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TRASGRESSIONI CARNIVORE
Dalle lasagne al cinghiale in umido, i consigli proibiti su come abbinare piatti di casa a base di ciccia, con bicchieri ad alta gradazione
Certe cose si fanno ma non si dicono. Non a tutti almeno. Perché la tradizione a tavola è più sacra della dottrina in chiesa, e dunque quando viene voglia di eresia occorre stare attenti a non urtare i sentimenti dei nostri commensali. D’altronde, qui si parla di una trasgressione un po’ forte, non tutti sono pronti ad accettarla. Qui si parla di abbinare la “ciccia”, ovvero le grandi pietanze della tradizione casalinga italiana, con gli spiriti; di accompagnare piatti leggendari, i cui segreti sono passati dalle nonne alle mamme, con cocktail o distillati invece che con un rassicurante bicchiere di vino rosso da pasto. Era dalla fine della crociata contro gli Albigesi del 1229 che l’ortodossia non era così in pericolo.
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Lasagne Mizuwari con Nikka Days
Il simbolo del pranzo domenicale, l’icona della ricetta custodita gelosamente tra le mura domestiche in spregio a ogni tipo di indicazione salutistica: pasta all’uovo, ragù, formaggi, burro. Esiste un mix più perfetto? Ora, la difficoltà dell’abbinamento sta nella temperatura di servizio, mediamente a livello altoforno dell’Ilva. La lasagna è un monolite bollente, quindi evitiamo cocktail con troppo ghiaccio, l’escursione termica sarebbe drammatica. L’ideale è qualcosa di fresco (mica vorremo abbinarci un vin brulè o un Irish coffee…) che sia altrettanto equilibrato. Scegliamo il minimo impatto, che già la lasagna è bella carica: un Mizuwari con un blended giapponese morbido (per esempio il Nikka Days va benissimo, non stiamo a fare i ganassa con single malt premium). Due parti di acqua fredda e una di whisky. Stop. La dolcezza del blended è stemperata dall’acqua e l’effetto è rinfrescante e carezzevole.
Polenta, spezzatino e Mirto spritz con Silvio Carta Ricetta storica
Parliamo di un altro caposaldo dei pranzi della festa, soprattutto al Nord e soprattutto in inverno. Anche qui un’unione benedetta di proteine, carboidrati e sughi vari che “chiama” qualcosa di altrettanto spesso. Idealmente, cerchiamo una nota sgrassante, quindi con una puntina aspra o secca; e altrettanto idealmente, ci piacerebbe sentire una nota erbacea, come a riecheggiare le erbe aromatiche che si usano nello spezzatino. Eresia per eresia, perché non andare in un altro mondo come la Sardegna e pescare il Mirto Ricetta storica di Silvio Carta? In purezza l’apporto zuccherino è un po’ troppo spinto, e allora proviamo un Mirto spritz, con Prosecco e soda. Di fatto, un Hugo spritz più mediterraneo, con una nota sapida divina. Ardito, ma riuscito.
Cotechino, lenticchie e Vodkatini con Blu lie

Il grasso è bello, e non è questione di body-positivity. Il grasso è bello perché è buono ma proibito, quindi va assunto con giudizio, e dunque quando ne mangiamo lo facciamo per trarne soddisfazione. Il cotechino – con le lenticchie o con il purè – non è solo cosa da cenone di San Silvestro. E anche se ormai il caro vecchio gelo non esiste più, in casa tra gennaio e febbraio non è raro trovarselo nel piatto. Ogni cotechinoma- ne ha il proprio fornitore di fiducia, sa quanto deve cuocere, la temperatura precisa, le eventuali spezie da aggiungere, il tempo di riposo prima del servizio. Ma di riffa o di raffa, il grasso del maiale rimane il re del piatto. Va da sé accompagnarlo con qualcosa che ripulisca il palato. E nulla può assolvere meglio il compito di un Martini dry a base vodka. Secco, austero, adamantino nella sua purezza: ogni sorso è un colpo di tergi-palato sulla bocca avvolta dai succhi suini. Come vodka scegliamo la Blu lie, made in Trieste con ingredienti 100% italiani: omaggio all’anima asburgica.
Costoletta alla milanese e Bitter Campari

Non tutte le eresie sono uguali. Alcune diventano così radicate che si trasformano a loro volta in religioni strutturate, tipo la Riforma protestante. Ecco, i protestanti della costoletta (con la S, per carità) col Campari ci sono e non temono scomuniche. Mossi dall’orgoglio milanese, uniscono due simboli della città della Madonnina in un pairing che funziona non soltanto dal punto di vista culturale, ma anche sensoriale. La costoletta è un inno al burro (va bene l’eresia, ma con dei limiti: per chi la frigge nell’olio c’è il rogo diretto in piazza Cordusio); il bitter, con il suo dna dolce-amaro, inaspettatamente si accosta benissimo. Compagno naturale di noccioline e olive, con il salato si esalta, e se sulla costoletta c’è del sale in fiocchi, è bingo. Di bitter ne abbiamo provati diversi, funzionano se la nota amara è netta ma non feroce. Potevamo citarne altri, ma il classico Bitterone Campari ha dalla sua anche i natali meneghini, dunque vince a mani basse.
Cinghiale in umido e Cardamaro (con poco ghiaccio)
Quando si parla di umido – anche se la nouvelle vague di ultra-ecologisti pensa subito alla raccolta differenziata – a noi viene in mente solo il cinghiale. Quel matrimonio di passione fra il selvatico e il vino rosso, le spezie e le erbe, il piacere e il peccato. Tutto molto maschio e deciso, quindi non è il caso di metterci il carico a coppe. Neanche però si può abbinare qualche bevanda sbarazzina, che scomparirebbe. Ecco dunque una buona mediazione, che gioca su un’acidità intrigante e una venatura amara e minerale: Cardamaro, ovvero un vino aromatizzato a tre tipi di cardo, in cui giocano da comprimari anche salvia e liquirizia. Il rimpallo di suggestioni con il sugo e la carne, forte e opulenta, è sorprendente. La dolcezza del sorso – paragonabile a quella di un vermut – non stona con la pietanza, le note erbacee fanno il resto. Per chi è a caccia non di ungulati, ma di accoppiate interessanti.