S.A.M. #1

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L’UTILE INUTILITÀ DEL BELLO

Volevamo stupirvi con effetti speciali. Ma siccome noi non scriviamo solo di sogni, ma anche di solide realtà, abbiamo scelto di regalarvi un amico. O forse un aiuto. Con questo speciale numero 0 (la cifra che somiglia a un uovo, ovvero alla forma perfetta) nasce Spirito Autoctono Magazine, per gli amici, per i nemici e per i pigri, semplicemente SAM. Cos’è S.A.M? Che domande!

Lo spin-off editoriale del primo quotidiano online e della prima guida dedicati al mondo della distillazione italiana. Per questa volta 68 pagine di storie, cultura, viaggi e divagazioni pindariche, ma non vi possiamo assicurare che saranno sempre uguali, che il peso delle parole non si allarghi o non si restringa. Viviamo il mondo un sorso alla volta e seguiremo, in questo nostro raccontarvi le cose spiritose del mondo, il flusso della vita.

Per il pianeta saremo meno dannosi dei nostri colleghi: SAM verrà stampato solo su carta riciclata, con il formato contenuto da tabloid classico, in modo da non esagerare. In apparenza, per quello bastano i contenuti, tratteggiati come un abito dal Taglio agile ma preciso, competente ma non ingessato, credibile e attendibile, libero e trasversale. Siamo dei sognatori con grandi progetti e per poterli realizzare chi scrive (che poi sarebbe il direttore della squadra che vado a presentarvi) si è circondato di un manipolo di amici altrettanto utopici ( a volte anche distopici).

SAM è un tempio con le porte aperte per chi sa porre le domande giuste. Che voglia abitarci dentro o semplicemente sfogliarlo di tanto in tanto, che sia carta profumata tra le dita o ecologici pixel su Issue, la piattaforma a cui ci appoggeremo da oggi in poi. L’importante, come dice il protagonista dell’intervista di questo numero, “è cogliere l’essenza”.

Avrete notato, giunti in fondo a questa presentazione, che il nostro è un approccio filosofico, alla vita come al lavoro. Ed è con filosofia che rispondiamo alla domanda più spinosa di tutte: “Ma era necessario un altro progetto editoriale?”. No, ma come accade spesso per tutto ciò che è superfluo, SAM sarà utile. Vi farà sorridere. Vi farà sognare. Vi farà riflettere.

1 SPIRITO AUTOCTONO MAGAZINE
EDITORIALE

IL FOTOGRAFO DI COPERTINA

IL CONTE JEAN

Jean-Philippe Vaquier, in arte Folzer, che significa fulmine ma più conosciuto nell’industry come Il Conte Jean. Un artista futurista, già vincitore globale di Art of Italicus 2020 con l’opera “The compenetration of lights”. Collabora da anni con vari brand di liquori e distillati sia come fotografo che come illustratore. Da tre anni è anche autore dei menù del Depero di Rieti e del The Court di Roma e fotografo stabile di vari bar e ristoranti. Le sue foto stanno rapidamente entrando a far parte del nuovo immaginario collettivo del settore mixology e distillazione ed è questo uno dei motivi per cui lo abbiamo scelto per aprire questa nuova sezione.

Spirito Autocono Magazine n.1

Direttore editoriale: Francesco Bruno Fadda direttore@spiritoautoctono.com

Caporedattrice: Eugenia Torelli eugenia@spiritoautoctono.com

Desk di redazione: Federica Borasio federica@spiritoautoctono.com

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Autori:

Paolo Campana, Alberto Del Giudice, Irene Forni, Andrea Guolo, Maurizio Maestrelli, Giambattista Marchetto, Gualtiero Spotti, Davide Terziotti, Marco Zucchetti, Eugenia Torelli, Federica Borasio, Francesco Bruno Fadda

Progetto grafico: Paolo Campana paolo@spiritoautoctono.com

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3 SPIRITO AUTOCTONO MAGAZINE
DOSSIER VENETO 6 UNA CITTÀ, UN PONTE, UNA GRAPPA 11 DISTILLO EXPO, IL SALONE ITALIANO DELLA DISTILLAZIONE 16 APERITIVO, UN ORGOGLIO TUTTO ITALIANO 18 A SPASSO PER DISTILLERIE NEL MAINE (E NON SOLO) 21 SPIRITI ANALCOLICI - L’ITALIA C’É 24 ALCOL FREE - LA SFIDA DEGLI INGREDIENTI MADE IN ITALY 26 DONNE E MIXOLOGY ROMA BAR SHOW - RICOMINCIO DA TRE CHIC NONNA - LA SINFONIA DI VITO MOLLICA TRASGRESSIONI CARNIVORE IL NEGRONI AUTOCTONO
VESSICCHIO
L’EMOZIONE DEL SUONO DELLA TERRA COSE - DA GUSTARE, LEGGERE,
SAPERE SPIRITO AUTOCTONO - SPECIAL AWARD SPIRITS TREND 2023 RINASCIMENTO SPIRITOSO ...E LA CHIAMANO ESTATE VERSO IL WHISKY DEL SUD CONSIGLI PER GLI ACQUISTI 29 32 36 38 40 42 46 50 54 56 58 60 62
SOMMARIO
PEPPE
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ASCOLTARE,

VENETO QUESTIONE DI GRAPPA O DI GRASPA

SPIRITO AUTOCTONO MAGAZINE
di Eugenia Torelli

Tra campanili, vigneti e alambicchi, una panoramica sui nomi che dal Garda alla laguna di Venezia, fanno grande il distillato di vinaccia italiano per eccellenza

Lavoratori instancabili, goliardici e anche – notoriamente – appassionati estimatori di calici e bicchieri. In fatto di grappa, i veneti possono veramente dire di saperla lunga. Loro, che da un niente e da un’idea costruiscono imprese, non potevano dalle vinacce non tirar fuori quel “sangue di fuoco” - come lo chiamava il Veronelli - che anche qui è ancorato alla tradizione da secoli.

Si parla, infatti, di un fiorente mercato di acquavite di vino e di vinaccia già attorno al 1300, quando il periodo delle Repubbliche Marinare spingeva i commerci della Serenissima verso le rotte orientali, ma anche verso la Germania. All’inizio del 1400 fu il medico padovano Michele Savonarola a scrivere il “De arte confetionis acquae vitae”, testo che divenne uno dei primi punti di riferimento per i distillatori. Un’arte che era padroneggiata soprattutto dai farmacisti, che impiegavano il distillato a scopi terapeutici per curare diverse patologie, tanto che nel 1601 a Venezia nacque anche la Congrega dell’Università degli Acquavitai Un altro importante contributo regionale alla distillazione arriva qualche secolo dopo, nella seconda metà del 1800, da Emilio Comboni, ricercatore enologico della neonata Regia Scuola di Viticoltura ed Enologia di Conegliano (TV), che perfeziona l’alambicco a fuoco diretto. Ma è l’introduzione dell’alambicco a vapore che porta a un ulteriore avanzamento qualitativo del prodotto finale. Molte innovazioni di quel periodo arrivano inoltre proprio dagli stessi distillatori, in un incessante lavoro di ingegno su tecniche e alambicchi.

Da allora la tecnologia ne ha fatti di passi in avanti e oggi il Veneto è patria di alcuni dei più importanti distillatori nazionali, tra aziende storiche, nuove realtà e un’anima imprenditoriale di stampo soprattutto familiare, spesso tramandata attraverso le generazioni.

Intanto nelle case, nei ristoranti e nei bar, di città o di provincia, la grappa – più rustica o più morbida, bianca o invecchiata – resta una sorta di icona sacra. Con la graspa si chiude il pasto, si “benedicono” i dolci secchi e si “purificano” le tazzine di caffè. Per la pratica esiste pure un termine specifico in dialetto, il resentin, che è appunto il gesto di

versare un goccio – giosso a Venezia - di grappa nella tazzina, per tirar su col distillato quello che resta della scura bevanda.

Di provincia in provincia, la laboriosa regione del Nordest, è uno dei terreni più fertili da cui partire per parlare del distillato più romanticamente italiano che ci sia. Ecco dunque una panoramica, a volo d’uccello, tra alcuni nomi da scoprire e tenere a mente, ma soprattutto da utilizzare come spunto, per approfondire un universo che va ben al di là di queste pagine e che si evolve senza sosta, sull’onda dell’inarrestabile spirito imprenditoriale veneto.

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Vicenza, dal Palladio al Grappa

La cosa più naturale sarebbe pensare di partire da Venezia. E di motivi ce ne sarebbero tanti, gli stessi di tutti quelli che, dovendo scegliere una meta nel Nord Italia, puntano il dito sulla mappa in corrispondenza di quella unica e irripetibile manciata di isole, che dall’alto pare un pesce. Tiziano Scarpa ci ha scritto un libro, Rorschach avrebbe forse detto che è semplicemente fame - di cicheti, da queste parti – ma per il momento restiamo più a ovest, nella provincia di Vicenza. Nel XVI secolo il Palladio l’ha disseminata di ville neoclassiche meravigliose, regalando alla città uno dei teatri più belli che si possano concepire - l’Olimpico, completato cinque anni dopo la morte dell’architetto. Dev’essere stato Bacco invece a decidere che, date le tante aziende vitivinicole, l’avrebbe cosparsa pure di distillerie.

Bassano del Grappa – il nome è legato al Monte Grappa, che non ha probabilmente a che vedere con le graspe, ma è indiscutibilmente perfetto – è la patria di grandi nomi della distillazione. È qui che nel 1700 Bortolo Nardini crea una delle prime grandi grappe di cui si abbia memoria. Nella Grapperia, a pochi passi dal magnifico Ponte degli Alpini sono ancora esposti gli alambicchi a fuoco diretto che nel 1800 sarebbero stati sostituiti da quelli a vapore. Ma a Bassano di distillerie ce ne sono molte altre e non mancano neppure i liquorifici. Scendendo più a sud, Capovilla è cele-

bre, oltre che per le grappe, anche per i suoi distillati di frutta. A Schiavon, sulla strada che da Bassano porta a Vicenza, si trovano le Distillerie Poli, con il Museo della Grappa

Un punto di riferimento per gli “spirituristi” e anche – non lo avreste mai detto – per l’industria cinematografica, tanto che diverse produzioni hanno scelto di girare qui serie tv e pellicole ambientate in distilleria.

Tra le distillerie storiche, non si possono non citare i Fratelli Brunello di Montegalda, che dal 1840 portano avanti una tradizione di artigianalità, resa possibile dalla figura di una donna, Maria Stella Marzari, una delle prime imprenditrici italiane del mondo spiritoso. Più a nord, Zanin, fondata nel 1895, oggi occupa l’intero spazio dell’ex filanda Marini di Zugliano. Un universo di 30mila metri quadrati, che è ancora un affare di famiglia – alla quarta generazione - e che comprende un percorso museale tra alambicchi, oggetti e strumenti del mestiere, oltre alla visita del cosiddetto “scrigno”, la bottaia.

A Malo c’è poi l’Antica Distilleria Dalla Vecchia, anch’essa fondata nel XIX secolo, che ancora oggi porta in bottiglia le sue grappe di Cabernet, Merlot e Chardonnay. Sempre nel segno della grappa, le Antiche Distillerie Riunite mettono assieme due realtà importanti come Rossi d’Asiago e Valbruna. E questi sono solo alcuni dei nomi da ricordare ed esplorare, passando dall’altopiano di Asiago e proseguendo lungo il corso del Bacchiglione.

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Padova tra grappa e pittori

Passeggiando per le vie di Ponte di Brenta, piccolo centro appena fuori Padova, si raggiunge piazzetta Modin e si dà il caso che i Modin fossero distillatori. Sorgeva proprio qui la distilleria che avevano rilevato dalla famiglia Rigato e che dal XIX secolo produceva grappa e distillato di vino. In famiglia c’era anche un pittore, Primo Modin, che aveva studiato dai macchiaioli fiorentini e che continuò a dipingere pur aiutando il padre tra gli alambicchi. In seguito l’azienda è entrata a far parte dell’universo delle distillerie Bonollo Umberto SpA. E oggi, in zona, dici grappa e hai detto Bonollo. Con sede a Mestrino, appena a ovest della città (e uno stabilimento a Conselve, PD), la Bonollo Umberto SpA è una delle realtà di riferimento in Italia, sia per le proprie grappe – celebre la OF Amarone Barrique - che per le tante cantine, venete e non, che le si rivolgono per realizzare grappa dalle proprie vinacce. Una potenza in termini di investimenti tecnologici, controllo della qualità e mercato, che oggi è ancora saldamente in mano alla quarta generazione della famiglia.

Anima trevigiana, dalla tradizione alla mixology

Nel cuore dell’areale di produzione del Prosecco, la grappa non è solo la naturale conseguenza del vino, ma un impegno che fin dal XIX secolo è coinciso con le parole ricerca e innovazione. Nel 1896, arriva da Corbanese di Tarzo una quarantina di chilometri a nord da Treviso, il “Manuale di distillazione” di Matteo Da Ponte. Il distillatore elabora un metodo ribattezzato appunto “Metodo Da Ponte” e lo raccoglie in un volume scientificamente documentato e illustrato che viene ristampato da Hoepli di Milano in ben quattro edizioni successive. Oggi la distilleria Da Ponte è cresciuta e continua a

produrre grappa seguendo gli stessi insegnamenti, per raccogliere e conservare al meglio gli aromi varietali dell’uva. Affonda le radici nel 1800 anche la storia di Bonaventura Maschio, iniziata da una famiglia di distillatori “erranti”, che a fine secolo conducevano il proprio carro con gli alambicchi verso Ungheria e Romania. Tornati in pianta stabile nel trevigiano, costruiscono quello che oggi è un brand conosciuto in Italia e nel mondo, oggi guidato da Italo Maschio assieme ai figli, Anna e Andrea, che alla grappa e al celebre distillato d’uva – Prime Uve – accompagna liquori, gin, amari e anche l’importazione e distribuzione in esclusiva di alcuni spirits stranieri, come tequila, mezcal, rum e non solo.

Tra le aziende che intrecciano la distillazione alla produzione di vino c’è indubbiamente Bottega, una delle più imponenti realtà a livello nazionale. La Distilleria Bottega – che col vino ha legami di ben più lunga data - viene fondata nel 1977 a Pianzano di Godega da Aldo Bottega e oggi Bottega SpA è sinonimo di grappa ma anche di Prosecco. Impossibile infine, tra i grandi nomi del distillato di vinaccia, non citare la famiglia Castagner. Cultori appassionati della grappa, la loro Acquavite SpA è oggi una delle realtà più importanti d’Italia, con un fatturato che lo scorso anno ha raggiunto i 15,25 milioni di euro, incrementando la quota di export e investendo in strategie di marketing che puntano a spingere il distillato anche in ambito mixology, con una comunicazione che vira verso i consumatori più giovani.

Verso il Garda e tra le nebbie

Non si pensa esattamente alla grappa quando ci si spinge oltre Verona, verso il Lago di Garda. Questo affascinante bacino di origine morenica dà vita a un microclima mediterraneo nel nord dell’Italia, tanto che da queste parti sono più i calici di vino e le gite in barca a stagliarsi nell’immaginario comune. È invece nei dintorni del lago che si trova una distilleria storica della provincia. Attiva a Castelnuovo del Garda dal 1921, Scaramellini è una delle poche distillerie italiane a produrre ancora con l’alambicco a ciclo discontinuo a fuoco diretto. Una tecnica particolare che prevede l’accensione di un fuoco posto 2 metri sotto terra, il cui calore scalda le caldaie in rame, alimentato solo a vinaccia esausta dell’anno precedente, talvolta unita a farina di nocciolino o sansa di oliva. Un unicum.

A torto, accade che Rovigo resti talvolta un po’ in ombra rispetto alle altre province venete, ma anche qui la storia vuole che la tradizione della distillazione sia salda e con le radici affondate nel XIX secolo. Ne sono un esempio le Antiche Distillerie Mantovani, che in località Pincara portano avanti un sapere tramandato da generazioni, oggi rappresentato dalla sesta generazione con Anna e Paolo Mantovani. Il Museo aziendale ripercorre quasi due secoli di esperienza e il forte amore per un territorio, il Polesine, “strappato alle acque del Po”, da vivere e valorizzare. Per questo oltre al percorso museale, la distilleria ha aperto una struttura in cui è possibile alloggiare tutto l’anno. Lo stereotipo vuole che queste zone siano identificate con la nebbia della pianura padana. Ed ecco allora che la distilleria rilancia, brevettando il M.M.I.N (Metodo Mantovani Invecchiamento Nebbia), un processo di maturazione all’aperto, che sfrutta la nebbia a proprio favore. Nasce così la Grappa delle Nebbie, che in pieno stile veneto sfida l’immaginario collettivo a spingersi più in là, proprio dove troppo viene dato per scontato.

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SPIRITI INTERNAZIONALI IN TERRA DI GRAPPA

materia prima di altissima qualità, come l’olio extravergine d’oliva del lago di Garda. Per lo speziato Gin Masala, distilled che nasce dalla storia di un viaggio in India, si è invece trattato di bilanciare in maniera ottimale la potenza del mix di spezie che compongono il tradizionale Garam Masala.

Non di sola grappa vive il Veneto, verrebbe da dire, a scorrere la lista delle Ampolle d’Oro di Spirito Autoctono La Guida 2023 – in tutte le librerie dal 24 marzo scorso. I massimi riconoscimenti dell’unica Guida agli spirits dello Stivale, potrebbero a prima vista sembrare inaspettati per una delle regioni-patria del distillato di vinaccia nostrano.

Tra i vincitori veneti dell’Ampolla d’Oro per l’edizione 2023 ci sono infatti soprattutto referenze dall’anima internazionale come gin, whisky e vodka. Un’evoluzione verso distillati meno tradizionali, che però arriva proprio dall’esperienza di storiche maison della grappa. È il caso di Poli Distillerie, marchio storico con sede a Schiavon (VI), che firma due delle Ampolle 2023, un gin, il Marconi 46 e un whisky, il Segretario di Stato - uno dei primi nati in Italia. Ed è sempre un’esperienza che affonda le radici nei vigneti, a portare in bottiglia gli altri due gin che entrano nell’Olimpo degli spiriti italiani. Per il morbido ed equilibrato Olivia Gin, è stata proprio la sapienza del distillatore a riuscire nel difficile compito di valorizzare una

Deve molto all’origine in vigna anche La Vodka di Italiko Drink, nata da un progetto imprenditoriale che punta a creare distillati-gioiello dal design di lusso, sulla falsa riga delle grandi maison della profumeria. In questo caso il prodotto mette insieme alcol di cereali e di provenienza vinicola, sapientemente miscelati da un distillatore del territorio trevigiano. In bottiglia arriva così un distillato dalla morbidezza tutta mediterranea da apprezzare liscia o in miscelazione.

