ViaLibera n. 3

Page 1

VIALIBERA

Assuefatti alla trasgressione ed alla violenza

di Eleonora Cavalluzzo

I nuovi guappi tra cocaina e coraggio simulato

di Jacopo Pepe e Andrea Sferruzzo

Kento: una conversazione emozionale

di Gabriella Gagliardi

FUTURO?
delle
III C e IV C
PERCORSI ATTIVI DI EDUCAZIONE CIVICA DEVIANZE: QUALE
All’interno degli Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile, le classi III C e IV C hanno selezionato i goal n° 4, 10 e 16 Il progetto è stato interamente realizzato dai ragazzi
classi
del Liceo Scientifico «G. Rummo» di Benevento, con la guida del prof. Gaetano Panella. Anno III - Numero 3 - Maggio 2023

Via Santa Colomba n. 52 82100 Benevento

Tel. 0824.362718

Email: bnps010006@istruzione.it

PEC: bnps010006@pec.istruzione.it

Il progeo è stato interamente realizzato dai ragazzi delle classi III C e IV C del Liceo Scienfico «G. Rummo» di Benevento, con la supervisione del prof Gaetano Panella e la collaborazione dei docen: Lucia Boscia, Giuseppe De Cicco, Maria De Luca, Micol Olivieri, RossellaPalomba,CarminaNotari,RosannaTozzi.

Se un fiore non sbocciasse, a chi attribuiremmo la colpa, al fiore in sé o all'ambiente circostante? Tendiamo a controllare la giusta quantità di acqua in modo tale da prendercene cura o lasciamo che perda i suoi petali? Con questa metafora cerchiamo di avvicinarci a questo meccanismo definito “Sistema”, che vede sempre più giovani diventare succubi di tale realtà, sia che lo vogliano, sia che lo sognino, sia che vi siano costretti.

Lacriminalitàdicuiparliamoaffondaradicinellecircostanzedicuiigiovanisonoprotagonisti:la scelta di divenire “pericoloso”, in parte, non è propriamente del singolo individuo, ma dipende enormemente dal contesto di appartenenza. Naturalmente non si può generalizzare la tesi: l'unica possibilità è tentare di comprendere ogni eventuale azione che comporta l'avvicinamentoal“sistema”

L'uomo è spesso obbligato a scegliere una strada rispetto alla giustizia. Ma cosa è davvero giusto? Magari ciò che lo è per lui non lo è per il resto della società; e il giusto, in questo caso, è ciò che mette l'uomo in condizioni di vivere una vita agiata. Questa scelta viene prediletta rispetto ad altre che implicherebbero maggiori sacrifici e sforzi che l'uomo, in apparenza, non può permettersidicompiere.

Le azioni che vengono compiute non vanno solo a discapito dell'onestà morale, ma anche, anzi soprattutto, della legge stessa. Ma la legge e le istituzioni ci mettono davvero in condizioni di ribellarciaquestarealtà...?

È una questione tutt'ora aperta che ha afflitto, affligge e affiggerà la nostra quotidianità. Non bisogna pensare che in questo meccanismo si possa trovare equilibrio tra l'acquisizione di potenza e le conseguenze che tale potenza porta non solo nella propria vita, ma anche in quella dellealtrepersoneinvolontariamentecoinvolte.

Agli occhi di molti, di troppi, chi vive questo tipo di realtà viene visto come un esempio da seguireenoncomeun“male”dacombattere,poichéarendersivisibilisonopiùleagevolazioni, mentreilsanguedicuicisimacchiaperottenerletendeascomparire...

di à, cui o

IN QUESTO NUMERO

Non è tutto oro ciò che luccica di Disma Manni e Maria Giulia Miele pag. 3

Assuefatti alla trasgressione e alla violenza di Eleonora Cavalluzzo pag. 6

Alle origini tra storia e leggenda di Emanuele Viola pag. 9

Una fucina di giovani killer di Gaetano Maio, Francesco Maio Vincenzo Leucio Rossi, Giorgio Barbato pag. 10

Sorvegliare e punire di Simone Vetrone pag. 12

Nel passato la risposta al presente di Giovanni Campanile pag. 13

Un’Italia che imprigiona o rieduca? di Andrea Solla pag. 14

L’IPM di Airola di Ferdinando Flora pag. 16

Quando Parini si interroga sulle carceri di Rosa Cerbone pag. 17

Insegnare in un carcere minorile di Diego Laezza pag. 19

La galera: una tappa spesso messa in conto di Federica Luciani pag. 20

L’età in cui tutte le strade dovrebbero essere aperte di Aldo Coletta e Biagio De Lucia pag. 21

I nuovi guappi tra cocaina e coraggio simulato di Jacopo Pepe e Andrea Sferruzzo pag. 22

Emozione ed espressione dietro le sbarre di Letizia Giangregorio pag. 25

KENTO: una conversazione emozionale di Gabriella Gagliardi pag. 27

L’articolo 27 della Costituzione Italiana di Giuseppe Muccillo pag. 30

Il Sannio e la criminalità minorile di Michele Cilenti e Maria Pisano pag. 32

Dalla tecnologia le nuove logiche mafiose di Sabrina Iarusso pag. 33

Genitori e devianza di Matteo Mercurio e Virginia Iarusso pag. 34

A proposito della devianza e degli IPM di Andrea Schipani e Pompeo Soricelli pag. 35

Alla ricerca delle cause di Francesco Volpone pag. 36

Narcotraffico ed effetti delle droghe di Luca Forgione pag. 37

La mafia nella cultura popolare di Antonio Cardone e Angelo Costanzo pag. 38 Bambini con la pistola di Elisa De Ioanni, Francesco Gennaro Galietta, Emanuela Guerrera, Marika Petrillo e Guido Volpe pag. 41

L’impossibilità di sfuggire a un destino segnato di Gerardo Zuzolo pag. 40

L’educazione criminale secondo Saviano e Giovannesi di Daniele De Carlo e Cosimo Giuseppe Serino pag. 42

Scelte obbligate di giovani senza futuro di Raffaella Mazzacano, Marianna Della Gala

Erika D'Oro, Silvana Gagliardi pag. 42

La rete che intrappola i piccoli pesci di Emanuele Vicario pag. 43

«Amunì»: per ricominciare a sognare di Benedetta Bosco e Martina Santoro pag. 45

«Muschilli»: bambini nelle mani della malavita di Giuliana Coppolaro e Lucrezia De Figlio pag. 46

Assuefatti alla trasgressione ed alla violenza

Lacriminalitàèunfenomenoritenutoquasiincontrastabile,inquantoprodottodimolteplicifattorieperquestoormaiinsediatostabilmente nella società e nella concezione che l'individuo ha di essa. La devianza minorile, d'altro canto, è una questione i cui aspetti meritano una trattazionecheprescindadall'universomacrocriminale.

6

Alla maggioranza dell'opinione pubblica risulta più semplice attribuire il fenomeno a deprivazione economica e disoccupazione, riducendo a questi due termini la sua intera questione eziologica, che risulta, al contrario, molto ampia.

Società deviata o deviante?

Il saggio Devianza e microcriminalità minorile nel Mezzogiorno: perché non è solo questionedidisoccupazione,scrittodaGiacomodiGennaroepubblicatodall'UniversitàCattolica del Sacro Cuore, evidenzia, come specificato anche nel titolo, la variabilità del primo termine del rapporto causa-effetto riguardante la criminalità e, in particolare, la microcriminalitàminorile.

Nella premessa, l'autore offre una prospettiva che a molti lettori potrebbe apparire singolare:mentredisoccupazioneeprecariecondizionieconomiche,secondolestatistiche più recenti, sono determinanti soprattutto nell'ambito dei reati violenti, le devianze minorili sono attribuibili non tanto al contesto sociale di appartenenza, quanto alla percezionecheilsoggettohadiessostesso.

Tuttavia prima di ampliare questa argomentazione, l'autore si preoccupa di dare una spiegazione fondata su dati attendibili riguardo ad una convinzione “all'italiana” che sembra avere di fatto una motivazione alquanto logica. L'Italia meridionale è per antonomasia la zona della nazione più “incline” alla criminalità organizzata. D'altra parte, negli ultimi decenni al nord si sta registrando un alto tasso di reati commessi da gruppi stranieri. Questo perché nel meridione la presenza oppressiva di grandi gruppi criminali limita l'attività illecita di individui stranieri, che, invece, trovano “terreno fertile” nei luoghi in cui le suddette organizzazioni non palesano la propria presenza. Ciò si rispecchia nella devianza minorile, principalmente per la mentalità creatasi nel contesto sociale. Al sud osserviamo delle persone rassegnate al terrore del crimine, e dunque dei giovani propensi a diventare parte integrante del “sistema dell'illegalità” sviluppatosi. Questo, insieme al calo nella medesima zona delle denunce dei reati minorili, e quindi ad un atteggiamento di maggiore tolleranza nei confronti di essi, alimenta il perpetrarsi della criminalità giovanile. Nelle regioni centro-settentrionali, invece, la devianza minorile prevale tra gli immigrati irregolari. Tra le numerose cause di questa differenziazione, l'autoresottolineachealSud,oltreanonriuscireadinserirsiintessuticriminalicosìradicati e consolidati, gli immigrati trovano un ambiente similare a quello del loro paese natio, e quindi il soggetto, trovandosi più a suo agio, tende meno a compiere gesti criminali.

Inoltre i ragazzi nel mezzogiorno sono vittime di un costante relazionarsi all'ambiente dell'illegalità e spesso diventa consuetudinario normalizzare determinate attività che invece andrebbero biasimate. Dunque non è più la condizione economica del singolo ad essere determinante, bensì lo è l'atteggiamento di accettazione perorato nei confronti della microcriminalità minorile stessa. Per di più l'adolescente, estremamente vulnerabile in quel determinato periodo della sua vita, prende le distanze dal processo formativoesitrovaprogressivamentecoinvoltoinunadimensionedicuipoidiventeràvittima. Nel meridione, infatti, il tasso di evasione dall'obbligo scolastico - ci fa notare l'autore - è particolarmenteelevato.

È possibile asserire che ciò, in concomitanza con lo sviluppo di attività economiche illegalisemprepiùfiorentieilconseguenteeffetto“pull”chelaprospettivadiunadisponi-

7

gio di fare, se ne ritrova derubato per mano di una criminalità che in qualche modo sta diventando quotidianità.

Di fatto, il soggetto che compie un'azione eticamente scorretta, e in questo contesto anche legalmente, tende ad autoassolversi, fenomeno che si amplifica tra gli adolescenti. Il pericolo delle devianze minorili sta quindi proprio nell'indole del ragazzo che gli impedisce di prendere reale contezza delle conseguenze legate alle sue azioni, il che lo porta a compierle in maniera sconsiderata e senza alcuna paura né coscienzadell'avvenire.

Questa è l'età in cui ci si sente invincibili, esenti da ogni senso di colpa. L'autocoscienza, purtroppo, tarda ad arrivare e, quando finalmente abbaglia il senso interno di quel ragazzo che è diventato uomo, non c'è piùnulladafare.

Ma basterebbe quindi tentare di risolvere le problematiche sociali, istituzionali ed economiche nei contestimaggiormenteindifficoltàpergarantireagliadolescentiunalibertàalmenoparziale?Oppure,michiedo, ci si ritrova ormai congestionati in un traffico illegale così fitto da non lasciar passare alcuna speranza diprogresso?

bilità economica crea per i soggetti, costruisce intorno al minore un ambiente che rende difficile l'astensione dalla violazione delle leggi. Dunque il comportamento criminale degli adolescenti può anche essere considerato frutto dell'apprendimento sociale, come sostiene Albert Bandura, secondo cui la formazione socio-culturale di un individuo non puòprescinderedalcontestoincuisitrova.Ledevianzecriminali minorili non sono altro che espressione della tendenza che l'uomo ha di emulare coloro che ammiriamo o che riconosciamo essere in una posizione autoritaria. Oppure, più semplicemente, tendiamo a comportarci nell'unico modo che ci è stato insegnato per tutta la vita e nel momento in cui siamo abbastanza “grandi” per prendere le distanze da questi atteggiamenti consuetudinari, non sempre riusciamo a farlo. Non sempre siamo capaci di compiere scelte non conformi a ciò che abbiamo “appreso socialmente” La spersonalizzazione che ha luogo negli ambienti criminali, e la conseguente deumanizzazione dell'individuo, fanno sì che un ragazzo, con la sola colpa di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato,sitrovivincolatoadimpersonareproprioquelsoggetto a cui non rimane più nulla di soggettivo. Il diventare inconsapevolmente parte di complesse organizzazioni criminali sin dalla preadolescenza porta via al ragazzo fino all'ultimo atomo di ingenuità che la sua età avrebbe dovuto donargli e, invece di farne uso come molti suoi coetanei hanno il privile-

8

Tante sono le leggende tramandate circa la nascita delle organizzazioni criminali, in particolar modo della Camorra napoletana. Le due ipotesi prese in esame sono forse le più fantasiose e improbabili, ma sicuramente le più affascinanti.

Alle origini tra storia e leggenda

di Emanuele Viola

Osso, Mastrosso e Carcagnosso furono tre fratelli cavalieri appartenenti ad una setta segreta spagnola del XV secolo. I tre fratelli, dopo aver perso la sorella, si vendicarono con la stessa moneta dell'assassino scontando una lunga pena in un carcere di una remota isola aragonese. I tre cavalieri gettarono le basi delle organizzazioni criminali italiane che tutti noi oggi conosciamo, scrivendo codici di onore, regole, riti di affiliazione e simboli con l'intento di ricostruire una società senza ingiustizie da parte dei potenti. Dopo aver scontato la pena, Osso rimase in Sicilia fondando “Cosa Nostra”, Mastrosso attraversò lo Stretto di Messina e stabilitosi in Calabria fondò la “'Ndrangheta”, mentre CarcagnossosifermòinCampania,luogoincuidiedevitaallastrutturadellaCamorra.

Altra versione circa la nascita della “mafia napoletana” venne data nel 1911 durante il processoCuocolodapartedelgeneraledeicarabinieri.SipensachelaCamorraabbiaorigini spagnole e che sia nata nel 1654 tramite Raimondo Gamur, condottiero iberico che in carcere conobbe 5 napoletani e che insieme formarono “La Bella Società Riformata” chetuttifinironoperchiamarecamorra(storpiaturadialetticadiGamur).

Leipotesisonoqueste,malarealtàdeifattièbendiversa.Lacamorraeffettivamenteproviene dalla Spagna, in particolar modo dalla “Confraternita della Guardana”, una sorta di massoneria fondata a Siviglia e specializzata nell'organizzazione di delitti fin dai tempi dei Borboni. Il termine “camorra” lascia ipotizzare diverse etimologie: potrebbe derivare da“gamura”,unagiacchettamoltostrettaepreziosautilizzatainSpagna,maèpiùverosimile che il nome dell'organizzazione si leghi al gioco della morra, svolto principalmente nelle “ca-morra” (case della morra) e spesso degenerato in rissa e violenza tra i partecipanti.

La camorra oggi si presenta come una sorta di aristocrazia del popolo, aiutando, finanziando e dando lavoro a chi ne ha bisogno, ma svolgendo numerosi atti illegali. Le attività dell'organizzazione campana sono molteplici: da un inizio caratterizzato da un “semplice” contrabbando di sigarette, è passata a gestire il traffico di droga in Italia e non solo, in particolarmododimarijuanaecocaina.

Perorganizzareun impero così forte,lacamorra si basa su ruoligerarchici,in cui ogni affiliato ha un compito preciso. Ci sono i finanziatori, cioè boss dirigenti che controllano le retidellemercidavendere,gliorganizzatorichetrattanol'acquisto,icapi-piazza,responsabili della zona a loro affidata, gli spacciatori ed infine le sentinelle, i veri e propri occhi dellapiazzadispacciochetutelanoipushereiclienti.

Oltrealcontrabbandodisostanzestupefacentilacamorrasiinteressaanchedi:

Estorsione e usura: gli affiliati esercitano una forte pressione sui commercianti e le imprese locali, imponendo il pagamento di una sorta di "tassa di protezione", o “pizzo”, pergarantirelasicurezzadellaloroattività.

Smaltimentodeirifiuti:lacamorraèstatastoricamentecoinvoltaneltrafficoenellosmaltimento dei rifiuti tossici, spesso abbandonati illegalmente in discariche abusive o in

9

zoneincontrollate,provocandodanniambientalinonindifferenti. Frode e corruzione: la camorra è spesso coinvolta in attività di frode e corruzione, influenzando le decisioni dei politici locali e degli appalti pubblici,promettendoincambiovotiperleelezionipolitiche. Oggi la camorra è attiva su scala mondiale contando più di 6000 affiliati e un profitto annuo di circa 33 miliardi di euro: con il solo spaccio di droga, secondo la procura antimafia di Napoli, la camorra guadagnacirca15milionidieuroalmese.

In seguito alle scissioni avvenute nel nucleo originario dell'organizzazione camorristica, soprattutto dopo l'arresto del boss Raffaele Cutolo, capo della Nuova Camorra Organizzata, e con i boss in prigione o morti in guerre tra clan, la certezza diventa una sola: a comandare ci saranno affiliati sempre più giovani, ragazzini che per il potere sarebbero disposti a tutto seguendo le orme dei grandi boss mafiosi. La differenza tra loro e i loro coetanei è che la via che scelgono è quella delle armi e della droga, poiché è l'unica strada per essere vincenti e per diventare ricchi senza “sporcarsi le mani di onestolavoro”.

