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Un amico fraterno che non c’è più
from LA TORE 28
by Foxstudio
A due anni dalla morte di Alessandro Damiani (1928-2015) • di Giacomo Scotti
Un amico fraterno che non cʼè più
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Da sinistra, con: Loredana Bogliun, Nelida Milani Kruljac e Franco Iuri
Perdonatemi se dedico poche righe a un amico fraterno che non c’è più.
Nascemmo nello stesso anno, nella stessa terra del Mezzogiorno d’Italia. Nello stesso, diciannovenni, varcammo il confine per trasferirci sulle sponde del Quarnero, stabilendoci a Fiume. Portavamo nel cuore le stesse speranze, gli stessi ideali che andarono poi distrutti. Entrambi scegliemmo la strada della poesia e di altri generi letterari.
Parlo di Alessandro Damiani, scomparso due anni fa, nel 2015, all’età di 87 anni.
Ci lasciò, ma non è scomparso. Questa città e l’intera Piccola Italia devono molto a quel grande intellettuale rimasto per sempre su questa terra alla quale ha lasciato il meglio di sé, la sua creazione letteraria, il fiore all’occhiello degli italiani rimasti.
Nato in Calabria, Damiani ha infatti donato tutto se stesso a questa Fiume, all’Istria e alle genti di questa terra e di questo mare, con le quali condivise per quasi settant’anni speranze, timori e, soprattutto, la tenace volontà di non rinunciare al futuro con la loro presenza, con la loro lingua, con il loro patrimonio storico-culturale e con nuove creazioni.
Abbiamo un Dramma Italiano? Ebbene, Damiani ne fece parte come attore fin dagli inizi della sua storia. Alla drammaturgia di lingua italiana ha donato alcune delle migliori creazioni teatrali, da “Album di famiglia” a “Ipotesi”, “Aporie” ed altre.
Abbiamo un giornalismo italiano? Certo, e Damiani fu per lunghi anni giornalista eccellente nel quindicinale “Panorama”, collaborò al quotidiano “La Voce del Popolo” e a tutte le altre pubblicazioni Edit, soprattutto con saggi e commenti socio-politici e culturali. Insegnò anche giornalismo nella scuola superiore italiana di Fiume e alla facoltà di Pola. Alcuni dei suoi saggi e interventi apparsi sulle nostre pubblicazioni furono raccolti nel corposo volume “La cultura degli italiani dell’Istria e di Fiume”, apparso nel 1997 e in saggi pubblicati su riviste, opuscoli e almanacchi, come “Storia della cultura italiana a Fiume”, “Scuola e cultura italiana in Istria”, “Jugoslavia: genesi di una mattanza annunciata”.
Se la “Piccola Italia” istro-quarnerina ha una fiorente produzione poetica e narrativa lo si deve anche ad Alessandro Damiani, che
nel volume “La letteratura degli italiani dell’Istria e di Fiume dal 1945 ad oggi”, di Christian Eccher (2012) viene definito “il massimo esponente intellettuale della CNI”. In ogni caso, Damiani rimane uno dei più eminenti e autorevoli poeti e romanzieri della letteratura italiana di queste terre, uno di coloro che costituirono la prima generazione postbellica di scrittori e che hanno continuato a produrre a fianco delle successive generazioni fino alla morte. Lo dimostrano i numerosi volumi di poesia susseguitisi dal 1967 a “Il fiore gelido”, uscito nel 2013, una vera e propria antologia della lirica di Damiani. Lo dimostrano ancora i romanzi “Ed ebbero la luna”, “La torre del borgo”.
Giornalista, critico letterario e teatrale, saggista, ma soprattutto drammaturgo, poeta e romanziere, Alessandro Damiani sarà dunque ricordato e resterà nella nostra storia come autore enciclopedico che ha saputo spaziare tra generi diversi sempre con alti risultati, creando un opus interamente e profondamente “memore di una cultura classica”, immersa tuttavia sempre nella realtà delle varie fasi storiche che, insieme a noi, Damiani ha attraversato nella sua lunga e feconda vita.
No, non è morto. Egli lascia orme incancellabili. E non a caso al suo nome sono intitolati ben tre capitoli della storia della nostra letteratura e cultura raccontata nei corposi volumi de “Le parole rimaste”: la storia della letteratura dell’Istria e del Quarnero del secondo Novecento. Nell’intera seconda metà di quel secolo e nel primo decennio del nuovo Millennio, Alessandro Damiani è stato non soltanto “un lucido testimone” della nostra epoca, ma soprattutto un protagonista che ha coerentemente lottato dalla parte dell’uomo, nel caso nostro degli italiani rimasti e della non facile convivenza con le altre popolazioni di un paese che ha forse scritto troppa storia turbolenta.
A spegnere il corpo di Damiani sono stati la caduta dei miti e delle idealità, le amarezze causate dal tradimento della storia e delle ideologie. Ci ha lasciato la sua poesia che, già nella silloge “Note di viaggio” del 2001, “diede un malinconico addio ai propri sogni e alla vita”, come ha scritto Eccher. Da allora, Damiani non uscì quasi più dalla sua casa, ma - dice ancora Eccher - “il titanico sforzo di comprendere il mondo” fatto da Damiani sarà “diffuso come fulgido esempio di dialogo, di analisi, di lotta”. Aggiungerò che, pur restando isolato in casa in attesa della morte della quale egli mi parlava inevitabilmente ogni volta che gli telefonavo o andavo a trovarlo, non restò mai inerte. Certo, “il gigante era stanco”, come dice Eccher, ma continuò pur sempre a dialogare col mare senza confini al di là del Quarnero, dialogando in sostanza coll’infinito.
Sarebbe bello - è appena una proposta, la mia - che le nostre istituzioni facessero immurare una lapide all’ingresso dell’edificio di via Dezman n.3 per ricordare che lì visse, scrisse e si spense Alessandro Damiani. Sarebbe bello ricordarlo anche nell’atrio del Teatro, Sarebbe bello davvero.