A chiudere la lista invece, c’è un liquore più local che mai. La ricetta del San Giuseppe, liquore dell’omonimo laboratorio di Bassano del Grappa, prende spunto da un’antica ricetta tramandata dai Padri Gesuiti della zona, che prevede una lenta infusione - più di un mese - a base di sole erbe officinali, alcol, acqua e zucchero, a cui si aggiunge anche Miele del Grappa da coltivazioni biologiche.

LE AMPOLLE D’ORO DEL VENETO 2023

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GIN WHISKY LIQUORI Gin Masala (MasalaHomeboy) Olivia Gin (Olivia Gin) Marconi 46 (Poli Distillerie) Segretario di Stato (Poli Distillerie) La Vodka (Italiko Drink) Liquore San Giuseppe (Antico Laboratorio San Giuseppe)
Tra i massimi riconoscimenti di Spirito Autoctono La Guida, il Veneto eccelle per gli spirits dall’anima straniera
VODKA

UNA CITTÀ UN PONTE LA GRAPPA

Come faceva quella famosa canzone degli alpini? “Sul ponte di Bassano noi ci darem la mano…”. Più facile a dirsi che a farsi, perché a Bassano del Grappa per darsi la mano ci si deve davvero voler molto bene oppure si deve essere all’atto finale della conclusione di un affare. Molto più facile in questo gioiellino di città, il cui decantato ponte è solo il simbolo ma non la parte più suggestiva, avere le mani occupate.

E il più delle volte da un bicchiere. Generazioni di veneti e non, sono stati battezzati agli spiriti nobili con un bicchiere di Tagliatella, un liquore e marchio registrato a base grappa Nardini, marasca, arancia ed erbe che è da sempre una specie di rito di passaggio.

Anche di passaggio del ponte palladiano che è proprio lì, a due passi dalla Grapperia omonima, bottega storica della storicissima Nardini (nardini.it), prima distilleria italiana nata nel 1779. Lo stesso anno per intenderci in cui per le strade di Parigi

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di Maurizio Maestrelli

Bassano del Grappa prende il nome dal monte, non dal distillato!

girava il primo velocipede e Beethoven iniziava a comporre la sua prima sinfonia. Un primo bicchiere in Grapperia è il viatico obbligatorio e necessario per entrare in sintonia con una città ricca di storia e dei suoi numerosi lasciti. Per Bassano si sono aggirati Palladio e Canova, il primo fu colui che disegnò il celebre ponte, il secondo arricchì qualche villa nobile come l’ottocentesca Villa Rezzonico di stucchi, sculture e dipinti. Il risultato è un centro storico godibile a piedi, con quella sensazione di calma che si ha quando si è consapevoli che lo si può ammirare tutto. Senza quell’ansia che ti coglie quando sei al cospetto delle grandi capitali europee e hai solo uno striminzito fine settimana davanti a te. E del resto, anche Bassano è una capitale.

Della grappa, s’intende, e “mondiale” degli Alpini con tanto di titolo onorifico ricevuto nel 2008 dall’Associazione Nazionale Alpini. Restando in tema grappa vale la visita, anche perché quest’anno festeggia il trentennale della sua costituzione, il Poli Museo della Grappa, voluto dalla distilleria omonima che sta invece a Schiavon (venti kilometri di distanza e se si ha l’auto vale la pena farci un salto pure da quelle parti), centralissimo e quasi impossibile da mancare. Come impossibile, è in piazzotto Montevecchio, è mancare Palazzo delle Misture, un cocktail bar che non sfigurerebbe a Milano o a Roma dove i fratelli Camazzola trasmettono storia e cultura del bere miscelato, con una drink list che va a ripescare classici di un tempo e versioni storiche di cocktail oggi di gran moda. Provate ad esempio la versione dell’Americano come si faceva nel 1919, con il Fernet al posto del bitter.

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Che la grappa sia una delle bandiere di questa cittadina è difficile metterlo in discussione. Dalla prima distilleria d’Italia, la Nardini, alle Distillerie Poli per finire con il Museo della Grappa di Bassano.
Ma, oltre alla grappa, ci sono altre cose da non perdere…

Pure ambasciata dell’assenzio, qui riproposto in numerose etichette e servizio in stile Parigi Belle Epoque, Palazzo delle Misture serve anche a prendere lo slancio necessario ad attraversare l’iconico ponte e a puntare decisi verso un secondo cocktail bar da non perdere: Al Querto. Aperto nel 2019 da Filippo De Martino e Alvise Zonta, che si sono fatti le ossa tra Milano e Roma, è un locale effervescente e informale, se vogliamo meno stylish rispetto al “palazzo” ma con lo stesso tasso di professionalità e di creatività. E l’elenco, incredibilmente per una cittadina che fa poco più di quarantamila abitanti, potrebbe pure continuare con il rischio tuttavia di farsi prendere la mano innalzando eccessivamente il titolo alcolometrico del proprio organismo. Bene dunque a questo punto suggerire anche qualche tappa più prettamente gastronomica anche perché Bassano ha regalato al mondo i bigoli o ‘bigoi’ se si vuole chiamarli alla veneta, lingua nella quale le elle cadono come le foglie in autunno. Si tratta di spaghetti di grosso calibro e di ben precisa ruvidità, con un grip perfetto per qualsiasi tipo di sugo. Li si incontra piuttosto facilmente nei numerosi ristoranti del centro cittadino: noi ne suggeriamo un paio: il Ristorante Trevisani, ricavato all’interno delle mura storiche, dotato di un’ottima carta di vini e una cucina solida, di tradizione e di ottime materie prime.

Valido e sempre in pieno centro anche il Ristorante Ottone che inserisce nel mezzo anche l’inusuale termine “Birraria”, forse in omaggio alle origini asburgiche del primo titolare e all’iniziale tipologia di locale. Ambiente d’atmosfera, Liberty per essere precisi, e piatti molto local come il baccalà alla vicentina. Ma se proprio proprio non si riesce a rinunciare alla propria vocazione modernista ecco, a letteralmente due passi dal Al Querto, Teochef che propone una cucina fusion e piatti che incuriosiscono come “cavallo crudo/olioalleerbe/fumo/arachidi”. E questo per dire che Bassano del Grappa è sì città delle tradizioni secolari, della cucina di una volta e via dicendo, ma sa anche proporre degli sguardi nuovi ai fornelli.

Magari non amati dagli Alpini quanto un piatto di polenta e soppressa, ma di sicura presa su palati più ambiziosi o semplicemente meno consuetudinari. Poi basta lasciarsi immergere nella folla di giovani e meno giovani che vanno a passeggio per il centro storico e seguire la corrente per non sbagliare. Aperitivo con cicchetti, così si chiamano da queste parti gli assaggini che si accompagnano al pre-cena e che spesso si trasformano in cena vera e propria, alla Corte Sconta di “Cortomaltesiana” memoria, un bicchiere di vino al Leon Bar di piazza Libertà, molto amato dalla gioventù locale, una semplice bruschetta da Al Saiso con vista sul ponte o una tappa all’Enoteca Mariga, sempre a due passi dal ponte. Il ponte già, motore immobile della vita sociale bassanese, costruito una prima volta, abbattuto da una piena del Brenta, incendiato dalle truppe francesi nel 1500, ripensato dal Palladio, abbattuto da un’altra piena e incendiato nuovamente dai francesi (che evidentemente da queste parti portavano un po’… sfortuna) ma sempre comunque ricostruito tanto da meritarsi, nel 2019, il titolo di monumento nazionale. Il ponte, la spina dorsale di Bassano del Grappa. E, intorno a lui, il corpo pulsante di vita di questa città ricca di storie e di fascino. Per cui, sì, posate il bicchiere e datevi la mano.

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DISTILLO EXPO

IL SALONE ITALIANO DELLA DISTILLAZIONE

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Due chiacchiere con Davide Terziotti, co-fondatore assieme a Claudio Riva, sulla manifestazione che intercetta la crescita delle distillerie in Italia

Che la pandemia abbia fatto bene al settore del beverage è ormai acclarato. Non solo il consumo domestico di alcolici è aumentato in termini assoluti, ma è cresciuta anche l’attenzione per i distillati premium. Su questa base si sta innestando un nuovo fenomeno, di cui si inizia a parlare: il Rinascimento delle distillerie in Italia

I numeri parlano di una ventina di progetti nati durante gli ultimi tre anni, che hanno portato il totale delle distillerie italiane attive a un centinaio. Due le grandi direttrici di sviluppo: il gin, che lungi ormai dall’essere una bolla si conferma attrattivo, e la produzione conto terzi. Ovviamente i volumi sono ben lontani da Scozia, Irlanda o Stati Uniti, ma il boom delle micro-distillerie testimonia interesse anche economico per il settore. Un interesse che ha trovato naturale espressione in Distillo Expo, l’unico salone italiano dedicato alla distillazione, che lo scorso 16 e 17 maggio ha visto conclusa a Milano la sua seconda edizione

Dietro a Distillo ci sono Claudio Riva e Davide Terziotti, fondatori nel 2014 del Whisky Club Italia. Dopo anni di educazione e proselitismo presso gli appassionati, i due si sono messi in mente di provare a intercettare la crescente curiosità, anche produttiva. A Londra e negli Stati Uniti, ovviamente, il boom del craft distilling era già partito, per l’Italia era solo questione di tempo. Nel 2020 le “prove”, con la prima conferenza online, poi l’anno scorso la prima edizione dal vivo: un successo oltre le aspettative con 800 visitatori e 12 seminari con punte di 130 partecipanti da venti Regioni. «L’idea – spiega Davide – era fornire ai distillatori un contesto in cui confrontarsi, imparare, conoscere le novità». Missione compiuta.

Distillo, facendo uno sforzo di semplificazione, è la manifestazione enciclopedica della distillazione. Dalle imbottigliatrici ai fornitori di materie prime, dai produttori di alambicchi (in Italia oltre a Frilli, anche Barison e Ca’ d’Alpe) alle vetrerie, dai tappi ai distributori, qui ogni singolo aspetto dell’impresa è affrontato. Ci sono i seminari dei maestri dell’alambicco, da Bruno Pilzer a Vittorio Capovilla, e

session in cui si danno consigli. Due su tutti: non investire mai in immobili e macchinari prima di aver chiaro in testa che cosa si vuole fare e non tralasciare l’aspetto di marketing. «Serve sempre il realismo di un business plan, distillare cose buone non basta», spiega Terziotti.

L’edizione 2022 era stata quella dell’entusiasmo. Poi il caro-energia ha creato qualche timore e rallentato i piani di qualcuno. Però le previsioni sono rosee: «Secondo noi aprirà una ventina di distillerie ogni anno, il trend è ottimo». Ma chi sono i visitatori di Distillo? Innanzitutto, mediamente uomini over 35, quasi tutti già competenti in materia: «Tantissimi fanno prove a casa, con alambicchi amatoriali». Quattro i profili: ci sono i curiosi solleticati da una lontana voglia di mettersi in gioco; i professionisti e investitori provenienti da altri settori, come imprenditori agricoli o avvocati; i titolari di imprese di ristorazione o birrifici; i distillatori già affermati che vogliono aggiornarsi e vedere che aria tira. E l’aria che tira, come detto, è chiara: «Il gin tira e dà profitti immediati, quindi è alla base della stragrande maggioranza dei progetti nascenti. Ma ci sono anche belle realtà che puntano su vodka da ripasso, ratafià, anice, genziana, genepy. A Pero, fuori Milano, nella zona industriale sta per aprire una distilleria di baiju, lo spirito cinese per eccellenza».

Quest’anno, con gli spazi raddoppiati, l’obiettivo era quello ampliare ulteriormente il discorso, toccando temi come la fermentazione, i lieviti o la distillazione sottovuoto. Il clima è frizzante, gli indicatori tutti positivi (il comparto craft spirits è previsto in crescita del 19% nel quadriennio 2020/2024), perfino la burocrazia e le dogane – che tanto spaventano i nuovi distillatori – non sono più un grosso problema, con i tempi di attesa per i permessi che si attestano intorno ai 12-18 mesi. Tempi italiani, ma accettabili. Tant’è che pian piano anche attori più grandi e provenienti da altri ambiti, iniziano a entrare in gioco. Un gioco che lentamente sta riguardando anche il whisky: «Non è semplice – conclude Terziotti - per produrlo serve un investimento oneroso e il ritorno non è immediato. Eppure in tanti stanno producendo whisky italiano. Per ora si fa e si dice poco, ma è solo questione di tempo».

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APERITIVO UN ORGOGLIO TUTTO ITALIANO

Era il 1876 quando, in una piccola bottega di Torino, Antonio Benedetto Carpano diede vita a quello che, di lì a poco, sarebbe stato riconosciuto come l’elisir in grado di “aprire” lo stomaco e solleticare la fame: il vermouth Una grande creazione, senza ombra di dubbio, ma successiva a quanto – già nel IV secolo a.C - Ippocrate utilizzava per supplire all’inappetenza dei suoi pazienti, somministrando una bevanda abbastanza amara composta da vino bianco, fiori di dittamo (o frassinella, per i più avvezzi), assenzio e ruta. Un escamotage poi tramandato di secolo in secolo fino ad arrivare alle sapienti mani degli erboristi medievali, che compresero come il sapore amaro, molto più di quello dolce, fosse il responsabile di un ritrovato appetito. E questo la dice lunga sulla tendenza contemporanea della miscelazione di utilizzare dei bitter, dal caratteristico gusto amaricante, all’ora dell’aperitivo.

Fatta una doverosa premessa sulla storia, quel che serve dire è che l’Italia, dell’aperitivo ha fatto un vessillo imprescindibile, icona di quel savoir-faire tipico e tutto tricolore che parte dal gusto e dalla bellezza per dare vita a qualcosa di unico. Un rituale tanto radicato quanto speciale che, insieme alla moda e alla gastronomia, tutto il mondo conosce – e spesso invidia – senza trovare cloni in alcuna parte del globo.

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di Federica Borasio

Il 26 maggio il World Aperitivo Day apre le porte dell’Aperitivo Festival, la manifestazione ideata per diffondere la cultura dell’autentico aperitivo all’italiana

Il mantra dell’aperitivo

Da dove partire, dunque? Intanto da un dato che è ormai una certezza. E cioè l’istituzione del World Aperitivo Day, appuntamento ideato dal MWW Group che il 26 maggio di ogni anno celebra la più semplice e perfetta sintesi tra food, drink e stile di vita. Non una semplice evocazione, ma un vero e proprio progetto di sensibilizzazione verso una cerimonia divenuta quasi religiosa, che proprio per questo non può prescindere da alcune regole auree, codificate in un “Manifesto” e da ripetere come un mantra.

Per cominciare, l’aperitivo è un rito originale della tradizione italiana che accosta a una bevanda un prodotto alimentare o una preparazione gastronomica dedicata; punto due, si tiene in due momenti diversi della giornata, tanto nella vita domestica (complice il lockdown, abbiamo imparato tutti – o quasi – l’ABC della sopravvivenza casalinga MODERATAMENTE alcolica) quanto nei luoghi di consumo, ovvero prima del pranzo e prima della cena, senza diventare un sostitutivo dei pasti; terzo punto focale la provenienza italiana dell’aperitivo, almeno per il 50%, con gli ingredienti utilizzati di certificata origine e tracciabilità.

“Prima ancora di arrivare alle caratteristiche degli ingredienti che lo compongono, l’Aperitivo è un rituale tipico dell’italianità che nel nostro Paese è nato, si pratica ogni giorno in due diversi momenti della giornata, e che ne rappresenta lo stile di vita e la cultura – spiega Federico Gordini, presidente di MWW Group - Ha uno sconfinato potenziale a livello internazionale di diventare simbolo del nostro way of doing, sostituendosi per esempio all’usanza dell’happy hour che, a differenza dell’Aperitivo, si concentra principalmente sulla componente beverage. Non a caso, tra i valori-cardine che abbiamo messo a sistema nel Manifesto dell’Aperitivo c’è la regola dell’abbinamento, che pone come condizione imprescindibile l’accompagnamento di un elemento Food di qualità alla componente Beverage, ma anche la regola del 50% degli ingredienti dell’abbinamento, che devono essere prodotti italiani di origine certificata e tutelata: regola che non solo punta a vivere l’aperitivo internazionalmente, lasciando spazio anche all’incontro con le materie prime e le tradizioni di diverse culture, ma che offre significative occasioni di fare cultura dei prodotti Made in Italy, combattendo il fenomeno dei prodotti cosiddetti “Italian-sounding” e portando gli ingredienti italiani in nuovi contesti di consumo”.

Non trascurabile, in questo senso è quindi il pairing, ovvero l’accostamento tra le bevande e i prodotti alimentari, che deve lasciare spazio all’estro di chi lo realizza e valorizzare allo alla qualità del cibo e della bevanda, che dipende anche dal valore degli accostamenti, con protagonista la dieta mediterranea.

In tema green, anche l’aperitivo, oggi più che mai, può essere un momento per sperimentare scelte sostenibili, con l’uso di ingredienti stagionali o prodotti di aziende particolarmente sensibili al tema del rispetto ambientale, fino ad arrivare all’importanza della valorizzazione dell’aperitivo nei luoghi di somministrazione e da parte dei professionisti di questo settore, attori principali di un movimento destinato a crescere sempre di più.

In ultimo, ma non per importanza, il momento dell’aperitivo è per eccellenza un’occasione di scambio e contaminazione con altri campi della socialità, dal lifestyle alla cultura; dall’arte alla moda, fino al design. E, quindi, è anche uno strumento di divulgazione del tipico stile di vita italiano. “Quella dell’aperitivo è una tradizione culturale, un momento di vera socializzazione che resiste intatta nonostante il passare del tempo e delle generazioni - racconta Giampiero Francesca, direttore di Blue Blazer - Non è un caso se uno dei cocktail principi di questo rito, il Negroni, è, da oltre 100 anni, il drink più bevuto al mondo, il cui un gusto inconfondibile è, cosa più unica che rara, apprezzato in egual modo a Parigi quanto a Tokyo, a Sydney quanto a New York”.