Una fucina di giovani killer

di Gaetano Maio, Francesco Maio Vincenzo Leucio Rossi, Giorgio Barbato

Intesa come organizzazione criminale che ha vasto controllo sulle attività di un determinato territorio, la mafia ha un impatto grave sul benessere della popolazione che le vive accanto. In queste zone la mortalità infantile può essere più comune rispetto a quella che troviamo in zone libere dalla mafia, perché spesso i servizi sanitari non sono completamente accessibili, molti bambini non riescono ad ottenere le cure necessarie e sono costretti a spostarsi per una sanità che dovrebbe essere al primo posto tra le priorità dello Stato, ma che spesso viene lasciata in mano alle mafie, che corrompono medici e operatori sanitari, talvolta aggredendoli o uccidendoli addirittura.

Lasanitàcorrottanonècertol'unicoobiettivodellemafie:illoromaggiorericavoprovienedalledroghe, che mettono in serio rischio i bambini, in quanto spesso sono proprio loro a commerciarla o consumarla. A volte, però, sono i genitori dei medesimi che ne fanno uso o la smerciano, mettendo inpericoloiproprifiglichesiritrovanoconigenitoriincarcereopeggioancoramortidioverdose. Un dei più recenti ed allarmanti fenomeni legati alla mafia è sicuramente quello delle baby gang, che seminano panico tra le piazze delle città disturbando comuni cittadini; protagonisti di queste gangsonoragazzinispessoassoldatidallemafie.

La mafia e le baby gang sono collegati in quanto entrambi rappresentano forme di devianza giovanile e di criminalità organizzata. I bambini che crescono in famiglie coinvolte nelle attività criminali delle mafie possono essere esposti a un maggior rischio di violenza che può portare anche alla morte. Tuttavia, non esistono dati specifici sulla mortalità dei bambini appartenenti alle famiglie mafiose, poiché le mafie non sono organizzazioni che operano in modo trasparente o che forniscono informazioni affidabili sulle loro attività. Inoltre, i bambini che vivono in questi contesti spesso sono sottoposti a un forte controllo da parte della famiglia e sono raramente inclusi in statistiche, rendendodifficilequantificarel'evento.

Il termine "baby gang" si riferisce ad un fenomeno criminale in cui gruppi di giovani, spesso minorenni, si organizzano per commettere atti di violenza e vandalismo nelle strade delle città. Questi gruppi possono essere motivati da diversi fattori, tra cui la mancanza di opportunità, la povertà, la ricerca di identità e il desiderio di appartenenza ad un gruppo. La prevenzione di questo fenomeno richiede una combinazione di interventi a livello sociale, educativo e di sicurezza pubblica, che possano fornire ai giovani alternative positive e ridurre l'attrattività del crimine. I giovani possono essereespostiallacultura mafiosa fin dall'infanzia ecrescerein ambientiin cui laviolenza eladelinquenza sono considerate normalità. In questi contesti può essere più facile per loro cadere nel giro ed essere reclutati dalle organizzazioni criminali più grandi. Dunque la povertà, la mancanza di opportunità e la presenza pervasiva della criminalità organizzata spesso conducono i giovani a sceglierelaviadelcriminecomeunicapossibilitàdisopravvivenza. Ma la loro è una vita sacrificata. Il loro è un destino già scritto. Vi è solo sangue ad attenderli. E la morte precoce non è rara tra le fila malavitose, sia perché abbracciando una condotta di vita eslege si è esposti a pericoli di conflitti armati, sia per la semplice appartenenza a famiglie malavitose: non è infrequente, infatti, che, pur non avendo scelto di essere un mafioso, il giovane non vada incontro alla morte per regolamenti di conti o vendette familiari. La cronaca recente riporta i casi di bambini torturatieuccisisenzapudoredascagnozzidellemafie,colpevolisolodiesserefiglidiqualcunoche abbiaoperatoqualchesgarroafamigliepiùpotenti.

10

Sopra tutti c'è sicuramente forse il caso più noto di rapimento, tortura e infine morte da parte della mafia ai danni di Giuseppe Di Matteo, un bravo ragazzo, diligente a scuola, praticava equitazione e voleva bene ai suoi genitori, che purtroppo saranno la sua condanna. DopolastragediCapaci,delmaggio1992,incuiperselavitailgiudice Falcone, sua moglie e la sua scorta, numerosi mafiosi furono dichiarati collaboratori di giustizia, tra cui Santino Di Matteo, padre del piccoloGiuseppe;fuluilavittimasacrificaleperscoraggiarelacomparsa di altri collaboratori: a sceglierlo furono alcuni uomini famosi tra le cerchie mafiose, tra i quali troviamo l'ex superlatitante Matteo Messina Denaro. In un giorno di novembre il piccolo Giuseppe fu rapito daalcuniuominitravestitidaagentidellaDIA(DirezioneInvestigativa Antimafia) e con la promessa di fargli vedere il padre, a cui Giuseppe era molto legato, riuscirono ad adescarlo: quella fu l'ultima volta che Giuseppe si sentì libero; la sua libertà infatti sarà poi usata come

merce di scambio per arrivare al silenzio del padre, che però, dopo vari tentativi di ricerca con la speranza di trovare suo figlio, collaborerà ancora con la giustizia arrivando a far condannare all'ergastolo Giovanni Brusca (l'uomo per cui lavorava Santino Di Matteo). Giuseppe era tenuto in pessime condizioni, cambiato spesso di posizione per evitare che venisse trovato e alla fine strangolato e sciolto nell'acido nitrico. I suoi assassini, come racconta Vincenzo Chiodo (uno degli assassini), andrannoadormirepocodopo,comesenullafossesuccesso.

La mafia, che spesso è vita e boccata d'aria per ragazzini sommersi da crisi e povertà, che non hanno paura né del carcere né di morire, in realtà è soltanto morte: di adulti che si lasciano coinvolgere, ma anche di bambiniinnocenti,chedovrebberogiocarefelicitralestradeeipalazzi.

11

Sorvegliare e punire! di Simone Vetrone

Per far sì che uno Stato funzioni, c'è bisogno di diversi fattori, ma quello più importante è che ogni membro si impegni non soltanto per il suo tornaconto, ma anche per il bene comune. Questo però non accade: ci sono e ci saranno sempre delle persone che andranno a ledere la collettività per il proprio interesse, per questo tutti i tipi di società hanno concepito delle contromisure a questa problematica, la più comune delle quali, almeno al giorno d'oggi, è sicuramente il carcere. Ma a cosa serve e quanto è efficace ad adempiere al suo scopo?

Prima di rispondere a questa domanda, però, c'è bisogno di capire una cosa: perché le persone commettono dei reati?

Nella maggior parte dei casi le persone sono portate, o talvolta costrette, a commettere dei crimini, o per via del tessuto sociale che le porta a delinquere, o per la loro situazione economica. Queste condizioni sono molto più comuni di quello che può sembrare: ragazzi che crescono in famiglie di criminali sono portati, se non proprio obbligati, a seguire quella strada. Per non parlare dei problemi legati al denaro: basti pensare che l'under 30 medio guadagna circa 830 euro al mese, e questo porta molti a cercare di incrementare i suoi introiti ricorrendo ad attività illecite, come lo spaccio o il furto. Il problema realeècheigiovanivengonoportatiacommetteredeireatisoprattutto quando ancora non hanno sviluppato un pensiero critico e la loro mente è malleabile, per questo è importante intervenire soprattutto in questa età. Ma poiché questo fattore spesso non viene considerato, se accade che dei ragazzi vengono colti in flagranza di reato, essi sono messi in carcere come se fossero criminali qualunque, andando ad interromperelaloroformazione.Edunque:acosaserveilcarcere? Ilcarcereidealedovrebbeportareatermine4obiettivi:lapunizionedel condannato, la difesa della collettività, il monito verso il popolo e la rieducazione del condannato. In Italia questa è una descrizione puramente teorica; ma analizziamo i punti uno per volta, partendo dal monitoversoilpopolo.L'ideaallabasediquestopuntoèchelepersone vengono scoraggiate a commettere un determinato crimine, per paura della punizione, il che non è un metodo efficace per evitare che le persone commettano reati, infatti appena il controllo della legge viene meno, le persone riprendono a fare ciò che vogliono. A dimostrare ciò è l'enorme numero di luoghi in cui la legge non arriva o che ha difficolta a raggiungere, luoghi nei quali i crimini sono all'ordine del giorno, incluse associazioni criminali mafiose: è in questi posti che i ragazzi abbandonatidallaleggevengonointrodottiallavitacriminale. Quanto alla rieducazione del condannato, in Italia abbiamo un tasso altissimo di recidiva, pari al 70%, dovuto al fatto che nelle carceri non ci sono i mezzi necessari per rieducare i prigionieri, non perché non ci siano i fondi, ma perché questi vengono spesi male, anche perché alle persone di ciò che succede all'interno di un carcere non interessa minimamente. Il pensiero comune è che «siccome stanno lì, non meritano attenzioni» e questo porta a delle condizioni di vita pessime, celle fatiscenti piene di crepe e muffa, un sovrappopolamento elevatissimo: tutto ciò fa in modo che si crei un ambiente poco adatto anche solo alla vitadeicarcerati,figuriamociallalororiabilitazione.

Il secondo obiettivo è la difesa della collettività: la maggior parte delle persone che entra in carcere, soprattutto le più giovani, non fanno parte del mondo criminale o di quello malavitoso, ma ci finiscono per crimini leggeri; il problema è che poi lì dentro molti incontreranno

12

gente che è a tutti gli effetti criminale, pronta ad avviarli verso un percorso malavitoso rapido ed efficace. Così, nel migliore dei casi, un ragazzo che è stato in prigione sembra doppiamente condannato: prima dalla legge a diventare un detenuto, poi dalla società ad essere un reietto, perché separato dalla società, in cui non riuscirà mai più ad integrarsi. Questo sistema sembra alimentare la creazione di criminali, che non solo vedono nello Stato un nemico che ha tolto loro tutto, ma che hanno imparato come essere più “efficienti”, operando, una volta fuori dalle carceri, in un'organizzazione da cui si sentiranno accolti e protetti.

In definitiva l'unico scopo che il carcere sembra raggiungere è quello di punire il condannato, ma questo non migliora né la sua condizione di vita né quella di chi sta fuori. Con questo non si intende affermare che bisognerebbe abolire il carcere, perché è chiaro che ci sono dei membri dellasocietàchenonpossonoesserelasciatiliberidifareciòchevogliono, dato che causerebbero solo problemi, ma che in alcuni casi, soprattutto quando si tratta di ragazzi, il carcere non fa altro che peggiorare la situazione e non porta ad alcun giovamento per la collettività. Per questo bisognerebbe o essere più comprensivi, o usare metodi alternativi, intensificando i servizi sociali o potenziando i domiciliari: basti pensare che quando vengono utilizzati questi ultimi provvedimenti il tasso di recidivacalaal20%.

La cosa più importante non è punire il soggetto che ha commesso il crimine,maresponsabilizzarloattraversometodicomeillavoroelarieducazione, per far sì che lo strappo che si era creato fra lui e la società si possaricucire.

Nel passato la risposta al presente di

Giovanni Campanile

Cesare Beccaria è uno dei più illustri pensatori dell’Illuminismo italiano, il cui percorso formativo complesso lo vede prima avviato verso i voti clericali presso i Gesuiti, poi coinvolto negli studi di giurisprudenza, per approdare infine alla salvifica filosofia, dopo essersi imbattuto nella lettura di Montesquieu. La cultura illuministica gli consente di elaborare con lucidità il suo celebre Dei delitti e delle pene, che attacca senza mezze misure il fanatismo religioso e le approssimazioni del sistema giudiziario deltempo.Lesueparolesonodiunaattualitàdisarmante!

Dall’Ariston l’appello alla scuola

In Rai dal 2001 accanto a giornalisti autorevoli del calibro di Giovanni Minoli e Michele Santoro, Francesca Fagnani ha conosciuto la condizione dei ragazzi ospiti delle carceri minorili, di cui si è occupata nella trasmissione televisiva «Il prezzo» del 2018.

Cesare Beccaria, giurista, filosofo e letterato italiano del '700, scrive nel suo celebre Dei delitti e delle pene che gli “ostacoli politici”, ovvero le pene, devono essere proporzionate ai danni che i delitti provocano alla società. Nonostante egli abbia anche sostenuto che le pene devono essere commisurate al delitto e non all'intenzione di fare del male, Beccaria ha sempre difeso la minima pena possibile, prendendo in considerazione la sua “scala di gravità” dei delitti. È, dunque, un errore emanare una sentenza sulla scorta dell'intenzione e non dell'effettivo danno causato, se non altro perché nessuna intenzione potrà mai essere dimostrata da un adeguato impianto probatorio. Ci si chiede, però, se, quando si giudicano dei minori, si è davvero immuni dal considerare le effettive intenzioni con le quali essi conducono le loro azioni spesso sconsiderate, al punto da meritare delle pene, o se, piuttosto, essi vengano giudicati per la loro appartenenza ad ambienti i cui stimoli possono essere solo quelli delinquenziali. Non è inusuale, infatti, che i ragazzi delle carceri minorili, nonostante siano giudicati per il danno effettivo commesso alla società e non per le loro intenzioni, vengano comunque considerati dei delinquenti a vita e siano puniti cometali.

Durante il suo intervento al festival di Sanremo, la giornalista Francesca Fagnani,laconduttricedelseguitissimoprogrammaBelve,hatenutoun discorso nel quale ha parlato di prevenzione piuttosto che repressione dei reati e del ruolo importante che la scuola può ricoprire. Sul palco dell'Ariston, davanti a milioni di persone, ha ricordato diverse sue esperienze come ospite delle carceri minorili: in visita presso alcuni istituti penali, la Fagnani ha posto alcune domande ai giovani detenuti, cercando di capire i motivi che li hanno spinti a compiere quelle azioni per le quali erano stati arrestati. Dalle loro risposte emergeva che

13

nessuno aveva fatto quelle azioni per il solo fine di compierle. Sembrava quasi noncifosseneppureunapossibilitàdiscelta,trovandosigiàdallanascitainc altri,invece,chenoncifossealcunintentomaliziosodietroleproprieazioni. Nel suo monologo la Fagnani ha raccontato anche di quando ha chiesto avrebbero cambiato del loro passato per non finire come sono adesso. La comune è stata: «Sarei andato a scuola». Nel capitolo 45 del citato Dei delit Beccaria parla proprio dell'educazione, ma già a partire dal capitolo 41 il filosof laquestionedellaprevenzionedeldelitto,chesiottieneinprimoluogorendendo le leggi, scrivendole in maniera inequivocabile e soprattutto evitando “favoriscano gli uomini e non le classi di uomini”; una legge incerta impedisce nazione intera la difenda, anzi, una parte di essa si preoccuperà di distrug Prevenire i delitti equivale a favorire la conoscenza, come si legge nel seguente: «L'uomo illuminato è il dono più prezioso che il sovrano, che lo depositario e custode delle sante leggi, faccia alla nazione ed a sé stesso». metodo più sicuro, ma difficile da adottare per prevenire i delitti, è sicuramen l'educazione: per il filosofo il criminale avrà maggiori possibilità di tener lontano dal male perseguendo “la via infallibile della necessità dell'inconveniente” che non obbedendo ai comandi, che garantiscono soltantouna“simulataemomentaneaobbedienza”

Anche la Fagnani insiste sulla funzione dell'educazione, puntand l'attenzione sul fatto che, purtroppo, in moltissime carceri lo scopo delle attivitàmesseinattononsempreèquellodirieducareidetenutipercercare reinserirli nella società, ma solamente di punirli per i loro reati. Per il Beccaria la buona legislazione è «l'arte di condurre gli uomini al massimo della felicit ed ha come fine quello di prevenire i delitti. Per lui gli esseri umani non smetteranno mai di commettere delitti ed è quindi compito dello Stato cerc di prevenirli, educando i cittadini al rispetto delle leggi e permettendo, a chi ha violate, di compiere il proprio percorso di redenzione per reinserirsi nella società.

Ai ragazzi nelle carceri minorili, però, il diritto di tornare a vivere dignitosamente sembra sia negato: se per motivi economici, familiari o se non c'è mai stato nessuno accanto a loro a spronarli ed a sostenerli, ad invogliarli ad essere virtuosi, a meritare il premio, l'abbandono della scuola e l'ingresso nell'IPM è stata l'unica via percorribile. La pena terminerà, ma il giudizio della società si protrarrà nel tempo, condannando ulteriormenteilgiovaneedindirizzandoloversoundestinoincontrovertibile.

Un’Italia che imprigiona o rieduca?

