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Enzo Zadel: “Bruto, lustro e nero”

Enzo Zadel, uno dei più genuini prodotti del vivaio di Cantrida, simpatico, loquace, allegro: uno sguardo

sul calcio fiumano di ieri e di oggi dall’alto dei suoi 80 anni • testo e foto di Bruno Bontempo

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"Bruto, lustro e nero, ti xe come un... bacolo!"

La prima volta che ho sentito parlare degli Zadel ero ancora alle elementari della scuola italiana Gelsi, in Stranga. “Chi xe le vostre bidele a scola?” mi chiedevano. El signor Bruno, la signora Maria, la Olga e la Palma... “Ah, la Palma Zadel, la mama del Bacolo!” È facile immaginare lo stupore, l’ilarità e la curiosità che un appellativo del genere poteva suscitare in un ragazzino. Per me, Zadel era un illustre sconosciuto, anche perché non ero ancora animato dalla passione per il calcio e per la squadra fiumana di allora. Solo qualche anno più tardi, quando cominciai ad andare a Cantrida alle partite del Rijeka e a leggere gli articoli di Renato Tich ed Ettore Mazzieri su La Voce, imparai a conoscere e a seguire con simpatia quel calciatore dai capelli corvini e la carnagione scura: Enzo Zadel, più noto come Bacolo, il soprannome simpatico e bizzarro che si porta dietro ancora oggi. Quest’anno ha tagliato il prestigioso traguardo degli ottant’anni: quale occasione migliore per convincerlo a dare un’occhiata allo specchietto retrovisore per vedere cosa si è lasciato dietro, per riandare con la mente alla successione di avvenimenti passati, per rifare, ma in senso inverso, il suo lungo e intenso percorso di vita.

“Quello di bidella alla Gelsi non era stato il primo impiego di mia madre, che prima aveva lavorato alla Prehrana come responsabile del negozio di alimentari di via Primo Maggio. Le origini della mia famiglia? Gli Zadel erano arrivati in città da una località tra Bisterza e Postumia, nella Carniola, quella che a Fiume (ma anche in italiano antico, nda) veniva chiamata Cragno. Papà Giovanni è stato deportato in Germania nel ’42 e non abbiamo avuto più sue notizie. È facile immaginare quanto sia stata travagliata la vita di

nostra madre, che ha dovuto lavorare duro per poter crescere da sola quattro figli, Antonio nato nel ’34, che vive in Australia dal ’60, Elena, classe 1935, morta nel ’92, io del ’37 e Mario - che gestiva un’officina idraulica in città - del ’41, scomparso nel 2008. Fortuna volle che la nonna viveva nella nostra casa e che si è presa cura di noi”.

I ricordi di infanzia per Enzo sono un misto di commozione e tristezza. “La famiglia della mamma, invece, aveva le sue radici a Fiume e tutti noi quattro fratelli siamo nati al numero 1 di Calle dei pipistrelli, nel cuore della Cittavecchia. Da Gomila siamo andati a vivere in Valscurigne, nei pressi dell’ex rimessa dei pullman della Grattoni (l’azienda di autotrasporti che gestiva la prima linea direttissima Fiume-Trieste, nota come Freccia del Carnaro, nda), quindi in Belvedere e infine in un condominio dell’ex via

Parini, oggi Fiorello La Guardia, in un bellissimo e grande alloggio. Dopo la mia partenza da Fiume, nel ’64, l’appartamento diventò troppo grande per lei e lo cambiò con questo di Zamet, dove sono tornato a vivere quattro anni fa, al termine del lungo peregrinare, e dove abito tuttora. La mamma ci ha lasciati nel ’75, quando aveva appena 59 anni ed era in pensione da poco. Quando vado a trovarla al cimitero sono colto dal rimorso di non averle dato di più, ma la vita mi ha portato via da casa molto presto, prima per due anni in Bosnia, a Tuzla, poi per quattro stagioni in Turchia, a Smirne, infine per 43 anni in Svizzera”.

prImI calcI In belvedere e al cellInI

Quando hai iniziato a frequentare il mondo del calcio? “Fin da piccolo ho sempre e solo voluto giocare a pallone. Alla fine degli anni ’40 siamo andati ad abitare in

Belvedere, nella schiera di case che si affacciano proprio sull’ex campo Cellini e il rettangolo di gioco lo vedevo dal balcone di casa mia. I primi calci li ho tirati in un cortile di quelle case, tentando di emulare i giocatori che ogni giorno andavo a vedere mentre si allenavano, i vari Mrvoš, Legan, Sinosich, affascinato dal loro modo di stoppare il pallone, palleggiare, tirare in porta...”

