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Il patrimonio ebraico
from LA TORE 28
by Foxstudio
70º anniversario della ricostituzione della Comunità ebraica a Fiume • di Helena Labus Bačić
Le Giornate del patrimonio ebraico
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Ospite d’onore, Tobia Ravà
Gli ebrei sono presenti in questi territori da più di cinque secoli, ma si sono organizzati ufficialmente a Fiume nel 1781. Nel 1947, anno in cui venne consolidata la pace in seguito alla Seconda guerra mondiale, in via Ivan Filipović si ricostituì la Comunità ebraica. Le Giornate del patrimonio ebraico sono state, pertanto, un’occasione per affermare l’importante ruolo della Comunità ebraica nel tessuto cittadino.
L’evento centrale della manifestazione, svoltasi in collaborazione con PaRDeS, Laboratorio di Ricerca d’Arte Contemporanea, e con il patrocinio e il supporto finanziario della Città di Fiume, della Regione litoraneo-montana, dei Consigli della minoranza nazionale italiana della Regione e della Città e della Società “Dante Alighieri”, è stata la mostra di Tobia Ravà, intitolata “Da’at - I numeri della creazione”, curata da Rina Brumini e Maria Luisa Trevisan. Tobia Ravà si occupa di cultura mistica ebraica (kabbalah e ghematrià), logica matematica e arte contemporanea. È autore della “Congettura di Ravà”, una congettura matematica dimostrata e accolta, sui numeri teosofici della sequenza di Fibonacci, e cofondatore, con Maria Luisa Trevisan, di PaRDeS, Laboratorio di Ricerca d’Arte Contemporanea.
Il percorso espositivo era composto da una quarantina di opere tra quadri e sculture ispirati alla mistica ebraica che sono al centro dell’interesse filosofico, matematico e artistico di Ravà, il quale ne esplora da decenni il significato simbolico. L’autore crea paesaggi e ritratti utilizzando i numeri. Infatti, la kabbalah è un metodo di interpretazione del testo biblico ebraico, sviluppato in Europa tra il XII e il XVII secolo, mentre la ghematrià è una parte della kabbalah che analizza i valori numerici di ogni parola. L’alfabeto ebraico è composto da 22 lettere. Ciascuna lettera ha un corrispettivo numerico e ogni numero ha un riferimento anche oggettuale. Ad esempio, in ebraico, la parola “padre” si dice “av” e ha il valore numerico 3. “Madre” si dice “em” e ha un valore numerico 41. La loro somma dà 44, che è il valore della parola che significa “bambino”. Attraverso il percorso di riduzione teosofica delle lettere, Ravà ha fatto una scoperta matematica nel 2002, chiamata appunto ’congettura di Ravà’, secondo la quale le radici digitali in base 10 (numeri teosofici) della sequenza di Fibonacci sono una sequenza periodica con periodo 24. “Il canone biblico ebraico è in 24 volumi, mentre il nome di Davide, quando è ancora pastore (si scrive ’DVD’ nel testo biblico) vale 14. Quando diventa re DAVID, il suo nome acquista il valore di 24, che corrisponde alla completezza della maturità”, spiega Ravà.
“Questi lavori scaturiscono da un percorso di studi. Nello specifico, sono laureato in semiotica all’Università di Bologna, per cui mi sono avvicinato all’arte in maniera diversa da come operavo prima di questi studi. Per questo motivo ero più attento ai diversi livelli di lettura e di significato. Attraverso un percorso di studi legato alla
cultura ebraica, che ho ripreso dal 1997, specificatamente nella mistica ebraica - la kabbalah e la ghematrià - ho voluto costruire questi lavori in modo che abbiano diversi piani di lettura: uno diretto, legato all’immagine, che può essere una farfalla, un pesce o un albero, quello testuale, in quanto si tratta di parole tratte dal testo biblico, per cui utilizzo parole ebraiche molto note e specifiche, mentre il terzo piano di lettura è quello numerico, derivato dal fatto che ogni lettera ebraica è anche un numero, per cui ogni parola ha un valore numerico. La mia ricerca è costruita con parole che hanno lo stesso valore numerico e che sono un po’ la spiegazione l’una dell’altra. Non è necessario conoscere l’ebraico o la matematica che sottende l’opera, l’importante è che l’immagine dia una vibrazione che intervenga in rapporto al fruitore dandogli una scossa, qualcosa che lo porti a ragionare in una maniera diversa”.