Gli Istituti Penali Minorili sono centri di reclusione nati nel nostro paese nel 1988, in seguito alla soppressione dei riformatori giudiziari e di altri centri detentivi,qualiprigioni-scuolaocaserieducative.Essisonoluoghinonparagonabiliallecarceriperadultivereeproprie,nonsoloperchéospitanodetenuti di età totalmente diversa, ma anche perché differiscono per finalità ed attività proposte. La loro peculiarità è proprio quella di ospitare ragazzi dai 14 ai 25 anni di età, considerati dei pericoli per la società o per l'ordinamento giudiziario, a causa di gravi reati commessi o di trasgressione adeliberazionideitribunalinelcorsodiqualcheprocessochelicoinvolgeva. In particolare, le accuse più diffuse riguardano i reati contro il patrimonio (furti e rapine, con le varie e rispettive aggravanti) e la persona, ossia lesioni volontarie,oppurel'utilizzoospacciodisostanzestupefacenti,sia“leggere” che non. Non sempre in queste carceri troviamo ragazzi condannati, ma spesso, considerando che ai minorenni, in particolare se incensurati, vengono “lasciati passare” reati minori che sarebbero puniti, al contrario, se commessi da un adulto, troviamo anche e soprattutto ragazzi in custodia cautelare o destinati alla messa in prova. Alternativamente al carcere, difatti, alcuni minori detenuti sono trasferiti in comunità apposite, in cui sono testati con attività varie per verificarne il comportamento e, se il percorso viene ritenuto positivo, il loro reato diventa nullo e si depenna anche dalla fedina penale, con una completa ed acclarata riabilitazione sociale e personale.

Altra caratteristica di queste carceri è l'accogliere detenuti secondo il “principio della residualità”, ossia, secondo quanto stabilito dalla legge italiana nel1989,ilprincipiosecondocuisirecludonoiragazziquantopiùvicinopossibile alla loro residenza, distribuendoli in maniera dunque ineguale tra i 17 istituti appositi presenti sul territorio nazionale (nel nostro Sannio l'IPM di riferimento è quello di Airola). È necessario precisare che teoricamente la

14

fascia di età dei detenuti nelle carceri minorili va dai 14 ai 18 anni; coloro che non hanno ancora compiuto il quattordicesimo anno di età sono considerati non imputabili penalmente e dunque, se ritenuti un effettivo pericolo per la società, sono trasferiti in comunità o sottoposti a libertà vigilata.Sesièincarceratiprimadellamaggioreetà,sirestanelcarcereminorile (addirittura con la possibilità di richiedere il trasferimento se ingiustamente incarcerati con gli adulti) fino ai 25 anni, età aumentata dai 21 precedenti grazie ad una legge del giugno 2014. Si è però sottoposti allo stesso diritto penale di ogni altro maggiorenne, seppur con pene ridotte; ciò intende salvaguardare individui ancora abbastanza giovani, che nelle carceri adulte corrono il rischio di esser “persi” ed abbandonati a sé stessi nell'intricato sistema penitenziario italiano. È anche possibile che la condanna per cui si è stati precedentemente incarcerati si protragga oltre la maggiore età, per poi esser trasferiti al raggiungimento del venticinquesimo anno di vita nelle carceri adulti o nelle case circondariali (se la pena ancora pendente è inferiore a 3 anni). Nei casi differenti da questi, o al termine dello sconto della propria pena o misura cautelare, si termina dunque la detenzione o si verifica un trasferimento verso altre strutture, che sianocarceriperadultioanchesemplicicomunitàecentririabilitativi.

L'ideaallabasedell'Istituto PenaleMinorileècorretta,poichéègiusto che lo Stato dia quante più opportunità possibili a questi ragazzi, li aiuti a “ripulirsi” e riabilitarsi, soprattutto se ancora giovani e con un lungo futuro dinanzi a loro. L'aspetto più delicato riguarda, però, non tanto chi troviamo in questi centri, ma come la legge preveda la reclusione e la riabilitazionedeidetenuti.Secondol'articolo27dellanostraCostituzione,difatti, le carceri non sono unicamente luoghi di reclusione, condanna o punizione, ma soprattutto luoghi di rieducazione, propedeutici al reinserimento nella società di un individuo migliore, che ha compreso e superato i propri errori. Relativamente agli istituti minorili tale scopo si accentua ancordipiù,soprattuttoconsiderandochesihaachefarenonconadultio pluricondannati, ma con giovani ragazzi, talvolta autori di orribili gesti, ma anche semplici “osservatori” di custodie cautelari o brevi pene detentive.

Se, dunque, il carcere ha di per sé una funzione rieducativa, a maggior ragioneuncarcere“minorile”cel'haancoradipiù!

È inoltre fondamentale anche conoscere i soggetti di cui ci si sta occupando, tant'è che i Tribunali per i minorenni che li giudicano, oltre ai semplici magistrati, presentano altre figure professionali, operatori dell'ambito socio-pedagogico, la cui esperienza e competenza è fondamentale ai fini del processo giuridico stesso. Anche nelle carceri, inoltre, oltre alle guardie penitenziarie vere e proprie, troviamo anche educatori penitenziari e

psicologi, che si occupano dei ragazzi, del loro equilibrio mentale e della gestionedelleattivitàalorodestinate.

Gli IPM sono spesso dotati di stanze per due o tre persone, con inclusi servizi igienici (e dunque con condizioni migliori di alcune carceri adulte), ma soprattutto di molte sale comuni, quali mense, scuole, giardini, biblioteche, seppur con delle ovvie differenze tra un carcere e un altro. Oltre alle attività più comuni e variegate, è messa al primo posto la formazione scolasticaeprofessionaledeiragazzi,chenonvengonoabbandonatiaséstessi,maspronatianonfermarsinelpropriopercorsoeducativoeformativo. Dagli esempi di carceri come il Beccaria di Milano o il Ferrante Aporti di Torino si desume l'importanza della socializzazione, favorita, oltre che dalle attività comuni, anche da maggiori, ma non eccessive, libertà nelle camereenelleattivitàsvolteall'aperto,cercandodievitarecasi,moltofrequenti invece nelle carceri adulte, di bullismo o violenze tra detenuti. Infine, va anche sottolineato quanto questi istituti siano spesso attivi nell'organizzare attività creative con associazioni esterne, a livello artistico, musicale, culinario, attività che intrattengano e divertano i ragazzi, garantendo ad essi la possibilità di esprimersi e nel contempo alleggerendo il fardello della condanna da scontare. Ma non è tutto “rose e fiori”: il carcere minorile non è una realtà ideale, perché si è lontani dalle proprie famiglie, seppur sono previsti dai 6 agli 8 colloqui mensili, calendarizzati e di circa un'ora di durata e la possibilità di ricevere alcuni pacchi con la stessafrequenza,conricordioregali.

Infine,uno degliaspettimeno trascurabilièlacondizione strutturalein cui questi istituti versano: alcuni, come il citato Beccaria, necessita di un'importante ristrutturazione da molti anni. E varie critiche riguardano anche la completezza e l'utilità dell'aspetto educativo e formativo, se effettivamente questi luoghi restituiscano un qualcosa ai ragazzi, sproninorealiriflessionisuquantocommessoeriammettanonellasocietàindividui migliori, sia singolarmente che collettivamente parlando. Ciò ovviamente non potrà mai esser stabilito con certezza, ma è evidente come il sistema carcerario italiano necessiti comunque di alcuni cambiamenti, sia insensopiùgenerale,cheinquestaparticolarerealtà.

Il processo di rieducazione è complesso e difficile, soprattutto se riguarda ragazzi le cui resistenze sono inspessite da strutture mentali radicate e tenaci, ma sono convinto del fatto che parlarne, affrontando la questione con attenzione crescente, possa servire per entrare più convenientemente nel merito dei problemi reali e concreti, e non semplicemente teoricidellaquestionecarceraria.

15

L'Istituto Penale Minorile di Airola è il secondo carcere minorile presente in Campania (il primo è quello di Nisida a Napoli). I ragazzi ospitati al suo interno provengono nella maggior parte dei casi dalla regione Campania, solo raramente essi arrivano da altre regioni o paesi. L'istituto si trova nel centro cittadino, all'interno di un antico palazzo del Settecento molto ben tenuto e curato, malgrado alcuni problemi che la direzione cerca di affrontare e risolvere, come ad esempio un sistema di riscaldamento non sempre funzionante. Anche il personale non soddisfa a pieno le esigenze dell'Istituto, non certo per incapacità, ma per il numero inadeguato di operatori, aggravato anche dal fatto che la direttrice opera sia ad Airola, sia nella Casa di reclusione di Sant'Angelo dei Lombardi. A causa della riduzione del personale, dunque, molte delle attività realizzate un tempo non possono essere svolte, causando ai giovani detenuti una riduzione considerevole dell'offertaformativa.

Prima del 1988, l'attuale IPM era un riformatorio femminile. Al piano terrasitrovalastanzaperilriconoscimentodeivisitatori,un'ampiasala pericolloqui,una cappellaedun teatro,frequentatoanchedapersone esterneall'Istituto,naturalmenterispettandoopportunemisuredisicurezza. Due corridoi si diramano sul fondo, su uno dei quali affaccia la sezione per i ragazzi autorizzati al lavoro, mentre sull'altro sono presenti l'area sanitaria e la palestra. In fondo a tutto la mensa, che funzionainoraridiversificatiperiragazzieperilpersonale.

Al primo piano sono presenti gli uffici amministrativi e l'ufficio del direttore. In una sezione separata possiamo trovare alcune aule per corsi scolastici e stanze per i colloqui con gli educatori e il magistrato di sorveglianza. Al secondo piano troviamo due sezioni detentive: la primautilizzatadall'iniziodellaemergenzaCovid19periperiodidiquarantenael'altrausataperiragazziconcondannadefinitiva.Lacapienza èdi46postieidetenutihannoetàcompresatrai15ei24anni.

I minori e giovani adulti sono separati nelle stanze, ma svolgono le atti-

vità assieme. I ragazzi sono stati arrestati in prevalenza per reati contro ilpatrimonioecontrolapersona(furti,rapineedancheomicidi).

Malgrado le difficoltà, la direttrice, la Dott.ssa Marianna Adanti, cerca di promuovere il maggior numero di iniziative, contando sulla professionalità e l'esperienza degli educatori, tre dei quali seguono i ragazzi e l'ultima ricopre il ruolo di coordinatrice dell'area tecnica. Vi è anche un cappellano, che ricopre un ruolo molto importante all'interno dell'istituto. Durante il lockdown sono state sospese tutte le attività ed inquestoperiodosonostatiproprioiragazziapreoccuparsiditenerela strutturapulita.

Tra le sanzioni disciplinari più frequenti ci sono piccoli lavoretti da svolgere,equesteattivitàvengonodefinitecome“elementidigiustiziariparativa”: solo in caso di gravi violazioni si ricorre a punizioni più severe, come l'isolamento. Tre medici ed un infermiere completano il team, assicurandounaefficacecoperturasanitaria.

I ragazzi sono iscritti ad uno dei corsi scolastici erogati dal Centro Provinciale per l'Istruzione degli Adulti di Benevento; è assicurata l'istruzione di base, ma se un ragazzo volesse frequentare dei corsi scolastici più avanzati, si può contare sull'Istituto Alberghiero oppure su quello tecnico. Diverse occasioni di apprendimento extra-scolastico forniscono, poi, l'opportunità di integrare i corsi con altre attività culturali, invece per le attività ricreative, i ragazzi hanno la possibilità di partecipare a tre corsi: uno di teatro, un corso di ceramica e un corso di musica. Per quanto riguarda le attività motorie, lo sport più usuale è il calcetto, anche se i ragazzi hanno la possibilità di frequentare la palestra alcuni giorni della settimana. I colloqui in presenza si svolgono solo due volte alla settimana e nei periodi di pandemia le videochiamate hanno sostituito i colloqui in presenza. Infine, nei periodi estivi sono previsti incontri di maggiore durata, nel corso dei quali le famiglie hanno la possibilità di portare il cibo dall'esterno e passare una giornatainterainsiemeaiproprifigli.

16
L’IPM di Airola di Ferdinando Flora

Quando Parini si interroga sulle carceri

Come comportarsi dinanzi ad azioni immorali, al limite del delinquenziale, attuate dall'uomo? È giusta l'azione punitiva? Se lo fosse, quale valore avrebbe? Di protezione verso il nucleo sociale che ha subito il male, o di ravvedimento delle proprie azioni per chi ha praticato il male, o di entrambe? Se non lo fosse, quale sarebbe l'azione o le azioni alternative per perseguire entrambi gli obiettivi, di protezione sociale da un lato e di risanamento morale dall'altro?

Questi sono gli interrogativi che suscita la lettura dell'ode pariniana Il Bisogno, perplessità che nascono dall'analisi della posizione dell'Autore in merito ad un così delicato argomento che tocca diverse sfere, da quella morale a quella civile, a quella politica, e che si fondano sulla comune certezza per la quale gli obiettivi di cui sopra sono indiscutibilmentedaperseguireinuncontestosocialecivilizzato.

Resta la domanda se sia giusta o meno l'azione punitiva, se questa debba essere accompagnata da un'alternativa azione di recupero, o ancora se maggiore attenzione vada prestata a monte, indagando le cause in cui il male trova terreno fertile per radicarsi e crescere, per avviare qui azioni di prevenzione, sicuramente non facili, che presuppongano uno studio e un'analisi profonda a diversi livelli dell'animo umano, ma i cui risultati hanno maggiore probabilità di essere raggiunti rispettoaquellidiun'azionedirecuperoaposteriori,secondocuiilmale haplasmatogiàlamentedichilohacommesso.

Delinquenza: difficile dare una definizione completa e univoca, troppi dibattiti, troppe differenti visioni in merito... Fino a dove la colpa è del colpevole? Dove fini-

sce la responsabilità dello Stato? Fino a dove si può parlare di punizione edovediaiuto?Qualestradavaintrapresa?Bisognapunire?Aiutare? Da tempo ormai si discute sul ruolo che il carcere debba avere: se punitivo o meno, una semplice gabbia per punire chi ha sbagliato traendone un annesso risultato di protezione verso la società, oppure se debba avere anche un valore “curativo”, intendendolo come un luogo di recupero dove cercare di far maturare una coscienza diversa in queste persone, facendole uscire con una versione migliore di loro, magari prima sololatente.

Sono domande che uno Stato dovrebbe porsi nei confronti dei cittadini, così come un genitore nei confronti del proprio figlio, un insegnante nei confronti dei suoi alunni; domande che non hanno una risposta univoca, ma che è d'obbligo porsi senza scadere in facili, sterili giudizi che non presupponganoun'analisiamonte.

L'essere umano delinque e giudica da quando è stato creato, come se il trasgredire facesse parte della sua natura, e da altrettanto tempo gli interrogativiinmeritovengonodiscussi.

Visonodiversiesempinellaletteraturaitalianachetrattanoquestodelicato argomento: posizioni analoghe a quelle che Beccaria aveva già assuntoinDeidelittiedellepenevengonopresedaParininell'odeIlbisogno Parini è un illuminista moderato, un riformatore, si ribella a ciò che per lui c'è di marcio nella società, spesso attraverso una marcata ironia; egli ricerca la pubblica felicità, il miglioramento della vita sociale e contribuiscealbenecomune,scardinandopensierimalsani.Scriveodicivili, in alcune delle quali irride la figura del nobile, affronta il tema dell'ozio; si occupa di inquinamento, dei bambini, affronta temi molto vari, tutti accomunati dal suo forte interesse per la vita sociale. In quest'ode, in particolare, cerca di fornirci una sua visione in risposta a una delle domande di cui sopra: “prevenire i reati/delitti o punirli?”. Egli parla di

17

ziale ci si rimane incastrati. La società è come un gomitolo di lana, prima si lascia che qualche filo si aggrovigli, poi si cerca di srotolarlo e non ci si riesce e allora si taglia... Ma non sarebbe meglio prevenire?

Più facile e sbrigativo tagliare, ma più efficace e rispettoso raggomitolare, ritrovare il bandolo, permettendo così di evitare di trovarsi davantiunanuovaformadimale,finoadallorasconosciutaallapersona, che dovrà fronteggiare un nuovo “bisogno” Lo Stato dovrebbe investire di più sull'educazione, sullo sport, sulla famiglia, e meno sul carcere, che, come afferma Beccaria e ripete Parini, non solo non fa nulla per prevenire, ma una volta che il delitto è stato commesso, diventaunluogoincuispessolesituazionidegenerano.

È questo “il bisogno” di cui parla Parini: egli tronca la convinzione che tutti i detenuti siano malati di un male interiore innato, certo del fatto chelecausesonosvariate,espessoadducibiliall'esterno.

In carcere molti ragazzi sono desiderosi di avere un futuro normale, sognano di uscire e di riprovare a vivere una vita diversa, sogno spesso infranto dalla realtà delle loro famiglie, inclini alla delinquenza, che hannoincastratoilororagazziinsituazionipiùgrandidiloro.

Si inciampa nell'errore per diversi motivi, ma quando si è adolescenti si è fragili, vulnerabili, in fondo ancora bambini, ingenui, in corpi quasi adulti,conresponsabilitàdatali.

A volte “il bisogno” agisce sull'istinto facendoci dimenticare che ormai non siamo più bambini, abbiamo responsabilità. Il bisogno è debolezza, ed è proprio su questa fragilità che la criminalità si sviluppa, è qui che trova terreno fertile: persone plagiabili, e lo Stato deve saperlo, perché chiunque abbia a cuore il bene di un nucleo sociale ha il dovere dievitarechelavulnerabilitàsitrasformiindelinquenza.