All’epoca la superficie del campo di quella che oggi è via della Gioventù era ricoperta da una sorta di carbonella sminuzzata a livello di terriccio, che richiedeva una costante manutenzione e, specie d’estate, la si doveva bagnare prima delle partite della Quarnero. Il Cellini, in quei tempi, non era dotato di un impianto di irrigazione automatico e allora Piero Blasich, guardiano del campo, impegnava tutta la mularia del quartiere per portare dagli spogliatoi al campo, con secchi e taniche, l’acqua necessaria a rendere il terreno di gioco meno aspro e meno polveroso. “Fra questi, ovviamente, c’ero anch’io. E fu proprio Piero Blasich che mi affibbiò il soprannome bacolo. Bruto, lustro e nero come un bacolo, ti xe sempre qua... mi apostrofava fra burbero e scherzoso. E quel nomignolo me lo porto cucito addosso ancora oggi..."

Tra i titolari della Quarnero dei primi anni ’50 c’era Zvonko Canjuga, ala sinistra, che formò una celebre coppia d’attacco con Stojan Osojnak. Con più di 40 gol segnati nelle sei stagioni trascorse a Fiume, figura al nono posto tra i migliori cannonieri di tutti i tempi della Quarnero/Rijeka. “Avevo 13-14 anni - ricorda Zadel - quando Canjuga si accorse che ero già bravino con il pallone e che quello che mi riusciva meglio erano i traversoni dalla fascia laterale destra del campo verso l’area di rigore. Lui si appostava in area per esercitare il tiro in porta e io avevo il compito di fargli arrivare dei cross calibrati. E così si andava avanti per un bel po’. Per me erano lezioni da manuale per acquisire familiarità ed assimilare alcuni dei fondamentali di tecnica calcistica. Forse è stata proprio questa la chiave di volta nel mio avvicinamento a uno sport che poi sarebbe diventato la mia professione”.

Il primo allenatore di Enzo Zadel è stato lo zagabrese Nikola Duković, classe 1912, ex attaccante delle squadre zagabresi, che appena appese le scarpette al chiodo (1945) ha intrapreso la carriera di tecnico iniziando proprio dal settore giovanile della Quarnero, che nel giugno del ’54 avrebbe cambiato nome in Rijeka. “Con Duković ho fatto tutta la trafila, mi ha seguito dagli esordi nella seconda e poi nella prima squadra ragazzi, quindi nella giovanile - dove sono venuto dopo Vinicio Zidarich, Icio Brussi, Bruno Persi, due anni più anziani - e infine, nel ’56-’57, nella squadra titolare. Ma al termine di quel campionato mi arrivò la chiamata alle armi e, come Bruno Veselica, non potei far parte della squadra che si guadagnò la storica promozione in prima lega (1958). Da soldato, comunque, ho giocato parecchie partite con il Rijeka in seconda lega, prima che il comando dell’esercito jugoslavo ci togliesse questo diritto, giudicando eccessivo il numero di soldati-giocatori che, a loro giudizio, avevano fatto del calcio un pretesto per sottrarsi al ferreo regime dell’armata jugoslava”. soldato zadel, a rapporto!

Ma la vita, sappiamo, riserva sempre tante sorprese e a volte offre occasioni inaspettate. Come quella capitata al soldato Enzo Zadel. Campionato jugoslavo 1958/59: il neopromosso Rijeka ospita l’Hajduk a Cantrida. All’epoca comandante della caserma di Laurana, dove Bacolo stava svolgendo il servizio nella marina militare, era un colonnello spalatino, sfegatato tifoso dell’Hajduk (la squadra che fu di Beara e Vukas era una delle quattro grandi del calcio jugoslavo dell’epoca), che non stava più nella pelle per l’arrivo in regione della sua squadra del cuore. In qualche modo gli riuscì di concordare una partita amichevole tra la formazione della caserma lauranese e il blasonato undici dalmata, da giocarsi il gior-

