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Conclusioni
Conclusioni
L’eredità che la Grande Guerra lasciò nei Balcani fu, per certi versi, molto simile a quanto avvenne nel resto dell’Europa. Le grandi sofferenze patite dai civili non avrebbero mai occupato un posto di rilievo, mentre i nuovi rapporti interni e internazionali furono contraddistinte dall’appartenenza alle due fondamentali categorie fuoriuscite dal conflitto mondiale, i vincitori e i vinti.
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Come accennato, all’interno del Regno di Serbi, Croati e Sloveni, le due componenti non avrebbero mai goduto un livello paritario, dando luogo ad un pressoché permanente confronto tra centralismo autoritario (serbo) e separatismo (croato soprattutto) che sarebbe stato tra le cause principali della costante fragilità dell’apparato statuale jugoslavo e dell’incancrenirsi di nazionalismi sempre più intolleranti e violenti.
Dall’altro lato, il rapporto tra vincitori e vinti era quanto mai presente anche a livello interstatale. L’ennesima umiliazione subita dallo stato bulgaro, che si era visto tolto oltre a tutti i territori annessi nel 1915 anche altri strategicamente appetibili per il Regno SHS, sarebbe stata negli anni a venire un elemento importante della concezione politica di alcuni ambienti di Sofia, che avrebbero trovato poco più di vent’anni dopo una nuova possibilità di rivalsa.
I temi che sono stati trattati in questo lavoro sono per alcuni versi molto complessi e articolati, e una delle difficoltà principali è stata proprio quella di individuare solo quanto potesse risultare utile agli obiettivi finali. Non è stato facile. Partendo con l’intenzione di indagare solo i crimini si è infatti giunti ad allargare l’orizzonte delle ricerche. La questione delle atrocità commesse contro la popolazione civile è sempre stata al centro dell’attenzione: ma nel corso del tempo ci si è resi conto che non ci si poteva limitare solo ad essa. I crimini infatti vennero commessi nei confronti di una popolazione che già era allo stremo delle forze e che già aveva patito innumerevoli sofferenze. E nonostante non si possano inserire nella categoria dei crimini, almeno dal punto di vista legale, appaiono gravissimi gli elementi che si presentarono in quegli anni. I profughi serbi, non aiutati a sufficienza dalle proprie autorità; l’abbandono totale delle potenze alleate, che intervennero solo per salvare l’Europa da una pandemia; la costrizione di 30.000 bambini e ragazzi a seguire il proprio esercito; e soprattutto, l’impedimento che qualsiasi aiuto alimentare giungesse alla popolazione sotto occupazione. In quest’ultimo caso, anche se nel caso della Morava e della Macedonia buona parte delle responsabilità fu dell’occupazione bulgara, non si può ignorare la caparbietà inglese (e non solo) nel non far pervenire alcun tipo di aiuto ai civili sotto occupazione nemica: del resto, l’obiettivo era sconfiggere il nemico, e se sul campo di battaglia risultava dif-
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ficile, con la fame si poteva certamente sconfiggerlo. A prezzo di centinaia di migliaia di morti civili, sia «nemici» che non.
Le violenze commesse dai bulgari rappresentarono, in termini legali, l’infrazione a tutte le leggi esistenti nel diritto internazionale a protezione dei civili. Insieme a quanto avvenuto su altri fronti, dal Belgio alla questione del genocidio degli armeni, ciò mise in evidenza la debolezza e la limitatezza di tali regole. In seguito a quanto avvenne durante la Grande Guerra venne infatti stilato l’elenco di 32 violazioni che si rese necessario per poter giudicare i responsabili. E tuttavia, come visto, questo non avvenne.
L’occupazione bulgara ebbe infatti le sue radici nelle guerre balcaniche. Fu infatti allora che esplose il nazionalismo aggressivo dei paesi in guerra, e fu allora che i civili nemici divennero l’obiettivo di massacri ed espulsioni di massa. Le stesse violenze si ripeterono tra il 1915 e il 1918, ma la loro intensità fu estremamente più grave. Con ciò non ci si riferisce solo alla violenza scatenata da truppe regolari e irregolari: dei crimini commessi in quel periodo infatti colpisce la pianificazione e l’organizzazione. L’internamento fu certamente l’aspetto più emblematico, sia per la rapidità con cui fu messo in atto sia per le dimensioni di massa che assunse.