Ravà spiega che “ogni testo biblico è polisemico, il che vuol dire che può avere diverse traduzioni. Ciò che la kabbalah ci insegna è che la verità non ci è data, bensì dobbiamo scavarla, scoprirla”.
Stando a Maria Luisa Trevisan, curatrice dell’allestimento assieme a Rina Brumini, l’opus di Ravà annovera tre componenti principali: la componente ebraica, quella mitteleuropea e quella veneziana. Per quanto riguarda la componente ebraica, la storia familiare di Ravà è stata segnata, come è stato il caso di tante famiglie ebraiche in Germania negli anni Trenta del XX secolo in Europa, dalle tragiche conseguenze delle leggi razziali. Quattro bisnonni di Ravà finirono nei campi di concentramento Theresienstadt e Auschwitz. La famiglia fuggì dalla Germania e si stabilì a Venezia. “Nei primi tempi in cui si avvicina all’arte, Tobia è un grafico e dimostra un particolare amore per la linea, che si sviluppa in maniera molto contorta - spiega Maria Luisa Trevisan -. I suoi lavori degli anni Ottanta si avvicinano al graffitismo newyorkese. In seguito si concentra sulle parole e sui numeri, basando le sue opere sul rapporto tra i numeri e le lettere dell’alfabeto ebraico. La componente veneziana è data dai soggetti pittorici che riprendono le trifore, ovvero i particolari gotici dei palazzi veneziani e i colori che rimandano all’oriente. E infine, la sua componente mitteleuropea si nota nella sua formazione, dal momento che sua madre lo spronava a leggere autori come Thomas Mann, Kafka e altri”.

a lezIone dI ghematrIà
Il matroneo della sinagoga ha ospitato la mostra di Tobia Ravà. Tra le opere, Ravà si è prestato a condurre gli ospiti attraverso i vari piani di lettura sui quali si articola la sua produzione artistica. Con paziente analisi ha svelato i valori numerici delle lettere rappresentate e il valore teosofico della cifra di ciascuna per affrontare infine anche argomenti più complessi, come la congettura di Ravà, mettendo ancora una volta in relazione il passato e il presente in una città che di ebraismo ha una idea vaga ma nutre nei suoi confronti una curiosità ardente. Quest’ultima è stata in parte tolta ai piedi della scalea del matroneo. Lì le Signore israelite della Comunità (V. Špacapan, A. Kerenji, I. Fišer, T. Eraković, K. Dessardo, e Nadica) hanno allestito un ricco rinfresco fatto di cibi ebraici e vini kassher. Gli ospiti si sono intrattenuti nel cortile della sinagoga prima di entrare nell’ex bagno rituale, le nostre Mikveh, fuori uso dagli anni Quaranta del secolo scorso. Riadattate a spazio sociale, le Mikveh hanno ospitato una mostra sui cinque secoli di presenza ebraica a Fiume (F. Kohn); la proiezione del film “L’amicizia ebraico-nipponica” (V. Špacapan, A. Kerenji, S. Shimitzu) sulle vie di fuga ebraiche attraverso il Giappone durante la Shoah; un’esposizione delle edizioni di comunità e delle riviste ebraiche in Croazia. Alla fine della serata, ad ogni visitatore è stato offerto un souvenir di tematica ebraica, realizzato dalle ceramiste della nostra Comunità degli Italiani, come dono e pegno di rivederci l’anno prossimo, alla Giornata europea della cultura ebraica.