Palma Zadel, mamma di Enzo, che ricordiamo come bidella della scuola italiana Gelsi a partire dalla metà degli anni ’50 (Foto B. Bontempo)

no dopo l’incontro di campionato. “Quel lunedì, ovviamente, l’Hajduk mandò in campo le riserve, noi ce la mettemmo tutta e la partita finì con un clamoroso 4-2 per la mia squadra di militari. Io segnai una bella tripletta che non passò inosservata, tanto che già la mattina del giorno dopo venni chiamato a rapporto dal comandante, che senza troppi giri di parole mi propose di andare a giocare nell’Hajduk!? - Zadel rivive quei momenti con trasporto, ma senza rimpianti - Me ga ciapà un meso colpo! La fragorosa proposta dell’Hajduk mi aveva preso alla sprovvista e stentavo a crederci. Era un’occasione di quelle che si presentano una sola volta nella vita, ma per me era difficile decidere così, su due piedi. Ero legato al Rijeka, a Fiume c’era la mia famiglia, era il mio mondo... Cercai di guadagnare tempo e gli spiegai che dovevo pensarci un po’... Poi, come per miracolo, alle due del pomeriggio di quello stesso giorno arrivò precipitosamente in caserma Alfredo Otmarich. Il popolare Bobi, massaggiatore del Rijeka, era stato mandato in missione segreta con il mio contratto da semiprofessionista pronto per la firma (in quei tempi il regime jugoslavo pubblicamente era riluttante nei confronti del professionismo puro nello sport, ma era solo una questione di facciata, nda). Evidentemente a Cantrida c’era stata una soffiata del possibile colpo di scena di una mia partenza per Spalato e la società era corsa ai ripari, proponendomi un contratto che per me era una manna dal cielo, anche perché mi metteva in lista paga già durante il servizio militare. Un gran colpo di fortuna, ma devo ammettere che più volte, nella vita, sono stato assistito dalla buona sorte...”

prIma, storIca vIttorIa sull’hajduk

Cerco di mettere ordine nei pensieri e nei ricordi di Bacolo, che si accavallano. Dal ’59 al ’64 Zadel gioca nel Rijeka da mezzala destra, secondo la terminologia in uso all’epoca, ma anche trequartista, oppure, come si direbbe oggi, centrocampista di fascia. Statura non eccelsa, dotato, però, tecnicamente e atleticamente, aveva un vasto repertorio e un bagaglio calcistico di primissimo ordine. Di piede naturale destro, non disdegnava comunque l’uso del sinistro quando le situazioni lo richiedevano. Univa le qualità del fantasista, abile a individuare le traiettorie del passaggio, a quelle del passista dal piede vellutato.

Veloce in progressione, instancabile trottolino, dotato di intelligenza tattica, abile negli assist, buon tiratore anche da fuori: per due stagioni Bacolo sarà il tiratore scelto della squadra e in totale realizzerà 22 reti con la maglia del Rijeka, tra cui una scoppiettante doppietta che ha fatto storia, infilata all’Hajduk il 9 settembre 1962 nella partita vinta dai fiumani con un travolgente 4-0 (Veselica e Lukarić gli autori degli altri due gol, su assist di Zadel!), prima vittoria del Rijeka in una partita ufficiale contro i più blasonati e titolati spalatini. Niente di strano, dunque, che il clamoroso successo sia entrato negli annali della società di Cantrida e che lo si racconti ancora oggi alla stregua di una leggenda. Se poi ci mettiamo l’accesa, turbolenta rivalità che da sempre contraddistingue i derby dell’Adriatico, in campo ma soprattutto sugli spalti, è facile capire quanto sia stata grande la gioia dei fiumani e amara la pillola che hanno dovuto ingoiare i dalmati, letteralmente umiliati sul piano del gioco dai vari Jantoljak, Vranković, Radaković, Brnčić, Lukarić, Zadel, Veselica, Naumović... “Tra i miei compagni di squadra dell’epoca, il primo posto della scala valori è riservato al grande Pero Radaković, giocatore eccezionale, esemplare pure come impegno, correttezza, attaccamento. Eravamo coetanei, molto amici, compagni di stanza nelle trasferte. La sua prematura scomparsa è stata un dolore incommensurabile. Aveva solo 29 anni e si preparava per andare a giocare in Germania. Con la maglia della nazionale jugoslava, nei quarti di finale dei Mondiali del ’62 in Cile, aveva segnato il gol-partita che eliminò i tedeschi...”

