LA TORE 28

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Enzo Zadel, uno dei più genuini prodotti del vivaio di Cantrida, simpatico, loquace, allegro: uno sguardo sul calcio fiumano di ieri e di oggi dall’alto dei suoi 80 anni • testo e foto di Bruno Bontempo

"Bruto, lustro e nero, ti xe come un... bacolo!"

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La prima volta che ho sentito parlare degli Zadel ero ancora alle elementari della scuola italiana Gelsi, in Stranga. “Chi xe le vostre bidele a scola?” mi chiedevano. El signor Bruno, la signora Maria, la Olga e la Palma... “Ah, la Palma Zadel, la mama del Bacolo!” È facile immaginare lo stupore, l’ilarità e la curiosità che un appellativo del genere poteva suscitare in un ragazzino. Per me, Zadel era un illustre sconosciuto, anche perché non ero ancora animato dalla passione per il calcio e per la squadra fiumana di allora. Solo qualche anno più tardi, quando cominciai ad andare a Cantrida alle partite del Rijeka e a leggere gli articoli di Renato Tich ed Ettore Mazzieri su La Voce, imparai a conoscere e a seguire con simpatia quel calciatore dai capelli corvini e la carnagione scura: Enzo Zadel, più noto come Bacolo, il soprannome simpatico e bizzarro che si porta dietro ancora oggi. Quest’anno ha tagliato il prestigioso traguardo degli ottant’anni: quale occasione migliore per convincerlo a dare un’occhiata allo specchietto retrovisore per vedere cosa si è lasciato dietro, per riandare con la mente alla successione di avvenimenti passati, per rifare, ma in senso inverso, il suo lungo e intenso percorso di vita. “Quello di bidella alla Gelsi non era stato il primo impiego di mia madre, che prima aveva lavorato alla Prehrana come responsabile del negozio di alimentari di via Primo Maggio. Le origini della mia fami-

glia? Gli Zadel erano arrivati in città da una località tra Bisterza e Postumia, nella Carniola, quella che a Fiume (ma anche in italiano antico, nda) veniva chiamata Cragno. Papà Giovanni è stato deportato in Germania nel ’42 e non abbiamo avuto più sue notizie. È facile immaginare quanto sia stata travagliata la vita di

nostra madre, che ha dovuto lavorare duro per poter crescere da sola quattro figli, Antonio nato nel ’34, che vive in Australia dal ’60, Elena, classe 1935, morta nel ’92, io del ’37 e Mario - che gestiva un’officina idraulica in città - del ’41, scomparso nel 2008. Fortuna volle che la nonna viveva nella nostra casa e che si è presa cura di noi”.

I ricordi di infanzia per Enzo sono un misto di commozione e tristezza. “La famiglia della mamma, invece, aveva le sue radici a Fiume e tutti noi quattro fratelli siamo nati al numero 1 di Calle dei pipistrelli, nel cuore della Cittavecchia. Da Gomila siamo andati a vivere in Valscurigne, nei pressi dell’ex rimessa dei pullman della Grattoni (l’azienda di autotrasporti che gestiva la prima linea direttissima Fiume-Trieste, nota come Freccia del Carnaro, nda), quindi in Belvedere e infine in un condominio dell’ex via Parini, oggi Fiorello La Guardia, in un bellissimo e grande alloggio. Dopo la mia partenza da Fiume, nel ’64, l’appartamento diventò troppo grande per lei e lo cambiò con questo di Zamet, dove sono tornato a vivere quattro anni fa, al termine del lungo peregrinare, e dove abito tuttora. La mamma ci ha lasciati nel ’75, quando aveva appena 59 anni ed era in pensione da poco. Quando vado a trovarla al cimitero sono colto dal rimorso di non averle dato di più, ma la vita mi ha portato via da casa molto presto, prima per due anni in Bosnia, a Tuzla, poi per quattro stagioni in Turchia, a Smirne, infine per 43 anni in Svizzera”.

Primi calci in Belvedere e al Cellini Quando hai iniziato a frequentare il mondo del calcio? “Fin da piccolo ho sempre e solo voluto giocare a pallone. Alla fine degli anni ’40 siamo andati ad abitare in


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