliosamente» un interesse verso la Serbia durante l’epidemia, affermò che i bisogni del paese erano troppo grandi per poter essere accomplished da una qualsiasi associazione individuale; alla fine vi spese meno di 100.000 dollari, mentre nello stesso periodo una cifra di quindici volte superiore in Francia. M. B. B. Biskupski, op. cit., pp. 56-57. 149 Bruna Bianchi, L’arma della fame. Il blocco navale e le sue conseguenze sulla popolazione civile (1915-19), in DEP, 13/14, luglio 2010, p. 24. 150 Mieczysłav B. Biskupski, op. cit., pp. 40-41. 151 Ivi, p. 41. 152 Ibidem. 153 Bogosav Vojnović Pelikan, Agonija Beograda 1915. godine, in Agonija Beograda u svetskome ratu, Grupa živih branilaca Beograda iz 1914. i 1915. godine, Beograd, 1931, p. 204. 154 Katherine Storr, Excluded from the Record. Women, Refugees and Relief, Peter Lang AG, Bern, 2010, p. 199.

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questioni. Mentre in Serbia il tifo e la carestia decimavano la popolazione si erano infatti tenute le trattative per l’ingresso in guerra dell’Italia, le cui aspirazioni di dominio dello spazio adriatico erano prevalse sulle promesse fatte alla Serbia. Contemporaneamente le diplomazie dell’Intesa si vedevano impegnate in accese trattative per ottenere anche l’ingresso in guerra di Romania e Bulgaria, garantendo anche le rispettive ambizioni sui territori serbi. La Serbia, come già nel 1914, fu ancora una volta assente dagli interessi delle potenze dell’Intesa.155

155 Mieczysłav B. Biskupski, op. cit., p. 40.

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