Quella della storica vittoria sull’Hajduk probabilmente è stata la miglior partita giocata da Zadel tra le file del Rijeka. Ma quel 9 settembre 1962 viene ricordato anche per il gravissimo incidente avvenuto sugli spalti: qualche pietra rotolò lungo la parete sovrastante la tribuna nord, il panico per una possibile frana dalla sovrastante parete rocciosa provocò una calca tra gli spettatori assiepati sulle gradinate sotto la cava e alcune migliaia di tifosi presero d’assalto e fecero crollare la rete di recinzione

per trovare scampo sul terreno di gioco. Il bilancio fu di 96 feriti, una decina i ricoveri all’ospedale, partita interrotta per venti minuti. Poi, passata la paura, l’apoteosi con lo strepitoso e memorabile 4-0. rIgorIsta (quasI) InFallIbIle

Un’altra partita da lasciare una fetta di cuore, ma per altre ragioni, fu quella giocata contro l’OFK Beograd, nel campionato ’63-’64, che alcune maldicenze (!?) avevano etichettato come un possibile caso di combine. I belgradesi avevano una posizione di classifica tranquilla, il Rijeka aveva bisogno di incamerare almeno un punto per evitare la retrocessione. Una partita “destinata” a finire in parità (si stava viaggiando tranquilli sul risultato di 1-1, che avrebbe accontentato tutti) ebbe una svolta rocambolesca. Chi rischiò di mandare all’aria tutto fu Joško Skoblar, ala sinistra dei belgradesi che poi avrebbe fatto una grande carriera a Marsiglia e che una decina di anni più tardi sarebbe arrivato a Cantrida per chiudere la carriera e iniziare quella di allenatore. Vuoi vedere che ti combina il buon Skoblar? Da quasi metà campo spara un tiraccio senza alcuna pretesa, il pallone prende una traiettoria velenosa, rimbalza davanti all’incolpevole portiere del Rijeka, Jantoljak, e si infila nella sua porta. Eh, ragazzi, non eravamo daccordo altrimenti??? Ma a rimettere le cose al suo posto ci pensò il fischietto lubianese Lado Jakše, oggi 85enne, figura popolarissima per la sua mole imponente, instancabile gourmet, arbitro severo ma anche capace di qualche smaliziata lettura molto personale del regolamento. Insomma, in piena zona Cesarini, il centrocampista del Rijeka Naumović, abilissimo palla a terra, con grande capacità di difendere il pallone, nell’area avversaria provoca l’intervento dell’arbitro che assegna il rigore. Alla battuta c’è il nostro Zadel, che come rigorista era l’incubo dei portieri avversari ed oggi con orgoglio afferma di aver sbagliato un solo penalty in tutta la sua carriera, “ma disgraziatamente risultò decisivo per l’esito di quell’incontro e non me lo perdonarono mai...”

“Quella volta non potevo sbagliare, c’era in palio il punto che per noi significava la salvezza - ricorda il simpatico Bacolo, che adesso, sfogliando l’album dei ricordi, ci può anche ridere sopra -. Mi tremavano le gambe di fronte al portiere del Beograd, il famoso Vidinić. Statura alla Lev Yashin, aveva un’apertura alare delle braccia che quasi non mi permetteva di vedere la porta. Unico punto a mio favore, sapevo che tendeva a buttarsi a destra. E così fu, lo spiazzai, finì 2-2, festa in campo e fuori. Però, quanta paura!” nemo propheta In patrIa

Talento indiscusso, Zadel però non trovò subito la giusta considerazione e a lungo fu costretto a scaldare la panchina, impiegato senza continuità, più che altro in scampoli di partite. A onor del vero, è stata la sportiva de La Voce del Popolo a spingere per un suo maggiore utilizzo in prima squadra. Renato Tich ed Ettore Mazzieri, autorevoli giornalisti sportivi dell’epoca, avevano capito che Zadel, uno dei più genuini prodotti del vivaio locale, aveva i numeri e si meritava il posto di titolare. Le due notissime penne de La Voce ingaggiarono una lunga e aspra polemica con gli allenatori della squadra fiumana e Mazzieri, storico curatore della rubrica umoristica dialettale La parola a Pepi Fritola, pubblicò una vignetta che ritraeva Enzo Zadel anziano, con il pelo lungo e bianco: “...a son de aspetar che i lo meti giogar, al Bacolo ghe xe cressù la barba...”, caricatura che Zadel conserva ancora oggi. “Mazzieri e Tich, grandi giornalisti, competenti, coraggiosi, corretti, mi hanno voluto bene e mi hanno aiutato tantissimo”.