L’11 settembre, il giorno dopo l’apertura, si è tenuta, invece, la conferenza di Tobia Ravà sulla Ghematrià con un’introduzione biografica della curatrice Maria Luisa Trevisan. Seguito dai media e una folla in platea, Ravà ha rispiegato le origini del proprio pensiero e i riflessi della sua ricerca nella sua produzione, visitabile al piano superiore. Da sottolineare che le due sculture più grandi, Shir Tanin (coccodrillo) e Shalom Darwin (giraffa), che non potevano - causa dimensioni - essere ospitate dalla Comunità, sono state esposte al Museo marittimo di Fiume (Palazzo del governo). Pillole di storia Al fascino delle opere si è aggiunta la curiosità dei visitatori sull’ottima conservazione della sinagoga e sulla storia della Comunità di Fiume. Tra la fondazione della prima comunità ebraica (1781) e l’inaugurazione del Tempio grande (1903), il numero di ebrei a Fiume era lievitato da una dozzina ad oltre due migliaia. Riformati e virtualmente assimilati, gli ebrei di Fiume hanno partecipato anima e corpo alle vicissitudini della città: dall’indipendenza alla Prima guerra mondiale, dal plebiscito ignorato all’impresa dannunziana. Negli anni Venti del secolo scorso, la florida Fiume rappresentava nel panorama ebraico un porto di pace in confronto all’ostilità e alle persecuzioni ad Est. Erano gli anni di massiccia immigrazione ashkenazita di ebrei ortodossi. Giunti a Fiume, dopo un primo assestamento, questi ultimi, mal tollerando l’assimilazione dei correligionari riformati, hanno fondato una Comunità propria, ed eretto una piccola sinagoga che oggi è l’unica rimasta. Questa però, appena inaugurata (1930) ha dovuto già chiudere, vittima della Legge Falco che prevedeva l’accentramento di tutti gli ebrei in una comunità di riferimento. Mai usata da quegli anni, è sopravvissuta deserta agli anni delle Leggi razziali e al decennio di guerra. A quindici anni dal divieto d’uso, quando l’unico posto “ebraico” della città era la grande sinagoga riformata, il Tempio grande, è finita la guerra. I nazisti in ritirata hanno minato e distrutto il Tempio grande, ignari dell’esistenza di un altro tempio, a duecento metri in linea d’aria. Così la sinagoga di Fiume ha riaperto le porte facendo un triste appello ai sopravvissuti. Diciannove. Ma Fiume, allora, si trovava in un nuovo paese, in cui gli italiani autoctoni si preparavano ad un altro dramma, l’Esodo giuliano-dalmata. La sede della Comunità ebraica di Fiume costituisce oggi una delle tre sinagoghe nella Repubblica di Croazia che, dopo la Seconda guerra mondiale, hanno mantenuto la propria funzione. Ad essa si associa un cimitero ebraico, porzione del cimitero comunale monumentale di Cosala, con antiche tombe risalenti all’Ottocento. La comunità postbellica si è ricostituita su una base fiumana con apporti di ebrei provenienti da tutta l’ex Jugoslavia arricchendone gli usi, la cucina, le melodie e le lingue parlate. Proprio all’insegna della multiculturalità, la modesta Comunità ebraica di Fiume, con la prestigiosa mostra di Tobia Ravà “Shiv’im - 70”, ha trovato il favore delle istituzioni nella celebrazione del 70° della fondazione. Tra gli sponsor la Città di Fiume, la Regione litoraneo-montana, la casa d’assicurazione Croatia osiguranje d.d., i Consigli della minoranza nazionale italiana della Città e della Regione, il World Jewish Congress. Per l’occasione, l’artista ha donato alla Comunità il prezioso dipinto “Con fusione” realizzato nel 2016 a quattro mani con Abdallah Khaled. Contributo della coordinatrice della mostra, Rina Brumini, in collaborazione con Melita Sciucca