18

Mario Tagliani è un maestro che presta la sua opera all'interno di un carcere minorile. Autore di un breve libro che ha l'obiettivo di raccontare la sua esperienza lavorativa, illustra i timori e le difficoltà create dal contatto diretto con bambini e ragazzi cresciuti all'insegna di abitudini, valori, comportamenti lontani da quelli ordinariamente collocabili tra quelli socialmente accettabili.

Insegnare in un carcere minorile di Diego Laezza

Vittime di un processo mal funzionante, costretti per sopravvivere alla partecipazione ad attività illegali, trasformati in pedine su di un terreno minato costantemente da morte, lontanidaorizzontidifferenti,ignariditutto.

Rinchiusi all'interno di quattro mura grigie, cercano di creare i loro primi legami, raccontano le loro storie, vengono aiutati da coloro che hanno la funzione di “insegnare”, ma cosa significarealmente“insegnare”all'internodiunistitutominoriledidetenzione?

Il maestro risulta essere a tutti gli effetti un genitore, è un pilastro dietro cui tutti i bambini cercanodiripararsi,èunaguidachepianpianoaccendeall'internodiognisingoloindividuo la luce della ragione. E la prima difficoltà, apparentemente insormontabile, è far comprendere ai giovani detenuti che proprio gli insegnamenti che fin da piccoli hanno ricevuto dai lorogenitoricostituisconolaseriedierroridacuiessidovrannoviaviaallontanarsi.

Taglianiraccontalasuastoriaattraversodeinomi:Rosario,Omar,Karam,Sohel,Yon,Amir… Ragazzi tutti diversi fra loro, entrati in periodi differenti all'interno del “Ferrante Aporti” (l'istituto dove Mario Tagliani ha svolto la sua attività), appartenenti a paesi e culture di cui loro conoscono lo stretto necessario per far comprendere la loro insicurezza, derivante ovviamente anche sin dalla nascita da una mancanza di un sostegno, di qualcuno che dia lorolapossibilitàdistudiareesognareunfuturodiversodalloropresente.

L'insegnamento rivolto a questi ragazzi non si può certamente adeguare a dei programmi stabiliti, tutto deve essere stravolto minuto per minuto, bisogna catturare l'attenzione di ogni singolo elemento, lottare contro rabbia, dolore e disagio, sfruttare ogni attimo di pace percomporreunpezzettodipuzzlechediventeràunafontedisperanza.

«Iragazzicercanoforzaedenergia,scioltezzacomunicativa,euforiaevivacità»spessotutto ciò lo trovano attraverso l'assunzione di sostanze stupefacenti, a causa della mancanza di opportunità, che invece devono essere garantite all'interno dell'istituto, attraverso attività alternativeallostudio.

Il maestro da un momento all'altro diventa l'arbitro di una partita di calcio, di basket, insegnando le regole del gioco, abituando i ragazzi ad un sistema legislativo da rispettare per non essere puniti. Il maestro si trasforma in un regista, la classe in un palcoscenico, e i singoli studenti in attori: le emozioni represse finalmente fuoriescono dai singoli e si trasformanoinsorrisi.Ilmaestroascoltaconfermezzaedempatia,correggegliatteggiamentisbagliati,ponelebasi.

Nulla è scontato, il racconto di una fiaba può diventare interessante per loro, che non si sonomaisentitibambini.

«La pena deve diventare un diritto, e non solo una punizione»: si sbaglia, si comprende, si cerca di cambiare, ma poi si deve essere reinseriti all'interno di una società senza esser visti comedeicriminali,perchépoisirischiadisbagliarenuovamente...echissàsesiritorna.

L'errorenonèunicamentedeisingoli,maanchedichiamministra,dichiaumentalarepressione e diminuisce l'integrazione, di coloro i quali moltiplicano il numero di telecamere ma riduconol'assunzionedipersonaleutileafarconoscereairagazzicosasialanormalità.

19

La galera: una tappa spesso messa in conto

Vivere in un paese straniero è di per sé già molto complesso, ma mai quanto essere in un carcere di un paese che non si sente proprio. Mario Tagliani fa presente proprio questo nel suo libro Il maestro dentro «In qualsiasi prigione d'Europa si vada, si troverà sempre un rom», scrive Tagliani. I nomadi sono una popolazione che un tempo viveva di spettacoli, piccoli commerci di prodotti raccolti nei paesi di passaggio e compravendita di cavalli. Con il passare del tempo, le multinazionali hanno distrutto la possibilità di commerciare e i cavalli sono stati sostituiti dalle automobili. Di conseguenza si sono ritrovati senza un impiego. L'unica cosa rimasta ancora in loro possesso è l'abilità delle mani, con la quale ora si destreggiano in furti. Rubare per quei ragazzi non è visto come un reato, ma come una necessità. Per vivere questi giovani devono imparare ad essere scaltri. Da ciò consegue che la prigione diventa un luogo in cui è normale passare un periodo della propriavita.

Famiglie, talvolta numerosissime, sopravvivono grazie ad una sola fonte di sostentamento, un solo “lavoro” che riesce comunque a sfamare tutti. Questa mentalità viene inculcata già da bimbi; proprio per questo motivo non hanno il tempo di ascoltare favole. Ciò, però, non toglie che questi ragazzi non vogliano ascoltarle anche una volta cresciuti; insistono, anzi, per farsele raccontare. In questo modo, forse, riusciranno a farle ascoltare anche ai loro figli, dato che molti sono già genitori, anche se hanno appena sedici o diciassette anni. Nel caso specifico delle ragazze, si può dire che la loro emancipazione avvenga proprio in carcere. Se, infatti, a casa non hanno tempo per dedicarsi a loro stesse, in istituti di correzione il tempo non manca di certo. Per questo motivo ragazzi e ragazze risultano essere partecipi alle lezioni. La loro visone del carcere assomiglia un po' alla nostra visione della scuola: un luogo dove obbligatoriamente bisogna andare, dove, però, allo stesso tempo si cresce anche dal punto di vista culturale. Questi alunni sono grandi fuori, ma dentro ancora bambini, forse perché non hanno mai avuto una vera infanzia e cercano disperatamente di recuperare il tempo perduto. Ma è davvero giusto allora gettare dietro le sbarre dei bimbi cresciuti troppo in fretta, che fanno ciò che fanno solo perché così è stato loro insegnato? Sicuramente la prima cosa da fare è far loro comprendere lagravitàdelleloroazioni,maprobabilmentelaprigionenonèlagiusta soluzione. Dopotutto i ragazzi rom non sono intimoriti o dissuasi dal commetteredeterminaticriminiperchérischianolagalera. Nonostante le difficoltà, bisogna continuare a lottare per l'integrazione diquestiragazzinellanostrasocietà.L'articolo3dellanostraCostituzione fa proprio appello al diritto che tutti hanno, indistintamente dal sesso, dalla razza o dalle proprie opinioni, di avere pari opportunità e di essere tutelati allo stesso modo davanti alla legge. Per far sì che ciò avvenga davvero non bisogna arrendersi, ma continuare a battersi per garantire anche ai più emarginati di reinserirsi nella società. Il cambiamento non deve, però, partire dalle prigioni: non sono le prigioni che devono diventare scuole, ma le scuole che da luoghi di detenzione devono passare ad essere luoghi di crescita personale. La prigione rappresenta la punizione da dare in caso di comportamenti errati, ma se si riuscisse a non far commettere più crimini ai ragazzi, tenendoli lontani dalla strada, allora sì che riusciremmo davvero a vincere.

I minori che finiscono in carcere subiscono le conseguenze del contesto in cui sono nati. Ricevono schiaffi ancora prima di nascere nelle pance delle loro madri,e in un mondo in cui la violenza è l'unico strumento per sopravvivere, non possono che adattarsi alle circostanze.

20

«Come giudice dei minori ero stato costretto a imparare che la vita non ha la pulizia di un teorema o la precisione di un codice. È obliqua, contraddittoria e, dietro ogni azione e ogni sentimento, si può nascondere più di una verità». È così che si potrebbe riassumere in estrema sintesi Liberi di scegliere, non solo un libro, ma come si ha il piacere di scoprire, una realtà concreta, un piano d'azione di grandissimo successo.

di Aldo Coletta e Biagio De Lucia

21
L’età in cui tutte le strade dovrebbero essere aperte

«La sua intera esistenza era trascorsa chiusa in un vicolo cieco, senza possibilitàdisceltaedifuturo.»

Non si può lasciare che un ragazzo vittima, più che colpevole, subisca la stessa condanna di altri. Per anni sono stati formati come strumenti,non comepersone.Nonsipuò lasciarecheadessereaccusatosialo strumentoenonilsuoideatore.

Ècosìcheil5novembredel2019vienesottoscrittodalMinisterodella Giustizia Liberi di scegliere, un protocollo d'intesa, ma, per meglio dire, d'azione, con il fine di assicurare un'alternativa di vita ai minorenni e ai loro familiari, che, pur provenendo da famiglie di stampo mafioso,nedisapprovanolelogichecriminali.

Un segno di rinascita, uno strumento concreto per liberare i ragazzi che il carcere non l'hanno mai temuto perché ci sono cresciuti dentro; un protocollo elastico, fruibile ed efficace, basato fondamentalmente solo su una cosa: la fiducia nell'umanità. Si tratta, infatti, di un allonta-

namento temporaneo dalla propria casa, dalla propria famiglia, dalla propria regione, per iniziare a vivere al sicuro in nuove località; tutto il resto sta ai ragazzi, alla loro naturale inclinazione ad una vita serena e felice,lontanadapregiudizi,obblighiequestionid'onore. Criticato da molti per la severità dell'intervento che non costituisce unasoluzionedefinitivaalproblemaquantopiuttostounrimediopratico eprovvisorio,ilprotocollo ha comunque salvato giàdecinedi persone,figli,madri,vittimediuna'ndranghetaspietataeillogica.

«Ogni volta che guardo negli occhi i miei bambini e leggo la loro gioia nel trovarsi in questa città dove tutto li rende felici, il mio pensiero corredalei.Perquestononfiniròmaidiringraziarvi.»

Di certo abbandonare tutto e ricominciare a vivere da zero è difficile, masipuòdirechequestiragazziabbianomaivissutoveramente?

I nuovi guappi tra cocaina e coraggio simulato

Jacopo Pepe e Andrea Sferruzzo

22
Michele Mazio è un giovane napoletano, detenuto nel carcere minorile di Nisida e condannato a 16 anni di reclusione. Accetta di raccontare la sua vita davanti alla macchina da presa della troupe di Robinù, un film-documentario realizzato dal giornalista Michele Santoro. di

Michele ha una situazione e soprattutto della sentenz dannato per detenzione illeg giovaneMicheleleportedel stato mai3-4 giornifuori, dopo questi anni mio figlio dategli un'ultima speranz sistema carcerario che non pieno la propria colpa. D'altr remmo quando, una volta fametrattenutafinoaquel Michele era già stato condanna un poliziotto. La seconda franca insieme a due suoi c spumante e baciando il rev laborativo degli altri due giov 16 anni, oltre alla qualific feste di Natale con la famiglia, pericoloso”

Suo fratello maggiore si strada alternativa a quella tabilmente segnato e cos ro, ma si tratta di una scelt il disprezzo della famiglia, bio degna di essere raccon famiglia, cercando di tirar propria indipendenza lon re.

Michele, dunque, è la vittima portamentale malavitos vigore nel quartiere di prov za: chiunque se ne allontani un infame, non meri rispetto, va estromesso. Vivere in quel quartiere significa aderire a quel codice, attraversare la propria formazione criminale, mettere in conto anche qualche anno di prigione, ma in ogni caso assicurarsi la “rispettabilità” che si conviene ad ogni esponente del clan. Al contrario di Michele, Angelo vuole smontare quel codice, sminuirne l'importanza, offrire un percorso di vita alternativo, pulito, legale; Angelo è lo spiraglio di luce in fondo al tunnel capacediavereunafunzione catartica per ognuno di noi al fine di sviluppare un pensiero proprio in grado di farci comprendere cosa sia giusto e cosa no, per quanto

23
«Sedevoandareaballareevedocheunragazzospende1000euro ionedevospenderealmeno2000!Perchéio devo mettermi sempre spenderne almeno 300... morto!»

possa rappresentare a tratti un'arma a doppio taglio. Eppure,agliocchidichiviveinquelquartiere,lapersona corretta è Michele, non Angelo: è Michele quello giusto, quello il cui onore viene riconosciuto, quello che merita protezione, mentre Angelo è lo scellerato, il traditore, quello che ha preferitoallontanarsi,quellomolliccio…

Michele non vuole parlare di Angelo: per lui non è neppure suo fratello, anzi qualcuno dovrebbe provvedere ad ammazzarlo... La sua scelta di vita è contro natura. Angelo, al contrario,soffreinnanzituttoladistanzadal fratello, con cui ha condiviso un'infanzia felice, si rammarica del fatto che da più di due anni non lo vede, afferma che gli manca molto, ma è consapevole che non potrà rivederlo, se non correndo il rischio di ritornare in quei luoghi in cui, per colpa di un fratello camorrista, ha rischiatolasuastessavita…

La famiglia gioca certamente un ruolo fondamentale nella vita di tutti i ragazzi, l'educazione che ci riservano da piccoli permette ad ognuno di costruire il proprio futuro, con delle sceltechesicomincianoafaredasubito, per quanto condizionate dall'ambientechecicirconda.

Atalpropositonascelapiùnaturaledelle domande: questi ragazzi hanno davvero la possibilità di redimersi, di virare sulla retta via, di cambiare radicalmente la propria vita, rinunciando con coraggio a radici cheaffondanoinunterrenomarcioesterile?

24

zione ed espressione dietro le sbarre

di Letizia Giangregorio

sonalitàintrigante,calabresedinascita,rapperdimatricehip-hopèKento,pseudonimodiFrancescoCarlo.Attivodaglianni'90,vanta dischi da solista, numerosi altri da guest, tre libri e più di mille concerti in tutt'Italia e anche all'estero. Oltre alla carriera musicale, didieciannièpresentenegliIPMitalianigrazieaisuoilaboratoridirapepoesia.Convintoassertoredell'importanzadellacultura duelauree,laprimadellequaliinlegge)èsociodellaLIPS,LegaItalianaPoetrySlam,edhaunblogsuIlFattoQuotidiano

25
.

Nel 2020 scrive il suo primo libro, Te lo dico in Rap (Ed. Il Castoro) e nel 2021, spalleggiato dai ragazzi degli istituti penali minorili, fa uscire questo Barre, che ha inizio proprio così: «Questo libro è dedicato a tutte le persone che mi hanno aiutato a scriverlo e che non posso nominare».

KENTO

«Insegno ai ragazzi a non temere i sentimenti»

Parte da qui, Barre: Rap, sogni e segreti in un carcere minorile Perché “barre”? Titolo bilaterale: le barre sono quelle che separano quei giovani occhi desiderosi di vita, di riscatto, di libertà dall'immenso mondo fuori. Ma anche le “barre”, quelle musicali, con le quali quelle anime macchiate dal peccato, grande o piccolo che sia, vorrebbero dar sfogo ai propri pensieri e mettersi a nudo davanti alla realtà struggente. Kento ne ha conosciute tante di anime così, ormai, grazie ai suoilaboratoricreativiemusicali,èriuscitoagirarequasituttigliIPMd'Italiaedèproprioinquesto libro che trasporta anche noi all'interno della sua esperienza. Barre parte proprio dal primo incontro di settembre, che Kento definisce il più difficile, poiché da lì dipenderà tutto ciò che accadrà nei mesi successivi. Qualche domanda precede il vero campo di conoscenza tra Francesco e i ragazzi: il rap, che sia il suo, il loro, o quello di famosi artisti ascoltati con il pc, è quello il fulcro di tutto. Da qui in poi inizierà un “viaggio” che vedrà la loro massima responsabilità e serietà. Pertanto, non sarà solo un corso di produzione musicale, ma anche di maturazione e consapevolezza.

C'è chi vuole dedicare un brano a una ragazza, chi alla madre, chi alla figlia, chi alla famiglia, chi al suo passato, chi alla vita dietro le sbarre… La partecipazione sembra essere consistente e coinvolgente, ed i ragazzi incuriositi. La loro voglia di raccontarsi e la loro collaborazione ineccepibile confluiranno, infine, nella stesura di un brano collettivo che coinciderà con il punto di arrivo del percorso laboratoriale. Francesco, nell'ultimo capitolo del libro, ci pone una domanda: «Voi lo sapete che nella vostra città – o non lontano – c'è un carcere minorile? Che lì dentro ci sono deiragazzi,avoltepocopiùchebambini,chiusinellecelle?Avetemaiprovatoaimmedesimarvinei loropensierioneiloroproblemi?».

Io credo che la maggior parte di noi sappia che in provincia di Benevento, ad Airola, c'è un IPM che accoglie adolescenti come noi; ma dubito che tutti si siano immedesimati in loro. Io compresa, prima della lettura del libro, non ho mai riflettuto su come potrebbe essere davvero la vita lì dentro.Reputo,quindi,Barreun'ottimaoccasioneperfarlo.«Perchéquestaèunamagiareale,che merita di essere condivisa e fatta conoscere, sebbene le parole la possano raccontare soltanto fino auncertopunto.»

