Ricordo di Valentino Zeichen (1938-2016) • di Diego Zandel
Moravia definì la sua poesia “un’eco di Marziale nella Roma conteporanea”
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Ci teneva alla sua identità fiumana, il poeta Valentino Zeichen, nato a Fiume, appunto, nel 1938 e poi arrivato profugo in Italia con il padre, prima al campo di Parma, poi a Roma, l’animo straziato dalla morte della madre Evelina per tisi a Fiume. C’è uno struggente ricordo di Valentino della madre, di quando l’ha vista per l’ultima volta. Si trovava in colonia a Cantrida e lei lo venne a trovare, parlarono un po’ prima di abbracciarsi per quello che lei sapeva essere l’ultimo saluto. Di quell’addio è rimasta una poesia bellissima. Fiume, così, anche se si definiva un successore del romano Marziale, era diventata per lui una città profondamente interiore, uno scrigno che si teneva dentro e di cui
parlava con pochi amici. Io ero uno di questi. Lo andavo a trovare, soprattutto negli anni in cui lavoravo vicino a dove abitava, nella sua baracca al Borghetto Flaminio, per pranzare insieme. Era un cuoco sopraffino, ci teneva. E, mentre preparava e mangiavamo, parlavamo. In dialetto fiumano, naturalmente. Credo di essere stato l’unico con cui gli capitava questa possibilità. Gli argomenti svariavano, ma dominava la letteratura e poi, sì, il discorso cadeva sulla nostra città. Ero una fonte di notizie per lui, per le mie frequentazioni di Fiume da una parte, e quindi dei Rimasti, e dei profughi qui a Roma. Un po’ ce l’aveva con i profughi, dai quali non era mai stato preso in
considerazione. Ma neppure i Rimasti, se è per quello. Non credo che sia gli uni che gli altri abbiano scritto di lui, lo abbiano invitato. Eppure era uno dei più grandi poeti italiani. Ed era famoso per i suoi recital, per quella forte impronta di attore che aveva, per la personalità della sua voce, che sapeva attrarre l’uditorio, farlo proprio, talvolta travolgendo (resta negli annali il grande recital che fece a Castel Porziano nel 1979, una tre giorni teatrale en plein air, con tanti poeti di tutto il mondo, compresi i mostri sacri della Beat generation americana: Allen Ginsberg, Gregory Corso, William Burroughs). I libri di poesia di Valentino Zeichen non possono prescindere dalla storia della