Un Manifesto programmatico, quello dell’Aperitivo, che a un anno dalla sua nascita, anche quest’anno si esprimerà nel #WorldAperitivoDay, celebrando il rito più amato dagli italiani con la partecipazione dei professionisti della somministrazione e dando ufficialmente avvio all’Aperitivo Festival, la tre giorni che permetterà di scoprire e sperimentare nuovi abbinamenti con il contributo di chef e mixologist nazionali e internazionali, ma anche di vivere l’atmosfera del vero aperitivo all’italiana con incontri e laboratori nel centro di Milano.

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A SPASSO PER DISTILLERIE

NEL MAINE

E NON SOLO

Nello sconfinato territorio americano ci sono aree geografiche che mantengono una identità forte, tra queste il New England, che include sei stati nella parte nord-orientale degli Stati Uniti, rappresenta il primo nucleo molto popolato dalla colonizzazione Europea nel XVII secolo e vi si stabilirono tra le prime colonie britanniche nel Nord America, che poi furono anche le prime a elaborare i progetti per l’indipendenza dalla Corona inglese. Nel corso del XIX secolo l’area giocò un ruolo importante nell’abolizione della schiavitù negli Stati Uniti.

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di Davide Terziotti

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Tra questi sei stati, il Maine è la parte costiera più settentrionale, e rappresenta una meta particolarmente attraente: ha mare, laghi (oltre 1600), monti, isole, boschi e un parco nazionale, l’Arcadia, molto frequentato da chi ama camminare. Non a caso la vocazione dello stato è immediatamente comprensibile dallo slogan che campeggia sui cartelli quando si varcano i confini: Vacationland. Per la sua bellezza la regione viene presa d’assalto dagli americani, specialmente durante la stagione estiva; grazie alla vicinanza con grandi centri come Boston, l’effetto smart working ha portato molti professionisti facoltosi ad acquistare immobili facendo impennare i prezzi.

Attraversando lo stato si percorrono strade su ponti di ogni genere e periodo circondati da specchi d’acqua che possono essere laghi, golfi o fiumi, con i loro grandi estuari, che spesso hanno il nome dato dati nativi americani.

A inizio maggio trovo circa sette gradi, che non mi sento di maledire, visto che in altri luoghi solo con qualche grado in più, la temperatura dell’aria condizionata nei locali pubblici non si discostava di molto. Purtroppo anche la temperatura di servizio delle bevande in tutti gli Stati Uniti è particolarmente votata al gelo. Le birre, anche in locali specializzati e nelle tap room, causa temperatura vicino allo zero le ritroviamo con schiuma quasi azzerata, ma appena rinvengono un po’ ci rivelano quasi sempre perché gli USA siano una avanguardia nella birrificazione.

Il principale centro del Maine, pur non essendo la capitale, è Portland (da non confondere con l’omonima in Oregon); ha una popolazione di circa 70.000 abitanti, paragonabile, se prendo un luogo a me familiare, a Carpi. Nel piccolo centro affacciato sul mare operano cinque distillerie e decine di birrifici, in poche centinaia di metri. L’approccio della produzione affiancata alla tap room o al cocktail bar sembra funzionare molto bene e tutti i locali, anche in un periodo di bassa stagione, sono ben frequentati anche da gente del posto. Nella zona del porto Liquid Riot ha un bell’alambicco a vista e un grande bar dove, dietro il bancone, si vede anche l’impianto per la produzione di birra. Visto che non vi sono visite guidate faccio parlare il bicchiere, la scelta è ampia ma mi oriento sul “whisky flight” che comprende un bourbon, un rye, un single malt affumicato con legno di ciliegio e il Bonfire, che si ottiene distillando una birra a base segale. Prodotti ben fatti, dove a mio gusto spicca il whisky di segale.

La visita ad Hardshore, totalmente improvvisata, è molto interessante. Il master distiller scherza sul suo nome, Evan Williams e sul fatto che i genitori gli abbiano dato il nome totalmente ignari dell’omonimo Bourbon. La produzione inizialmente era incentrata sul gin ma da qualche anno il bourbon è entrato prepotente ed Evan ne è ben felice. Mi propone qualche campione che promette bene, anche il gin è molto piacevole e il profilo del ginepro ben in evidenza. La distilleria ha un piccolo spazio dove serve cocktail.

Batson River ha una impostazione totalmente diversa. Locale molto alla moda, parte di una catena, ha anch’esso l’alambicco a vista anche se il sospetto è che non diventi caldo molto spesso. I tavoli sono pieni e la cucina sembra di qualità. In carta non ci sono i distillati ma solo cocktail e le loro birre, il barman mi offre comunque un piccolo assaggio dei prodotti, anch’essi ben fatti senza particolari picchi.

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A poche centinaia di metri Three of Strong è invece una distilleria di rum, arrivo quasi in chiusura ma gentilmente mi fanno entrare nella still room. Oltre alla melassa riescono a distillare anche un succo di canna della Luisiana che viene spedito congelato e che risulta essere molto piacevole. Nemmeno da dire che la distilleria ha un ampio spazio bar dove i cocktail la fanno da padrone.

Ultima impegnativa tappa presso Maine Craft Distilling, anche qua vista l’ora tarda avevo poche speranze di una visita ma il distillatore, già rilassato al bar dopo svariati drink, mi porta molto gentilmente a vedere l’impianto.

La produzione è varia tra Bourbon, vodka, rum e gin, che nessuno beve in purezza ma sono fondamentali per l’attività del bar che, pur in chiusura, è affollato.

Lasciando Portland e percorrendo la strada costiera verso Arcadia National Park vi sono altre distillerie ma, visto l’orario mattutino e considerando che molte aprono al pubblico solo dal giovedì, riesco a fermarmi solo a Split Rock, presso Newcastle: un edificio agricolo con la classica forma di granaio americano. La produzione è biologica e include varie tipologie di bourbon, gin anche maturato in botte, vodka, anche aromatizzata con bluberries locali e una con rafano (horseradish) senza aggiunta di zucchero. Alla produzione di spiriti si affianca quella di sciroppo di zucchero a quanto pare molto redditizia. Il mio interlocutore ci scherza dicendo che non si capacita di questo successo dello sciroppo “che tutti possono farsi a casa”, ma ne è ben felice in quanto finanzia molto bene l’attività distillatoria.

Come avete potuto capire nessuna delle visite era stata pianificata ma quasi tutti sono stati molto disponibili.

Una così grande concentrazione di produttori potrebbe far pensare anche a una burocrazia che li abbia facilitati. Se per aprire una distilleria le cose non sono molto complicate, la vendita dell’alcol è piuttosto difficile in quanto lo stato di fatto ne controlla la commercializzazione, per cui le bottiglie che si trovano in vendita nelle distillerie vengono prima “vendute” e poi ricomprate dagli stessi produttori. Con le dovute differenze, è un processo simile a quello che accade in paesi come la Svezia.

Soprattutto a chi produce sia gin che bourbon o, in generale, whiskey, chiedo come sia il mercato, dando erroneamente per scontato che i distillati bianchi e botanici la facciano da padrone. Pur non avendo una base statistica sufficiente, tutti rispondono senza esitazione che il bourbon gode di grande interesse e anche i turisti del Tennessee e del Kentucky acquistano i prodotti e sono molto curiosi. Il settore dei bitter e della liquoristica, pur marginale, sembra comunque in fase di espansione e qualcuno si cimenta, soprattutto come supporto alle attività di miscelazione.

Il motto del Maine è in latino, Dirigo, tuttavia la sensazione di relax e di divertimento non sembra molto in linea con questo concetto quasi imperativo.

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SPIRITI ANALCOLICI L’ITALIA C’È

DAI LIQUORI AGLI AMARI

FINO AI DISTILLATI, SI AMPLIA L’OFFERTA

ANCHE DA PARTE

DEI GRUPPI

PIÙ STRUTTURATI

Se per la mixology alcol free i numeri iniziano a essere significativi, le alternative no&low alcol nell’ambito dei distillati sono una nuova frontiera e, in quanto tale, il mercato deve ancora offrire risposta in termini economici. Lo evidenzia uno studio di Areté che stima in otto milioni di euro il valore totale al consumo in Italia, contro i 78 del mercato francese. Cifre ancora più ridotte per i vini aromatizzati, rappresentati principalmente dalle alternative al vermouth, con vendite stimate in meno di un milione di euro. I risultati però sono destinati a crescere e le aziende italiane si stanno preparando all’appuntamento, con il lancio di novità appartenenti a questa categoria di prodotto.

Una delle più fortunate arriva da Pallini che ha rivisitato il limoncello, uno dei suoi prodottiicona, proponendone la prima versione senza alcool, ribattezzata Limonzero. In precedenza era stata Lucano 1894 a sviluppare un’alternativa del suo Amaro Lucano, 120

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di Andrea Guolo

anni di storia alle spalle, con il lancio di Lucano Amaro Zero. «Il mondo analcolico – racconta a Spirito Autoctono il trade marketing manager di Lucano 1894, Luigi De Michele – sta guadagnando sempre più interesse da parte della bartender community. Si diffonde rapidamente l’abitudine di prevedere un’offerta cocktail analcolica nei menù dei principali bar d’Italia, di cui i bartender riconoscono la necessità». La distribuzione nel canale Horeca viene gestita attraverso i grossisti presenti nel territorio nazionale, mentre per la Gdo sono state ideate diverse attività per raggiungere i principali clienti. «Cavalcando i trend già affermati all’estero, anche in Italia è prevista una crescita a doppia cifra nei prossimi anni, sia nel canale horeca sia nel canale moderno», aggiunge De Michele.

Tra i precursori della distillazione analcolica troviamo Eugenio Muraro, che nel 2017 ha creato MeMento, oggi distribuito da Onesti Group. «Se all’inizio – ricorda l’imprenditore– si acquistavano e utilizzavano i prodotti non alcolici solo in contesti di miscelazione molto sofisticata o in locali particolarmente attenti alle caratteristiche salutari, con il passare degli anni abbiamo cominciato a collaborare con portali e-commerce, cash & carry, enoteche e negozi al dettaglio. Si è mostrato così un allargamento della platea dei consumatori che ci fa presagire un’entrata a breve anche nella grande distribuzione, vista la crescente richiesta delle persone anche per acquisti dedicati al consumo in casa o fra amici». Oggi la gamma comprende MeMento Original (bilanciato tra aromi floreali e vegetali), MeMento Green (con forti sapori erbacei) e MeMento Blue (sapori sapidi e speziati). Sull’utilizzo in miscelazione, Muraro osserva che: «Avere un elemento standard e affidabile per gusto e peculiarità, permette di creare cocktail sempre uguali e avere un risultato costante in confronto ai cocktail analcolici del passato, dove non esistevano ricette codificate e si utilizzava quello che si aveva a disposizione senza una logica ben precisa. Da non sottovalutare, per i bartender e gli specialisti

di settore, la crescita del mercato dei drink a basso tenore alcolico che possono essere fatti utilizzando questa categoria di prodotti insieme ai distillati e liquori tradizionali». Le prospettive? Per MeMento sono di crescita enorme. «I consumatori di drink no alcol sono stimati tra il 10 e il 20% dei clienti di un cocktail bar. Quante sono le bottiglie di no alcol dietro al bancone? In proporzione ancora molto poche rispetto alla richiesta».

Non è analcolico, ma ha solo tre gradi e quindi si inserisce pienamente in questo filone l’Amaro Estremista di Silvio Carta, risultato dell’infusione di erbe autoctone della macchia mediterranea sarda in alcol a bassa gradazione, con distribuzione focalizzata in Horeca ed enoteca. «Siamo molto soddisfatti dei risultati in Italia e all’estero, e siamo fiduciosi che Amaro Estremista possa continuare a crescere, grazie alla sua alta qualità e alla sua originalità» afferma Nino Mason, esponente di terza generazione dell’azienda. Molti bartender hanno già sperimentato l’utilizzo di questo prodotto nei loro cocktail e hanno creato ricette sorprendenti, come l’Estremista Spritz. «La categoria dei prodotti a bassa gradazione alcolica sta diventando sempre più popolare, in particolare tra i giovani e coloro che vogliono godersi un drink senza esagerare. Siamo sempre alla ricerca di nuove idee e di nuovi prodotti che possano soddisfare le esigenze dei nostri clienti, quindi stiamo lavorando anche su nuove proposte per la nostra gamma low alcol», aggiunge Mason. Un distillato completamente analcolico è quello proposto da Enrico Sabatini, co-founder e general manager di Sabatini Gin: si tratta di Sabatini 0.0, caratterizzato da una complessità di profumi e sapori costruita appositamente per dare l’opportunità ai bartender di usare il prodotto in miscelazione. «In passato, alla richiesta di un cocktail analcolico, i clienti potevano contare in genere su un’offerta di semplici succhi di frutta. Adesso, invece, la complessità nella costruzione dei cocktail è la stessa perché è aumentata esponenzialmente anche l’offerta». Sabatini 0.0 si è rapidamente affermato in Italia nel canale on trade, ma in azienda si nota una crescita importante anche nel consumo off trade. «Ci aspettiamo che nei prossimi due anni Sabatini 0.0 vada a coprire circa il 25% del nostro fatturato. La categoria è nuova e noi siamo fra i pionieri».

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ALCOL FREE

LA SFIDA DEGLI INGREDIENTI MADE IN ITALY

Se dieci anni fa qualcuno di noi avesse ordinato un mocktail, molto probabilmente si sarebbe trovato di fronte all’espressione smarrita del barman o del cameriere, convinto che il cliente si fosse bevuto un po’ il cervello. Quel termine, allora già sdoganato negli Stati Uniti e anche nelle località turistiche più esotiche, in Europa era agli esordi: da noi si parlava di cocktail analcolico e spesso il risultato era così triste da indurre l’avventore a spostarsi verso un più comune Crodino. Oggi i mocktail – la parola deriva dall’unione dei termini inglesi mock, che significa inganno, e cocktail appunto, per un bere miscelato che sembra alcolico ma non lo è – sono un riferimento di mercato, in pieno trend e in evoluzione non solo grazie alle ricette ideate dai bartender, ma anche per effetto della ricerca in atto sul versante ingredienti. Si parte ancora dai succhi di frutta, ma la differenza rispetto a un tempo si osserva nel lancio di linee sempre più evolute, dedicate al mondo alcol free, con la volontà di offrire al mercato uno stile italiano per questo settore. Non è solo questione di orgoglio nazionale, ma anche e soprattutto di potenzialità di crescita. Perché il mercato dei mocktail è in piena espansione.

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di Andrea Guolo
Il mercato dei produttori di mix e sciroppi per la miscelazione analcolica è dominato dai francesi e dagli americani. Ora però gli italiani provano a intercettare le opportunità di crescita globale puntando anche sulle nostre tipicità

Verso il raddoppio in cinque anni

«Secondo uno studio da noi commissionato, questo segmento di mercato vale tra i tre e i quattro miliardi di euro a livello globale, calcolando soltanto il fuori casa e solo il mondo beverage, ed è destinato a una crescita significativa. Entro il 2027 dovrebbe attestarsi tra i cinque e i sei miliardi di euro», racconta a Spirito Autoctono Fabrizio Finelli, Bu Director Ice Cream di Casa Optima Group, realtà leader nella fornitura di prodotti destinati a gelaterie e pasticcerie (l’ultimo marchio acquisito è la divisione gelateria di Pernigotti). Tra i brand di Casa Optima, uno è dedicato alla mixology: si tratta di Doumix, spin-off di Mec3 (marchio dedicato ai professionisti del gelato) che ha sviluppato un’ampia gamma di pre-mix, sciroppi, cordial ed elisir di frutta. I tre miliardi di cui parla Finelli rappresentano il giro d’affari complessivo di questo tipo di ingredientistica, ma è impossibile stimare quanto prodotto sia destinato al mix alcolico e quanto al mondo dei mocktail. Le certezze riguardano invece i principali mercati di destinazione: dominano gli Stati Uniti, a seguire Cina e Francia. Analizzando invece le aree dove sono destinati principalmente al settore mixology senz’alcol, emerge l’importanza strategica dell’area mediorientale e nordafricana. «Arabia Saudita ed Emirati Arabi, messi assieme, rappresentano il 10% delle vendite globali di ingredients e in quei Paesi - precisa - l’utilizzo è quasi integralmente per bevande alcol free».

La concorrenza è soprattutto francese

Casa Optima ha investito in questo comparto partendo dalla propria expertise nella creazione di ingredienti per la gelateria: «Sembrano due mondi distanti, ma in realtà c’è affinità dal punto di vista tecnologico e noi stiamo sfruttando il know how acquisito nella gelateria per tradurlo nel mondo beverage», afferma Finelli. Certo, la quota delle aziende italiane è marginale – tra il 5 e il 10% del giro d’affari complessivo –, i nomi che fanno il mercato sono tendenzialmente quelli francesi e americani. In Francia operano tre colossi a

diffusione globale: Monin (300 milioni di ricavi nel 2018, ultimo dato rintracciabile), 1883 Maison Routin e Giffard, mentre negli Stati Uniti compare il gruppo Da Vinci come leader di un mercato più frammentato rispetto a quello europeo, caratterizzato dal dominio dei produttori transalpini. Per misurarsi con una concorrenza molto più grande e strutturata è necessario differenziare l’offerta ed è quanto ha fatto Doumix con il lancio di sciroppi a base di frutta, erbe e spezie, fino ad arrivare agli estratti di tè. Si cerca di far leva sul plus del made in Italy e di definire una sorta di scuola italiana dell’ingredientistica, unendo gli immancabili frutti tropicali con le nostre tipicità: è nato così Dragon Summer, mix di dragonfruit (tipicamente equatoriale) e di anguria e fico d’india italiani. Inoltre, nella linea cordial, Doumix ha realizzato non solo le versioni ananas/pepe rosa e mirtillo/ timo, ma anche la super mediterranea bergamotto/rosmarino. In questo modo il prodotto si distingue dal mainstream e può affermare la propria identità e unicità. E tutto questo all’interno di un mercato destinato al raddoppio nel medio termine.