E così si arrivò al ’64, con il contratto di Zadel in scadenza. Per il rinnovo chiese all’allora presidente della società, Milorad Doričić, di paragonare la sua posizione contrattuale con quella di un giocatore arrivato da poco a Fiume dal Borac di Banja Luka: alloggio e due milioni di dinari, bazzecole se paragonate alle cifre che i club pagano oggi, ma - tanto per dare un’idea efficace del valore di questa cifra -, per un operaio erano circa due anni di paga. Zadel, giustamente, cercava di dare il giusto prezzo al suo valore e invece nisba. Il presidente Doričić, cercò di svicolare, giocando al ri-

Rijeka all’ex Campo Cellini primissimi anni ’60

sparmio: Cossa ti pretendi, non te potemo pagar tanto, e po ti ti vivi con la mare... Intanto Ostoja Simić, che pochi anni prima era stato allenatore del Rijeka, chiamò Zadel in Bosnia, dove aveva assunto la conduzione dello Sloboda di Tuzla, squadra di seconda lega jugoslava che puntava alla promozione nel massimo campionato. “Mi offrirono un milione e mezzo per una stagione, accettai. L’anno dopo fu l’Olimpija di Lubiana a cercarmi, con l’ex difensore del Rijeka, Tihomir Mrvoš, nel ruolo di mediatore. Mi portò in taxi a Lubiana e per tutto il viaggio cercò di convincermi a chiedere 10 milioni! - Bacolo prosegue il suo racconto, divertito ma quasi imbarazzato -. Ma quando, durante i colloqui all’albergo Slon della capitale slovena, mi chiesero quanto volevo, non ebbi il coraggio di chiedere 10 milioni, come mi aveva suggerito Mrvoš, mi sembrava una quantità di denaro sproporzionata. Convinto che non se ne sarebbe fatto nulla, sparai una cifra comunque più contenuta, 8 milioni! Accettarono subito ed erano decisi di andare già il giorno dopo a Tuzla per formalizzare il trasferimento. Chiesi che mi lasciassero almeno finire le vacanze. Ma poi ci ripensai. Avevo 28 anni, l’età limite per poter andare a giocare all’estero, e un contratto quadriennale sarebbe stato un grosso ostacolo. Così decisi di restare ancora una stagione allo Sloboda, formazione molto solida, che giocava un buon calcio. Io avevo trovato la giusta collocazione, segnavo a raffica - alla fine saranno 41 gol in due campionati - ed ero il mattatore della squadra. Ricordo una partita contro lo Šibenik, che abbiamo letteralmente strapazzato già nel primo tempo, sommergendolo per 5-0. Io avevo segnato una tripletta e all’uscita dal campo il difensore dei dalmati Stošić mi si rivolse con fare minaccioso: Ti ammazzo!!! Gli chiesi che cosa gli avevo fatto. Ma come, non capisci, non vedi che cosa ci state facendo? Nella ripresa, non so se sia entrato in gioco l’appagamento o la... paura, il risultato non cambiò... Al termine del campionato mancammo la promozione per un soffio, anche perché la politica ci aveva messo lo zampino ed aveva favorito l’Olimpija di Lubiana, affinché anche la Slovenia potesse avere una sua rappresentante nel massimo campionato jugoslavo. A fine stagione lasciai lo Sloboda”.

A titolo di cronaca ricorderemo che due anni dopo, nel ’68, negli spareggi per la promozione nel massimo campionato, la squadra bosniaca affrontò il Rijeka, vincendo la partita di andata per 3-0 ma a Cantrida i fiumani riuscirono a rimontare e con uno strepitoso 4-0 evitarono la retrocessione. Però, ahimè, la capitolazione era stata rimandata soltanto di un anno...

da FIume In bosnIa, turchIa, svIzzera

Con l’avventura bosniaca, per Zadel si chiudeva il capitolo jugoslavo e si apriva quello turco: “Su sollecitazione di Ostoja Simić, che già avevo avuto come allenatore a Fiume e a Tuzla, andai all’Altinordu Spor Kulübü di Smirne, che militava nella Türkiye 1. Süper Futbol Ligi, la prima divisione del campionato turco. Prima di firmare, giocai una partita di prova contro il fortissimo Dukla di Praga, nel quale giocava il famoso Masopust. Finì 0-0 e superai l’esame. All’Altinordu, squadra di metà classifica,

