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i primi crimini in Macedonia

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Bibliografia

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Il connubio tra comitadji ed esercito bulgaro: i primi crimini in Macedonia

Nel pieno dell’insurrezione albanese, l’avanzata austro-tedesca da nord e la ritirata dell’esercito serbo verso sud permisero alle truppe bulgare di conquistare in tempi relativamente brevi tutti i territori della Serbia orientale; già a fine ottobre avvenne il primo contatto tra la I armata del generale Bojadžijev e la controparte tedesca nei pressi della città di Paraćin. Altrettanto velocemente erano avanzate le truppe della II Armata del generale Todorov in Macedonia, arrestandosi però temporaneamente sulle rive del fiume Vardar. Una dopo l’altra le città serbe e macedoni stavano cadendo nelle mani dei bulgari.

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Nel corso delle battaglie le truppe serbe avevano perso numerosi uomini e molti altri erano rimasti feriti negli ospedali o fatti prigionieri: e fu proprio su di loro che vennero commessi i primi crimini, soprattutto in Macedonia, dove la «resa dei conti» con l’elemento serbo o filoserbo fu immediata. La marcia delle truppe bulgare era infatti seguita o addirittura preceduta dall’azione dei comitadji, che si congiusero alle rivolte turche e albanesi generando un’esplosione di violenza verso coloro che erano ritenuti i rappresenetanti della tirannia serba.

Va sottolineato comunque che la libertà d’azione concessa ai comitadji era in ogni caso affiancata dalla presenza dell’esercito bulgaro. Le violenze e i crimini vennero cioè commessi in aperta connivenza con le truppe di Sofia, il cui comportamento fu spesso in accordo con quello dei comitadji stessi. Non fu un caso: molti ufficiali bulgari erano infatti gli stessi che avevano subito la sconfitta del 1913, mentre molti altri erano in realtà macedoni e appartenenti alla VMRO; inoltre, e forse questo è l’elemento fondamentale, gli uni e gli altri condividevano il progetto di eliminazione dell’elemento serbo ed erano di fatto gli esecutori della politica nazionalista del governo Radoslavov.

Uno degli esempi più evidenti del connubio tra comitadji ed esercito bulgaro fu la città di Štip, in Macedonia orientale.

Nell’ospedale della città, nella seconda metà di ottobre 1915 si trovavano ricoverati circa 120 soldati serbi, gran parte dei quali ammalati. Il 20 ottobre/2 novembre, pochi giorni dopo l’ingresso delle truppe bulgare, il tenente Levterov, nominato comandante della città, si presentò sul luogo munito di un ordine di «evacuazione» firmato dalla più alta carica militare in Macedonia del momento, il colonnello Protogerov.11 Ufficialmente era in questione il tra-

11 Aleksandar Protogerov, colonnello della III Brigata dell’XI Divisione «Macedonia», nativo di Ohrid, era già prima della guerra un importante esponente della VMRO (si veda capitolo La fine del 1915, p. 3, nota 10) e aveva partecipato come volontario alla guerra serbo-bulgara del 1885,

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sferimento dei prigionieri serbi in un campo d’internamento in Bulgaria; per rendere più verosimile la questione venne dato loro del pane per il tragitto. Tuttavia, dietro gli ordini ufficiali da comunicare ai prigionieri c’era un ordine molto più perentorio diretto solo agli ufficiali e ai soldati bulgari: uccidere tutti i prigioneri serbi dell’ospedale di Štip.

In collaborazione con il principale esponente locale della VMRO Todor Aleksandrov,12 i soldati serbi feriti e ammalati dell’ospedale di Štip vennero quindi messi in marcia verso la città di Radoviš. Giunti nel villaggio di Ljubotin furono però ammanettati e portati a piccoli gruppi in luoghi a poche centinaia di metri dal centro abitato, dove vennero uccisi soprattutto a colpi di baionette, pugnali e coltelli, dai comitadji del vojvoda Ivan Janiev Brlo e dagli stessi soldati del V Reggimento bulgaro che li avevano scortati da Štip.13 Tra le vittime non vi furono solo i feriti e gli ammalati: a subire la stessa sorte furono infatti anche semplici prigionieri disarmati. Una volta terminate le esecuzioni le autorità comunali bulgare, insediatesi da poco, ordinarono a 7 turchi del luogo di seppellire i cadaveri.14