Italia, consumi ancora bassi

L’ingresso di Doumix potrebbe dare uno slancio anche al mercato made in Italy dove il leader indiscusso è la bolognese Fabbri 1905 e gli altri player significativi sono Odk Orsadrinks (Marene, Cuneo) e Mixer (Argelato, Bologna). Proprio dall’azienda numero uno, famosa nel mondo per l’amarena ma dotata di un ampio catalogo a disposizione del mondo cocktail, viene evidenziata la situazione di mercato per i prodotti alcol free. «Sta crescendo notevolmente

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all’estero ma non in Italia. Da noi i giovani non hanno ancora abbracciato questa abitudine e tendono a bere solo mix alcolici», racconta l’amministratore delegato Nicola Fabbri. Aggiungendo che: «Noi siamo da sempre promotori di un bere miscelato consapevole e a basso tenore alcolico, ancor più se poi ci si mette alla guida. Ma a trarne il maggior beneficio, oltre naturalmente alla salute di chi consuma i mocktail, sarebbe il gestore del locale, perché una presenza di alcol gradevole ma non eccessiva offre l’opportunità di ripetere le consumazioni e quindi aumenta il livello degli incassi. Invece in Italia l’alcol free o low alcol sono attualmente concetti più raccontati che vissuti». All’estero la situazione è diversa e si sta osservando non solo uno sviluppo della mixology alcol free, ma anche di produzione di distillati analcolici («Termine sbagliato, di fatto un ossimoro», precisa Fabbri) che ormai abbondano negli scaffali dei supermercati americani ma anche nei bar della Spagna e infine nei duty free degli aeroporti. «Tutti investono in questa direzione ed è certo che in futuro sarà un settore di enorme importanza», aggiunge Fabbri.

Il plus dell’ingrediente italiano

Fabbri 1905 nasce a Bologna come distilleria (Premiata Distilleria Fabbri era il nome originario) e poi si trasforma in player di riferimento nella produzione di sciroppi. Opera nel mercato con tre business unit dedicate al largo consumo, a gelaterie e pasticcerie e infine al beverage dove, precisa l’ad, «non si ragiona su alcol o non alcol bensì su consumo diurno e notturno, con l’aperitivo a far da spartiacque. E noi siamo forti in entrambi i segmenti. Per la realizzazione di mix analcolici abbiamo sviluppato prodotti dedicati, dei veri e propri sostituti all’altezza con gusti bitter, triple sec o mohito ma in chiave alcol free». Fabbri 1905 ora sta tornando alle origini come produttore di distillati – ha recentemente lanciato il suo gin miscelato con distillato d’amarena – ma non ha intenzione di lanciare distillati analcolici: «Vanno contro la nostra filosofia della naturalità. Pertanto, continueremo a progettare nuovi ingredienti sotto forma di prodotti diversi dallo sciroppo e con formulazione del tutto natura-

le. Una sfida difficile ma importante», commenta Fabbri. La linea Mixibar Plus di Fabbri 1905 rappresenta un esempio di questa direzione di sviluppo sia da un punto di vista tecnologico («Abbiamo utilizzato i sistemi di produzione dell’industria farmaceutica», afferma Fabbri) sia del gusto, ottenuto quando possibile con ingredienti tipicamente italiani. A Nicola Fabbri sta particolarmente a cuore Zucchero Italiano Plus, formulato per il canale professionale a partire dalla materia prima fornita da Italia Zuccheri, azienda agricola con 5mila soci che controlla l’intera filiera. «Siamo i primi ad averlo fatto. Porteremo nel mondo lo zucchero italiano allo stato liquido e questo ci rende fieri e orgogliosi, perché è puro ed è di qualità assolutamente superiore allo zucchero di canna in uso».

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DONNE MIXOLOGY e

Sono sempre più le lady che intraprendono la strada della mixology

Una vera e propria rivoluzione professionale

Quello della mixology è un mondo appassionante, ricco di spettacolo, gesti, tecnica e gusto. Un mestiere contemporaneo, che nel corso del tempo ha saputo affermarsi e definirsi, permettendo al settore di crescere e diventare - specialmente fra i giovani - un lavoro ambito e ricercato, che richiede figure sempre più formate e ricche di cultura.

Tuttavia, se si pensa al lavoro di barman, nella mente di molti si realizza l’immagine di una figura prettamente maschile, dietro al bancone i più si aspettano di trovare un giovane uomo intento alla preparazione dei drink. In realtà, a dispetto dell’immaginario collettivo, negli ultimi anni il numero di donne che ricoprono questo ruolo è aumentato, secondo alcune recenti ricerche oggi almeno 4 bartender su 10 sono donne. Un numero che dà un’idea del cambiamento in corso, importante per una professione che per molto tempo è stata prettamente ricoperta da uomini.

A detta di molte professioniste del settore, pare esserci ancora oggi un divario abbastanza importante, che rende assai complicata l’affermazione delle donne nel mondo del bar, anche se questo non impedisce a nessuna di loro di fare semplicemente ciò che sanno fare meglio: lavorare e cambiare con i fatti stereotipi stantii e polverosi.

Senza classifiche né celebrazioni, ecco una rosa di donne che ieri come oggi hanno saputo dare al mondo della miscelazione e dei bar un contributo concreto e di alto profilo professionale.

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di Irene Forni

Ada Coleman

La prima head bartender della storia. È il 1903 quando dietro il bancone dell’American Bar del Savoy Hotel di Londra, un vero e proprio tempio della miscelazione, si manifesta un personaggio d’eccezione del mondo del bartending: Ada Coleman. Nata nel 1875, Ada inizia la sua carriera come barlady, confermandosi, qualche anno più tardi, la prima bar manager donna al Savoy e restando al timone del celebre bar per 23 anni.

Che fosse una donna eccezionale lo si capisce dal fatto che in un’epoca fortemente maschilista, dove per le donne era persino difficile entrare nei bar come clienti, lei riuscì a affermarsi, diventando una vera e autentica icona nella storia di questo settore.

Fu durante il periodo del proibizionismo che la Coleman ideò e preparò per la prima volta uno dei cocktail più famosi di sempre, che la consacrò nell’olimpo della miscelazione. A gustare il nuovo drink fu uno dei migliori critici del tempo, Charles Hawtrey, il quale una volta assaggiata la miscela di gin, vermouth rosso e gocce di Fernet Branca esclamò: “Per dio, questo è un Hanky Panky!”, dando inconsapevolmente il nome al cocktail che avrebbe portato fino ai giorni nostri la storia di Ada Coleman.

Purtroppo in Italia non è riportato in nessun testo o racconto la presenza di una figura analoga a quella della Coleman. Tuttavia, vista la crescita e affermazione delle donne all’interno di questo ruolo professionale, non si esclude che ci sia stata, sconvolgendo a suo modo l’immaginario dell’epoca e aprendo la strada a quelle che sono le barlady italiane di oggi.

Valeria Bassetti

Da Hemingway all’affermazione di genere dietro al bancone. In una sua intervista del 2021, Valeria Bassetti, classe 1975, spiega che la sua passione per la miscelazione è nata attraverso la lettura di autori come Hemingway e Miller: una versione assai romantica e d’altri tempi quella che ha accesso in lei l’interesse e la passione. Dietro però questa apertura romanzata si svela comunque il carattere di una donna equilibrata, centrata e concreta sia nelle parole che nei fatti.

Oltre a una carriera costellata di successi ed esperienze come head bartender in molti luoghi-culto del bere nella capitale, Valeria è da sempre attiva nella battaglia per equilibrare il profondo divario salariale e di opportunità fra uomini e donne, che ancora è fortemente presente nel mondo dei bar e della miscelazione.

È formatrice e consulente per l’imprenditoria femminile nella città di Roma e si occupa di formazione nell’ambito del bere consapevole. Ogni anno organizza, sempre nella Capitale, la Barmarathon, una manifestazione che coinvolge i più importanti professionisti della città e tantissimi appassionati. Profondamente fiduciosa nei confronti del potere della cooperazione, insieme alla IHN (Italian Hospitality Network) vuole valorizzare e lavorare per la tutela del mondo dell’ospitalità e di chi ne fa parte, con l’obiettivo di migliorare attraverso

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la collettività il lavoro in questo settore. Una professionista che da dietro un bancone ha saputo dare voce non solo ad un mestiere ma anche a tutti coloro che lo amano, lo sostengono e che con il proprio lavoro collaborano alla sua affermazione a carattere nazionale.

Francesca Gentile

Imprenditrice e creatrice di cocktail che sono come un viaggio. Classe 1985, originaria di Latina, Francesca Gentile è la proprietaria del Funi 1898 a Montecatini Terme, in Toscana. Un Ristorante e Cocktail Bar al quale ha saputo dare una forte impronta manageriale e professionale, dove il mondo del bere miscelato è padrone indiscusso della scena e si lega indissolubilmente a piatti rivisitati della cucina regionale. Dalla sua precedente professione di fotoreporter Francesca si porta dietro tantissimi viaggi ed esperienze che diventano, il più delle volte, le basi e l’ispirazione dei suoi cocktail.

Questo, oltre alle tante manifestazioni e concorsi che l’hanno vista occupare molto spesso i gradini più alti del podio, le ha permesso di affermarsi e rendere celebre il suo locale nel panorama nazionale.

Ha fatto della miscelazione il suo marker professionale, cosa che l’ha resa oggi una dei volti della miscelazione in rosa nel nostro Paese. Stimata, apprezzata e intraprendente, nel suo locale nato nel 2016 ha portato l’alta miscelazione nella provincia Toscana, cambiando la percezione di coloro che pensano che i locali del buon bere siano qualcosa che esiste solo nei più grandi centri urbani.

Elisa Randi

Nello storico caffè di Piazza della Signoria a Firenze, la barlady è sicuramente un’attrazione, essendo senza dubbio uno dei nomi più conosciuti nel fiorente mondo della miscelazione del capoluogo toscano.

Dopo 150 anni di storia, il caffè Rivoire - storica casa del Negroni - è un locale dove da mattina a sera il bere miscelato è protagonista attraverso le preparazioni di Elisa, che propone un perfetto connubio fra la miscelazione classica e le sue rivisitazioni, andando spesso ad utilizzare anche ingredienti non convenzionali al mondo dei cocktails.

È considerata colei che nella città gigliata ha fatto da apripista alle donne in campo mixology, ed è una delle poche donne head bartender all’interno di un esercizio storico. Insomma, poggiati al bancone del Rivoire, con l’atmosfera storica unita al servizio e alla classe di Elisa, si ha la perfetta immagine dell’ospitalità.

Con i suoi cocktail, inoltre, ora che lo storico caffè è aperto anche a cena, è bello giocare con pairing gastronomici che spaziano dalla pasticceria a portate salate più sostanziose.

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SH ROMA BAR O

RICOMINCIA DA TRE W

Come spesso si dice in ambito sportivo (e non solo), non c’è due senza tre. Fedeli a questo motto Andrea Fofi, Giuseppe Gallo e Fabio Bacchi, insieme ai proprietari del  The Jerry Thomas Project, rinnovano anche quest’anno l’ormai consueto appuntamento capitolino con il Roma Bar Show.

Per i pochi sfortunati che non ne hanno mai sentito parlare riassumiamo il tutto: si tratta dell’evento dedicato all’industria del beverage (e al mondo della mixology) che riempirà le sale dello storico Palazzo dei Congressi dell’Eur con centinaia di brand e di operatori della spirit industry nazionale e internazionale.

Queste poche semplici parole provano a descrivere quella che per molti è una vera e propria festa, per altri è un’ottima occasione di lavoro, per altri ancora un momento di confronto, di partecipazione e di promozione della propria azienda o del proprio brand.

Ma a cosa si deve il successo del Roma Bar Show dopo pochissime edizioni? Come sono riusciti a far diventare una città ricca e divertente ma tanto complessa come Roma, la vera capitale del bere bene, scippando in qualche modo lo scettro a Milano?

Per prima cosa va detto che dietro a quella che sembra essere una simpatica manifestazione per bere e far festa, c’è tanto lavoro di organizzazione, coordinazione e promozione, che passa dal tour promo-

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di Paolo Campana

zionale in giro per tutte Italia, alla decisione di non scegliere le date del week end (dove i locali lavorano) che avrebbero sicuramente portato un pubblico più numeroso e curioso (anche a livello di incassi), escludendo però chi davvero lavora nel settore ed è in grado di portare valore al programma e alla partecipazione. L’ultimo ingrediente messo nello shaker del RBS è fatto di tante conoscenze personali messe in campo non solo per alzare l’asticella qualitativa della manifestazione, ma incidendo anche sull’indotto di tutta la Capitale.

Un indotto che è fatto anche di camere di hotel, ristoranti, pizzerie, locali e cocktail bar impegnati con le numerose aziende che partecipano alla kermesse, divise in aree ben identificate e distinte, che partono da Piazza Italia, interamente dedicata ai prodotti e alle eccellenze nostrane, passando per il festoso Mexican Village e il suo stage, che in questa nuova edizione sarà nella splendida terrazza del palazzo.

Come in tutti i Bar Show che si rispettano, una parte importantissima la fa senza dubbio quella dell’educational attraverso un programma davvero ricco e variegato, che vedrà ospiti internazionali affrontare tematiche di attualità nella bar industry quali inclusività e sostenibilità, ma anche l’evoluzione della miscelazione nei bar.

Osservando il programma crediamo fortemente che, al di là di tutte le presentazioni o degli spazi promozionali dei singoli brand, siano questi educational ad accendere il più classico dei fari su un settore che negli ultimi anni è cresciuto (escludendo il periodo Covid) in maniera esponenziale e che adesso, forse per la prima volta, si pone davvero domande importanti. I temi coinvolgono non solo il mondo dell’industry ma anche tutto quello che gli fa da contorno. Ospiti di spicco provenienti da tutto il mondo, dagli Stati Uniti al Giappone, dall’Australia alla Spagna garantiranno e vivranno un percorso articolato in cui approfondire temi interessanti; non ultimo plus la possibilità di imparare ‘dai migliori’ come portare avanti un bar di successo. L’elenco è pressoché infinito e conferma, questa ricchezza, quanto in sole tre edizione il Bar Show sia velocemente diventato un punto di riferimento.

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SH

BAR OW L’AGENDA

APPUNTI PER DUE GIORNI SPIRITOSI

IL PROGRAMMA DEL RBS

Inutile sottolineare quanto anche quest’anno il programma del Bar Show sia ampio e copra i vari aspetti del settore in modo capillare.

Diviso nelle sezioni Auditorium, Academy, Tasting Room Shaker, Tasting Romm Jigger e Mexican Village Stage, Ma cerchiamo di riassumere quelli che, secondi noi, sono gli appuntamenti da non perdere, per tutti gli altri vi rimandiamo al sito ufficiale e alla pagina programma.

AUDITORIUM

29 MAGGIO

14:30 - 15:30

THE ART OF JAPANESE BARTENDING

SPEAKER: Shingo Gokan

Il famoso bartender Shingo Gokan esplorerà l’arte del bartending giapponese, nota per la sua precisione, l’attenzione ai dettagli e l’enfasi sull’ospitalità.

18:30 - 19:30

PREMIAZIONE RBS AWARDS

sponsored by Roma Bar Show

SPEAKERS:

Alessandro Procoli, Roberta Mariani

L’ospitalità italiana è apprezzata in tutto il mondo e gli nostri Awards del RBS sono stati pensati con l’obiettivo di premiare l’eccellenza italiana nella bar industry, riconoscendo i bar e i bartender nazionali che offrono elevati standard di servizio e portano innovazione in Italia.

30 MAGGIO

15:30 - 16:30

THE EVOLUTION OF AMERICAN COCKTAIL CULTURE

SPEAKERS: Julie Reiner, Simon Ford

Dall’inizio del Cocktail, gli Stati Uniti sono stati senza dubbio la cultura del cocktail più influente al mondo, è il luogo di nascita di innumerevoli cocktail classici dal Mar-

tini all’Old-Fashioned. Inoltre, è stato il luogo in cui è stato scritto e pubblicato il primo libro di cocktail, seguite questa masterclass per conoscere tutti i segreti e la vita dei vostri cocktail preferiti.

18:00 - Closing

FINALE DIAGEO WORLD CLASS

World Class Italia 2023 – The Final.

È la competition tra bartender più attesa nel mondo della miscelazione e arriva a Roma con un appuntamento imperdibile. Anche quest’anno si celebra il 30 Maggio nell’Auditorium dove verrà incoronato il Bartender of The Year 2023. Da non perdere.

29 MAGGIO - TASTING ROOM SHAKER

18:30 - 19:30

IL POTERE DELL’ARMONIA NELLA CREATIVITÀ

SPEAKERS:

Beppe Vessicchio e Francesco Bruno Fadda

Beppe Vessicchio, il direttore d’orchestra più amato dagli italiani di ogni età, insieme al Direttore di Spirito Autoctono Francesco Bruno Fadda in una affascinante degustazione tra distillati, suoni e musica. Per comprendere meglio il potere della musica.

30 MAGGIO - JIGGER ROOM

17:00 - 18:00

“IL VENTO, IL MARE, LA MACCHIA MEDITERRANEA: TRAVOLTI DA UN ISOLITO DESTINO”

SPEAKER:

Francesco Bruno Fadda e Paolo Campana

Il Mediterraneo con i suoi profumi, i suoi colori e il suo sapore unico, raccontati attraverso quattro distillati italiani

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ROMA

ARENA DORECA

30 Maggio - ore 16,00

TALK: Quaranta minuti di racconti personali (e non), sul rapporto tra il mondo del bar e la fascinazione per il Martini Cocktail con giornalisti, scrittori e bartender. A fare da sfondo il GIN 585.5 di Pedro Ferreira, un Gin tutto italiano.

PALLINI 29 Maggio - tutto il giorno

“Women do it better. Or not? Shake it up with Pallini to find the answer”

È questo il titolo del progetto che Pallini - una delle poche aziende tutte al femminile - porta al RBS. Sarà l’occasione per puntare i riflettori sull lato rosa della bar industry, creando uno spazio di aggregazione e riflessione, tra leggerezza e un buon drink. Due le postazioni di lavoro dietro il loro bancone, dove saranno sempre presenti due barladies in contemporanea.

