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Due chiacchiere con Davide Terziotti, co-fondatore assieme a Claudio Riva, sulla manifestazione che intercetta la crescita delle distillerie in Italia

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AMARO BOMBA

AMARO BOMBA

di Marco Zucchetti

Che la pandemia abbia fatto bene al settore del beverage è ormai acclarato. Non solo il consumo domestico di alcolici è aumentato in termini assoluti, ma è cresciuta anche l’attenzione per i distillati premium. Su questa base si sta innestando un nuovo fenomeno, di cui si inizia a parlare: il Rinascimento delle distillerie in Italia

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I numeri parlano di una ventina di progetti nati durante gli ultimi tre anni, che hanno portato il totale delle distillerie italiane attive a un centinaio. Due le grandi direttrici di sviluppo: il gin, che lungi ormai dall’essere una bolla si conferma attrattivo, e la produzione conto terzi. Ovviamente i volumi sono ben lontani da Scozia, Irlanda o Stati Uniti, ma il boom delle micro-distillerie testimonia interesse anche economico per il settore. Un interesse che ha trovato naturale espressione in Distillo Expo, l’unico salone italiano dedicato alla distillazione, che lo scorso 16 e 17 maggio ha visto conclusa a Milano la sua seconda edizione

Dietro a Distillo ci sono Claudio Riva e Davide Terziotti, fondatori nel 2014 del Whisky Club Italia. Dopo anni di educazione e proselitismo presso gli appassionati, i due si sono messi in mente di provare a intercettare la crescente curiosità, anche produttiva. A Londra e negli Stati Uniti, ovviamente, il boom del craft distilling era già partito, per l’Italia era solo questione di tempo. Nel 2020 le “prove”, con la prima conferenza online, poi l’anno scorso la prima edizione dal vivo: un successo oltre le aspettative con 800 visitatori e 12 seminari con punte di 130 partecipanti da venti Regioni. «L’idea – spiega Davide – era fornire ai distillatori un contesto in cui confrontarsi, imparare, conoscere le novità». Missione compiuta.

Distillo, facendo uno sforzo di semplificazione, è la manifestazione enciclopedica della distillazione. Dalle imbottigliatrici ai fornitori di materie prime, dai produttori di alambicchi (in Italia oltre a Frilli, anche Barison e Ca’ d’Alpe) alle vetrerie, dai tappi ai distributori, qui ogni singolo aspetto dell’impresa è affrontato. Ci sono i seminari dei maestri dell’alambicco, da Bruno Pilzer a Vittorio Capovilla, e session in cui si danno consigli. Due su tutti: non investire mai in immobili e macchinari prima di aver chiaro in testa che cosa si vuole fare e non tralasciare l’aspetto di marketing. «Serve sempre il realismo di un business plan, distillare cose buone non basta», spiega Terziotti.

L’edizione 2022 era stata quella dell’entusiasmo. Poi il caro-energia ha creato qualche timore e rallentato i piani di qualcuno. Però le previsioni sono rosee: «Secondo noi aprirà una ventina di distillerie ogni anno, il trend è ottimo». Ma chi sono i visitatori di Distillo? Innanzitutto, mediamente uomini over 35, quasi tutti già competenti in materia: «Tantissimi fanno prove a casa, con alambicchi amatoriali». Quattro i profili: ci sono i curiosi solleticati da una lontana voglia di mettersi in gioco; i professionisti e investitori provenienti da altri settori, come imprenditori agricoli o avvocati; i titolari di imprese di ristorazione o birrifici; i distillatori già affermati che vogliono aggiornarsi e vedere che aria tira. E l’aria che tira, come detto, è chiara: «Il gin tira e dà profitti immediati, quindi è alla base della stragrande maggioranza dei progetti nascenti. Ma ci sono anche belle realtà che puntano su vodka da ripasso, ratafià, anice, genziana, genepy. A Pero, fuori Milano, nella zona industriale sta per aprire una distilleria di baiju, lo spirito cinese per eccellenza».

Quest’anno, con gli spazi raddoppiati, l’obiettivo era quello ampliare ulteriormente il discorso, toccando temi come la fermentazione, i lieviti o la distillazione sottovuoto. Il clima è frizzante, gli indicatori tutti positivi (il comparto craft spirits è previsto in crescita del 19% nel quadriennio 2020/2024), perfino la burocrazia e le dogane – che tanto spaventano i nuovi distillatori – non sono più un grosso problema, con i tempi di attesa per i permessi che si attestano intorno ai 12-18 mesi. Tempi italiani, ma accettabili. Tant’è che pian piano anche attori più grandi e provenienti da altri ambiti, iniziano a entrare in gioco. Un gioco che lentamente sta riguardando anche il whisky: «Non è semplice – conclude Terziotti - per produrlo serve un investimento oneroso e il ritorno non è immediato. Eppure in tanti stanno producendo whisky italiano. Per ora si fa e si dice poco, ma è solo questione di tempo».

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