Le parole non saranno mai paragonabili al mondo concreto, è sicuro, ma grazie ad esse, Kento è riuscito a rendere “vivi e veri” i ragazzi detenuti, quasi da riuscire a immaginarli ad occhi aperti. Francesco, attraverso il suo linguaggio semplice, scorrevole e, talvolta, molto crudo e diretto, è statocapacediimmergercisenzafiltriall'internodiquestarealtàspinosaquantomai.

26

Una conversazione emozionale

Incontriamo Kento in videoconferenza: non abbiamo avuto alcuna difficoltà a stabilire un contatto con lui, che si è reso immediatamente disponibile ad una conversazione con la nostra classe. Chiaro e diretto, come le sue canzoni, si intrattiene con noi, parlandocidelsuodelicatolavoro.

Il dono di chi ogni giorno è al fianco dei ragazzi in carcere e li supporta cercando di farli uscire da quell'ottica distorta del funzionamento del mondo, è senza dubbio saper guardare OLTRE: oltre la rapina, l'aggressione, la rissa o, nel peggiore dei casi, l'omicidio. È capire cosa c'è davvero al di là di quell'ombra nera che ognuno si trascina dietro e pensa faccia parte della propriaanima.

Platone, nell'allegoria del mito della caverna, ci invita ad immaginare degli uomini che da sempre vivono incatenati in una caverna, possono guardare solodavantiasé,vedonosulfondo dellaspeloncadelleombreproiettate tramite statuette. I prigionieri credono che quella sia la realtà, la sola esistente. Uno di loro improvvisamente si libera dalle catene e comprende che quelle sono solo ombre e che la vita al di fuori della caverna è completamente diversa… Ecco di cosa bisognerebbe rendere coscienti i giovani detenuti: la loro vita è la vera prigionia e per questo NON può e non deve essere dietro delle sbarre, guardando cosa succede fuori, unicamente dallo spioncino della propria cella. Uscire dalla caverna significa rendersi conto che niente è perduto e che, anche se sembra che la vita abbia scelto per loro, che il destino sia l'omonimo di uno zio ormai in carcere da anni e anni, la rinascita è sempre possibile.

La tematica è delicata quanto mai, è difficile trovare le parole per affrontarla, eppure Kento, pseudonimo di Francesco Carlo, rapper italiano, è riuscito a raccontarci tramite un'intervista cosa significhi darvoce-nelsuocasoattraversolamusica-adeiragazzichepensavanodidoverstarezittipersempre.

Domanda-Lorosonodentro,ilproblemasiamonoifuori,chesignificatoassumequestafrasedettadaunocheappuntostafuori?

Kento - Le sbarre delle carceri minorili dove lavoro separano i ragazzi dallarealtàmaanchelarealtàdaloro;dovremmoperòrenderciconto che esistono e che stanno vivendo o hanno vissuto un'infanzia e un'adolescenza negata, molto distante dalla nostra. È possibile abbattere questo tipo di sbarra, io lo faccio con il rap ma anche un piccolo gesto, una lettera per esempio, significa tanto. Loro hanno il corpo incarcerato ma non la mente, la liberano con l'arte e ogni sua espressione; dovremmo fare lo stesso anche noi che troppo spesso ci creiamo delle gabbie mentali inutili. Per me è stato naturale approcciarmiaidetenutitramitelamusica,ilcarcerepuzzadirap,disudore e disinfettante: è il modo più immediato di comunicare il proprio stato d'animo. Quando parlo per esempio di Tupac - rapper rivoluzionario i cui testi sono innanzitutto una denuncia sociale - la rispostaèall'unisono:cheleggenda!

Domanda - Molti storcono il naso perché ritengono che le fiction, come la nota Mare Fuori, possano essere fonte d'ispirazione per ragazzi già vicini alla delinquenza, tu cometiponineiconfrontidiquestedinamiche?

Kento - La società cerca spesso un capro espiatorio: prima erano i videogiochi

27

a incitare alla violenza, poi il rap e, adesso le serie tv, ma in realtà c'è molta più brutalità nei telegiornali e nella vita quotidiana. Bisognerebbe avere più fiducia nei ragazzi e metterli nelle condizioni di comprendere, pensare con la propria testa e giudicare criticamente sin da piccoli. Io non sono un grande fan della serie data lo scarso realismo, però ha il merito di far parlare dell'argomento e questa è una cosa indubbiamentepositiva.

Domanda - A volte ci si dimentica che i ragazzi in carcere non hanno avutonemmenobisognodiispirarsiaromanziofictionperchéavevano davanticasalelorofontidicrimine.

Kento - Esattamente, ragionando sui dati specifici sappiamo che in Italiacisonocirca15milaragazzichesonooggettodiprovvedimentopenale,il2oil3%finisceincarcere,larestantepartevienerieducatatramite misure alternative come la messa alla prova o l'inserimento in comunità. Ma allora chi rientra nella percentuale più bassa? Chi non ha una famiglia, una casa, i soldi per pagare un buon avvocato, non sa parlare italiano, leggere e scrivere… Dietro le sbarre non ci sono i più colpevoli ma coloro che non hanno avuto accesso a soluzioni meno gravi della prigione, è difficile quindi ignorare il classismo della società italiana. Io non ho mai incontrato un ragazzo che avesse una famiglia alle spalle cheloseguisse,figlidellastradacomespessosidice.

Domanda - Nel tuo album Sacco o Vanzetti c'è un pezzo che si chiama All'Orizzonte,ascoltandolosirimanecolpitidallalimpidezzaattraverso la quale ti esponi, in che modo i tuoi ragazzi riescono a capire che è un benetrovarelaforza-ancheconlamusica-diraccontarsi?

Kento - Onestamente questa è la parte più difficile del mio lavoro, i ragazzi non sono mai quelli che dicono, sono coloro a cui viene detto; il passaggio veramente duro è fargli capire l'importanza delle loro parole e che è un diritto poter esprimersi. Parliamo di chi forse ha messo la pennasuunfogliosoltantoperfirmareiverbalidegliordinidicattura,o che è analfabeta: questo non è un ostacolo, basta un buon cervello. In carcere magari proprio quelli che fanno i più duri scrivono delle cose incredibili, riescono a tirare fuori ciò che si è accumulato dentro di loro. C'èchiscriveunacanzonededicataallamamma,isuoicompagninonlo deridono ma lo incoraggiano, è questo il dono della musica: prende il mioelofadiventarenostro.

Domanda - Sei sempre riuscito a essere obiettivo nel tuo lavoro o ti è capitatodiesserecoinvoltonellevicendepersonalideiragazzi?

Kento - Una cosa che faccio sempre è evitare di chiedere ai ragazzi il reatopercuisonolìperduemotivi:perchéleorechepassiamoinsieme

devono essere di svago, si parla di musica, non di magistrati e appelli, nonvoglioinoltreessereinfluenzato,iragazzidevonoesseretuttiuguali, a prescindere da ciò che hanno fatto. Vi faccio un esempio: mi trovavo al carcere minorile di Bari e mentre andavamo a registrare un pezzounragazzosierafermatoallafinestraafumare,rimproverandolo gli faccio buttare la sigaretta. Ho appreso dopo che era accusato di duplice omicidio, se io avessi saputo prima magari non mi sarei comportato così, per me l'antidoto è proprio non chiedere il loro illecito. Diverso è il discorso, se proviene dall'esigenza di volersi confidare comemiècapitatoaltrevolte.

Domanda-Tiispiriaun'artistainparticolare?Cosanepensidiqueirapper che presi dalla foga del successo hanno commesso crimini o si sono dedicatiadattivitàillegali?

Kento-Miispiroamoltiartisti,senzadubbioTupac,PrimoBrown,Deda dei Sangue Misto e della generazione più vicina, uno dei miei preferiti è Kendrick Lamar. Faccio molto il tifo per quei ragazzi che hanno avuto una vita difficile e adesso guadagnano da viversi con la musica e non con le rapine, vanno però supportati perché si trovano nel giro di poco tempo da avere niente, ad avere ciò che pensano sia tutto. Il mercato della musica al giorno d'oggi è instabile e non dà sicurezze. Mi è capitato di seguire un ragazzo che ha firmato il primo contratto per un singolo, non era una grande cifra l'anticipo però rappresentavano i primi soldi guadagnati onestamente. Ma molte volte non sono abituati a gestire queste dinamiche, ne è l'esempio questo ragazzo che li spese per un paio di occhiali da sole. I soldi facili vanno via subito, sono quelli sudati a dover essere custoditi ed è questo concetto che manca in loro; io gli dico sempre: non voglio che con il rap vi compriate la collana, bensì una casa, qualcosa di stabile e per arrivarci bisogna percorrere una strada lunga e difficile. Spesso i ragazzi vedono ciò che c'è in cima ma non il percorso per arrivarci, sono abituati alle copertine degli album con macchine di lusso e capi firmati, ma dietro c'è tanto. Per un rapper che ce l'ha fatta, ce ne sono 10 che non sono riusciti a emergere e realizzare il loro sogno. La vita di un'artista è spesso vista come una scatola da riempire e ciò porta o all'insoddisfazione di non esserci riuscitooanon saperechefarnediquelcontenuto,quimolticadono nella trappola dell'alcol e della droga. Ma io sostengo che quella scatola debba essere fatta esplodere in 1000 pezzi, è questo il mio augurio per tuttiiragazzieragazze.

Domanda - Quando noi valutiamo le storie di questi ragazzi, le studiamo nel loro complesso, non come singoli soggetti ma sappiamo, come già detto prima, quanti condizionamenti esterni hanno concorso

28

allorodestino.Quandosonoincarceresentonolacolpacompletamente sudilorooriconosconolapresenzadialtrifattori?

Kento - Dipende molto dai casi: c'è chi mi ha detto: “sono nato spacciatore e morirò spacciatore” Il percorso di autocoscienza non finisce mai davvero, i ragazzi per tutta la loro vita detentiva si sentono dire di dover cambiare, ma forse non è il consiglio migliore. Io dico loro che possono migliorare sempre, sanno di aver compiuto dei reati, colpa per definizione vuol dire scelta e questi ragazzi hanno scelto il male. Che succede nel momento in cui viene a mancare la scelta? Non c'è colpa. Nel caso di ragazzi che non hanno mai vissuto in pianta stabile, spesso dormivano per strada, non sanno chi sia il proprio padre e hanno intorno esempi familiari per niente raccomandabili, come si fa a scegliere il bene. Il margine di scelta è davvero minimo, se non nullo. Ho conosciuto un ragazzo che conosceva cinque lingue, immaginate che prontezza e che intelligenza, era analfabeta in tutte e cinque. Come può essere sua la colpa? Spesso il carcere minorile deve educare i ragazzi alle prime volte, anche a prendersi cura della propria igiene. Non rieduca i ragazzi, questo presupporrebbeunprecedenteinserimentoedisinserimentonellavitacivile, fa quello che sarebbe dovuto essere appannaggio della famiglia e, in sua assenza delle istituzioni. Interfacciarsi con la questione della colpa e della responsabilità è davvero difficile, arriviamo alle grandi categorie filosofiche che non possono essere applicate se i soggetti hanno due braccia, due occhi, due gambe, un cuore e un cervello. Sui minori detenuti ci sono due teorie: la teoria del reinserimento sociale e quella della minore preferibilità, la prima sostiene che chi commette un reato lo fa perchéglièmancatoqualcosanellasuavita,bisognaquindirimetterloal passo con la società e dargli quel qualcosa in più. La seconda teoria si basa sul concetto che ilcarcere deve essere meno preferibileallalibertà, deve mancare di qualcosa. Ma, è difficileriuscire ad applicarlenellarealtà, sembrano contraddirsi senza trovare una soluzione. Quando si passa dalla teoria alla pratica, c'è bisogno di grande cautela perché le azioni, comeleparole,hannodavveroungrandepesosullavitadiquestiragazzi che si ritrovano appunto a vivere avendo scelto inconsapevolmente il male.

Domanda-Haiannunciatorecentementesuituoisocialchepresto,attraversounpodcast,parleraidell'Italianascosta,cosatihaspintoafarlo?

Kento - Nella mia vita, un po' insolita, ho la possibilità di viaggiare molto, ed è proprio questo che mi fa scoprire la parte del nostro paese nascosta agli occhi della società, quella della cultura e della contro-cultura, dei luoghi alternativi, dell'underground, street-art, break dance. Ho questa fortuna, non comune a tutti e sarebbe un peccato non poterla diffondere. Nella prima stagione del podcast, che consta di 18 puntate, sto avendo grosse difficoltà nel selezionare tra le tante cose nascoste ma così belle e interessanti.Sperochequestoprogettopossacontinuareneltempo.

Imprescindibile, a chiusura dell'intervista, è il commento all'articolo 27 della Costituzione, sul quale Kento ci ha invitato a riflettere, che recita: “La responsabilità penale è personale. L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazionedelcondannato.Nonèammessalapenadimorte.”

Questedisposizioni,giustissimeinmateriadilegge,risultanounpo'sterili nell'applicazione. Si può davvero parlare di responsabilità penale di un bambino che, quai sicuramente, non ne comprende neanche il significato? Nessuno glielo ha insegnato, non sa neanche cosa significhi avere una buona educazione, tendere alle buone azioni, imparare a contare con i regoli e non con i soldi delle rapine, come si può parlare di reinserimento se in realtà non c'è mai stata una prima volta? Per non parlare poi della necessità di sentirsi come gli altri e non gli ultimi tra gli ultimi e, purtroppo, non sempre escono dagli IPM con una dignità maggiore di quando vi sono entrati. Un ragazzo di 15 anni non può essere additato “finito”, non deve pensare che la sua esistenza sia segnata: è un cocktail esplosivo che trovasfogospessonell'autolesionismo.

Tutti noi abbiamo una grande responsabilità: far capire loro che nessuno è “scartato” dal grande progetto della vita, affinché non perdano la speranzadel“riscatto”.

29

L’Articolo 27 della Costituzione Italiana

di Giuseppe Muccillo

«Laresponsabilitàpenaleèpersonale.

L'imputatononèconsideratocolpevolesinoallacondannadefinitiva.

Lepenenonpossonoconsistereintrattamenticontrarialsensodiumanitàedevonotendereallarieducazionedelcondannato. Nonèammessalapenadimorte».

L'articolo27 dellaCostituzione sancisce importanti principi in materia di dirittopenale.

Primocomma

Il principio fondamentale espresso dal primo comma è quello della responsabilitàpenalepersonale:

Laresponsabilitàpenaleèpersonale.

Cioè, chiunque commetta un reato penale è responsabile personalmente. Non si può essere puniti per un fatto commesso da altre persone, in quanto la responsabilità penale ricade sul soggetto che ha commessoilfatto.

Secondocomma

L'imputatononèconsideratocolpevolesinoallacondannadefinitiva

Secondotaleprincipio,finoachenonvièunacondannadefinitiva,anche nel caso di un soggetto sottoposto ad indagine, non si può essere consideraticolpevoli.

Tale principio è una garanzia per il cittadino, in quanto obbliga a distinguere tra chi è indagato (sottoposto, quindi, a un'indagine compiuta dall'autorità giudiziaria) e chi invece è condannato con una sentenza definitiva. Infatti, oggi, a causa dei social network, spesso si rischia di far confusione tra indagato e condannato e mettere alla gogna personechepoi,semmai,risultanoessereinnocenti.

Terzocomma

Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanitàedevonotendereallarieducazionedelcondannato. La pena stabilita deve essere giustamente inflitta nei confronti di chi ha commesso il reato, ma le modalità di pena non devono essere offensive del rispetto della persona (ad es. forme di tortura), cioè non deve essere contrariaalsensodiumanità.

Ciò, per evitare che il condannato, in carcere, venga sottoposto a trattamenti disumani, come accadeva in passato anche in Italia e come ancoraaccadeancoraoggiintantissimecarceridelmondo.

La pena, oltre al fine punitivo, privando il soggetto della libertà rinchiudendoloincarcere,deveavereancheunfinerieducativo,inquanto,deve garantire che il colpevole di reato possa essere, appunto, rieducato, ad esempiodandoglilapossibilitàdiimparareunlavoroodisvolgereattività che facciano in modo che il soggetto non si incattivisca e che, una volta scontatalapena,possareinserirsinellasocietà.

Quartocomma

Nonèammessalapenadimorte.

La nostra Costituzione riconosce i diritti e le libertà fondamentali all'uomo, quindi non ammette che l'individuo possa essere privato della vita.

30

Negli ultimi tempi, l'art 27 è stato alla ribalta delle cronache a causa del caso Cospito e del regime del 41 bis, ritenuto da molti antitetico al comma 3, in cui si legge che «la pena non deve essere contraria al senso diumanità»,principioviolatopropriodalsuddetto41bis.

Il 41-bis da oltre trent'anni è uno degli strumenti più utilizzati in materia di criminalità organizzata. È il regime definito “carcere duro”, nato dopo la strage di Capaci, per evitare che i detenuti per reati di mafia, e in seguitoancheperreatiditerrorismo,avesserorelazioniconleloroorganizzazioniecontinuasseroacomandarledalcarcere.Sibasasufortilimitazioni nei contatti con l'esterno e con gli altri detenuti e dura 4 anni. Il detenuto del 41-bis è in cella da solo ed ha solo due ore d'aria al giorno; lasocialitàèlimitataaungruppodimassimoquattropersoneeicolloqui possonoesserciunavoltaalmese.

