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Nazione come valore culturale e umano

A venticinque anni dalla scomparsa, ricordiamo il professor Antonio Borme con un articolo non firmato che uscì su “Panorama”, all’indomani della sua dipartita

Nazione come valore culturale e umano

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La morte improvvisa di Antonio Borme oltre che turbamento e disappunto suscita in noi la consapevolezza di una grave perdita, rimediabile nella misura in cui i suoi “eredi” sapranno trarre giovamento da una lezione di vita che si è rispecchiata e fusa nella vicenda collettiva. Il Presidente dell’Unione Italiana infatti non ha soltanto condiviso il destino dei propri connazionali, rimasti nella loro terra, ma in fasi alterne ne ha espresso gli entusiasmi, le illusioni, le rivendicazioni, il disinganno e la volontà di non recedere dalle istanze di legittimità e sviluppo in un periodo tra i più drammatici della storia del territorio istro-quarnerino. Questa costatazione preliminare evidenzia la gravità della perdita e, nell’auspicio - da esprimere subito! - che altri esponenti assumano il ruolo e ne proseguano l’opera, ci obbliga a un primo consuntivo per la prosecuzione con i suoi riporti del calcolo ideale e politico. Insomma, ora che Borme non è più tra noi ed ha già garantito un posto nella nostra storia, dobbiamo fare i conti con lui.

Operazione non facile, poiché comporta un pubblico esame di coscienza su circa mezzo secolo di storia vissuta lungo un percorso accidentato col peso di magagne antiche , in compagnia di subdoli viandanti e per traguardi che, tra illusioni e disinganni, sono ancora oltre l’orizzonte. Va anche detto che per le dure leggi della storia si è trattato di un itinerario obbligato, per cui in ultima analisi l’indagine deve rispondere al seguente quesito: nelle condizioni imposte e con i mezzi a disposizione si è riusciti a compiere il percorso con il minor danno possibile (visto che di trionfi non è il caso di parlare per nessuno: né maggioranze o minoranze, né slavi o italiani)? In questa partita nella quale per ciascuno la posta in gioco era la sua stessa esistenza, e quale esito finale il destino collettivo, la condotta del professor Borme è stata di totale coinvolgimento in piena correttezza e assunzione di rischi. Sono stati gli altri a barare, miopemente certi di volta in volta di averla fatta franca, mentre il gioco si avviava all’epilogo disonorevole di una perdita netta e irreparabile per tutti: come oggi tocchiamo con mano.

In questo quadro, due sono i segni rivelatori della personalità di Antonio Borme: la sua tensione ideale e la fierezza nazionale. La prima connotazione non poté prescindere dall’istanza utopica che ha improntato la cultura, la politica, e tout court la vicenda storica della seconda metà del secolo scorso fino a ieri in Europa ed oltre. Aver creduto, operato, lottato e insomma vissuto per quel progetto non è cosa di cui oggi, per l’incapacità di realizzarlo e ancor peggio la viltà di rinnegarlo, bisogna vergognarsi. Nel nostro ambito la fine di quel

sogno ha significato la sconfitta di una proposta di convivenza civile e di promozione culturale che ricaccia indietro la storia regionale con la necessità di ricercare vie nuove, onde evitare alla nostra terra un “destino balcanico”. Della complessità di tale problematica, il professor Borme è stato pienamente consapevole e, in un duro e lungo scontro con l’insipienza altrui, ha proceduto a una serie di “correzioni di tiro”, cecando di far salve, dopo la presa d’atto del fallimento ideologico, le istanze di salvaguardia e promozione nazionale.

La componente etnica, affrancata sia dall’arroganza fascista che dalle forme scomposte di un nazionalismo culturalmente retrogrado, assume in Borme la connotazione di una dignità simpliciter umana che rivendica valori di comune civiltà espressi per il tramite della peculiarità linguistico-culturale.

Un discorso lineare e pregnante, ad alto contenuto etico, che purtroppo nell’angustia della politica locale e a fronte di una strategia presuntemente a più alti livelli, ma nella sostanza regressiva e altezzosa, non ha trovato interlocutori validi. A stento - anche questo va detto - veniva seguito, e non sempre compreso, dai suoi stessi beneficiari: gli appartenenti, ma specie i rappresentanti imposti, del Gruppo nazionale italiano. E’ un capitolo a parte, concernente i rapporti ai vertici dell’Unione, che prima o poi dovrà essere affrontato con cognizione e pacatezza. In ogni caso, si è trattato del tentativo più conseguente di conferire credibilità alla prospettiva socialista di convivenza tra le etnie nella nostra regione; reiterato e difeso con grande vigore, fino alla conferma definitiva che l’alternativa jugosocialista era sempre stata una vacuità truffaldina. E nessuno creda che ora noi si maramaldeggi sul cadavere realsocialista, poiché con altrettanta fermezza sosteniamo che i suoi eredi sono gli attuali paladini in diversa casacca, di una democrazia di facciata. Era questa anche l’estrema denuncia dell’intellettuale e del politico Antonio Borme.

A cui il nostro pensiero torna nel momento degli addii con sentimenti di gratitudine e di stima, nel segno della ferma fiducia sulla validità di un impegno comune che altri sapranno portare avanti quando ciascuno di noi, compiuto il suo tragitto, avrà passato in mani valide il testimone della nostra cultura. Pertanto riteniamo che il più alto omaggio alla memoria dello Scomparso è garantire la prosecuzione dell’opera per la quale esistono, pur tra difficoltà da non sottovalutare, condizioni generali propizie e i soggetti attivi: una generazione che farà onore all’ammaestramento di Antonio Borme.

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