RIJEKA - PADOVA, amichevole (1961) rimasi per quattro felici e tranquille stagioni, unico straniero assieme al serbo Sijački, arrivato pure lui dallo Sloboda. Smirne, perla dell’Egeo, in passato chiamata la bella Izmir, è una magnifica città, meta obbligata dei circuiti turistici. Città di porto come Fiume, clima mediterraneo con temperature gradevoli, era un microcosmo davvero variegato, molto aperta rispetto al resto del Paese anche per la presenza di una base NATO che gli conferiva un carattere di internazionalità. Vi lavoravano anche parecchie ragazze dell’ex Jugoslavia e grazie alla loro condiscendenza andavamo lì a fare shopping, scarpe in primis. A contratto scaduto, un’altra società turca, il Galatasaray allenato dal serbo Kaloperović (che in Italia aveva giocato nel Padova, nda), mi offrì un contratto molto più favorevole ma l’Altinordu non voleva lasciarmi partire e dovetti ricorrere a uno stratagemma per ottenere lo svincolo, dopo una precipitosa fuga da Smirne. La società cercò poi di farmi tornare, sommergendomi di telegrammi in quanto non avevano un mio recapito telefonico. I tempi delle mail, degli sms e dei videomessaggi erano ancora lontani... Tornato a Fiume, incontrai Ćiro Blažević, che viveva in Svizzera già da una decina di anni e faceva l’allenatore. Fu lui a indirizzarmi all’Yverdon, squadra della Svizzera francese che militava nella Divisione nazionale B. Il presidente della società era proprietario di un’officina idraulica, il mestiere che avevo imparato alla scuola di avviamento professionale a Fiume, e figuravo come suo dipendente, in quanto secondo le leggi d’immigrazione si poteva entrare in Svizzera soltanto per ragioni di studio o di lavoro. A ripensarci, era un po’ come i primi anni nel Rijeka, quando chi giocava in prima squadra figurava nella lista paga di qualche azienda cittadina, che nel mio caso era stata prima la Voplin e poi, assieme a Geni Ravnich, la Fabbrica Imballaggi in via Industria. Praticamente si andava in sede solo per ritirare la paga e allora il direttore si lamentava Ma dai, vegnì ogni tanto, almeno che la gente ve vedi... E noi, saltuariamente, lo prendevamo in parola ma eravamo soliti andare in fabbrica durante il turno serale, per fare l’occhietto alle belle ragazze, in quanto il personale del reparto imballaggi era composto quasi totalmente da donne...” 2017, un anno storIco per Il rIjeka

“È stata la vita, quindi, a trovare il suo corso - prosegue Zadel -. In Svizzera ho continuato a giocare fino a 38 anni, nei veterani addirittura fino a 63, in vari ruoli, anche quello di battitore libero. Lasciato il calcio, mi sono trasferito a Villeneuve, sul Lago di Ginevra, ho ottenuto il diploma all’Istituto alberghiero e assieme alla mia compagna Rosa per una quindicina di anni ho gestito un hotel, facendo un po’ tutti i mestieri e lavorando fino a 16 ore al giorno. Si chiudeva in gennaio e si andava in vacanza ai Caraibi, Guadalupe, Cuba, Martinica... Venuta a mancare Rosa, suo figlio non ha voluto continuare l’attività ed ha preferito vendere. Io ho maturato i requisiti per la pensione e sono tornato a vivere a Fiume, dalla quale, sentimentalmente, non mi ero staccato mai... Qui ho ritrovato vecchie e coltivato nuove amicizie. Il calcio ho continuato a seguirlo assiduamente, alla tv quello internazionale, a Cantrida prima e a Rujevica ora le partite del Rijeka. Devo ammettere che non ero pronto a scommettere che la mia ex squadra ce l’avrebbe fatta a vincere il campionato, e poi anche la Coppa Croazia, credevo che la Dinamo fosse ancora inattaccabile. Invece la stagione del Rijeka è stata esaltante, un’autentica cavalcata, ed ovviamente lo scorso mese di maggio ho fatto festa ed ho gioito per la conquista dello storico titolo. Però c’è ancora un notevole divario tra il livello del campionato croato e quello delle partite delle coppe eu-