L’elemento serbo andava eliminato ad ogni costo. Ma mentre in Macedonia non era così radicato, in Morava i sentimenti della popolazione erano nazionalmente molto delineati. Per questo motivo le politiche di bulgarizzazione assunsero un carattere ben più violento che nelle regioni meridionali del Regno di Serbia. I massacri di Surdulica, la repressione dell’insurrezione in Toplica, la deportazione di 80.000 civili e soprattutto la distruzione della cultura serba e l’imposizione di quella bulgara fanno azzardare l’ipotesi che si trattò di un vero genocidio. Gli ordini emessi dalle autorità bulgare, e in particolare quelli di Protogerov e quello del 29 maggio 1918, vanno a sostegno di questa ipotesi.
Ma l’occupazione bulgara non riguardò solamente la Macedonia e la Morava, bensì le aree greche a nord-est di Salonicco e la Dobrugia rumena. Viene dunque da chiedersi quali siano state le politiche messe in atto in quelle regioni, se cioè il processo di bulgarizzazione forzata delle popolazioni serbe e macedoni fosse parte di un piano più generale che riguardava anche le altre regioni occupate e se la violenza fu la stessa ovunque; nonostante manchino studi che possano permetterci di considerare anche questi aspetti del ruolo della Bulgaria nella Prima Guerra Mondiale, alcuni indizi portano a pensare che la risposta sia affermativa. Alla Conferenza di Pace la Grecia lamentò gravi crimini commessi nella Macedonia egea; basti pensare che i rappresentanti ellenici denunciarono l’internamento di 70.000 civili, dei quali molti – forse la metà – morirono di fame e stenti.78 Del resto, da alcune testimonianze della
78 AJ, 336-62-7760, Rapport présenté à la Conférence des préliminaires de paix par la Com-
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Commissione interalleata emerse che nei campi di Sliven, Trnovo e altri i civili greci ricevettero lo stesso trattamento dei serbi.79
D’altra parte, pare che anche in Dobrugia i bulgari si affrettarono ad arrestare i notabili romeni, e le autorità bulgare «si prodigarono nell’eliminare ogni segno della passata dominazione romena con una diligenza che oggi sarebbe qualificata come vera e propria pulizia etnica».80
Stando a questi elementi è evidente che l’intera questione della politica diretta da Sofia verso i civili delle zone occupate assume delle dimensioni assai gravi, e dal punto di vista storiografico assai importanti, perché nell’ottica dei crimini commessi contro i civili durante la Grande Guerra ciò significherebbe la presenza di un fenomeno fino ad ora mai considerato.
Uno sterminio, o forse un genocidio, diretto contro tre nazionalità, che ebbe nel governo bulgaro il centro organizzativo e nell’esercito il suo braccio operativo. Un’opera estremamente perfida, ma al contempo estremamente complessa da immaginare e mettere in pratica, dal momento che le snazionalizzazioni, le eliminazioni dei notabili, l’internamento di massa sono tutti processi che richiesero certamente una delicata elaborazione e un’attenta pianificazione.
Per questo motivo si ritiene questo lavoro come un punto di partenza per indagare più a fondo tutte queste tematiche. Sia per quanto riguarda la Serbia e la Macedonia, sia, in un’ottica comparativa, per quanto concerne la Dobrugia e la Macedonia egea.
Studi di questo tipo possono portare a comprendere anche il ruolo che la Bulgaria ebbe nella Seconda Guerra Mondiale: infatti, almeno nel caso della Serbia, l’occupazione si ripeté nelle stesse zone e, pare, con le stesse modalità.
mission des responsablités des auteurs de la guerre et sanctions, p. 36. 79 Rapport…., cit., tomo I, doc. 54, testimonianza di G. A. Georgiades, pp. 251-257. 80 Alberto Basciani, Un conflitto balcanico. La contesa fra Bulgaria e Romania in Dobrugia del Sud. 1918-1940, Periferia, Cosenza, 2001, p. 29.
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