IoArch 100 Jun/Jul 2022

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GIANCARLO DE CARLO dal Team 10 al Villaggio Matteotti di Luigi Prestinenza Puglisi

le storie di lpp

illustrazione di Roberto Malfatti

Nell’illustrazione, Giancarlo De Carlo e il Villaggio Matteotti di Terni: 240 alloggi realizzati attraverso un processo partecipativo che coinvolse le famiglie operaie a cui le abitazioni erano destinate, improntando il progetto sulle esigenze degli abitanti e educandone al contempo le loro aspettative.

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L’architettura, diceva Giancarlo De Carlo, è troppo importante per essere affidata agli architetti. E molti di loro non gliela hanno perdonata. Era un personaggio difficile. Se ne accorse Ernesto Nathan Rogers che lo aveva coinvolto nella redazione di Casabella quando nel 1957 si dimise, con la motivazione di una gestione troppo personalistica della rivista da parte del suo direttore ma, probabilmente, per la insanabile diversità culturale che oramai li divideva. Giancarlo De Carlo aveva ben chiaro che occorreva uscire dalla crisi del Movimento Moderno, aprendo all’Europa, soprattutto del nord. Da qui la sua adesione al Team 10. E cioè al gruppo che nel 1956 aveva messo in crisi i Congressi Internazionali di Architettura Moderna considerando superato l’insegnamento di Le Corbusier, di Walter Gropius, di Mies van der Rohe, di Sigfried Giedion. Nel 1978, quando in Italia tutti parlano di architettura della città, di Tendenza, di Metafisica, Giancarlo de Carlo pubblica il primo numero di Spazio e Società. In copertina un progetto di Alison e Peter Smithson. Gli anti-Rossi che concepiscono la città per strutture funzionali e non per emergenze monumentali e ripetitività di tipi edilizi. De Carlo è impegnato a partire dagli anni Cinquanta a Urbino. Grazie all’appoggio entusiasta del rettore Carlo Bo progetta il Piano Regolatore e buona parte degli insediamenti universitari: le case per i dipendenti, i collegi, la facoltà di economia e commercio, di giurisprudenza e di magistero e gli interventi a palazzo Passionei, per ospitare la biblioteca, e a Palazzo Battiferri. Una città nella città che ridisegna il territorio e dove la conoscenza e il rispetto della realtà storica urbinate non lascia spazio alla nostalgia.

L’opera, a mio avviso, più emblematica di De Carlo è il Villaggio Matteotti a Terni che lo impegna a partire dal 1970. È una delle prime esperienze in cui la partecipazione degli utenti alle scelte abitative avviene secondo un percorso studiato e programmato. Le esperienze successive dimostrano che Giancarlo De Carlo, fedele ai propri assunti democratici, è stato più volte capace di mettere in discussione il proprio linguaggio. Le abitazioni a Mazzorbo, realizzate tra il 1980 e il 1997, per esempio, hanno ben poco della astrattezza compositiva del Villaggio Matteotti, sono colorate vivacemente seguendo la tradizione locale e rispondono, senza cadere nello strapaese, a un’idea di abitazione più condivisibile dalla popolazione. De Carlo ha goduto poco delle simpatie degli accademici che lo vedevano rinunciare alla coerenza stilistica e, insieme, degli estimatori delle nuove linee di ricerca che lo vedevano restio a inserirsi lungo le più recenti vie della sperimentazione formale. E, in effetti, la sua vita è stata segnata dall’isolamento, a partire dagli anni dell’insegnamento all’università Iuav dove veniva giudicato un urbanista dai professori di composizione e un progettista di architettura dai professori di urbanistica. Sono note le sue polemiche con Aldo Rossi, che si batteva per l’autonomia dell’architettura, e con Giovanni Astengo, che si batteva per una specificità disciplinare dell’urbanistica. Perse con entrambi, e per lui che credeva nell’integrazione tra architettura e urbanistica, fu un’amara sconfitta


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