ropee, discorso che vale per tutte le squadre croate, Dinamo compresa. Tuttavia il 2017 resterà scritto a caratteri d’oro negli annali della storia della società e dello sport fiumano. Il calo di quest’anno? C’era da aspettarselo, spesso dopo un successo di questa portata subentra una sorta di svuotamento psicologico, emotivo e agonistico. Per un outsider è difficile ripetere l’exploit. E poi le altre squadre si sono rinforzate e il campionato è più equilibrato. Ma la stagione è ancora lunga... (l’intervista risale al mese di settembre, nda). Comunque il Rijeka in questi ultimi anni ha fatto grandi cose. Un capitolo a parte è la sensibilità che la gestione Mišković, contrariamente a quanto avveniva in passato, sta dimostrando anche nei confronti di noi ex giocatori, che siamo circondati di attenzioni, abbiamo i posti garantiti nella tribuna vip dello stadio e via dicendo. Speriamo che questa bella favola duri nel tempo”. da osojnak e zIcovIch al real dI modrIć

Torniamo al passato. Chi ricordi in particolare degli anni trascorsi al Rijeka? “Indubbiamente Stojan Osojnak, un mito non solo per il giocatore che è stato ma per l’uomo che era. Aveva 14 anni più di me tuttavia per due stagioni, ’56-’57 e ’58-’59, abbiamo giocato assieme. A carriera finita, nel 1960, da giocatore è diventato allenatore e sulla panchina del Rijeka ha fatto coppia con Angelo Zicovich. Nel 1967 si è trasferito in Svizzera dove ci siamo ritrovati qualche anno dopo, al mio arrivo dalla Turchia. Quando sono andato a vivere sul lago di Ginevra, è stato spesso mio ospite. È nata una bellissima e profonda amicizia, durata tutta la vita. Osojnak ci ha lasciati nell’ottobre dello scorso anno e mi manca tanto perché eravamo indissolubilmente legati. Lui era molto attaccato alla natia Abbazia e dintorni, ci tornava ogni estate a trascorrere le vacanze, tanto che le sue ceneri sono state divise, per metà deposte in Svizzera accanto a quelle della consorte Wanda, l’altra metà nel cimitero di Volosca. Qualcuno mi ha chiesto come gli ho potuto essere amico constatando che non aveva fatto niente per farmi restare a Fiume!? Si, è vero, non mi faceva giocare molto perché lui preferiva i giocatori fisicamente forti, mentre io ero piccolino. L’amicizia è un’altra cosa. Poi, a conti fatti, posso dire che in effetti mi ha fatto un favore lasciandomi andare via dal Rijeka, perché sono state le altre tappe della mia carriera, dopo la parentesi fiumana, a garantirmi una discreta tranquillità economica di cui posso godere oggi... Tra gli allenatori, invece, a mio avviso il migliore è stato Angelo Zicovich. Imparziale, giusto, persona molto schietta, quello che aveva da dirti te lo diceva in faccia, contrariamente a tanti altri. Alfredo Bobi Otmarich, massaggiatore terapeutico dalle mani d’oro, per me è stato come un padre, e non solo per me. Ha fatto sempre di tutto per venire incontro alle nostre richieste, anche le più bizzarre. Io, però, non avevo bisogno del massaggio prepartita, che non sostituisce ma affianca la fase di riscaldamento, che ho svolto sempre in maniera soggettiva e personalizzata”.

Facciamo un ultimo salto nel presente. Se ti dovessi paragonare a uno dei grandi giocatori di oggi, a chi potresti assomigliare? “Forse a Modrić, il nazionale croato del Real Madrid. Mi piace molto per il suo tocco di palla, l’ottima visione di gioco, la precisione dei passaggi, la qualità nel tiro, per i continui inserimenti durante le sortite offensive e l’abilità nel servire assist per i compagni, indifferentemente con entrambi i piedi. Oggi, a parte il Rijeka, tifo Real Madrid, anche perché sono innamorato di Modrić e Ronaldo. Qualcuno, poi, mi ha paragonato al francese Tigana, dicendo che gli avevo assomigliato come stile di gioco, anche se la sua statura era decisamente più alta della mia...”