Pallini sarà presente al RBS con:

· No. 3 Gin

· Amaro Formidabile

· Ron Colon Salvadoreño

· Mezcal Xaman

· Los Siete Misterios

· Acquamaris

· Berry Bros. & Rudd

· Pallini Limoncello

· Bitter Pallini

· Procera Gin

VELIER

Anche quest’anno Velier torna al Bar Show con un mega stand dalle tante sfaccettature, composto da un Main Bar, due Ambassador Corner, un’arena con un ricco programma di talk e una lounge dedicata alla rivoluzione di EcoSpirits. Sicuramente uno dei programmi da tenere d’occhio in questa edizione del RBS. Velier infatti si fa portavoce di un nuovo modo di intendere il bartending, tra ricerca della qualità, cultura artigianale e contaminazione con mondi vicini e lontani.

Main Bar

Presso il Main Bar ci sarà una vastissima scelta di distillati e liquori premium degustabili in purezza, oltre a una drink list creata per il Roma Bar Show, una “Seasonal-Artisanal-Re-Evolution list” nella quale i frutti dei nostri artigiani saranno valorizzati al massimo da preparazioni madre: caffè, bergamotto, ciliegia, pesca e all citrus mix.

Degustarena

La Degustarena, con 40 posti a sedere, ospiterà una serie di show legati dal fil rouge dell’artigianalità e incentrati sulle fasi fondamentali della produzione di un distillato: materia prima, fermentazione, distillazione, invecchiamento. Tanti gli ospiti che saranno presenti, da Leonor Betanzos dal Limantour di Città del Messico (50 Best Bars 2022); Grégory Vernant, proprietario della distilleria di rhum Neisson, in Martinica; Vittorio Capovilla, distillatore di fama mondiale; il Presidente della Velier, Luca Gargano; Nicola Riske, Brand Education Manager di The Macallan; Jimmy Bertazzoli e Oscar Quagliarini; il cantante Roy Paci e la curatrice del Museo Alessi, Francesca Appiani; Leonardo Leuci del Jerry Thomas Speakeasy e Mike Pigliarulo di Unfollow Agency.

Extraperimetral

Nell’Extraperimetral il mondo della mixology incontrerà l’alta ristorazione, per andare oltre il perimetro, alla ricerca degli abbinamenti del futuro. Sette cene da un’ora ciascuna per quattordici personalità a confronto: bartender, chef, pizzaioli e pasticcieri che costruiranno un’esperienza di pairing tra cibo e cocktail. A presentare il gourmand Gil Grigliatti.

Oltre alle varie sezioni Velier è presente con i vari brand in distribuzione:

· Monin

· Engine

· Fever Tree

· Monkey Shoulder

· Michter’s

· Yuntaku

· Flor de Cana

· Yuntaku

· Abasolo

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CHIC NONNA LA SINFONIA DI VITO MOLLICA

Si va dal ristorante, preferibilmente stellato, alla Spa firmata, fino al cocktail bar con una miscelazione ammiccante. Quest’ultima, forse, come ultima tendenza messa in campo per vivacizzare gli spazi comuni degli alberghi. Tra gli esempi più recenti e meglio riusciti, restando entro i confini nazionali, c’è sicuramente quello di Palazzo Portinari Salviati a Firenze, un gioiello di bellezza nobiliare cinquecentesca adagiato lungo la trafficata Via del Corso e arrivato sino ai giorni nostri con un carico di storia che lascia gli ospiti senza fiato. Basti pensare che nelle stanze dell’edificio hanno abitato Beatrice (si, proprio quella di Dante) e il granduca Cosimo I, tra gli altri, ma il palazzo ha ospitato negli anni più recenti anche una banca e oggi, dopo un restauro che lo ha riportato all’antico splendore, è diventato una delle punte di diamante della catena di hotel di lusso LDC, di proprietà taiwanese.

Tra affreschi, architetture dal gusto rinascimentale e motivi artistici che racchiudono l’essenza della Toscana, quella cui guardano molti degli stranieri che superano la soglia d’in-

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Nell’ospitalità a cinque stelle, ormai da tempo si gioca una partita senza esclusione di colpi, basata sull’offerta più completa e raffinata, sulla capacità di presentare servizi esclusivi, spesso tailor made, con l’obiettivo di catturare l’attenzione dell’ospite internazionale e non solo
di Gualtiero Spotti

gresso del palazzo, l’albergo in realtà offre ben altri valori.

A partire dall’ottima cucina del cuoco di origini lucane Vito Mollica, che distribuisce il suo sapere gastronomico in due diversi outlet. Al Salotto Portinari Bar e Bistrot va in scena il buon senso di una cucina diretta e senza fronzoli, con suggestioni regionali e piatti agili e comprensibili da tutti.

Chic Nonna invece, l’indirizzo stellato, offre uno spaccato della creatività più spinta del cuoco, con incroci di gusto tra l’aristocratico e il popolare, come dice bene il nome del ristorante. Si va dal Risotto al melograno con lepre selvatica e pistacchio salato ai Cappelletti con robiola di Roccaverano, ortiche e brodo di scalogno affumicato, presentati in un ambiente elegante e discreto. Ma prima, o dopo, la cena, vale la pena prendersi del tempo per sostare nel piccolo e appartato bar dedicato a Cosimo I.

Qui il giovane e brillante Matteo Sanago è il responsabile di una miscelazione calibrata e in grado di soddisfare le esigenze di un clientela davvero variegata. Dall’amante dei

classici, che non figurano in carta ma sono sempre disponibili (noi ci siamo lasciati catturare da un Martini e da un Pisco Sour preparato con Tabernero Quebranta), fino ai signature (undici in tutto compresi due Virgin) dove spiccano per originalità il Cannoniere (Mezcal, rosolio di bergamotto e decotto di peperone) e il Tredici, con Amaro Lucano, mela fermentata, soluzione acida e non meglio precisati ricordi di infanzia.

Forse questi ultimi legati alle origini del cuoco, che si permette di accompagnare i cocktail con stuzzichini davvero deliziosi, come i Samosa di verdure con chutney di mango o i Calamari fritti con lime e peperoncino. La carta del bar consente di muoversi con piacere anche tra liquori di qualità dove non mancano grappe e distillati di frutta, amari, bitter e vermouth, ma si evidenzia una predilezione per i whisky (ben 40), oltre ai gin, ai rum, alla tequila e alla vodka, presenti in buon numero, considerando le dimensioni davvero piccole del bar.

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TRASGRESSIONI

CARNIVORE

Dalle lasagne al cinghiale in umido, i consigli proibiti su come abbinare piatti di casa a base di ciccia, con bicchieri ad alta gradazione

Certe cose si fanno ma non si dicono. Non a tutti almeno. Perché la tradizione a tavola è più sacra della dottrina in chiesa, e dunque quando viene voglia di eresia occorre stare attenti a non urtare i sentimenti dei nostri commensali. D’altronde, qui si parla di una trasgressione un po’ forte, non tutti sono pronti ad accettarla. Qui si parla di abbinare la “ciccia”, ovvero le grandi pietanze della tradizione casalinga italiana, con gli spiriti; di accompagnare piatti leggendari, i cui segreti sono passati dalle nonne alle mamme, con cocktail o distillati invece che con un rassicurante bicchiere di vino rosso da pasto. Era dalla fine della crociata contro gli Albigesi del 1229 che l’ortodossia non era così in pericolo.

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di Marco Zucchetti

Lasagne Mizuwari con Nikka Days

Il simbolo del pranzo domenicale, l’icona della ricetta custodita gelosamente tra le mura domestiche in spregio a ogni tipo di indicazione salutistica: pasta all’uovo, ragù, formaggi, burro. Esiste un mix più perfetto? Ora, la difficoltà dell’abbinamento sta nella temperatura di servizio, mediamente a livello altoforno dell’Ilva. La lasagna è un monolite bollente, quindi evitiamo cocktail con troppo ghiaccio, l’escursione termica sarebbe drammatica. L’ideale è qualcosa di fresco (mica vorremo abbinarci un vin brulè o un Irish coffee…) che sia altrettanto equilibrato. Scegliamo il minimo impatto, che già la lasagna è bella carica: un Mizuwari con un blended giapponese morbido (per esempio il Nikka Days va benissimo, non stiamo a fare i ganassa con single malt premium). Due parti di acqua fredda e una di whisky. Stop. La dolcezza del blended è stemperata dall’acqua e l’effetto è rinfrescante e carezzevole.

Polenta, spezzatino e Mirto spritz con Silvio Carta Ricetta storica

Parliamo di un altro caposaldo dei pranzi della festa, soprattutto al Nord e soprattutto in inverno. Anche qui un’unione benedetta di proteine, carboidrati e sughi vari che “chiama” qualcosa di altrettanto spesso. Idealmente, cerchiamo una nota sgrassante, quindi con una puntina aspra o secca; e altrettanto idealmente, ci piacerebbe sentire una nota erbacea, come a riecheggiare le erbe aromatiche che si usano nello spezzatino. Eresia per eresia, perché non andare in un altro mondo come la Sardegna e pescare il Mirto Ricetta storica di Silvio Carta? In purezza l’apporto zuccherino è un po’ troppo spinto, e allora proviamo un Mirto spritz, con Prosecco e soda. Di fatto, un Hugo spritz più mediterraneo, con una nota sapida divina. Ardito, ma riuscito.

Cotechino, lenticchie e Vodkatini con Blu lie

Il grasso è bello, e non è questione di body-positivity. Il grasso è bello perché è buono ma proibito, quindi va assunto con giudizio, e dunque quando ne mangiamo lo facciamo per trarne soddisfazione. Il cotechino – con le lenticchie o con il purè – non è solo cosa da cenone di San Silvestro. E anche se ormai il caro vecchio gelo non esiste più, in casa tra gennaio e febbraio non è raro trovarselo nel piatto. Ogni cotechinoma-

ne ha il proprio fornitore di fiducia, sa quanto deve cuocere, la temperatura precisa, le eventuali spezie da aggiungere, il tempo di riposo prima del servizio. Ma di riffa o di raffa, il grasso del maiale rimane il re del piatto. Va da sé accompagnarlo con qualcosa che ripulisca il palato. E nulla può assolvere meglio il compito di un Martini dry a base vodka. Secco, austero, adamantino nella sua purezza: ogni sorso è un colpo di tergi-palato sulla bocca avvolta dai succhi suini. Come vodka scegliamo la Blu lie, made in Trieste con ingredienti 100% italiani: omaggio all’anima asburgica.

Costoletta alla milanese e Bitter Campari

Non tutte le eresie sono uguali. Alcune diventano così radicate che si trasformano a loro volta in religioni strutturate, tipo la Riforma protestante. Ecco, i protestanti della costoletta (con la S, per carità) col Campari ci sono e non temono scomuniche. Mossi dall’orgoglio milanese, uniscono due simboli della città della Madonnina in un pairing che funziona non soltanto dal punto di vista culturale, ma anche sensoriale. La costoletta è un inno al burro (va bene l’eresia, ma con dei limiti: per chi la frigge nell’olio c’è il rogo diretto in piazza Cordusio); il bitter, con il suo dna dolce-amaro, inaspettatamente si accosta benissimo. Compagno naturale di noccioline e olive, con il salato si esalta, e se sulla costoletta c’è del sale in fiocchi, è bingo. Di bitter ne abbiamo provati diversi, funzionano se la nota amara è netta ma non feroce. Potevamo citarne altri, ma il classico Bitterone Campari ha dalla sua anche i natali meneghini, dunque vince a mani basse.

Cinghiale in umido e Cardamaro (con poco ghiaccio)

Quando si parla di umido – anche se la nouvelle vague di ultra-ecologisti pensa subito alla raccolta differenziata – a noi viene in mente solo il cinghiale. Quel matrimonio di passione fra il selvatico e il vino rosso, le spezie e le erbe, il piacere e il peccato. Tutto molto maschio e deciso, quindi non è il caso di metterci il carico a coppe. Neanche però si può abbinare qualche bevanda sbarazzina, che scomparirebbe. Ecco dunque una buona mediazione, che gioca su un’acidità intrigante e una venatura amara e minerale: Cardamaro, ovvero un vino aromatizzato a tre tipi di cardo, in cui giocano da comprimari anche salvia e liquirizia. Il rimpallo di suggestioni con il sugo e la carne, forte e opulenta, è sorprendente. La dolcezza del sorso – paragonabile a quella di un vermut – non stona con la pietanza, le note erbacee fanno il resto. Per chi è a caccia non di ungulati, ma di accoppiate interessanti.

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IL NEGRONI AUTOCTONO

Pochi sono i cocktail classici dalle origini certe o quasi certe. Con riferimento alla regola aurea del giornalismo delle cinque “W” (Chi; Dove; Quando; Che cosa; Perché. Tradotte in italiano), il Negroni, come l’Old Fashioned, più o meno le soddisfa tutte. Un cronista degli anni Venti poteva, infatti, scrivere: chi aveva inventato il Negroni (Il conte Camillo Negroni), dove lo aveva formulato (al Caffè Giacosa di Firenze), con la complicità del barman; quando? Non si sa il giorno esatto, ma siamo nel 1920. Tuttavia, sappiamo di che cosa parliamo e perché e in quali circostanze è nato. E quest’ultimo punto, in fondo, è forse il più interessante e ancora attuale. Intanto siamo in Italia e allora il Negroni fu concepito come prodotto per due terzi di ingredienti italiani, e nasceva dalla costola di un cocktail integralmente italiano, l’Americano. Ma la questione principale è che il drink ha origine da un dialogo, quello tra il Conte Camillo e il barman. Che fosse Angelo Tesauro o Fosco Scarselli (più probabile il secondo).

Chissà se, quando si recò al Giacosa, il Conte Negroni, visto che conduceva una vita piuttosto “acrobatica”, davanti al bancone non avesse bisogno di un drink più forte del solito. Pertanto creò la ricetta del classico Negroni, che in principio era servito nel calice da cordiale. Un po’ piccolino se volete, ma il Conte ne consumava parecchi. Oggi il bicchiere preferito per il Negroni è il tumbler. Comunque sia, magari quel giorno del 1920 il Conte si recò da Fosco, dopo aver perso o vinto un’ingente somma di denaro al gioco d’azzardo e chiese: «Fammi un americano, ma senza acquetta gasata, mettici del gin. Un terzo, un terzo e un terzo!».

E L’ARTE DELL’OSPITALITÀ

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di Alberto Del Giudice

Il classico in cinque varianti tutte rigorosamente Made in Italy

Ecco qui il concetto di accoglienza e complicità tra il barman e il cliente, di cui la vicenda del Negroni è esemplare. E il bello è che ha fatto storia e oggi i migliori barman e le migliori barlady ne hanno fatto tesoro. Ma oggi disegniamo anche una sorta di triangolo con ai tre lati l’ospite, il/la bartender e sul bancone spirits italiani. Un bancone ideale, per dialogare, gustare e scoprire prodotti originalissimi, combinati in quel colpo di genio che fu l’invenzione del Negroni. Nella miscelazione contemporanea compaiono due tendenze, non opposte, ma complementari. Quella dei pre-batched e ready to drink e quella più complessa di cocktail sartoriali preparati e improvvisati a misura del cliente. Il Negroni, in fondo, è il punto d’incontro perfetto tra queste due espressioni. Ma qui ne proponiamo una terza, con Signature Negroni radicati sul nostro territorio, di cinque mixologist (inclusa una brillante barlady), per sottolineare la creatività e il know how del mondo dei distillati, dei liquori e della miscelazione del Bel Paese, dal Sud al Nord. Con l’imperativo dell’ospitalità, valorizzato dalla relazione tra committente (l’ospite) e artigiano/artista (il barman).

LA RICETTA

GAIA CITTERIO

Dopotutto (Milano)

LA RICETTA

“ROMA NUDA”

Ingredienti:

- VII Hills Gin

- Bitter Fusetti

- Punt e Mes

GIACOMO BOLOGNA

Radici

Clandestine (Caserta)

- Gelato alla fragola

- Tecnica: frozen

FILIPPO SISTI

Ingredienti:

- Rivo Gin;

- Bitter del Ciclista

- Vermouth Rosso

Since Yestarday

- Una fettina d’arancia.

- Bicchiere: tumbler basso.

LA RICETTA

Ingredienti:

- Bitter Rouge

- Vetz Aperitivo Superiore

- Vermouth Rosso Carlo Alberto

- Un cucchiaio di limone

- Scorzetta di limone

- Tecnica Stir and Strain

- Bicchiere: tumbler basso

STEFANO URRU

Why Not Cocktail Lab (Merano)

LA RICETTA

“NEGRONI SARDO ALTO ATESINO”

Ingredienti:

- Rena 41 Gin

- Americano Bianco Cocchi

- Biancosarti

- 1 barspoon di Barolo chinato Cocchi

- Decorazione zest d’arancia

- Tecnica: stir and strain

- Bicchiere: tumbler basso

LA RICETTA

“FUMÈRA”

Ingredienti:

- 30 ml PiùCinque Gin

ALESSANDRO ZAMPIERI

Il Mercante (Venezia)

- 10 ml Cocchi Vermouth Dry infuso al te nero Lapsang

- 20 ml Cocchi Storico Vermouth

- 30 ml Select Bitter

- Guarnizione oliva

- Servito in coppetta

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“POZIONE MAGICA IN PORTA ROMANA”
“ESTEMPORANEO”

PEPPE VESSICCHIO L’EMOZIONE DEL SUONO DELLA TERRA

Dialogare con la materia attraverso il suono. Che è materia impalpabile (per i poeti, ma anche per gli scienziati che di fisica si occupano). Intervenire negli stati della materia attraverso le note, esattamente come queste fanno con l’animo umano rendendolo più sereno - o più energico -, che invece è fatto della stessa sostanza dei sogni. È su questo che da anni lavora, come musicista e come uomo estremamente curioso, Giuseppe Vessicchio. In arte Peppe è uno dei personaggi pubblici più noti e amati d’Italia. Sicuramente il volto a cui tutti pensano, nel nostro Paese, quando si parla di direttore d’orchestra. Un lavoro, quello sull’incidenza del suono sulla

42 SPIRITO AUTOCTONO MAGAZINE
“Eppure arriva sempre questo momento, l’ultimo istante di silenzio”
di Francesco Bruno Fadda

materia, che lo impegna sotto molti fronti. Parte e passa dalle sperimentazioni sull’acqua che sta portando avanti al laboratorio di fisica nucleare del Gran Sasso (“stiamo per dimostrare che una polifonia con determinate condizioni armoniche può penetrare l’acqua con più facilità”), ma approda anche nelle trasposizioni pratiche - e relativi studi - sull’agricoltura e sulla viticoltura. Musikè, la sua linea di vini armonicamente modificati, nasce proprio così.