L’eliminazione immediata dei prigionieri di guerra, generalmente dei feriti o degli ammalati che venivano ritenuti non in grado di raggiungere i campi di internamento in Bulgaria – ma non solo -, avvenne anche in molte altre zone della Macedonia. Diversi soldati serbi fatti prigionieri nelle zone a ovest di Bitola, a cavallo tra i laghi di Prespa e Ohrid e l’Albania, furono radunati nel

all’insurrezione a Gornja Džumaja del 1902 e a quella di «Ilinden» del 1903; nel corso delle guerre balcaniche fu uno degli organzzatori delle truppe volontarie macedoni che si batterono al servizio dell’esercito bulgaro. Nel 1917 verrà chiamato a reprimere l’insurrezione scoppiata in Serbia nella regione della Toplica. La divisione sotto il suo comando era composta da macedoni bulgari. 12 AJ, Delegazione del Regno di Serbia alla Conferenza di Pace di Parigi (fondo numero 336), 23-6104, Liste des personnes accusées par l’Etat serbe-croate-slovene d’avoir commise des actes contraires aux lois et coutumes de la guerre à livrer par la Bulgarie en exécution des articles 118, 119, 120 du traite de Neuilly, p. 1 (Aleksandrov è indicato come capo del comitato rivoluzionario bulgaro di Štip). 13 Rapport de la Commission interalliée sur les violations des Conventions de la Haye et le Droit International en général, commises de 1915-1918 par les Bulgares en Serbie occupée, Documents, Paris 1919; tomo II, doc. 135, rapporto da sottoprefetto distretto Štip a prefetto dipartimento Bregalnica, 8 dicembre 1918 (con relative testimonianze allegate: doc. 136, Mita Pavlović, doc. 137, Naca Ivanović, doc. 138, Ilija Ristić, doc. 139, Rista Kostić, doc. 140, Haime Arditti, e rapporti inchieste doc. 141, 142 e 143), pp. 266-284; e doc. 145, 146 e 147, con elenchi nominativi prigionieri serbi uccisi, pp. 286-303; AJ, Ministero degli Affari esteri, 334 - Direzione per gli accordi (MIP-DU, 334)-20, testimonianza Saadedin Kerimović, 14 novembre 1918. Il vojvoda Brlo nei giorni successivi al massacro si diede all’estorsione dei cittadini più agiati: chi consegnava subito il denaro veniva lasciato in pace, chi si rifiutava veniva picchiato, torturato e anche ucciso. Si veda: AJ, 334-20, testimonianza dottor Aron de Mendosa, 10 ottobre 1918. 14 AJ, Ministero degli Affari esteri, Direzione per gli accordi (MIP-DU, 334), 20, testimonianza Edip Abduramanović e Ahmed Mehmedović, 17 ottobre 1918.

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paese di Resan; al momento del loro spostamento verso la tappa successiva del tragitto verso Sofia una parte di loro, secondo alcuni la maggioranza, venne indirizzata a piedi verso la città di Bitola. Un’altra parte, probabilmente quelli in condizioni fisiche peggiori, furono divisi in piccoli gruppi e fucilati o trucidati appena fuori Resan. I testimoni, interrogati a fine guerra, raccontarono di aver visto almeno 28 morti, lasciati insepolti o interrati alla men peggio da alcuni soldati bulgari che scelsero volontariamente, lontano dagli occhi dei propri ufficiali, di dare una sepoltura a quei corpi massacrati.15

Un massacro simile avvenne anche nella città di Kruševo. I comitadji vi fecero il loro ingresso il 5/18 novembre e dopo aver catturato nei dintorni 25 soldati serbi e averli poi rinchiusi nel carcere della città. Il giorno successivo 13 di loro vennnero sgozzati alla presenza dei vojvoda Vanče Nona e Petko Čaunović, sotto il cui comando si trovavano circa 200 disertori dell’esercito serbo, mentre gli altri avrebbero dovuto subire la stessa sorte il giorno dopo alla presenza del vojvoda Andel. Questa sorta di sacrificio collettivo dei nemici catturati venne però evitata solo dal nuovo momentaneo ingresso dell’esercito serbo avvenuto il 7/20, che permise la liberazione dei restanti prigionieri.16

In alcuni casi la sorte dei prigionieri rimaneva agli occhi della popolazione civile una questione misteriosa. Mihail Naum, interrogato il 4/17 novembre 1916 da ufficiali dell’esercito francese a Bitola, testimoniò che poco dopo l’ingresso dei bulgari a Bitola vide un gruppo di circa 30 soldati serbi, tra cui diversi feriti, portati dal fronte a piedi. Radunati in una piazza, vennero picchiati e lasciati lì due giorni con la guardia di due soldati bulgari. In quel periodo non ricevettero cibo né cure, le loro ferite si infettarono e vennero costretti a pagare quei generi alimentari che la gente portava loro di propria volontà. La mattina del terzo giorno vennero caricati su un carro senza insegne della croce rossa e portati in direzione del paese di Topolčani. Nessuno seppe quale fu la loro sorte: tuttavia, gli stessi soldati bulgari raccontarono che sono erano stati uccisi tra Topolčani e Prilep a colpi di baionetta.17

