A Fiume come a casa • di Rita Mohoratz
Il calore della mia gente
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Vorrei raccontarvi la mia esperienza in questa bellissima città. Mi presento: mi chiamo Rita Mohoratz e sono figlia di due esuli (papà fiumano e mamma polesana). Abito a Genova, dove sono pure nata e, purtroppo, solo da alcuni anni ho avuto l’occasione di conoscere la famosa e tanto decantata “Perla del Carnaro” (decantata soprattutto dai nonni, da mio padre e da Laura Calci, che ho conosciuto e frequentato sin da piccola, insieme a mia sorella Elga, nel suo alberghetto di Genova-Nervi). Per anni ho tenuto dentro di me allo stato latente (senza rendermene conto) un autentico rifiuto a visitare Pola, Fiume, la zona “Istro-Veneta” in generale: la sola idea di mettere piede in Quelle Terre, sia per turismo, sia per pura curiosità - da molti conoscenti sentivo dire che
in Istria e nelle Isole si facevano vacanze da sogno - veniva nel mio inconscio decisamente respinta. Artefici, anche se del tutto involontari, di tale mio atteggiamento proprio i racconti dei miei genitori e, forse, in maggior misura, persino quelli dei nonni, che, immancabilmente, terminavano con un ” … ma xe inutile tambascar: gnanca Fiume xe più quela de ’na volta!”. Si è venuta così a creare, a poco a poco, nella mia mente, l’immagine di una “città idealizzata” che, comunque - proprio perché tale quindi inesistente - sarei stata destinata a non vedere e conoscere mai. L’impatto con Fiume (ma sarebbe ben più esatto dire “l’incontro con i fiumani patochi”) si è trasformato in un appuntamento d’amore a prima vista. Aver conosciuto i fiumani che frequentano la Comunità degli Italiani e, soprattutto, i giovani e giovanissimi, in parole povere la nostra mularia (che ho sempre sentita nominare da mio zio, Padre Sergio Katunarich, seguita dagli aggettivi ’qualificativi’ ludra e sporca de pitura) mi ha fatto sentire “a casa” tanto più trovandomi completamente a mio agio negli ambienti dello splendido, ben tenuto, decoroso e decorato “Palazzo Modello”. Ciò che va sempre tenuto presente è che le seconde e terze generazioni di esuli, sono, spesso, come “pesci fuor d’acqua”. Io, pur essendo nata a Genova, non mi sono mai sentita totalmente integrata, ma, quasi, come una sorta di “ospite” (come, d’altronde, a maggior ragione, deve essere stato per i miei genitori): ciò, anche, a causa del fatto che a casa si parlava esclusivamente il nostro dialetto e, fuori, … veniva notato l’accento decisamente diver-
so, dunque “strano”. Diciamo, poi, che il popolo ligure (a causa, forse, delle numerose invasioni del passato) non è molto espansivo, tendenzialmente diffidente … perlomeno fino a quando, dopo averti pesato in lungo e in largo, non ti accetta nella sua cerchia. Il cognome non certo originario dalla Toscana, ha influito ulteriormente in maniera negativa …. come pure il gran bisogno degli Esuli anziani di portare avanti “il grido di sofferenza” (ignorato se non addirittura soffocato nel silenzio): tutto ciò mi ha pesantemente contraddistinta nella bella Liguria, che amo tanto ed a cui sono assai riconoscente per aver accolto me, i miei genitori ed i miei nonni. A Fiume ho ritrovato il “calore della mia gente”, persone pronte a sorridere, allegre (nonostante i tempi cupi del passato ed i seri problemi attuali) con una voglia di “italianità” straordinaria, pur mantenendo un equilibrato, sano rapporto con la maggioranza croata. Purtroppo per molti esuli non è stato - e per taluni non è tuttora - così: posso comprenderli se hanno ancora del risentimento, tanto che ricordo molto bene l’avversione della nonna Jolanda (da tutti conosciuta come “Jole”) verso la “Jugo” e, con il tempo - ribadisco inconsciamente - l’avevo fatto anche un po’ mio. Sono rimasta invece stupita nel visitare città come Fiume, Pola, Rovigno, Dignano, Parenzo, Montona: TUTTE STUPENDE nella loro tipicità e diversità! Soprattutto di come la gente (specialmente nei paesini) voglia ricordare le proprie origini ed abbia visibilmente piacere di scambiare “quatro ciacole” in italiano o, ancor meglio, in dialetto. Tutti posti ricchi di storia i cui