Maestro, che differenza c’è, tra le sperimentazioni in laboratorio e il lavoro che fa su vino e distillati?

“Nel secondo e terzo caso a volte lavoro anche con la musica suonata, con apporto umano, mentre negli esperimenti scientifici devo usare un suono prodotto da un computer. Note e frequenze che qualsiasi altro ricercatore può riprodurre, anche dall’altra parte del mondo”.

Lei ha iniziato a studiare l’effetto della musica sui pomodori, poi è passato al vino. Recentemente ha lavorato con alcune aziende di distillati, è corretto?

“Assolutamente si. Lo scorso anno a Vinitaly, proprio grazie a voi ho conosciuto le Distillerie Berta. Loro già lavorano con musica e colori. Quest’anno ho poi incontrato il master blender di Montenegro, Antonio Zattoni, e lì è scattato qualcosa. Il rapporto tra il legno e il brandy è particolare e apre a tante strade. Zattoni era incredulo rispetto ai risultati ottenuti con alcuni esperimenti in azienda e stiamo pensando di produrre un’etichetta speciale, legata proprio al mio lavoro sull’armonia”.

Anche i suoi vini della linea Musikè nascono da esperimenti sull’armonia. Ma hanno anche un fine socialmente armonico, è corretto?

“Assolutamente si. Da anni oramai i proventi, per ora contenuti, delle vendite della mia linea di vino vengono devoluti a giovani studenti. Con i miei collaboratori abbiamo creato delle borse di studio che vanno ad aiutare musicisti di talento, che hanno bisogno di essere supportati. Soprattutto in un mondo come quello della musica contemporanea, dove l’enorme velocità dei mezzi spesso penalizza chi ha fatto dello studio e della conoscenza, che richiedono tempi lunghi, la base del suo lavoro”.

Lei ha sempre lavorato come musicista - dopo un passato lontano e poco conosciuto come membro di un’importante trio comico napoletano -, cosa l’ha avvicinata al vino?

“A parte la sacralità della sua essenza, il vino è un simbolo dell’operosità dell’uomo in relazione alla generosità della natura: l’uva è uva, per diventare vino ha bisogno di amore. Quello tra il vino e l’uomo è un rapporto di piacere che è divenuto anche un nutrimento; ho le mie idee – e lo dimostrano anche alcune ricerche - riguardo il rapporto che abbiamo sviluppato da sempre con tutto ciò che è alcolico.

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Anche le scimmie preferivano i frutti che avevano subito un processo di macerazione, producendo alcol”.

Qual è il rapporto tra musica e vino, a livello culturale?

“Il musicista, come il vino, è il prodotto dell’ambiente in cui viene immerso. È inoltre un rapporto reciproco: sono tante e tali le volte che viene citato il vino nelle opere musicali che non si può ignorare lo sguardo reciproco tra le due realtà, che riescono a rispecchiarsi”.

E il rapporto tra musica e spiriti?

“Si somigliano molto. In questo caso andiamo all’essenza, quella del distillato, un organismo complesso che in poche gocce riassume il racconto del tutto. Questo è bello perché anche dal punto di vista musicale è come dire che nel brevismo esiste la straordinaria capacità di raccontare l’universo. Un qualcosa di gigantesco”.

Un distillato può essere paragonato a qualche musica o suono in particolare?

“Il distillato, se lo valutiamo nella realtà di ciò che rappresenta e delle attenzioni che gli vengono dedicate, ci fa pensare a una ricerca operosa e complessa. Lo lego a quei musicisti che si dedicavano all’azione polifonica, dove le voci e le parole si intrecciano in un’arte sopraffina di pensiero e di logica e se sposti una nota devi spostare l’intera composizione. Un legame che non puoi districare, differentemente da quanto accade durante la composizione di una canzone, per quanto bellissima”.

È corretto pensare che i suoi studi possono impattare sui distillati più che sul vino?

“È possibile. Nel distillato, vedere cosa riesce a fare l’effetto vibratorio coerente ( cioè l’impatto di determinati suoni, ndr) è più immediato, perché le quattro figure che rappresentano quel distillato si muovono, cambiano posizione. Sono sempre loro ma con altra prospettiva, e vedi una parte del viso che non vedevi prima. Così come il movimento di un corpo che era coperto da un’auto. È intrigante”.

Possiamo chiudere questa chiacchierata dicendo che l’unica differenza tra suono, vino e distillati è che della musica si può abbondare?

“Certamente, anzi, la musica è l’unica cosa di cui non si può fare a meno. Non a caso ci sono alcuni studi che spiegano come la terra sia l’unico pianeta che ha il suono. Come esseri umani, inoltre, siamo l’unica specie che non si limita a utilizzare il suono per comunicare, ma lo rende un’arte. Mi piace il fatto che la musica partecipi di ogni cosa che noi facciamo, anche quando parliamo. Noi facciamo un esercizio di musica costante, anche quando non ne siamo consapevoli, ci distingue gli uni dagli altri. Ecco perché ce n’è in abbondanza e continuerà ad esserci: è uno dei linguaggi principali con cui comunichiamo le nostre emozioni”.

“Eppure, arriva sempre questo momento, l’ultimo istante di silenzio, quello in cui ci siamo solo noi. Io, l’orchestra e la musica”. Beppe Vessicchio da “La musica fa crescere i pomodori”.

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DA GUSTARE, LEGGERE, ASCOLTARE, SAPERE

DA GUSTARE

Spaghettone di mais torbato, con ricci di mare e porro di DANIELE LIPPI

Nella moderna ristorazione capita sempre più spesso di trovarsi di fronte a piatti che contengono distillati non sempre nati per uso gastronomico, ma quando abbiamo provato la ricetta di Daniele Lippi - Due Stelle Michelin ad Acquolina (Roma) siamo rimasti senza parole.

Si parte dagli spaghetti di mais senza glutine, scelti appositamente per la loro consistenza e per quel retrogusto di granturco, uno spaghetto che non possiede e non genera amido e proprio per questo non viene mantecato in padella, ma viene accompagnato con una salsa di burro montato con del garum e con l’ottimo Whisky Segretario di Stato Poli, che gli dona quell’antico sapore mediterraneo grazie alle botti di Amarone dove viene invecchiato.

Al momento dell’impiattamento vengono poi aggiunti dei ricci di mare crudi e, per finire, una piccola magia con dei porri bruciati che diventano ‘terra torbata’ e che rimandano al sapore del whisky classico.

Un piatto unico nel suo genere dove l’inserimento del distillato non è frutto del caso o della moda ma di un’abile ricerca di terra e territorio.

COSE

DA LEGGERE DA ASCOLTARE

VIAGGIO DI SPIRITO: LA STORIA DEL BERE.

DALLA NASCITA DEGLI SPIRITS

ALLA NASCITA DEI COCKTAIL

VOL.1

di Jared Brown - Anistatia Miller

Jared Brown e Anistatia Miller sono due veri viaggiatori spiritosi. La coppia di mixologist ripercorre tutta la storia del bere, attraverso i passaggi dell’evoluzione tecnologica, sociale ed economica, tra documenti storici e leggende. Il primo volume racconta la storia del bere: dall’antenato del primo distillato fino alla nascita del cocktail.

BERE COME UN VERO SCRITTORE.

100 RICETTE PER RICREARE

I DRINK CHE HANNO ISPIRATO

I GIGANTI DELLA LETTERATURA

Traduzione di Camilla Pieretti

Trascorrete il pomeriggio sorseggiando assenzio alla Closerie des Lilas in compagnia di Charles Baudelaire, Paul Verlaine e Oscar Wilde. Prima di cena dissetatevi con il Gin Rickey di Francis Scott Fitzgerald, il Manhattan di Dashiell Hammett, il Black Velvet di Donna Tartt o il Vesper Martini (agitato) di Ian Fleming. Riscaldate la vostra serata con il Negus di Jane Austen, il Gin Twist di Walter Scott o l’Hot Toddy speciale di Gustave Flaubert.

L’INCREDIBILE CENA

DEI FISICI QUANTISTICI di Gabriella Greison

Bruxelles, 29 ottobre 1927. Si è appena concluso il V Congresso Solvay della Fisica, che ha visto riuniti i fisici più illustri dell’epoca, gli stessi che ora si apprestano a partecipare a una cena di gala, ospiti dei reali del Belgio. Ci sono Albert Einstein, Marie Curie, Niels Bohr e tanti altri. Menti eccelse e brillanti, ma anche uomini e donne con le loro debolezze e le loro piccole manie, che questo romanzo ci restituisce a pieno, mescolando abilmente storia e storie, realtà e fantasia, fisica e pettegolezzi.

PAOLO FRESU “FOOD”

Con queste parole Paolo Fresu, ha presentato il suo nuovo disco dal titolo “Food”, realizzato con il pianista cubano Omar Sosa e una serie di artisti internazionali, dal rapper newyorkese Kokayi fino a Cristiano De André, dal violoncellista brasiliano Jaques Morelenbaum alla cantante sudafricana Indwe e al percussionista americano Andy Narell

Recentemente intervistato Fresu racconta che, per un intero anno, sono stati registrati i suoni di cantine e ristoranti, oltre alle voci di chi in questi luoghi ci lavora

Suoni meccanici di presse e tintinnii di calici, l’olio che frigge, il vino versato in un bicchiere o un coltello che taglia una carota, oltre alle voci narranti in varie lingue. Food vuole indagare sul piacere del gusto, della convivialità, della scoperta e del dialogo, ma anche riflettere sulla situazione globale del cibo sul pianeta e sulla sua precaria sostenibilità.

Il cibo come territorio di riflessione attraverso la musica e suoi suoni. Un album che ci fa riflettere e venire fame. Come sempre.

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“Il cibo è l’argomento del nuovo secolo, ed implica riflessioni complesse. È una questione di responsabilità civile, umana, di democrazia” (PaoloFresu)
COSE

LA FRANCIA DA SAPERE

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SUGLI SPIRITS
FAMOSI DI FRANCIA
RICERCA
SPIRITO AUTOCTONO TRANSALPINO di Paolo Campana
PILLOLE
PIÙ
ALLA
DELLO

Ci sono molte cose da sapere se parliamo di Francia, di distillazione e tradizione liquoristica. Ci sono cose per cui vale la pena fare spazio in valigia in caso di partenza per la terra d’oltrealpe.

I nostri cugini francofoni hanno una buona tradizione liquoristica e di distilazione, alcuni dei loro prodotti rappresentano perfettamente la Francia nel mondo e soprattutto rappresentano il loro ‘Spirito Autoctono’, per questo motivo ci siamo permessi di distillare un piccolo ma gustoso vademecum seguendo le botti e le bottiglie .

Armagnac

Sono in molti a sostenere che questa potrebbe essere l’acquavite più antica del mondo, con ben sette secoli di storia alle spalle, tutti passati nell’antica contea di Armagnac. L’Armagnac nasce dalla distillazione di vini bianchi secchi e invecchia in botti di quercia che gli danno quel legnosita e forza che ricordano il territorio da cui proveniene.

Cognac

Uno dei più famosi distillati francesci è sicuramente il Cognac. Nato nella Valle della Charente, a Cognac appunto, dove venne distillato per la prima volta intorno al 1549 (le date sono sempre un fatto personale), negli anni a seguire venne aggiunta la lavorazione della doppia distillazione, facendolo poi invecchiare in botti di quercia che nel tempo gli ha donato un particolare colore e quel sapore unico.

Grand Marnier

Anche qui ci troviamo davanti ad uno dei liquori francesi più prestigiosi e famosi del mondo, creato solamente alla fine del 1800 a Neauphlele-Château (Yvelines) da Louis-Alexandre Marnier-Lapostolle per l’azienda Marnier Lapostolle. Si tratta di un mix di cognac invecchiati con arance amare Citrus Bigaradia, preziosa varietà esotica. Non va dimenticate una cosa importante... è l’ingrediente base per le crêpes suzettedolci francesi!

Calvados

Un’acquavite particolare questa, che non nasce come gli altri partendo dall’uva, ma dal sidro di mele (o dal poiré, il sidro di pere) ed è il simbolo del bere normanno per eccellenza. Anche qui siamo verso la fine del 1500 epoca di molti problemi e tanti alcolici, anche se sappiamo che il sidro nasce molto prima. Amatissimo da scrittori e letterati che lo citano e lo amano, da Flaubert e Maupassant.

La Chartreuse

Dobbiamo arrivare al 1600 quando i monaci della Certosa di Vauvert di Parigi attraverso un misterioso manoscritto con la ricetta di un elisir di lunga vita. Ricetta molto complessa che prevede oltre 130 piante macerate in alcool distillato dall’uva. La ricetta definitiva fu realizzata dal monaco-speziale del monastero della Grande Charteuse, Jérôme Maubec. É forse il liquore con la gradazione più forte che si possa trovare, tra i 69 e i 70 gradi.

Pastis

Il nostro viaggio ci porta a Marsiglia dove l’aperitivo per eccellenza è il Pastis, un liquore moderno inventato un centinaio di anni fa da Paul Ricard a base di anice, vaniglia, cannella e alcool. La leggenda vuole che nasca in pieno proibizionismo per sostituire l’assenzio - la ‘fata verde’ era diventata illegale e quindi andava sostituito in qualche modo. Sono in molti a degustarlo nelle varie versioni, sia come aperitivo allungandolo con l’acqua fresca (ma non ghiaccio), sia con granatina (tomate) o con orzata (mauresque), ottimo anche liscio o con lo sciroppo di menta (che diventa un perroquet) e persino - da non credere - con la Coca Cola (mazout).

Cointreau

Il Cointreau è un liquore a base di scorze d’arancia dolci e amare, creato anch’esso sul finire del 1800 ad Angers dai fratelli Adolphe e Édouard-Jean Cointreau. Il successo fu immediato e fu da subito esportato in tutto il mondo, da sempre mantiene la sua identità attraverso l’iconica bottiglia e il logo ormai diventato un vero segno riconoscibile.

Bénédictine

La storia del Bénédictine risale al Rinascimento, quando il monaco veneziano Dom Bernardo Vincelli crea in Normandia all’Abbazia di Fécamp un elisir di lunga vita (un’idea che torna spesso tra i monaci dell’epoca) a base di piante e spezie orientali, su ricetta ovviamente segreta. Il mistero si infittisce quando la ricetta va perduta e si deve aspettare la mettà del 1800 per reinventarla grazie ad Alexandre Legrand, che rilancia il liquore in grande stile. Successo assicurato, imitazioni infinite, la ricetta del vero Bénédictine rimane rigorosamente segreta: oggi ne esistono solo 3 copie, ognuna conservata in un diverso luogo del mondo, anch’esso rigorosamente segreto. Ma forse anche questa è una legenda dei Monaci.

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SPECIAL AWARD SPIRITO AUTOCTONO

Il settore della distillazione e della liquoristica sta vivendo negli ultimi anni una crescita esponenziale, figlia di una maggiore attenzione al risultato finale sia da parte dei produttori che da wdei bartender si affidava solamente ai grandi nomi e alle aziende più conosciute e blasonate, spesso però industriali o troppo costose, in quest’ultimo periodo è la conoscenza e l’utilizzo di etichette artigianali, piccoli brand e di attenti produttori a essere l’ago della bussola in grado di far alzare la famosa asticella qualitativa di un locale.

Ed è in questo solco che i nostri Awards vanno a premiare quello che chiamiamo il Metodo Italiano: un universo dove bar, ristoranti, alberghi e locali con le varie carte di distillati e drink fanno sistema, elevando la mixology ma non solo, soprattutto fanno sistema elevando tutto il settore in maniera organica e positiva. Premiare queste realtà e fare scouting è stato e sarà sempre l’obiettivo di questa redazione.

Nelle pagine che seguono, troverete tutti gli Awards di Spirito Autoctono 2023.

Buona lettura

Miglior Packaging: Olivia Gin

Si può raccontare attraverso una bottiglia un territorio e il suo prodotto senza tradirne l’essenza? Dalle parti del Lago di Garda ci sono riusciti attraverso Olivia Gin e il suo packaging curato e dal sapore squisitamente retrò.

La sua bottiglia verde scuro che rimanda senza troppi sforzi all’olio di oliva e a quel sapore vintage così tanto ben rappresentato da una grafica curata e ottimamente studiata in ogni suo aspetto.

Miglior design d’azienda: Lolli

Premiamo Lolli per la sua coerenza e il suo innegabile impatto grafico-creativo su tutta la linea di prodotti. Che si parli di Gin, edizioni speciali, liquori o specialità

gastronomiche, Lolli ha qualcosa da insegnare a molte aziende che confondono l’identità di brand con quella di prodotto: la loro brand identity è sempre ben visibile e ben realizzata, con il logo ben leggibile.

Miglior food pairing (cucina d’autore): L’Alchimia - Milano

Il nome (quasi) dice tutto. L’Alchimia, quella che vive qui a Milano e che è l’anima dei due ambienti diversi: quello ristorativo della cucina e quello del Lounge bar. Una cucina ricercata e d’autore che porta in tavola un menù con materie prime di qualità che non forzano la mano sul tanto blasonato gourmet, ma si fondono alchemicamente bene con la proposta della drinklist creata dal bar manager Valerio Trentanni nella Lounge, qui i signature cocktail e una notevole carta distillati trovano il giusto connubio.

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Miglior food pairing (bistrot): MAG - La Pusterla

Aperto da poco più di due anni da Flavio Angiolillo e soci, il Mag Pusterla prende il nome dall’iconica insegna milanese del Caffè La Pusterla portandola dentro al gruppo, trovando il perfetto bilanciamente tra cocktail d’autore e sperimentazione culinaria. Nell’ambientazione retrò da classico caffè meneghino di un tempo, trova spazio una drinklist di livello internazionale che ben si sposa con la proposta culinaria dello Chef Vincenzo Mignuolo che segue lo stesso filo conduttore, alternando piatti fusion dal sapore internazionale alle eccellenze italiane.