Gran parte dei condannati al “carcere duro” ha commesso un reato di tipo mafioso, ma quattro detenuti su oltre settecento totali sono al 41bis per terrorismo interno e internazionale, e tra questi c'è anche l'anarchicoAlfredoCospito.

Cospito è un anarchico considerato uno dei capi di movimenti rivoluzionari,confinalitàterroristiche.Èincarceregiàda10anniperlagambizzazione, nel 2012, dell'amministratore delegato di Ansaldo Nucleare, Roberto Adinolfi. Mentre era in carcere, nel 2016, Cospito è stato accusato anche dell'attentato del 2006 contro la Scuola carabinieri di Fossano, in provincia di Cuneo. Due ordigni erano stati piazzati all'interno di due cassonetti all'ingresso dello stabile, senza però causare né morti né feriti, per cui è stato condannato a 20 anni di reclusione con l'accusa di strage contro la sicurezza dello Stato, un reato che prevede la pena dell'ergastolo ostativo, che non permette di godere cioè di alcun beneficio.

Cospito, nel maggio scorso, è stato trasferito in regime di 41-bis per 4 anni,soprattuttoacausadeimessaggiedocumentiche,durantelostato di detenzione, ha inviato ai propri compagni anarchici, invitandoli a continuare la lotta anche utilizzando mezzi violenti, per cui, per protesta, ha iniziato uno sciopero della fame durato vari mesi, rischiando la morte e tutto ciò ha suscitato rivolte da parte di anarchici, in varie città. Il reclamodeisuoidifensori,perchiederelarevocadel41bis,però,èstato respinto.

Il 41-bis, secondo la Corte Europea dei Diritti Umani, è una tortura. Il regime del 41-bis e il carcere ostativo violano la Convenzione Europea deiDirittidell'Uomo,perlaprecisionel'Articolo3,cheproibiscelatortura,lepunizionieitrattamentiinumaniedegradanti.

Io credo molto nella rieducazione dei detenuti e quindi nel comma 3 dell'art.27, ma servirebbe un carcere diverso, perché il problema credo abbia a che fare anche col sovraffollamento delle carceri, col personale ridotto, con la mancanza di spazi che compromettono seriamente l'eventuale recupero dei detenuti, che invece dimostrano di voler migliorarementrescontanoleloropene.

Per quanto riguarda il 41-bis, invece, lo estenderei a chi ha commesso infanticidi, femminicidi e stragi: faccio fatica a pensare per queste personeunpercorsodieffettivarieducazione!

31

Il Sannio e la criminalità minorile

Benevento è considerata la città più sicura della Campania, se la si mette a confronto con altri centri come Caserta, Avellino, Napoli e Salerno. Nel capoluogo sannita si registra un calo di furti commerciali del -27% e, analizzando la graduatoria nazionale delle denunce del 2016,lacittàoccupailnovantesimoposto.

Nel Sannio, dunque, gli episodi di delinquenza minorile non sono così frequenti: sebbene nel carcere minorile di Airola i giovani detenuti siano principalmente accusati di furto, rapina e omicidio, questi ragazzi provengono soprattutto da Napoli e Salerno. Proprio il carcere di Airola recentemente è stato sede di violenze da parte dei detenuti. Secondo quanto accaduto, essi avrebbero devastato le celle e avrebbero minacciatogliagenticonlegambedeitavoliecondeimanicidiscopa.Tre degli agenti sono rimasti feriti. La rivolta sarebbe scoppiata per dei disservizi nella fornitura delle sigarette, ma più probabilmente non si trattava di questo, ma di una "guerra" tra clan. Tra i detenuti ci sono 2 maggiorenni che vengono definiti come piccoli boss, che stavano portandoavantiunalottaperfarcapirechicomandava.

A Benevento non mancano i criminali, ma per fortuna non sembrano così organizzati in “sistema”. Nonostante ciò, si può assistere a piccole risse

tra ragazzi, o ci si può imbattere in piccoli spacciatori di fumo, molto frequenti per l'uso piuttosto diffuso di droghe leggere tra adolescenti e giovani. Purtroppo i ragazzi non sanno, oppure fanno finta di non sapere, che con l'acquisto e il consumo di quello che può sembrare un semplice “cinque euro di fumo” vanno a contribuire e ad allargare il giro della criminalitàorganizzataincui,avolte,sitrovanocoinvoltiancheiminori. Per i reati minorili vengono introdotte pene rieducative come i lavori di pubblicautilitàelafiguradiunsupervisoredelminore.

La giustizia minorile mira a svolgere, dunque, una funzione educativa più che punitiva, ponendosi come obiettivo principale quello di coniugare la giustizia con il recupero e la tutela dei minori. Le misure adottate vengono adeguate alla personalità del minore coinvolto al fine di reintegrarlonellasocietà.

32

Dalla tecnologia le nuove logiche mafiose

di Sabrina Iarusso

Ostentazione,lusso,soldifacili,ricercacostantediapparire,celebrazione del proibito sono sempre più all'ordine del giorno nel mondo dei social, dove attraverso una semplice storia, un tik tok, un post o un meme si cerca di avvicinare il maggior pubblico possibile, abbracciando un'ampia fascia di età. La nascita di internet è da ritenersi la più grande scoperta fatta dall'uomo, ma, come afferma lo stesso Tim Bernes Lee, coinventore del web insieme a Robert Cailliau, ha cambiato del tutto la nostra vita, rivoluzionando il concetto di cultura e quello di conoscenza e avviandounaveraepropriatrasformazionesociale.

I bambini si avvicinano alla rete sin dalla più tenera età, imbattendosi in video informativi, in materiali divertenti, ma non sempre privi di pericolosità. Gli algoritmi alla base dei social sono stati alimentati a tal punto da conoscere i nostri gusti, le nostre abitudini e addirittura i nostri pensieri. Ciò sta portando al concetto di omogeneità, dove tutti hanno stessi desideri e stesse idee. Il pericolo dei nuovi strumenti si cela dietro l'angolo, la generazione moderna è infatti occupata non più ad alimentare la propria intelligenza ma quella artificiale, che in un futuro prossimo potrebbe superare l'uomo. L'avvento del nuovo ordine mondiale può prospettarsi come quello del film “The Matrix”, dove non vi è più distinzione tra mondo reale e mondo del web. Come affermano Francesco Mantovani e Antonio Nicaso nella prefazione del primo rapporto condotto dalla fondazione Magna Grecia “Sulle mafie nell'era digitale”, rifacendosi al film precedentemente citato, il termine Matrix tradotto con “grembo”, indica le sorti stesse del mondo, in cui la nascita umana non avverrà più, in futuro, solo nel grembo materno, ma anche in quello della rete. Dal 6 agosto 1991, data di nascita del web, sono ormai trascorsi trentadue anni: oggi tutti sono al passo con i tempi, dal bambino di 8 anni all'anziano 80enne, ma dal primo click che ha aperto le porte all'informazione rapida tutto è cambiato. A cambiare radicalmente sbarcando sul web sono state anche le mafie, che presto hanno iniziato i loro reclutamenti con l'utilizzo della criptofonia, la comunicazione cifrata e le criptovalute. Se prima la mafia era quella che viveva nell'ombra muovendosi attraverso minacce e stragi sanguinose, nel XXI secolo attraverso i social riesce a “convincere” sempre più persone, contando su un ampio consenso. Le prime mafie a sbarcare nel mondo digitale sono state quelle dei cartelli messicani, dando prova con video YouTube delle violenze e degli atti criminosi. Ma non solo: le associazioni mafiose incitano alla violenza, inserendo vagheggiamenti allusivi alla criminalità anche in molte canzoni che cantiamo, di cui ignoriamocompletamenteisignificati. Comefacciamoanonesserecoinvoltinelcyberbanging?Comepossiamo noi difenderci da ciò che ci si presenta dinanzi così naturalmente senza

alcun filtro? A dare risposa a queste domande sono state le continue ricerche condotte dalla Fondazione Magna Grecia, che mirano a sradicare i pregiudizi e gli stereotipi riguardanti la cultura mafiosa attribuita prettamente al Mezzogiorno d'Italia. Il primo rapporto intitolato “Le mafie nell'era digitale”, condotto dal sociologo Marcello Ravveduto, promuove diversi campi: da una parte si mira ad abbandonare gli stereotipi di correlazione tra Sud Italia e mafia, dall'altro, con analisi approfondite con il pieno rispetto della privacy, si cerca di definire i confini della mafia del web e di aiutare a proteggersi da questa. Lo studio parte da un doppio approccio sull'evoluzione mafiosa, da un lato umanistico e dall'altro informatico. Se negli anni Settanta ed Ottanta i miti dei ragazzini potevano essere Vito Corleone o Tony Montana, protagonisti di film come Il Padrino e Scarface, oggi non solo quei ragazzini hanno sostituito le pistole giocattolo con quelle vere, ma l'esaltazione della criminalità ha raggiunto strade più facili. Non ci troviamopiù di fronte a gruppi criminali a conduzione familiare, ma a vere e proprie “aziende”, in cui le logiche di organizzazione sono state del tutto stravolte ed adattate ai nuovi contesti. Con l'avvento di internet i boss mafiosi del passato sono diventati dei miti veri e propri, quasi paragonabili a personaggi fantastici come Spiderman o Batman, e per i nuovi incaricati è stato quindi più facile muoversi nel reclutamento. A far parte delle “aziende” mafiose ora non sono più solo semplici uomini “bisognosi”, ma veri e propri hacker che mirano al furto di dati e al rendere invisibili le associazioni nel mondo del commerciodelladrogaonline.

L'indagine della Fondazione Magna Grecia identifica diverse fasi: inizialmente le organizzazioni, non avendo dimestichezza del nuovo mondo, attraverso le geo-localizzazioni di Facebook assistevano alla cattura di molti boss; successivamente nascevano pagine e post in cui si esaltava la mafia; infine c'è stato il consolidamento vero e proprio delle organizzazioni,strutturatoalpuntotaledapersistere,rimanendoignotoanchealle forze di polizia. In base agli studi del primo rapporto del professor Ravveduto, l'unica speranza per poter andare avanti vivendo lontani dal “fare” digitale mafioso, è riposta nelle tecnologie dello Stato, che in questo campo sono ancora molto arretrate. Per arginare la criminalità mafiosa dobbiamo impegnarci a sradicare la cultura del possesso, dell'ostentazione e capire che l'imitazione del male non può portarci a nulla. Si spera in un futuro nel quale le libertà da difendere non saranno più quelle dei boss incarcerati, ma quelle che all'omertà preferiranno la sincerità e che ad una semplice emoticon a forma di pistola, di goccia di sangueodileonenonassocerannoilsangueversatodallapoveragente.

33

Genitori e devianza

di

Matteo Mercurio e Virginia Iarusso

Il modo in cui un genitore si rapporta con i propri figli, le sue scelte educative, la libertà che deciderà di lasciar loro porteranno ad una serie di conseguenze ed alla formazione vera e propria del figlio in questione. Si pensi ai genitori che difendono costantemente il comportamento del figlio, o altri che lo disconoscono, si pensi a genitori poco collaborativi, o, peggio, a genitori impegnati in importanti problematichesanitariedialtrifigli…

Ogni disattenzione di un genitore, ogni inclinazione alla sottovalutazione di un problema, ogni propensione a sovrastimare capacità o meriti, ogni “troppo” o “troppo poco” concorrono al comportamento deviante dei propri figli. Tuttavia, è difficile comprendere le vere motivazioni che spingono un giovane ad intraprendere una vita criminale: può essere colpa dell'ambiente sociale in cui si cresce, o addirittura di esempi familiari da emulare; non è escluso, infatti, che un giovane possa essere avviato ad una carriera malavitosa proprio da un genitore. Nel documentario del giornalista Michele Santoro, Robinù, una donna testimonia l'esperienza del figlio, attualmente in carcere, e di quanto il comportamento di suo padre abbia influito su di lui. La donna afferma: «Colpa del padre, perché suo padre pensava solo al lavoro, non al figlio. Andava con gente malamente,eancheTaieb(ilfiglio,n.d.r.)havistosuopadrefrequentaregente malamente e lo ha fatto anche lui. Ha visto il padre sparare, fare di tutto e lo sta facendo anche lui. Sono stanca della mia vita, di tutto. Sono stanca di quello che fa mio figlio. Sono stanca, ma sono la mamma, e la mamma deve sbattersi sempre per lui. Io, la mamma, faccio tutto». Pur contraria allastradacheilfigliohadecisodipercorrere,ladonnaèrassegnata,capisce che i principiche ilpadre ha trasmesso alfigliohanno portato a determinate conseguenze, e quindi lei non può fare altro che sostenere suo figliocomesolounamadrefarebbe. Non è infrequente, però, che ci siano genitori ignari delle scelte malavitose di un figlio. Un'altra madre, nel medesimo documentario, afferma: «Per 28 mesi sono andata al carcere, e per tutte le mamme non è bello vedere un figlio là dentro. Ha fatto uno scippo, è sbagliato, doveva pagare,èstatogiustochehapagato.Maperché,lamammanonsapevaquello che faceva il figlio? No, io non sapevo niente di mio figlio. Mio marito è un semplice comunale, io sono casalinga. È una famiglia semplice, modesta.

Forse gli avevo dato un po' di spazio, più libertà… Questo sarà stato il mio sbaglio? Forse è questo. Ora vorrei che aprisse gli occhi, per dirgli “Vedi comestosoffrendo?Mistodannando”».Ilragazzoinquestioneproviene da una famiglia semplice, con una buona educazione, e quindi anche la madre inizia a chiedersi come sia stato possibile che da un giorno all'altro suofiglioabbiapotutosentirelaspintaversoprincipilontanidaquellitrasmessiglidall'educazionericevuta.Ladonnaattribuisceasélacolpadella devianzadisuofiglio,allatroppalibertàedall'eccessodifiducia. Per comprendere meglio le cause per cui i ragazzi tendono a trasgredire è fondamentale capire anche il loro punto di vista, infatti a livello psicologico e relazionale nella sfera di vita di questi ragazzi ci sono alcune caratteristiche che possono essere identificate come fattori predittivi, come maltrattamentiopiùcomunementetraumiinetàinfantile,checonlosviluppodell'etàinfluenzanoneiminorenniazionicriminali.Ingeneresiconcorda nel ritenere la mente del bambino una tabula quasi rasa su cui si incidono, felicemente o infelicemente, impressioni e nozioni. Il genitore, d'altro canto, è come una penna che ha lo scopo di riempire completamente la tabula, in modo da garantire una buona formazione e una felicitàcostantefindall'infanzia,prevenendoletentazionichelastradadella criminalità può offrire, con gli inganni dei facili guadagni, del potere e del piaceresenzafreni.

Vale la pena citare William Godwin: “Il vero oggetto dell'educazione, come quello d'ogni altra morale disciplina, è la formazione della felicità”, ma il problema è che il concetto di felicità è talmente relativo, da subire spesso deformazioni, assumendo addirittura un significato così individuale,danontenereinnessunaconsiderazioneildirittodeglialtri.

34

A proposito degli IPM

di Pompeo Soricelli

Gli istituti penitenziari minorili cosi come sono oggi organizzati sono lontani da quella che dovrebbe essere la loro funzione ovvero i ragazzi che entrano nelle carceri dovrebbero essere aiutati a capire gli err commessi e cercare di riabilitarsi, mentre le nostre carceri, purtroppo sono al pari degli istituti penitenziari ordinari. Per garantire, quindi, funzione rieducativa delle carceri e non detentiva sarebbe auspicabile che una volta portatovi il minore autore del reato, questi dovrebbe rimanervi poche ore, al massimo un giorno. E qui uno staff di specialis ed educatori dovrebbe poi indirizzarlo verso strutture diverse. Sarebbe anche opportuno evitare che i minori dividano le celle con maggiorenni, ospitare nelle celle non più di 3 ragazzi e garantire loro ritorno nella società da ragazzi liberi e consapevoli degli errori fatti desiderosidinoncommetterneinfuturo.

Ovviamente non si può prescindere da quanto il Codice Penale prescrive, ovvero che «è imputabile chi, nel momento in cui commesso il fatto, aveva compiuto 14 anni ma non ancora i 18, se avev capacitàdiintendereedivolere.»

Emblematico, a questo proposito, è il caso di un ragazzo di 13 anni, accusato di aver maltrattato un compagno colpendolo con schiaffi pugni. Svolte le indagini ed ascoltato il minore, non è stato possibile istituirealcunprocesso,proprioperchéilragazzononeraimputabile. caso analogo di minore 15 enne finì con assoluzione per esito positiv della “messa alla prova” (questo significa far in modo che il minore ripari il danno, si riabiliti ed eventualmente faccia pace con la vittima del suo reato). Si ricordi, infine, che il processo minorile è diverso da quello ordinario,poichéc'èsemprelanecessitàditutelareilminore.

A proposito della devianza

Un primo errore che si commette quando parliamo di “devianza minorile” è il confondere questo fenomeno con la delinquenza, in quanto fa riferimentononsoloalcommetterereati,maanchealviolareregoleche possonoessereditiposocialeemorale.