Come si rapporta il calcio dei tuoi tempi a quello odierno? “Indubbiamente questo sport ha fatto grandi passi avanti ed è cambiato radicalmente in tutte le sue componenti, spettacolari, tecniche, tattiche. Alcuni aspetti, comunque, non li digerisco. Oggi si parla fin troppo degli arbitri, dei rigori, dei fuorigioco... Errori, sviste, favoritismi ci sono sempre stati. Il calcio è diventato uno dei più grandi business mondiali, con cifre da capogiro che gravitano intorno a calciatori strapagati. È un’esagerazione e per certi versi fa disgusto e crea avversione. Con giocatori sopravvalutati e ingaggi inspiegabili siamo arrivati a un punto di non ritorno. L’attuale crisi economica ha contribuito ad allargare drammaticamente la forbice tra le fasce più ricche e quelle meno abbienti della popolazione. E il calcio non sta certo dando un buon esempio. Credo che la colpa non sia da attribuire ai giocatori, che si limitano a prendere quello che viene loro offerto, ma andrebbe distribuita tra società, federazioni, sponsor... La finanza globale ha trasformato il nostro sport, siamo entrati nel circolo vizioso tra calcio e petrodollari provenienti dal mondo arabo”.

È vero, stiamo assistendo ad un

Enzo Zadel nella sua casa di Zamet (foto B. B.) crescendo incontrollato, ma nell’essenza il calcio prof è stato sempre così... “Sì, anch’io al Rijeka, negli anni ’60, guadagnavo cinque volte più di quanto mia madre portava a casa lavorando alla Prehrana, 1500 dinari contro i suoi 300... Oggi, però, di fronte alla dilagante povertà e alla fame nel mondo, è stato superato ogni limite di moralità e decenza”.

le avventure “pIccantI” dI bobI otmarIch

Nell’aneddotica di Enzo Zadel, un posto di rilievo è riservato al massaggiatore-factotum del Rijeka fino a metà anni ’70, Alfredo Bobi Otmarich, ex portiere, classe 1913, scomparso nel 1990. “Buono e bravo, simpaticissimo e allegro, molto spesso Bobi era meta dei nostri scherzi - ricorda Bacolo. Fiumano patoco, masticava a fatica il croato ma noi, nelle trasferte in Bosnia e Serbia, eravamo soliti portarlo davanti a qualche insegna scritta a caratteri cirillici per esortarlo a leggere. Maledeti muli, andè in malora! - replicava. Incapace di arrabbiarsi, buttava tutto sullo scherzo -. Legerio, ma non go i ociai! Uno degli sfottò più pesanti lo inscenammo a Niš, in Serbia. Bobi, carattere genuino, a volte si lasciava andare a racconti piccanti di presunte avventure amorose che avrebbe avuto nelle varie trasferte al seguito della squadra. A qualcuno di noi giocatori venne l’idea di convincere un bambino del luogo, per una simbolica ricompensa in denaro, di avvicinarlo e dirgli Bongiorno signor Bobi, la mama me ga deto che lei la xe mio pare! Il nostro povero Alfredo, colto di sorpresa, restò di stucco, il suo volto cambiò colore. Ovviamente tutto finì con il nostro mea culpa e una fragorosa risata..." bacolo, Il polIglotta

“Le lingue? A Smirne ho imparato il turco e lo parlavo fluentemente ma oggi il ricordo è sbiadito e trovo grosse difficoltà a seguire i dialoghi delle fiction televisive turche. In Svizzera ho vissuto nelle città francofone e questa parlata è diventata la mia seconda lingua. Si dice che uno dei modi migliori per imparare e non dimenticare una lingua straniera sia quello di guardare film o programmi televisivi. Ed è quello che sto facendo io: alla tv svizzera continuo a seguire un serial che va avanti ormai da quasi quarant’anni..." una Foto dI osojnak come amuleto

“Durante le estati trascorse nell’Abbaziano, Stojan Osojnak amava incontrare amici vecchi e nuovi, ex calciatori, giornalisti di tutte le età - dice Zadel -. Qualche anno fa gli avevo fatto conoscere la signora Sonia, sorella di Nini Vlah, un altro ex della nostra squadra, ed erano diventati amici, si sentivano al telefono dopo ogni partita importante”.

Ultraottantenne supertifosa, Sonia per nulla al mondo si perderebbe una partita della sua squadra del cuore. Segue le vicende del Rijeka con incredibile partecipazione, trasporto, eccitazione. Grazie alla sua straordinaria vitalità, rappresenta la personificazione del tifo sano, fatto di autentica passione e amore per la squadra. Ebbene, Sonia, ha un suo amuleto portafortuna molto particolare, una foto del compianto Osojnak, che porta in tasca durante le partite. “È depositario dell’energia necessaria che ha fatto vincere i nostri ragazzi”: la signora Sonia spiega così la sua particolare fede “sensoriale”..

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