Miglior carta dei distillati ristorazione: La Brinca - Genova

Una carta dei distillati con oltre trecente referenze, con una spiccata preferenza per l’Italia e le tantissime grappe, ma anche un occhio ai distillati stranieri. La Brinca di Genova è l’Osteria con cantina - tengono molto a questa definizione - che tiene alla tradizione dei piatti liguri senza perdere mai di vista il tempo in cui vive. Un tempo fatto di buona cucina, buon vino e tanti ottimi distillati.

Miglior food pairing (pizzeria): Dry Milano

Probabilmente tra i primi in Italia ad aprire la strada del food pairing tra pizza e drink. Il Dry è il locale perfetto per accompagnare alle ottime le pizze di Lorenzo Sirabella si abbinano a drink con basi profonde nei classici della mixology ma che si aprono al palato e sbocciano attraverso twist e sperimentazioni che sposano sempre la pizza in abbinamento. Sicuramente il Dry resta il faro da seguire.

Miglior carta dei distillati cocktail bar:

Manifattura - Firenze

Piazza San Pancrazio, a Firenze, è la casa della “miscuglieria ardimentosa” che, sotto l’insegna della Manifattura, non vuol dire altro che mixology. Basata tutto sullo spirito italiano del locale e sugli spiriti – quelli in bottiglia – che si affacciano da dietro il bancone, tutti felicemente tricolore. Per averne una prova è sufficiente scorrere la carta cocktail, dai twist sul Negroni ai signature fino agli analcolici, la lingua comune è l’italiano in tutte le sue inflessioni regionali, tra vermouth –anzi, vermutte alla toscana – amari, bitter e gin.

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Special Award Aperitivo d’Autore: Marco Martini

È senza dubbio uno degli Chef più interessanti del panorama nazionale. Stellato già da qualche anno, ha da sempre portato avanti il binomio tra cucina gourmet e cocktail di qualità; ogni drink, infatti, ogni cocktail, infatti ha sempre avuto una doppia vita, sia come possibile abbinamento al piatto che come cocktail da bere come aperitivo - magari in terrazza.

Miglior carta dei distillati pizzerie: Frumento Acireale

Siamo nel centro storico di Acireale (Catania): qui da qualche tempo si è imposto Frumento un format di successo - come si dice oggi - dinamico, moderno e che dimostra il suo amore per il territorio e la ricerca. La stessa ricerca che si sposa benissimo tanto in pizzeria, con un ricca proposta di oltre sessanta pizze ma anche nella carta dei cocktail, degli amari e dei distillati che ben si accompagnano alla proposta food.

Premio rivelazione dell’anno:

Disonesto Navy Strength

Probabilmente questo sarà l’anno della definitiva consacrazione dei Gin Navy Strenght e della loro equilibrata forza alcolica. Qui siamo in Puglia e il Disonesto (malgrado il nome) porta con sé tutti i profumi di ginepro, coriandolo e limone che si fanno notare su un palato leggermente speziato ma mai fastidioso. Caldo e avvolgente come solo un buon Navy sa essere. Prodotto da Panegos e Co. è un gin trasparente e cristallino, da premiare tanto nel nome che nel sapore-

Ampolla Green: Naturae Gin

Parole come sostenibilità, eco-compatibilità o la tanto blasonata ‘green’ qui non sono bandierine da sventolare in qualsiasi storytelling ma anzi, sono il fulcro e la ferma volontà di mettere in produzione un gin che rispetti le regole base del vivere su questo pianeta: dalle bottiglie in vetro riciclato alle etichette in carta riciclabile, passando per la base alcolica certificata bio e il packaging plastic free. Naturae Gin non ha un solo elemento che faccia male in qualche modo alla Terra.

Produttore dell’anno: Bruno Pilzer

Siamo in pieno Trentino, nella vallata di Faver Altavalle (Val di Cembra), qui Bruno Pilzer ha messo tutta la sua passione per costruire quella che oggi è una delle distillerie più apprezzate e stimate nel nostro paese.

Pilzer è un uomo d’altri tempi (classe 1959), decano del settore grappe&distillati che nel 2020 gli è valsa l’elezione a Presidente dell’Istituto tutela Grappa del Trentino, lavora da anni anche nella ricerca scientifica, nell’istruzione, nella sperimentazione e nella formazione collegandoli alla sua attività, senza mai dimenticare che il cuore della sua attività è la Grappa e va fatta come si deve. Per questo e mille altri motivi Bruno Pilzer è il produttore dell’anno.

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Miglior Selezione enoteca: La mia cantina - Padova

Mondi da scoprire, momenti da condividere e una cantina che mai come in questo caso rispecchia fedelmente il nome del posto. Siamo a Padova subito dietro Prato della Valle con oltre mille etichette da tutte le regioni italiane, inclusi anche i francesi e da altri paesi, con più di 40 cantine in esclusiva. E soprattutto le oltre 300 etichette tra grappe, whisky, Cognac, rum, e calvados. L’Enoteca organizza ogni due anni la rassegna “In Villa Veritas” con vignaioli e artigiani alimentari.

Miglior bar d’Italia: Scrt bar Vicenza

Una impresa folle e geniale, decontestualizzata dal giro “buono” dei bar più noti in Italia. L’idea di entrare in un bar, per di più (quasi) segreto, sentendosi in un ambiente familiare e casalingo, spiazza ed intriga lasciando chi entra nel Scrt bar con pochi punti di riferimento. Un effetto sorpresa ancora più forte in quanto tutto ciò accade a Vicenza, lontano dai più importanti centri della bar industry Italiana, fuori dagli schemi, nella periferia del Paese. Superata la sorpresa iniziale il Scrt bar si mostrerà per le sue incredibili qualità, per la sua infinita bottigliera (una delle più ricche d’Italia) e per la sua grande capacità di portare l’educazione del buon bere al cliente e alla comunità di zona. Un bar, dunque, coraggioso, autentico, punto di riferimento per tutti.

Miglior bartender d’Italia: Federico Diddi

In un mondo che fa sempre più spesso del concetto di sostenibilità uno strumento di marketing, il lavoro di chi invece rispetta in modo radicale i ritmi e le necessità della natura va premiato e promosso. È questo il caso di Federico Diddi. I cocktail ideati e proposti da questo giovane bartender utilizzano quasi esclusivamente le materie prime prodotte nell’azienda stessa agricola, con una filosofia circolare e autenticamente sostenibile. Stagionalità, rispetto genuino per la materia prima, attenzione sincera per la qualità fanno di Federico Diddi un vero esempio di bartender contemporaneo.

Miglior bartender d’hotel: Edoardo Sandri

Non è facile trasformare nel salotto di casa propria uno dei più lussuosi ed imponenti palazzi italiani. Eppure entrare nell’Atrium Bar del Four Seasons di Firenze significa proprio questo. La costanza e l’attenzione che, ormai da anni caratterizza il lavoro di Edoardo Sandri, ne fa un vero esempio per l’hotellerie italiana, arrivando a incarnare il perfetto mix per un bartender di hotel che voglia definirsi contemporaneo. Un equilibrio fra tradizione ed innovazione che si ritrova anche nei suoi cocktail, armonico bilanciamento tra le ricercate ed elaborate drink list, che rinnovano il bar ogni anno, ed i grandi classici del passato.

SPIRITO AUTOCTONO MAGAZINE

SPIRITS TREND 2023

MIXOLOGY PROTAGONISTA TRA CRAFT E GRANDI BRAND

È ancora la mixology in primo piano, con funzione di traino per un consumo maturo di spirits (autoctoni e non), a fronte di un universo bar che punta ad un lusso abbordabile, confortevole eppure sofisticato. Guardando ai trend 2023, i professionisti del mondo spirits indicano una tendenza che richiama il “less is more” e l’eccellenza craft. Eppure non tutti sono convinti di poter contare su un consumatore consapevole, perché la spinta pubblicitaria dei grandi brand sembra avere la meglio sulla qualità vera. Ecco che la comunicazione deve essere autentica, pop sì, ma non superficiale.

Mixology up o mixology down?

Produttori e bartender, distributori e commerciali sono d’accordo e la risposta è sostanzialmente unanime: mixology up senza se e senza ma. «Si berrà sempre meglio e sempre più craft – rimarca Claudio Riva di Whisky Club Italia e patron della fiera Distillo Expo -. Il mercato italiano vede un proliferare di vere micro-distillerie, realtà che potranno crescere convincendo il consumatore prima e il professionista poi della qualità percepita nei cocktail». «La mixology di qualità –gli fa eco Giacomo Bombana di Velier SpA - vive da anni un grande Rinascimento, tra recupero dei grandi classici e signature

SPIRITO
MAGAZINE
di Giambattista Marchetto
AUTOCTONO

Se da un lato Alessandro Marzadro (da vicepresidente dell’Istituto Tutela Grappa del Trentino) auspica una maggiore attenzione al settore da parte dei grappaioli, Roberto Marton (alias mister RobyMarton gin) sottolinea il fermento vivace e la tendenza a sperimentare senza limiti. «Nei bartender crescono competenza e voglia di mettersi in gioco», sentenzia il produttore e distributore veneto. Proprio uno dei protagonisti – il bartender Oscar Quagliarini – evidenzia però come la costante spinta all’estremo rischi di diventare eccessiva: «Credo si stia virando verso i classici – spiega – con una cocktaillerie più semplice. Non scontata, ma più immediata». Anche per Alex Frezza dell’Antiquario a Napoli «c’è sempre da migliorare e sperimentare nuove cose, altrimenti è bene rispolverare i classici». In quest’ottica Marco Bertoncini di Mosaico Spirits prevede un aumento dei consumi con una concentrazione del mercato su meno prodotti, ma di maggiore qualità. «È evidentemente un ruolo proprio della grande mixology quello di combinare e reinventare – chiarisce - trovando nuove ricette e nuove forme di consumo, per offrire esperienze esclusive». Che Francesco Pirineo di Compagnia dei Caraibi declina così: «La mixology continuerà ad affascinare con le sue storie, i suoi drink, i baristi e le luci soffuse. Il bar è un porto franco dove confidarsi e lasciarsi andare».

Mondo bar e lusso sostenibile

Qual è dunque la tendenza nell’universo dietro e davanti al bancone? Patria d’elezione per il consumo e l’uso in miscelazione degli spiriti (spesso autoctoni in Italia), i locali vivono un’evoluzione che bilancia lusso e sostenibilità economica, stile e semplicità. Secondo Quagliarini, Marzadro e Pirineo emergono dunque i locali dall’atmosfera sofisticata, eppure accoglienti e affordable.

«Gli estremi hanno sempre spazio per essere spinti oltre – osserva Frezza - Bar extra lusso e cose super pop… non vedo limiti. In Italia abbiamo frontiere ancora inesplorate». E Claudio Riva aggiunge che «il bar è più sofisticato negli ingredienti, con ricette progressivamente semplificate, mettendo un bel vestito attorno a distillati riconoscibili e di qualità». Anche perché “il

PROFESSIONISTI E OSSERVATORI

DEL MONDO SPIRITS TRACCIANO LE LINEE

DI SVILUPPO PER IL FUTURO PROSSIMO

TRA BAR SOFISTICATI STORYTELLING

AUTENTICO E MARKETING AGGRESSIVO

cliente sceglie anziché affidarsi a occhi chiusi al bartender”, dice Bertoncini.

Se per Marton è entusiasmante vedere il volto sofisticato e giocoso della miscelazione, Bombana osserva come l’Italia sia un Paese molto variegato. «Milano ha gli occhi rivolti verso la mixology internazionale – dice – altrove invece è vincente valorizzare aspetti locali della miscelazione, con l’uso di materie prime radicate nel territorio».

Consumatore consapevole o follower dei brand?

Per Claudio Riva «la vera novità del 2023 sarà nel consumatore, giovane e appassionato, che vuole assaggiare indipendentemente da brand, territori o dichiarazioni di età, cercando prodotti sempre più autentici. Un esempio? Il mezcal ha la giusta ricetta di territorio, tradizione e qualità, dunque proseguirà nella crescita». Produttori e bartender sono più disillusi. Se Marton nota un’attenzione spasmodica sulle etichette spinte dal marketing, Alessandro Zampieri de Il Mercante a Venezia ne evidenzia il peso preponderante: «Ormai conta più quante ospitate fai in giro piuttosto che la qualità della miscelazione. E i cocktail bar di livello si dividono tra quelli che sono solo immagine e poca sostanza, e quelli invece che investono tanto nella ricerca e ancora riescono ad innovare. Pochissimi riescono a bilanciare entrambe le componenti».

Comunicazione, storytelling e territorio

Qual è allora il ruolo della comunicazione? «È fondamentale, soprattutto per i nuovi brand – assicura Quagliarini –. Si deve fare un lavoro accurato su bottiglia, grafiche e media». L’importante è giocarla «su storie vere, adattate alle esigenze di un mercato più giovane e più veloce». E d’altra parte «la tracciabilità e il local, concetti fondamentali da anni per l’enogastronomia, si sono fatti largo anche tra spirits e liquori – osserva Bombana -. Di qui il boom di distillerie artigianali e a conduzione familiare. La comunicazione sarà vincente se nerd, ovvero fresca e pop ma comunque tecnica e non superficiale». «I social sono il nuovo modo di comunicare al di fuori del professionale – rilancia Pirineo -, ed è solo grazie alla comunicazione che si esce dai propri confini, anche se forse si perde quel tocco di romanticismo che solo l’esperienza del bar può dare». Attenzione però all’omologazione, ammonisce Frezza da Napoli, perché «vanno condivise le emozioni e le esperienze che un bar può offrire».

55 SPIRITO AUTOCTONO MAGAZINE estrose».

RINASCIMENTO SPIRITOSO

Il post-pandemia ridisegna le vie del consumo e segna una nuova fioritura per il settore delle bevande spiritose, tra nuovi prodotti e nuove distillerie

Nuove distillerie, mixology in fermento e un andamento dei consumi non esattamente facile da inquadrare, che vede un fase di riassestamento dopo il periodo pandemico, con abitudini sempre più diversificate sia in termini di canali di acquisto che di modalità e abitudini di consumo. Lo scenario post-pandemico per gli spirit in Italia è tanto florido quando complesso e in rapida evoluzione, senza dimenticare l’influenza dei contraccolpi inflattivi e delle preoccupazioni per lo scenario internazionale.

Pandemia e distillazione, il gin tra flirt e portafoglio

Assieme alle innegabili criticità, la pandemia ha avuto in molti casi un ruolo di spartiacque nelle scelte di vita. Nel settore degli spirits, questo si è tradotto in una riscoperta, che sta generando il lancio di moltissime nuove etichette – gin in primis - unite a un incremento di circa il 23% nell’avvio di nuove distillerie. Secondo le elaborazioni di Spirito Autoctono La Guida sui dati di Distillo Expo - fiera di riferimento per il settore (lo scorso 16-17 maggio), Milano – a spingere le nuove aperture è soprattutto la prospettiva della produzione di gin in conto terzi, un’attività che promette alle nuove micro-distillerie di rientrare dall’investimento in tempi sostenibili e con una buona prospettiva di margine. Nel nostro paese sono ormai oltre un migliaio le etichette di gin, di cui si stima che siano circa il 90% quelle prodotte in conto terzi. Sul totale della produzione in conto terzi delle distillerie ad accisa assolta, il distillato di

ginepro incide per ben l’80%, seguito dal 10% di acquaviti e vodka e dalla percentuale restante di liquori e amari.

A spingere la popolarità del distillato di ginepro c’è senz’altro l’impiego come ingrediente in mixology, ma anche come prodotto in grado di farsi portavoce, attraverso la scelta delle botaniche, di uno storytelling territoriale.

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1000 90% LE ETICHETTE DI GIN IN ITALIA PRODOTTE CONTO TERZI CIRCA
di Eugenia Torelli

Distillerie italiane, il tessuto sociale

Secondo i dati di Distillo Expo sono circa un centinaio le distillerie attive oggi in Italia, rispetto alle 85 del pre-pandemia. Per il 10% si tratta di aziende artigianali e storiche, spesso alla sesta-settima generazione di distillatori, mentre un altro 10% riguarda produttori industriali, che non si occupano solo di alcol per uso alimentare. La restante parte comprende aziende medio-grandi e medio-piccole. A questi numeri si aggiungono oggi circa 20 nuovi progetti nati durante la pandemia.

Le produzioni comprendono principalmente grappa, brandy e gin, per volumi che – rispetto a quelli di Paesi come UK (Scozia, nello specifico), Irlanda e Usa – rimangono molto contenuti.

Canali di vendita, fase di riassestamento

Per quanto riguarda i canali di vendita, i recenti dati diffusi dell’Osservatorio Federvini in collaborazione con Nomisma e Tradelab, indicano una lieve contrazione nelle vendite della gdo, che nel 2022 segnano un -0,6% a valore (1.2 miliardi di euro) rispetto all’anno precedente. A pesare sul calo, soprattutto la preoccupazione generata da inflazione e guerra, mentre il peggioramento della situazione economica inizia a farsi sentire.

Crescono invece i consumi fuori casa, favoriti dall’allentamento delle restrizioni legate alla pandemia, anche se il settore è ancora distante dai valori raggiunti nel 2019.

Tra gli aspetti più interessanti c’è inoltre lo sviluppo del canale digitale, che veicola molte delle nuove etichette di spirits - spesso non ancora supportate da reti distributive tradizionali – oltre a muovere anche bottiglie di pregio, attraverso aste online e canali esclusivi.

Export, vendite a +23% nel 2022

Ottima la performance degli spirits italiani all’estero, con un +23% di export tra gennaio e ottobre 2022 (rispetto agli stessi mesi dell’anno precedente). Secondo i dati dell’Osservatorio Federvini a trainare le vendite è la categoria liquori e amari con un valore di 444 milioni di euro e una crescita del 22%, mentre l’incremento più alto è realizzato dalle vendite di grappa (+23% per vendite da 49 milioni di euro), apprezzata soprattutto in Germania. I mercati principali per gli spirits made in Italy si confermano gli Stati Uniti (22% delle vendite), seguiti da Germania (17%) e UK (12%).