15 Rapport…, cit., tomo II, doc. 151, p. 307. Testimonianza di Jean Michailovitch (Jovan Mihailović), 26 novembre 1918. Le indagini di polizia svolte nel 1918 confermarono la presenza di un numero imprecisato di cadaveri in fosse intorno a Resan, nei luoghi chiamati «Jezerište» e Golema reka, in alcuni casi ancora con uniformi, cappotti o altri oggetti militari. Non fu possibile accertare il numero preciso dal momento che i soldati uccisi vennero sepolti sotto un sottile strato di terra: le piogge e i cani, come in molti altri casi, avevano disseppellito buona parte delle ossa e le avevano sparse o distrutte. «Sembra quasi che gli assassini non abbiano voluto lasciare alle madri neanche le tombe dei propri figli», sottolineò l’ufficiale di polizia incaricato delle indagini. Si veda: AJ, MIP-DU, 334-19, senza numero, rapporto di polizia su massacro soldati serbi a Resan nel 1915, 3 dicembre 1918. 16 VA, p. 6, k. 609, 35/3, telegramma su testimonianza notaio Stanoje Stanojević, 7/20 novembre 1915. 17 VA, p. 3a, f. 3, doc. 11/1.

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Alla carneficina di numerosi soldati serbi contribuirono anche, come accennato, bande di albanesi e turchi. Oltre ai numerosi attacchi compiuti contro l’esercito serbo in ritirata in Kosovo e Albania18 vennero riportati esempi di esecuzioni di massa: nei pressi del monastero di San Marco presso il villaggio di Koriša (Prizren), come vendetta per le misure repressive messe in atto nel marzo del 1913, gli albanesi massacrarono circa 130 soldati prigionieri, diversi profughi e i monaci stessi. Il giorno dopo uccisero anche 17 contadini serbi locali.19

Molti altri furono gli esempi. Reiss, in una delle sue numerose inchieste, registrò diversi massacri compiuti direttamente dall’esercito bulgaro, senza il coinvolgimento dei comitadji: 500 prigionieri serbi uccisi dalla cavalleria bulgara a Priština, altri 60 uccisi e gettati nel fiume Drim presso lo «Špiljski most», altri 195 uccisi a fine novembre a Lisica, e molti altri.20 Dall’inchiesta emerse un elemento molto importante: i soldati bulgari interrogati raccontarono infatti di aver agito su ordine dei loro ufficiali per eliminare la presenza serba.21 Ciò indicava che non si trattava solo di una collaborazione tra comitadji ed esercito bulgaro il cui obiettivo era la vendetta: in questione era infatti l’esecuzione di ordini ben precisi provenienti dai vertici dell’esercito regolare bulgaro il cui obiettivo ricalcava il disegno di una politica di snazionalizzazione e di eliminazione di quanto potesse rappresentare un ostacolo alla bulgarizzazione delle regioni occupate.

Questi due elementi – la vendetta e la pianificazione della snazionalizzazione- trovarono la conferma più importante nel trattamento subito dalla popolazione civile delle zone rurali e da alcuni strati sociali della popolazione urbana.

Ancora una volta in Macedonia i comitadji furono i principali responsabili di numerosi eccidi commessi all’inizio dell’occupazione bulgara. La vendetta nei confronti di chi si era riconosciuto nel regime serbo o di chi ne era stato un sostenitore fu a tal punto violenta che interi paesi vennero distrutti e i loro abitanti uccisi o internati. La distruzione doveva essere infatti la punizione per tutti quei macedoni che avevano «tradito», senza riguardo al sesso o all’età:

18 Molte sono in proposito le testimonianze di aggressioni albanesi nei confronti delle truppe in ritirata, in cui la motivazione risulta quasi sempre il saccheggio; molte altre testimonianze parlano invece di ospitalità offerta o pagata a prezzi molto alti. Si veda ad esempio: Vojin Đorđević (a cura di), Kroz Albaniju, Prosveta, Beograd 1968. 19 Bogumil Hrabak, Stanje na…., cit., p. 91. 20 R. A. Reiss, Zverstva Bugara i Austro-Nemaca. Bugarska zverstva u toku rata, Državna štamparija Kraljevine Srbije, Solun, 1916, pubblicato in Slađana Bojković-Miloje Pršić, op. cit.; R. A. Reiss, Les infractions aux lois et conventions de la guerre commises par les ennemis de la Serbie depuite la retraite serbe de 1915, Librairie Bernard Grasset, Paris, 1918, pp. 197-210. 21 R. A. Reiss, Les infractions…, cit., p. 101.

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