Ovviamentepertalicomportamentisipuòessereimputabilidavantialla legge,madevonoesserepresentiduecondizionimoltoimportanti:bisogna aver compiuto il quattordicesimo anno di età (in virtù dell'articolo 97 del Codice Penale, non è imputabile chi non ha compiuto il quattordicesimo anno di età), ed è da valutare la capacità di intendere e di volere (l'accertamento va svolto in modo molto concreto per valutare la sanità mentaledelsoggetto).

ecenti studi criminologici permettono di risalire ad interessanti dati per capire il rapporto tra l'età e il comportamento deviante. In particolae,èbenericordarecheilmaggiornumerodireatisirealizzatrai15ei19 anni e l'età di desistenza dal crimine è tra i 20 e i 29. Attorno ai 20 anni la ommissionedeicriminidiventapiùspecialistica.

Ovviamenteladomandapiùfrequentequandosiaffrontanoquestetipologie di argomenti è: quali sono le cause di per le quali questi ragazzi prendonostradecosidiscutibili?

Le cause più frequenti possono essere ricercate tra: l'assenza di controlli sociali informali (ad esempio scuola, famiglia…), la minor consapevozzadeglieffettigiuridiciderivantidallacommissionediunreato;lanon ompletamaturazionedellapersonalitàdell'individuo.

Questi tre punti riassumono la situazione: molto spesso i ragazzi prendono vie sbagliate perché provengono da situazioni familiari difficili, o spiacevoli, per questo non sono supervisionati da parte dei genitori. Molto spesso ignorano o sottovalutano le conseguenze giuridiche di determinati comportamenti, e ancora più spesso i ragazzi che si avviano erso comportamenti patentemente devianti mostrano livelli di matuazione inferiori a quelli che, in quella fascia di età, dovrebbero manifestare.

35

Alla ricerca delle cause

di Francesco Volpone

Il comportamento deviante è un tema che preoccupa l'opinione pubblica, le istituzioni e gli esperti di settore. La crescente presenza di giovani coinvolti in attività illegali rappresenta una sfida per la società nel suo complesso. Ma quali sono le cause di questo fenomeno? Qualisonoglielementichevicontribuiscono?

Le cause delle devianze possono essere molteplici: fattori individuali, familiari, sociali ed economici. I fattori individuali giocano un ruolo significativo: problemi di salute mentale, bassa autostima, impulsività e mancanza di autodisciplina sono tra le cause più frequenti. I giovani che affrontano queste difficoltà possono essere più inclini a lasciarsi coinvolgere in comportamenti criminali come una forma di sfogo o per cercare di ottenere gratificazione immediata. Tuttavia, non si può trascurare l'importanza dell'ambiente familiare nel determinare il percorso di un giovane. Una famiglia disfunzionale, caratterizzata da conflitti frequenti, abusi o trascuratezza, può avere un impatto significativo sul comportamento dei giovani. La mancanza di una figura genitoriale stabile e di modelli positivi può contribuire alla mancanza di valori morali e all'adozione di atteggiamenti devianti. I fattori sociali svolgono anch'essi un ruolo chiave nella devianza. La pressione dei coetanei, l'appartenenza a gruppi delinquenziali o la presenza in quartieri ad alta criminalità possono influenzare il comportamento dei giovani. La mancanza di opportunità di istruzione, formazione professionale o di occupazione può anche spingere i giovani verso la strada del crimine, in cerca di una via d'uscita dalla povertà o dalla mancanza di prospettive.

Infine, i fattori economici sono spesso strettamente legati alla delinquenza giovanile. Le disuguaglianze socioeconomiche, la povertà, l'accesso limitato alle risorse e le difficoltà economiche all'interno delle famiglie possono essere fattori determinanti che spingono i giovani verso l'illegalità.

La necessità di sopravvivere o di garantire il proprio sostentamento può spingere alcuni giovani a coinvolgersi in attività illegali, come il furto o lo spacciodidroga.Èimportantesottolinearechelecausedelladelinquenza minorile sono spesso interconnesse e si influenzano reciprocamente. Ad esempio, un contesto familiare disfunzionale può favorire l'insorgere di problemi individuali, che a loro volta possono portare a un'adesione a gruppidelinquenziali.

Affrontare la delinquenza minorile richiede un approccio complesso e multidisciplinare: gli sforzi dovrebbero concentrarsi sulla prevenzione primaria, mirando a promuovere una sana crescita e sviluppo dei giovani, nonché sull'intervento tempestivo e mirato per coloro che sono già coinvoltiinattivitàcriminali.Soltantoaffrontandolecauseprofondedella delinquenza minorile, come i fattori individuali, familiari, sociali ed economici,potremosperaredicreareunfuturomigliore.

36

Narcotraffico ed effetti delle droghe di Luca Forgione

Le organizzazioni criminali detengono, come tutti sanno, il monopolio della droga, sempre più diffusa al punto da poter essere acquistata con grande facilità, mettendo a repentaglio intere generazioni di giovani incuriositi dagli effetti che essa può provocare.

Le bande malavitose si riforniscono principalmente dai cartelli della Colombia, Argentina, Brasile, Cile, da cui proviene la maggior parte delle sostanze che girano in Europa, Italia compresa. Il traffico internazionale di droganelcorsodegliannièstatocontrollatosemprepiùrigorosamente,magliespedienticuiinarcotrafficanti ricorronopereludereleintercettazionisonodavveromoltiesorprendenti:sivadagliovuliingeritidaitrasportatori alle statuine apparentemente in terracotta, fino ad arrivare alla cocaina liquida nelle sneakers, al thc nelle patatine, alle carrozzelle per invalidi modificate per accogliere pacchetti di sostanze di ogni genere… E quando la droga arriva a destinazione, ecco che la malavita ricorre a giovani, spesso pagati direttamente in sostanzecheessistessiassumono,perprovvedereallospaccio.

Anche in una semplice e tranquilla città come Benevento il traffico di droga è intenso, perché le bande criminali sono attive e presenti giornalmente nelle nostre vite: talvolta, però, sfugge che quando si va ad acquistare “un paio di canne” in realtà si concorre ad alimentare un mercato interamente gestito dalla malavita, poiché l'acquistodistupefacentièvietatodallalegge.Traledroghepiùcomunismerciateeutilizzatedallestesseorganizzazioni possiamo trovare la cannabis, cocaina e metanfetamina, anche se da qualche anno l'eroina, caduta in disuso per un po', ha ricominciato a circolare in quantità crescente. Anche la cannabis, ritenuta una “droga leggera”, può causare diversi problemi sia a breve che a lungo termine. Tuttavia, è importante notare che gli effetti e i rischi associati alla cannabis dipendono da vari fattori, come la frequenza e la quantità di consumo. L'uso di cannabis può causare effetti immediati, come alterazioni della percezione sensoriale, coordinazione motoriacompromessa,difficoltàdiconcentrazione,edeffettipiùdannosi,comeproblemidimemoriaabreve termine, dipendenza, ansia, depressione, psicosi e schizofrenia, disturbi dell'apprendimento e dell'attenzione,problemirespiratori.

La cocaina è una potente droga stimolante che può causare una serie di problemi fisici e psicologici: agisce sul sistema nervoso centrale,il che porta a sensazioni di euforia; glieffetti a breve terminepossono includere iperattività,aumentodell'energia,insonnia,paranoiaeirritabilità;colpisceancheilcuore,ipolmonielevierespiratorie. L'uso di cocaina può causare gravi problemi cardiaci, può aumentare la pressione sanguigna, accelerare il battito cardiaco. L'inalazione di cocaina può danneggiare il naso e le vie respiratorie, l'uso continuo causa irritazione nasale, sanguinamento del naso; fumare cocaina, invece, può causare tosse cronica, difficoltàrespiratorie,polmoniteealtrecomplicazionipolmonari.

Lametanfetaminaèunapotentedrogastimolantecheagisce,comelacocaina,sulsistemanervosocentrale.A differenza delle altre droghe, è un composto sintetico e aumenta l'attività dei neurotrasmettitori. Gli effetti della metanfetamina sono estremamente stimolanti: sensazioni di euforia, aumento dell'attenzione, diminuzionedell'appetito.Traiproblemialungoterminelaperditadimemoria,laparanoiaeansiaestrema. Èimportantesottolinearecheogniindividuoèunicoeglieffettidell'usodidroghepossono variaredapersona a persona. Per non andare incontro a queste malattie bisogna tagliare il problema non dal tronco, ma estirparlo dalle radici; quindi, eliminare una volta per tutte queste organizzazioni che portano all'estinzione della societàfutura.

37

La mafia nella cultura popolare

di Antonio Cardone e Angelo Costanzo

Irapportitramafiaegiovanisonountemadelicatoecomplesso:lamafiaèsemprestataalimentatadalpotenzialereclutamentodigiovani vulnerabili che cercano un senso di appartenenza e di sicurezza in un ambiente dove l'opportunità economica è scarsa e dove la cultura dellalegalitàedellatrasparenzaèdeboleoaddiritturaassente.

38

La mafia è una realtà criminale molto complessa e influente. La convinzione che sia radicata solo in Italia, e in particolare nel Sud del Paese, è stata ormai sfatata da innumerevoli testimonianze: è in realtà un'organizzazione internazionale, che opera in molte parti del mondo ed in diversi settori, dal traffico di droga alla prostituzione, dal gioco d'azzardo all'estorsione, per citarne solo alcuni esempi. Naturalmente agisce nell'ombra, nascondendosi dietro una facciata rispettabile e insinuandosinellavitaquotidianadellepersone.

La cultura popolare è stata influenzata in modo significativo dalla presenza della mafia. I mafiosi sono stati rappresentati in diversi modi nella letteratura, nel cinema, nella musica. Queste rappresentazioni hanno creato una serie di stereotipi, che spesso non corrispondono alla realtà e che possono avere un impatto negativo sulla percezione delle personedellamafiaedellacriminalitàorganizzataingenerale.

In Italia, la cultura popolare è stata influenzata dalla mafia, soprattutto in Sicilia, dove l'efferata associazione è storicamente presente e dove il fenomeno del “pizzo” è ancora molto diffuso. La letteratura italiana affronta per la prima volta in via ufficiale gli effetti della presenza della mafia nelle vite ordinarie dei cittadini ne “Il giorno della civetta”, di Leonardo Sciascia: nel 1961 esce questo romanzo che racconta le indagini del Comandante Bellodi, impegnato nel caso di un misterioso omicidio di un celebre imprenditore locale, in un tessuto urbano nel quale l'omertà, la connivenza e soprattutto l'inclinazione alla negazione del fenomeno mafioso costituiscono gli atteggiamenti più diffusi nella popolazione. Ma già la pubblicazione de “Il Gattopardo”, di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, avvenuta qualche anno prima, mostra come le attenzioni ad un mondo opaco e corrotto rappresentassero un segnale di interpretazione di fatti della realtà che avevano radici antiche: il romanzo, infatti, è ambientato ai tempi dell'Unità d'Italia, ma allude ai comportamenti che i siciliani tendono ad adottare con estrema facilità, preferendo lasciare le cose come stanno, piuttosto che lottare per migliorarle. Del romanzo in questione il regista Luchino Visconti fece una grande versione cinematografica nel 1963, ottenendo la Palma d'Oro al FestivaldiCannesenumerosialtririconoscimentiinternazionali.

Negli anni '70, il cinema si interessò sempre di più alla mafia e alla

criminalità organizzata. Film come “Salvatore Giuliano”, di Francesco Rosi, “Camorra”, di Pasquale Squitieri, e naturalmente "Il Padrino" di Francis Ford Coppola, hanno contribuito a creare una visione addirittura romantica e mitizzata del fenomeno. Queste opere hanno generato una serie di stereotipi che ancora oggi sono presenti nella cultura popolare, così da finire anche nell'immaginario americano, grazie a film come “Scarface” e “Gli Intoccabili”, di Brian De Palma, "Goodfellas", di Martin Scorsese, e più recenti serie come "The Sopranos", per non parlare della serieitalianapiùcelebreintemadimafia,“Lapiovra”

Tuttavia, la cultura popolare può anche servire come deterrente per coloro che sono tentati di avvicinarsi al mondo della mafia. Ad esempio, nel film "Gomorra" del regista italiano Matteo Garrone, vengono mostrate le conseguenze devastanti della vita nella criminalità organizzata. Il film, premiato a Cannes nel 2008 con il Gran Premio della Giuria ed insignito di innumerevoli altri riconoscimenti nei festival di mezzomondo,èstatomoltoapprezzatodallacriticainternazionaleperla sua capacità di mostrare la quotidianità dei criminali senza ricorrere a tentativiedulcorantioafiltriromanzeschi.

La cultura popolare può anche servire come strumento educativo per aiutare i giovani a comprendere i pericoli della mafia: è il caso delle opere di Roberto Saviano, spesso impiegate nelle scuole come spunto di riflessione sui fenomeni criminali, il cui pregio è soprattutto quello di presentarsi come fedeli ricostruzioni, realizzate quasi con taglio giornalistico, di situazioni malavitose, che però non scadono in immagini convenzionaliedaffettate.

Un altro efficace esempio di come la cultura popolare possa essere a servizio della lotta alla mafia è il progetto "Libera", una rete di associazioni, cooperative sociali, movimenti e gruppi, scuole, sindacati, diocesi e parrocchie, gruppi scout, attiva dal 1995, il cui compito è non solo quello di combattere le “mafie” in tutte le loro manifestazioni, ma di promuovere soprattutto comportamenti legali, sostenendo la giustizia sociale, assicurando la ricerca di verità, tutelando i diritti e garantendo una convivenza democratica e civile, rispettosa dei diritti naturali e dei principidellaCostituzione.

39

LA PARANZA DEI BAMBINI

L’impossibilità di sfuggire a un destino segnato

Il futuro di ogni individuo può essere influenzato da vari fattori come per esempio: le scelte e le azioni della persona stessa, le circostanze esterne,leinfluenzesocialieculturali,l'ereditàgenetica,l'ambienteincuiviveemoltialtrifattori.

NelfilmLaparanzadeibambiniquestoargomentosaltasubitoall'occhio: i protagonisti, un gruppo di adolescenti si trovano in una situazione in cui le opportunità di crescita personale e di sviluppo sono estremamente limitate. La mancanza di istruzione adeguata, l'assenza di infrastrutture e la disoccupazione dilagante rendono difficile per questi giovani immaginareunfuturodiversodaquellochelicirconda.Inbrevenoisiamogliartefici del nostro futuro, quindi qualsiasi scelta decidiamo di compiere detterà il nostro futuro; ma in alcune circostanze, le scelte fatte da un individuo potrebbero essere influenzate sia dall'ambiente e sia dalle persone con cui l'individuo spende il tempo libero. Per questo, un ambiente in cui domina la criminalità può avere un impatto significativo sulla vita e sul futuro di un individuo. Le persone che vivono in contesti dominati dalla criminalità sono esposte quotidianamente a svariate forme di violenza,

corruzione e pressione sociale, che però rischiano di presentarsi come l'ordinarietà,la“regoladivita”allaqualesitenderàaconformarsi.Questi fattori possono influenzare il loro comportamento e le loro scelte, spingendoli ad entrare in contatto con la criminalità, diventare vittime o autori di atti illeciti o sviluppare atteggiamenti disfunzionali nei confronti dellalegalitàedellamoralità.

Tuttaviailfilmnongiustificanéglorificalacriminalità.Anzi,mostraleconseguenze tragiche che la scelta di abbracciare la vita criminale può avere sulla vita dei giovani e su quelle delle persone a loro vicine. Il film invita lo spettatore a riflettere sull'importanza di offrire ai giovani opportunità di crescita e sviluppo, oltre a sottolineare l'importanza dell'educazione e dellaprevenzionepercontrastareladiffusionedellacriminalità.

40

«Don Vittorio l'Arcangelo, voi non avete uomini ma tenete le armi. Io tengo gli uomini ma la santabarbara che tenite vuje me la posso solo sognare.»

Nicolas «Maraja»

Bambini con la pistola

di Elisa De Ioanni, Francesco Gennaro Galietta, Emanuela Guerrera, Marika Petrillo e Guido Volpe

Nicolas, soprannominato il Maraja, capo della paranza dei bambini, un gruppo di ragazzi le cui età varianodai14ai16anni,cercaconquesteparolediotteneredellearmiconlequaliassicurarsiilcontrollo di una piazza di spaccio affidatagli dal boss rionale. Uno dei motivi principali dell'avvicinamento dei giovani alla violenza e alle armi è la necessità di ottenere il predominio sulle “piazzedispaccio”,un'attivitàche,comesisa,èsicuramenteillecita,maassolutamenteredditizia.Il protagonista inizialmente è spinto ad intraprendere questo “lavoro” con lo scopo di aiutare la sua famiglia, ed in particolare la mamma, la quale non riesce a sostenere i costi del “pizzo”, che andavano man mano a gravare sulla situazione economica dei piccoli imprenditori. Saldati i debiti, il Maraja e la sua paranza, abbagliati dallo splendore della ricchezza, non solo non abbandonano la cattivastradapercorsafinora,anziespandonoulteriormenteilloromercato.