LE DISTILLERIE ATTIVE OGGI IN ITALIA

-06%

57 SPIRITO AUTOCTONO MAGAZINE
DI AMARI E LIQUORI
444 MILIONI DI EURO VALORE EXPORT
+23% EXPORT SPIRITS ITALIANI ALL’ESTERO
VENDITE NELLA GDO NEL 2022
100
CIRCA

...E LA CHIAMANO ESTATE

QUANTO È DOLCE NAUFRAGARE IN QUESTI DRINK

Le parole chiave della recente miscelazione paiono essere gusto dolce e bassa gradazione alcolica. Ma non sappiamo se sia nato prima l’uovo della gallina o viceversa. In altre parole sono cambiati i gusti dei clienti o sono i bartender a segnare il nuovo corso? Oppure c’è lo zampino delle major di distillati e liquori? Quale che sia la ragione, c’è una tendenza in atto che esploderà la prossima estate, come emerge dalle chiacchierate con diversi bartender alla guida di locali del Nord, del Centro e del Sud Italia. E la colonna sonora dell’estate potrebbe essere la canzone di fine anni Sesssanta, ancora in voga, Messico e Nuvole. Perché sembra che scorreranno tanto Tequila e tanto Mezcal. Ma c’è anche tanta italianità nella miscelazione contemporanea.

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di Alberto Del Giudice

«Stanno tornando in auge liquori storici, e noi bartender siamo felici di contribuire a questo percorso», sostiene Edris Al Malat (Dry Milano) «Sono notevoli e consentono di dare nuove sfumature ai drink. Nel periodo estivo ne sfrutteremo la parte un po’ erbacea, dolce, che si sposa molto bene con l’acidità di un lime; il tutto arricchito con dei sodati. Questa è un po’ la tendenza del momento, ovvero drink rinfrescanti e bilanciati. Noi ultimamente abbiamo proposto Strata, con Gin infuso al finocchio, Liquore Strega, Vermouth Bianco, zucchero, acido citrico».

ne, abbiamo un piede in Sicilia e uno nel mondo. Il cliente forestiero è assai curioso, vuole insieme scoprire le eccellenze locali e ritrovare prodotti internazionali».

«Noi siamo la casa del Bloody Mary, a cominciare dal nostro Santa Maria, e qui è assai richiesto» ci dice Facundo Gallegos Haed Bartender del ST. Regis di Venezia. «Ma abbiamo anche una notevole offerta di Spritz rivisitati con diversi liquori ed essenze spray, che viene incontro al gusto dei clienti: gradazione alcolica moderata e sapori fruttati. La clientela straniera ricerca molto l’esperienza locale, vuole assaggiare rarità del luogo. In questo la soddisfiamo per esempio con il nostro Mi-To veneziano il Doge’s Tipple, con Select; Punt e Mes; un infuso di carciofo; un cucchiaio di Amaro Veneziano ed essenza spray al limone».

Le nuvole e soprattutto la pioggia, forse saranno un sogno la prossima estate, ma il Messico è una certezza. «Notiamo che c’è sempre più prevalenza per i drink dolci, a discapito di una bevuta fino a qualche anno fa a favore di cocktail amaricanti e forti», dice Manuel Bardo del Black Sheep di Bolzano. «Si sta tornando verso drink come il Paloma e verso la scelta della Tequila. Tutte le major company stanno spingendo molto sia su questa che sul Whisky Bourbon. Gli stranieri, soprattutto tedeschi e austriaci, vogliono qualcosa di molto locale, come grappe e gin o vanno su una scelta dolce e facile, mentre più a nord hanno gusti più forti a base vermouth e gin. Tra i nostri drink va molto bene il Casanova, a base tequila con liquore al sambuco, sciroppo alla menta e topping di soda al pompelmo e lime».

Differenti sfumature esprimono i bartender Enrico “Frog”

Contro del Tipsy di Milano e Filippo Sisti. Frog è convinto che il cliente più esigente cerchi nel cocktail piccantezza e spezie. E a questi clienti prepara drink estemporanei cuciti su loro, come un abito. «Sono sicuro che quest’estate torneranno in voga i sour, però speziati. La mia proposta è lime, peperoncino, pompelmo rosa, Agave e Bourbon». Sisti riconosce la richiesta di freschezza, a partire dall’ingrediente frutta. E constata la tendenza low alcol, quindi aggiunge: «Secondo me andrà bene la birra in miscelazione. Io non amo tanto i vecchi liquori, ma danno delle sfaccettature erbacee e aromatiche che non ritrovi facilmente nei nuovi prodotti. Mi hanno etichettato come persona che fa il pairing, ma andiamoci piano: chi mangia due o tre piatti, non può abbinarci altrettanti cocktail. Un drink per l’estate? Carlo Alberto con Liquore di Falerno Mr Three e una birra Ipa di qualità».

«Quest’anno continuiamo sulla scia del low alcol, un drink che consente di bere in modo tranquillo», sostiene Stefano Giummara del Morgana di Taormina. «E puntiamo anche sui cocktail totalmente analcolici. Inoltre, un drink che ci stiamo rendendo conto funziona bene è il Casamigos Paloma con la Tequila. Per noi sta diventando un best seller, avendo molti clienti statunitensi. E negli Usa il trend del momento è la Tequila. Noi prepariamo persino un Negroni analcolico e lavoriamo con Tanqueray Zero e Seedlip Drinks. Usiamo inoltre molti liquori siciliani come AmaCappero e Agalia. Promuoviamo il territorio dal banco-

Tutta da scoprire è la Cocktail Commedia dell’Atrium Bar del Four Season di Firenze, concepita da Edoardo Sandri e dal suo team. «Su questo menu abbiamo ragionato su tre livelli, zero alcol, low alcol e strong; ma la tendenza è zero alcol e low alcol». L’italiano fondamentalmente, almeno a Firenze, preferisce ancora gusto amaro e secco, da aperitivo classico alla Bar Basso. Gli europei, invece, preferiscono il dolce. L’inglese per esempio chiede l’Espresso Martini, che è dolce. Ma qui il pubblico femminile va più sul secco e su drink impegnativi, stile Negroni e Gin Tonic. Una nostra proposta estiva? Self Made Man: base Italicus, più fermentato di mela rossa con tè bianco, viene lavorato e servito all’interno di un sifone da nitro. La sensazione è qualcosa di fresco e fruttato e leggero.

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VERSO IL WHISKY DEL SUD

L’EVOLUZIONE DI OFFICINE ALKEMICHE

DAI MALTI VERSO I MALTI, PASSANDO PER IL GINEPRO

«Nessuna domanda è stupida. Quando si fa una domanda si può essere stupidi una volta. Se non la si fa, si resta stupidi tutta la vita». Prisco Sammartino è un’anima calma a cui non manca il sorriso. È diventato distillatore dopo un’esperienza di una decina d’anni nel suo birrificio, Bella ‘Mbriana Brewing a Nocera Inferiore (SA), che oggi ha lasciato spazio agli alambicchi.

Anche in questa storia - come nella vita di tanti - una svolta l’ha portata la pandemia. «Dagli inizi di marzo siamo stati chiusi e abbiamo capito che non si trattava di una situazione momentanea – ricorda Anna Rufino, compagna di vita e di lavoro - Allora abbiamo deciso di iniziare con il nostro progetto». Sì, perché il progetto degli spiriti c’era già e l’obiettivo, lavorando già coi malti, era quello di produrre whisky.

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di Eugenia Torelli

Verso il whisky, attraverso il gin

«Il progetto era partito prima del covid - racconta PriscoAlla fine del 2019 ho terminato il corso per mastro distillatore alla Scuola Enologica G.B. Cerletti di Conegliano. L’obiettivo a lungo termine era produrre whisky, ma si sa, per quello la strada è lunga e ti devi sostenere con un prodotto più pronto, come il gin». Poi il covid ha accelerato tutto. «Invece di risparmiare in quel periodo abbiamo speso», sorride Prisco. Così di gin ne sono arrivati cinque, tutti pensati per valorizzare botaniche e aromi della costiera amalfitana e cilentana. MyCoast è prodotto con le botaniche della macchia mediterranea e Ginnarì’, con l’immancabile Limone Costa d’Amalfi Igp. Passion è un distilled che sfrutta le sensazioni di mirtillo e agrumi, mentre Ficò e GinCafè lasciano ben intuire dai nomi le proprie botaniche principali. «Con tutte le erbe e i prodotti che abbiamo qui, tra distillazioni e infusioni c’è da divertirsi», esclama Prisco. E infatti è arrivato presto anche Gagà Amaro Edonista. L’ultima arrivata, appena qualche mese fa, è una vodka realizzata a partire da ianculidda, varietà di grano antico del Cilento.

Creare per gli altri e fare cultura

Se alle Officine Alkemiche la produzione di birra si è fermata, accanto a quella dei distillati a marchio proprio, si affianca la produzione conto terzi per chi chiede gin o liquori con la propria etichetta. «Stiamo lavorando molto con le aziende del territorio che vogliono valorizzare i propri prodotti – spiega Prisco - ad esempio le albicocche del Vesuvio, con cui abbiamo prodotto un gin. Ne stiamo anche preparando uno con lo zafferano del Cilento». In Campania, come nel resto d’Italia, attorno alle bevande spiritose c’è fermento e in molti sognano di creare la propria etichetta anche senza avere gli alambicchi. «Certo, non tutte andranno avanti, ma secondo me è un fatto molto positivo – dice Prisco - il voler produrre è sicuramente un’altra spinta per questo settore, perché aiuta a conoscere il prodotto, diffonde cultura e affina ai gusti».

E il whisky? «Sicuramente sarà un whisky del Sud, ruvido nella degustazione, ma elegante. Cercheremo di usare botti in cui hanno riposato grandi vini italiani. Ispirazione? – si chiede Prisco - Più che uno stile, ci ispirano tutte quelle piccole distillerie che riescono con il proprio prodotto a far percepire l’anima del territorio». Quindi si aspetta e, nell’attesa, ci si diverte eccome.

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Amaro Riserva Convento di San Giovanni

Monferrato e Distillerie Berta. Un binomio indissolubile: da decenni l’azienda di Mombaruzzo lavora per il territorio, valorizzandolo con i suoi prodotti. Così è sempre stato e così è anche per l’Amaro Riserva Convento di San Giovanni. Prodotto che non solo arriva dopo il pluripremiato Amaro 28 di Via San Nicolao, continuando una linea produttiva che oramai è storia, ma rafforza il lavoro di recupero di strutture storiche del territorio che la famiglia Berta porta avanti da anni.

Un amaro che distilla la storia e diventa contemporaneo nel momento in cui rivisita, con filologica attenzione ai sapori di un tempo, la ricetta originale. Ricetta scritta dai frati francescani nella seconda metà del XV secolo, quando il convento fu fondato. L’amaro ideato dai frati è riportato, più volte, nelle carte del tempo come molto amato da chiunque lo bevesse, ma nei secoli la sua ricetta era caduta nel dimenticatoio, così come il convento stesso, chiuso nel 1801 e mai più riaperto. Questo fino a quando la famiglia Berta l’ha acquistato per ridargli nuova vita: percorso di recupero che parte proprio dalla produzione dell’Amaro Riserva Convento di San Giovanni.

La rinascita inizia nell’erbario del convento, che è stato riportato in uno stato produttivo e passa attraverso l’incrocio con la storia della famiglia. Avvolgente e morbido, eppure decisamente amaro, è infatti un infuso di erbe in brandy: la firma delle Distillerie Berta e dell’Amaro 28 di Via San Nicolao. Il Brandy (Casalotto, ça va sans dire, etichetta storica della maison) in questo caso però ha ben 35 anni di età alle spalle e l’infuso riposa altri 24 mesi in bottiglia prima di vedere la luce. Il risultato è un amaro dall’anima rotonda

eppure affatto noiosa: è speziato e vivace e racconta una storia intrigante anche al palato. I sentori di agrumi e di erbe si intrecciano con quelli ben più esotici di china e cannella. Perfetto come anima di drink dalla ricetta semplice, che ne omaggino la ricchezza sensoriale, o in meditazione, con un buon cioccolato amaro. Un tributo alla Storia.

Della distillazione e della famiglia Berta, certo. Ma soprattutto un tributo alla storia del convento ora, finalmente, pronto a rivivere.

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32 Euro

BRACCO - MANIFATTURE SIGARO TOSCANO

Manifatture Sigaro Toscano, oltre duecento anni di storia e tradizione nel settore, presenta la nuova linea Bracco in tre formati. Originale, Robusto e Assolo presentano pancia e punte dalle dimensioni importanti, che ne sintetizzano la fisicità dando forma alla sua elegante irruenza. La stagionatura di almeno 12 mesi a temperature costanti permette a questi sigari, di affinarsi nel tempo.

Il nome della nuova release è una dedica al Bracco, la razza canina di ceppo italiano, che per il suo temperamento tipico, tranquillo e discreto, sa essere il compagno perfetto in tutti i momenti del quotidiano. Un riferimento che evoca l’affinità di questo prodotto pregiato all’universo valoriale dei consumatori dei sigari Toscano: attaccamento al territorio, propensione alla scoperta nonché uno spiccato senso del gusto. Una gamma di sigari premium per chi non accetta compromessi tra l’essere e l’apparire.

Fascia scura di tabacco Kentucky italiano fermentato, frutto di una duplice selezione manuale: la prima a opera dei coltivatori italiani durante la fase di “cernita” del raccolto; la se-

AMARO BOMBA

Ci sono persone che hanno l’orecchio assoluto, altri sono capaci di tirare fuori da un blocco di marmo una statua. Altri ancora, con la natura a portata di mano riescono a creare delle meraviglie incredibili che finiscono in bottiglia. Elio Carta, istrionico master distiller della Silvio Carta Distillerie, è tra questi. Tra le sue ultime creazioni c’è Bomba Carta Caffè Tustatu, la nuova release del più che vincente Amaro Bomba Carta. In questo caso le note più erbacee e decisamente secche della ricetta originale incontrano chicchi di caffè 100% arabica di altissima qualità provenienti da quattro zone del Sudamerica e lavorati in infusione a frutto intero.

Il caffè è incontrovertibilmente parte del suo dna, basta avvicinare anche solo in lontananza il naso al bicchiere che le note di tostatura salgono nette. Il tutto ben intrecciato e reso più fresco dalla ricetta storica di Bomba Carta: pino mugo, resina, eucalipto e, ovviamente, il miele amaro di corbezzolo. Quest’ultimo, intrecciandosi con il caffè, regala una lunghissima persistenza al palato.

Versatile come (o forse più) del fratello Bomba Carta, può essere il sicuro e robusto protagonista di grandi classici della miscelazione, come un Black Russian, fresco e dissetante drink da seconda serata. Ha tanto da raccontare anche insieme a una bella fumata lenta. Due suggerimenti: Sigaro Toscano aromatizzato al cioccolato o un Antica Tradizione. Last but not the least, in purezza: bottiglia e calice ben freschi, ma non ghiacciati.

conda da parte del dipartimento “Leaf” di Manifatture Sigaro Toscano dopo la fermentazione della fascia. Il ripieno, invece, è costituito da un blend di tabacchi Kentucky nord americani e italiani, ricavati solo da posizioni fogliari alte e ricche di oli, che conferiscono alla fumata un gusto vigoroso e appagante. Bracco, soprattutto nella versione Assolo, è un sigaro di grandissima agilità di fumata. Perfetto nei momenti intensi della giornata, impeccabile nel dopo pasto con un distillato.

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CARTA CAFFÉ 35 Euro 8,50 Euro

«All’inizio non è stato facile trovare una distilleria che credesse in questo progetto». Federico Gatto produce olio a Lazise, sul Lago di Garda. Il suo è un prodotto di altissima qualità, che voleva valorizzare incrociandolo con un mondo che lo affascinava, quello del gin. La polpa delle olive non è una botanica semplice da affrontare per un distillatore, ma alla fine è arrivata la collaborazione giusta e ne è uscito qualcosa di unico, sotto tutti i punti di vista. Al naso è diretto sul ginepro, con un accenno alle foglie d’olivo e sensazioni balsamiche. Delicato al sorso, regala una spinta lievemente erbacea, che punge un po’ come l’olio appena franto quando lo assaggi su una fetta di pane. L’alcol è una carezza. La bottiglia, ispirata alle ville art nouveau lungo il lago è stata disegnata dall’artista Mo Coppoletta.

Il ginepro è una materia prima sfavillante, utilizzata non solo in distillazione o liquoristica, ma anche nella cura del corpo. A portare una novità in questo settore l’azienda italiana Cosmify, che ha lanciato questa primavera una serie di tre maschere per il viso pubblicizzate come “rimedio post sbronza”. Non per il fisico, ovviamente, ma in questo caso per la pelle, asfissiata dallo smog e dagli stravizi come qualsiasi altra parte del corpo. Quella idratante è arricchita con acido ialuronico, quella illuminante con Ginko Biloba e la versione purificante con gel all’aloe. Un’altra cosa che hanno in comune? Il profumo di gin tonic.

Dall’azienda giurano che anche se la sera prima è stato fatto il pieno di gin tonic, sarà impossibile non amarne la fragranza.

COCKTAIL BOX - PRESTAT

Per gli amanti del brivido, i creatori del gusto e i cocktail shaker: questa serie di tartufi artigianali sembra pensata proprio per appassionati di drink e distillati. Un vero e proprio mobile bar fornito di tutto punto, ma racchiuso all’interno di una pralina di cioccolato. Fondata nel XVII secolo da Antoine Dufour, la Prestat è tra i più longevi fornitori ufficiali della Casa Reale Inglese.

Oggi il marchio è diventato di proprietà della Domori. In questa confezione quadrata, dall’elegantissimo colore blu possiamo trovare 9 tartufi, divisi in tre gruppi, per 115 grammi in totale. Tutti richiamano i sapori dei distillati più importanti. In prima fila troviamo i tartufi Cioccolato bianco, limone e Gin, poi il super classico Cioccolato fondente e Whisky e poi il Cioccolato al latte e Rum. Idea perfetta sia per chi ama concedersi dell’ottimo cioccolato, che per gli appassionati di distillati tout court.

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OLIVIA GIN
HANGOVER REMEDY - GIN MASK - Cosmify
60 Euro
16,90 Euro 16 Euro
RASTAL Italia srl Via Angelo Calvi, 35 29015 Castel San Giovanni Tel. +39 0523 883805 Fax +39 0523 881995 info@rastal.it www.rastal.it

DISTILLATO D’UVA, SOLE E MERAVIGLIA

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