LA TORE 28

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Un fiumano nel lager in mezzo al mare • di Giacomo Scotti

Aldo Juretich - Qualche ricordo

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Edito a Missaglia (Locarno), autore lo scrittore Umberto De Pace di Monza, è stato presentato alla Comunità degli Italiani di Fiume il libro, “Oltre l’orrore di Goli Otok”, il lager in mezzo al mare del Quarnero sul quale Aldo, fiumano, soffrì per due anni. Alcuni anni dopo il ritorno a casa insieme ad altri concittadini che avevano condiviso le sue sofferenze, come Cossetto, Kmet, Antonelli ed altri, fu costretto a rifugiarsi in Italia, dapprima a Milano e poi a Monza fino alla morte. Il libro di De Pace porta la mia prefazione. Qui aggiungo poche righe, qualche ricordo. Il primo incontro avuto con un eminente membro del Partito comunista italiano, Aldo Juretich lo ebbe a Zagabria dov’era studente universitario alla Facoltà di Medicina. Aveva ventiquattro anni. Incontrò l’inviato speciale del quotidiano “l’Unità”, il noto poeta Alfonso Gatto. Il poeta lo ignorava, ma nei suoi movimenti attraverso la Jugoslavia, veniva pedinato dagli agenti dei servizi segreti, quindi finivano per essere sorvegliate anche le persone con le quali veniva a contatto. Si era verso la fine di giugno del 1948. Da alcuni mesi i rapporti tra

Tito e Stalin, fra il PCJ e il PCUS si erano profondamente guastati portando alla rottura, all’espulsione del PCJ dal Cominform. A quell’epoca ebbi anch’io un incontro con Alfonso Gatto a Fiume, ma non conoscevo Juretich. Vivevo nel capoluogo del Quarnero dalla fine di novembre del 1947, mentre Aldo aveva lasciato Fiume da più di un anno, ma di lui mi parlarono a lungo negli anni seguenti i suoi compagni di internamento, in primis Silverio Cossetto e Gino Kmet, ambedue di Fiume, ma anche suoi compagni croati, sloveni, serbi e montenegrini, che lo avevano conosciuto come “medico” e “dottore” nel malfamato isolotto nudo e pietroso di Goli Otok, dove Aldo era finito prima di terminare la facoltà di medicina. Sul finire degli anni Ottanta del secolo scorso cercai e trovai finalmente il numero di telefono di Aldo e potemmo parlarci per la prima volta io da Fiume e lui da Monza dove viveva. Con il trascorrere delle settimane i colloqui telefonici si ripeterono più volte; e fu grazie a lui ed ai suoi racconti sul lager in mezzo al mare, aggiunti alle testimonianze di decine di altri compagni deportati per uno o due anni in quell’inferno, che potei scrivere e pubblicare, prima a puntate sul quotidiano “La Voce del Popolo” di Fiume e poi nel 1991 in volume a Trieste, la prima edizione del mio libro Ritorno all’Isola Calva, ampliato nelle successive edizioni con il titolo “Goli Otok, italiani nel gulag di Tito” fino ad arrivare al 2012 con il nuovo libro “Il lager in mezzo al mare”. Quando scrissi il primo libro Aldo si trovava in Italia già da trentadue anni, si era trapiantato a Monza nel gennaio del 1958 dopo

aver sofferto in Jugoslavia la prigione, la deportazione, i lavori forzati, poi la disoccupazione e infinite umiliazioni per circa nove anni. Nel mio libro scrissi: “In Italia si è rifatto una vita, si è costruito una famiglia, ha cercato di seppellire il passato nel silenzio, ma non è riuscito a dimenticare”. I colloqui avuti da Aldo con me - fu lui stesso a confessarmelo - furono la molla che gli fece vuotare il sacco e ribadire i propri ideali. Quanto detto nei colloqui fu arricchito da una testimonianza da lui scritta, una decina di cartelle, che mi spedì fotocopiate, cedendo gli originali a sua moglie Ada, sposata due anni dopo la “fuga” da Fiume, perché conservasse la memoria degli anni terribili vissuti dal marito. Aldo le avrà pure raccontato, nei lunghi anni trascorsi insieme, cose che forse non aveva mai rivelato ad altri: ed è perciò lei la vera custode della vita vissuta da Aldo. Sono andato più volte a Milano ed a Monza, dove ho conosciuto la coraggiosa Addolorata Appruzzese, alias Alda Juretich; lì ho partecipato agli eventi portati sulla scena dal drammaturgo Renato Sarti e dell’attore Elio De Capitani; lì ho conosciuto lo scrittore Umberto De Pace che ha scritto il libro su Juretich uscito dalle stampe nell’ultimo scorcio del 2016; lì la mia amica da decenni Patrizia Zocchio si è data da fare perché si intitolasse ad Aldo Juretich una biblioteca e si tenessero numerosi incontri nel nome dello scomparso fiumano-milanese combattente per l’idea alla quale non voltò mai le spalle fino alla morte. Nonostante gli inquinamenti subiti dal comunismo, o meglio dall’ideale del socialismo che tanti, me compreso, volevano che assumesse il volto umano.


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