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Consumismo divergente

Casas na Areia dei fratelli Aires Mateus è un complesso di quattro case di pescatori sapientemente riadattate in case di vacanza e in seguito convertite in guest house. Il tutto assolutamente glamour, ma secondo un principio fondamentale e inedito: eliminare ogni cosa superficiale e superflua, soprattutto quelle che impediscono un contatto diretto con l’ambiente. A partire dal pavimento, inutile, dal momento che in spiaggia si cammina scalzi, o dalle pareti, serenamente attraversate dagli spifferi. Niente di più lontano dalla tipica casa di vacanza estiva che, anche se abitata solamente per due mesi all’anno, i più caldi, è pensata come una dimora di città, ermetica, con pavimenti in marmo, ma ecologico, e aria condizionata, ma in Classe A. Non solo il mito della sostenibilità serve a minimizzare il danno di un programma mal concepito, ma si ottengono due risultati: da un lato si perde il valore dell’esperienza del luogo e dall’altro, riprendendo una definizione cara a Peter Zumthor, si annulla la capacità dell’architettura di costruire atmosfere. Sorvolando su considerazioni circa i bisogni primari e secondari – e le vacanze, come del resto le stesse Casas na Areia, si collocano in un fondamentale filone consumista – il concetto che accomuna quest’opera di Aires Mateus al Cabanon di Le Corbusier o a opere poco conosciute, ma eccezionali, come la Guest House di Glenn Murcutt, è una misurata riduzione all’essenziale. Si tratta di una ricerca etica e formale di ciò che basta per soddisfare ogni esigenza (riconducibile al tema dell’enoughness, dall’inglese enough, abbastanza). Abbastanza, un termine che nella società post-industriale odierna è difficile nominare senza che suoni blasfemo. Questa parola dal potenziale sovversivo apre un tema fondamentale: quello della riscoperta del valore dell’esperienza rispetto all’accumulo, che è un principio che si manifesta con sempre maggiore evidenza in moltissimi campi. Trova espressione in cose che vanno dalla possibilità di disporre liberamente del proprio tempo, alla capacità di soddisfare perfettamente ogni esigenza con i mezzi più appropriati, ben esplorata da Aldo Cibic con il progetto Rethinking Happiness presentato alla XII Biennale di Architettura di Venezia. Coincide con la perfezione che si ottiene quando non c’è più nulla da togliere, né niente da aggiungere, e probabilmente corrisponde all’ultima frontiera di un lusso immateriale.

Cristina Mittermeier

Biologa marina e pluripremiata fotografa professionista (National Geographic, Time Magazine) attiva nel campo della tutela ambientale. IoArch 88/2020 - bit.ly/3Ha8miE

Manuel Aires Mateus

Laureato in architettura all’università di Lisbona, con il fratello Francisco nel 1988 fonda lo studio omonimo. Insegna in diverse università. IoArch 99/2022 - bit.ly/3mUaiTr ‘Abbastanza’ è un termine dal potenziale sovversivo che apre il tema fondamentale della riscoperta del valore dell’esperienza rispetto all’accumulo: un principio che in architettura si manifesta con sempre maggiore evidenza.

Aldo Cibic

Nel 1981 è tra i fondatori di Memphis. Nello stesso periodo avvia un’attività di ricerca con le scuole che inaugura l’idea di un design dei servizi e propone modalità originali di progettazione dei luoghi rispetto alle dinamiche sociali. Nel 2010 fonda Cibic Workshop, centro volto all’elaborazione di progetti per la valorizzazione del territorio e dello spazio pubblico. Cibic insegna presso il Politecnico di Milano, l’Università Iuav di Venezia, Iaad Torino e la Domus Academy, ed è professore onorario alla Tongji University di Shanghai. IoArch 69/2017 - bit.ly/3NGlKhb

Quale opera di architettura pensi che rappresenti meglio lo spirito del tempo?

“La scuola di Gando di Francis Kéré. Pensare a un mondo dove circa due miliardi di persone vivono in abitazioni del tutto inadeguate è sufficiente per ridimensionare ogni nostro parametro rispetto all’architettura.”

Aldo Cibic

La storia di Francis Diebedò Kéré che ebbi il piacere di conoscere nel lontano 2010, a Mendrisio in occasione della sua premiazione con il BSI Swiss Award, ha dell’eccezionale. Nato e cresciuto in un villaggio rurale del Burkina Faso e trasferitosi in città per gli studi, iniziò da autodidatta a trovare il modo di costruire edifici che fossero belli, utili e solidi. «Dopo aver lavorato per sei anni trasportando pietre e mattoni – mi disse – tagliandomi e pestandomi le dita per riparare in continuazione un tetto in legno, ogni anno, dopo la stagione delle piogge, bisognava ricominciare da capo». Un po’ alla volta, basandosi sulle pure risorse disponibili localmente, Kéré non solo riuscì a realizzare edifici capaci di migliorare la qualità di vita, ma anche a catalizzare l’impegno e le aspirazioni di tutta la comunità trovando una forma di architettura del tutto originale. La Gando Primary School del 2001, una delle sue prime opere, risolve i problemi principali di tutti gli edifici scolastici fino a quel punto realizzati nella regione est del Burkina Faso: illuminazione e ventilazione scadente. Mattoni realizzati con un mix di terra cruda e cemento per pareti con una eccezionale inerzia termica. Tondini in acciaio che sostengono una grande e ben ventilata copertura in lamiera ondulata a protezione delle torrenziali piogge stagionali. Tecniche assolutamente soft tech che ripercorrono la sapienza di molte stupende architetture senza architetti, e che per intelligenza e efficacia pongono ancora più seriamente un interrogativo sulle grandi scatole in vetro e acciaio, inabitabili senza impianti, che secondo un mai placato spirito colonialista hanno un po’ alla volta invaso anche l’Africa. Oggi Francis Kéré è un Premio Pritzker, dimostrazione che in architettura ogni maestro si distingue per la capacità di porsi delle domande, e per il coraggio e la capacità di lanciare una sfida alle convenzioni.

Francis Kéré, scuola elementare di Gando, Burkina Faso, 2001 (Ph. courtesy of Erik-Jan Ouwerkerk).

CONSUMISMO DIVERGENTE

Gando Primary School Francis Diébédo Kéré (2001)

Francis Kéré, scuola elementare di Gando, Burkina Faso, 2001 (Ph. courtesy of Erik-Jan Ouwerkerk).