Il problema delle devianze minorili si combatte sin dalla nascita. Alcune famiglie lottano al fine di ostacolarle,mentrealtreleappoggianoelefavoriscono;parliamodispaccio,violenzaeusodiarmi. Nella maggior parte dei casi quest'ultima questione torna utile alla società, ma in altre situazioni va a creare effetti negativi indirizzando i giovani verso la violenza, aumentando in loro l'aggressività e la rabbia interiore, che viene poi sfogata nel peggiore dei modi. A partire dalle pistole giocattolo, oppure dagli sport praticati con le armi, come il tiro a segno, i bambini sin da piccoli vengono istruiti all'utilizzo di queste ultime. Non tutti sanno che oggi in Italia anche i minorenni possono praticare il tiro a segno con armi ad aria compressa già a partire dall'età di 10 anni. Ma anche con vere armi da fuocogiàdai14anniconunasempliceautorizzazionescrittadeigenitori.Mac'èdipiù:aiminorenni in Italia è permesso l'accesso anche a delle vere e proprie fiere di armi. In questo caso è sufficiente chesiano"accompagnatidaunadulto",cioèunapersonacheabbiacompiutoalmeno18anni,nemmenodaigenitori.Addiritturaperiragazzifinoa13annil'ingressoègratuito. Ormai è molto frequente vedere un minorenne con un'arma da fuoco, ma è proprio questa facilità che deve allarmare la società odierna... Occorre chiederci come mai la violenza sia così diffusa soprattutto nei giovani e cercare le risposte e le cause dal principio, ovvero dall'infanzia e dall'educazione ricevuta. Educare un figlio è un compito complesso, provoca felicità e allo stesso tempopaureedincertezze;per“educare”nonsiintendesoloinsegnarecoseecomportamenticorretti, ma anche insegnare a vivere, ad affrontare i cambiamenti e le avversità. Non esiste un “manuale”deibravigenitori,masicuramenteilloro“mestiere”devebasarsisulprincipioditenereipropri figli lontano il più possibile dalla violenza e dall'illegalità. Contribuisce in modo determinante all'educazione dei giovani anche la scuola, che funge da manifesto di propaganda per la lotta alla mafia,infattisonomoltelemanifestazionivolteallasensibilizzazionedeigiovaniall'argomentopartendo dalla loro quotidianità. L'ambiente scolastico condiziona molto le scelte dei ragazzi, infatti la cultura dovrebbe indirizzarli sulla retta via, ma non tutti traggono il giusto insegnamento da ciò che apprendono, cosi come Nicolas che apprezza Il Principe di Machiavelli, poiché afferma di voler comandarecomelui.

Oggi ognuno tende a considerare “normale” la situazione drammatica di giovani coinvolti in azioni illecite;perquestobisognareagire,ognunonelpropriopiccolo,poichéciòchespaventadipiùnonè laviolenzadeicattivi,mal'indifferenzadeibuoni:avoltel'indifferenzaèpiùcolpevoledellaviolenza stessa.

41

L’educazione criminale secondo Saviano e Giovannesi

La trama del film ruota attorno a una banda di ragazzi disposti a tutto pur di diventare i nuovi signori del crimine. Con l'aiuto dei suoi amici, Nicolas inizia a vendere droga in tutta la città, diventando sempre più ambizioso e senza scrupoli. Tuttavia, la sua sete di potere porta il giovaneedisuoicompagniacompiereazionisemprepiùrischioseeviolente.

Più che la criminalità e la seduzione dei facili guadagni, sembra che il tema principale del film sia la disperazione causata dalla povertà e dalla mancanzadiopportunitàperigiovanidellaclasseoperaiadiNapoli.Iprotagonisti vivono in quartieri poveri e vedono solo nel crimine un modo per sopravvivere e prosperare. Non avendo speranza di una vita migliore, cercanofama,denaroepotere,ancheacostodicommetterecrimini.Claudio Giovannesi e Roberto Saviano mettono in luce i problemi della societànapoletananelmodopiùcrudopossibile,mostrandolaviolenzae l'insicurezzaincuisitrovanoquestigiovani.Ilfilmmostraanchelapericolosità delle bande giovanili e il loro potenziale distruttivo sulla società. Questi ragazzi sembrano privi di grandi qualità o ideali e si affidano solo alla brutalità per ottenere ciò che vogliono. Non vedono il mondo al di là della loro cerchia ristretta e non considerano nemmeno gli effetti delle loro azioni sulle persone che li circondano, sia emotivamente che fisicamente. È a questo atteggiamento che si riferisce l'espressione "paranza dei bambini", una definizione che si accompagna a un gruppo di minigang che agiscono sotto la guida di un leader, di solito un giovane poco piùgrandedeglialtri.

La paranza dei bambini affronta anche il tema della mancanza di figure genitoriali. I genitori dei protagonisti sono assenti in gran parte del film e, nella maggior parte dei casi, sono autoritari e violenti, mentre i ragazzi crescono senza un'educazione morale, con il risultato di diventare figli indisciplinati di genitori che per loro sono più un problema che una soluzione. In qualche modo diventano simili a padri e madri dediti al crimine, accettandoquestostiledivitacomeunicasoluzionepossibile. Sebbene il film descriva realisticamente la situazione sociale di Napoli e i giovani che cercano fama ed esaltazione attraverso il crimine, cade spessonellatrappoladiidealizzarelavitadeigangster Iprotagonistisono mostrati in modo controverso, come persone che godono di potere e denaro, ma che rimangono intrappolate in un circolo vizioso che porta

soloallamorteoall'arresto.Sonospessoritratticomeeroi,maallostesso tempovediamoleconseguenzedelleloroazioni,ovverolamorteelaperdita di amici e familiari. Impariamo che i giovani che si trovano nel vuoto lasciato da una società incapace di soddisfare le loro aspettative, cercano una redenzione, una presa di possesso di qualcosa; e il crimine è spesso l'unicomodoperraggiungerequestoobiettivo.

Il film si differenzia dai soliti film sulla criminalità organizzata, perché si concentra sull'esperienza degli adolescenti e sui loro problemi specifici. Laparanzadeibambini mostra come le condizioni socio-economiche e la disperazione di una città possano portare anche i giovani a commettere atticriminalinellasperanzadiunavitamigliore.

Èimportantenotarechecisonoancorapochericerchesulleconseguenze del coinvolgimento dei minori nella criminalità organizzata a Napoli, e gli studi condotti in altre regioni d'Italia spesso non tengono conto delle esperienze dei giovani del Sud Italia che sono direttamente colpiti dal coinvolgimentonellacamorra.

La storia dei giovani camorristi è un riflesso della disuguaglianza economica e sociale che affligge molte parti del mondo, dove gli adolescenti sono spesso costretti a cercare vie illegali per migliorare la propria situazione economica. Tuttavia, come mostra il film, la ricerca di potere e ricchezza attraverso la criminalità organizzata porta spesso a conseguenze tragiche e distruttive per le comunità coinvolte. È necessario uno sforzo collettivo per affrontare il problema complesso e radicato della criminalità organizzata nella società, lavorando per creare opportunità economiche e sociali per i giovani in modo che possano perseguire strade legali permigliorareleloroviteeillorofuturo.

Solo facendo così possiamo sperare di porre fine alla diffusione della criminalitàorganizzataeaiutarelecomunitàaprosperare.

Scelte obbligate di giovani senza futuro

«L'apprendimentoèbidirezionale:apprendiamodall'ambienteel'ambienteapprendeevienemodificatodallenostreazioni.»

Come afferma lo psicologo canadese Albert Bandura, noi apprendiamo dall'ambiente, poiché il nostro patrimonio genetico determina solo in piccola parte ciò che siamo e ciò che saremo. Decisivo, al fine di definire la nostra identità, è l'ambiente in cui viviamo: infatti se prendessimo in considerazione due gemelli omozigoti e li ponessimo in due contesti completamentediversi,questicrescerebberoconuninsiemedicomportamentie valori legati alla condizione in cui vivono e inevitabilmente intraprenderebbero strade dissimili, nonostante il loro patrimonio genetico sia identico. Questo è il motivo per il quale molti giovani che crescono in ambienti poco serenitendono ad avvicinarsi sin da piccoliallacriminalità organizzata, poiché vedono in essa la strada più semplice che garantisce loro un futuro di ricchezza e rispetto. Questo tema così delicato viene affrontato nel libro La paranza dei bambini, in cui un gruppo di ragazzi che vivono familiarmente situazioni poco serene, per soddisfare i propri desideri si avvicinano pian piano alle organizzazioni criminali. A mettere in luce questo aspetto sono le righe in cui Saviano ci racconta che Nicolas e i suoi amici una sera si avvicinano ad un locale esclusivo e costoso e i bodyguard non permettono loro di entrare. Proprio per questo iniziano a

42

vendere droga ed iniziano a guadagnare somme ingenti che garantiranno loro un tenore di vita pari alle loro ambizioni. Una volta raggiunto questo scopo, Nicolas e i suoi amici distolgono la loro attenzione dal denaro e diventano sempre più assetati di potere, decidendo così di procurarsi delle armi che utilizzano senza alcuno scrupolo. Le persone del quartiere quando vengono a conoscenza dei crimini commessi, li accettano quasi con tranquillità, perché conoscono i mandanti e le motivazioni e sanno che accontentando i criminali e lavorando per loro non hanno nulla da temere. Tale sistema corrisponde alla normalità per chi in questo tipo di ambiente ci è nato e ci vive da sempre, pertanto risulta complicato ribellarsiaquestoschemachefacomodoamolti,mentremagarièperaltriuna trappoladacuinonsiriescepiùaduscire.

Perciò bisogna stare attenti alle scelte che si compiono durante la vita, influenzate soprattutto dall'educazione che si riceve fin da bambini, ma anche da un altro elemento importantissimo: l'istruzione. La scarsa istruzione di molti di loro è un elemento determinante: i ragazzi protagonisti

del libro di Saviano frequentano saltuariamente la scuola, passano le loro giornate in giro sui motorini o a divertirsi. La scuola, che non a caso è temuta dai malavitosi più dei tribunali, risulta fondamentale nella formazione dei ragazzi prima di tutto come persone, perché insegna loro a ragionare con la propria testa e li indirizza verso la strada giusta, che non sempre è quella più semplice e scontata. La cosa che fa più paura è che a causa dell'ignoranza i ragazzi cresciuti in contesti difficili tendono a glorificare i mafiosi più potenti e più temuti. I personaggi che ammirano non sono Leonardo Da Vinci, Isaac Newton o Giovanni Falcone, ma Al Capone, Totò Riina o Raffaele Cutolo, che sono stati individui tutt'altro che da elogiare.

Col passare del tempo, i protagonisti da adulti saranno a loro volta degli esempi per i bambini e i giovani che crescono nelle stesse condizioni, creando una sorta di catena infinita. Perciò è importante il ruolo di istituzioni quali la scuola e la famiglia, che devono educare i giovani in modo da contribuireamigliorarel'ambienteincuivivono.

La rete che intrappola i piccoli pesci di Emanuele Vicario

Mi chiamo Fabio (nome di fantasia), ho vent'anni e vivo a Napoli: quello che è capitato a me succede spesso, troppo spesso… Maancoranonimpariamochecertecosenondevonoaccadere…

A febbraio a Napoli non fa mai tanto freddo, eppure in quel pomeriggio umido dal mio respiro partivano enormi sbuffi di vapore che mi coprivano la faccia. Alle 17:00 era già buio pesto, la strada era impregnata come se avesse piovuto, eppure non era caduta nemmeno una goccia di pioggia fino ad allora. Il mio respiro mi riempiva il viso di condensa e rendevasemprepiùdifficiletornareacasa…Eraunmalinconicocalvario. Il silenzio era assordante, il mio quartiere non era mai stato così caotico prima di allora; è incredibile quanto il chiasso dei pensieri rimbombi nella mente quando intorno non si sente volare una mosca… Ero quasi a casa, quando i miei pensieri si interrompono per un tremolio, quasi un rumore di denti che sbattono per il freddo, come onde contro gli scogli. Nel buio riconobbi una piccola sagoma: esile, impaurita, stranamente non infreddolita. Era un bambino… Mi avvicinai per vedere come stesse: non mi sembravainottimasalute…

- “Nun te move… statte fermo addo staje!” disse rompendo il silenzio e bloccandomi con uno sguardo impietrito. Cercai di fargli capire che non avevanulladatemere,cheavreipotutodarglisupporto.

- “Si te muove te chiavo 'o curtiello 'nganna… si allucche te chiavo 'o curtiello 'nganna… si nun faje chello che haje fa' te chiavo nu curtiello 'nganna…” mi diceva minacciandomi con un coltellino svizzero: “Ramme tutto chellochetieneefuittenne!”

Sembrava agire più per paura che per convinzione, per questo ne approfittaiperfarglicapirechenonavevonulladadargli,senonilmiocappotto e qualche spicciolo… Era paura quella che gli si leggeva negli occhi, era solofintocoraggio…

- “Come ti chiami?” gli chiesi. Quasi balbettando mi rispose: “Mi… chiamm' Michael; ma p'i guagliune so Mich” Non era infreddolito, ero convintocheavessepaura…

Mi tolsi di dosso il giaccone e glielo offrii, mentre lui gettò il coltellino nel cassonetto accanto a lui. Quasi barcollante, mi permise di guardarlo in faccia: il suo occhio destro era tumefatto, fresco di un pugno ben assestato. Mi si strinse lo stomaco, non sapevo cosa dirgli, mi congelai a fissarlo, esattamente ad un metro dal suo volto stanco e ferito. Gli proposi di andare insieme alla parrocchia vicino casa, senza continuare la conversazione, perché ero sicuro che don Marco lo avrebbe accolto e avrebbe potuto indirizzarlo verso centri di volontariato pronti a dare al piccolo un tettoetuttiisupportinecessari.Ilsilenziononerapiùquellodiprima,era rotto dai suoi piedi che calpestavano l'asfalto con un ritmo incessante, come se si muovesse per inerzia, a causa della stanchezza. Lo affidai al sacerdote, e a salutarmi riuscì solo con un gesto ed inclinando il capo di qualchegrado,comeperringraziarmi.

Non riuscivo a dormire, non riuscivo a togliermi dalla mente la faccia

43

sofferente di Mich, e il suo tremolio che spezzava la malinconica quiete di un pomeriggio d'inverno. Chi lo aveva picchiato? Perché?

Avevaigenitori?Sioccupavanodilui…?

Sono passati molti mesi da quel pomeriggio, e Michael non è più un teppistello, ma un bravissimo ragazzo che va a scuola come tanti, ma di speciale ha la gran dote di fare con il prossimo ciò che qualcuno ha fatto per lui. Mi ha scritto spesso, mi ringraziava, mi mostrava che aveva imparato a scrivere e che aveva il grande sogno di combattere la camorra, per la quale aveva confessato di dover svolgere quotidianamente i “lavoretti” che gli venivano affidati: si comincia con piccoli furti, per poi diventare uno spietato rapinatore…siparteconuntemperino,esiarrivaalkalashnikov…

A ridurlo in quello stato era il suo “boss”, un altro ragazzino poco più grande di lui, capace di farlo cadere nella rete semplicemente rega-

landogli il pallone originale del campionato italiano, che lui tanto desiderava. È così che molti abboccano, con la promessa di coronare i sogni dei ragazzini: vestiti griffati, mini-moto, motorini, scarpe, videogame… Una volta “catturati”, i piccoli scagnozzi restano fedelial padrone per ottenere ricompense, e così vengono avviati in carrieremalavitose.

Sono fiero di Mich, ma sono giorni che non lo sento al telefono: forselagiustiziahachiestoilsuoaiuto!

(Qualchegiornodopo)

Mi ha chiamato don Marco: hanno sparato a Michael mentre cercava di aiutare dei piccoli ragazzini pronti per commettere lo sbaglio più grande della loro vita. Ad ucciderlo è stato proprio il boss che quellaseraloavevapestato…Ilbossadessoèall'IPM…

44
disegno originale di Alessia Luciani

«Amunì»: per ricominciare a sognare

di Benedetta Bosco e Martina Santoro

Il 14 dicembre 1994 nasce Libera, l'associazione definita “Cartello di associazioni contro le mafie", fondata da don Luigi Ciotti, giàfondatoredelGruppoAbele,chesioccupadellalottaalledipendenzediqualsiasigenere. Libera rappresenta un “noi”, una rete di associazioni che opera contro le mafie, la corruzione, i fenomeni di criminalità e promuove la cultura della legalità, la giustizia sociale, la ricerca di verità, la tutela dei diritti, l'uguaglianza attraverso svariate iniziativechehannol'obiettivodisostenere,coinvolgereerieducare.

Quel “noi” prende le sembianze di tutti, perché le mafie e la corruzione sonounproblemasocialeeculturale,daaffrontareunendoleforze. L'operadiLiberavuoleriqualificareluoghiepersoneinunprogettodirigenerazione urbana e culturale, di formazione e reinserimento. Tutto questo partendo dai giovani coinvolti attivamente in contesti mafiosi e quindi inreaticommessiinquell'ambito.

Si parla di “giustizia riparativa” che prevede la partecipazione attiva della vittima, del colpevole e della stessa comunità, in modo che la pena non porti più esclusivamente alla limitazione della libertà personale, ma a rimediare al reato commesso. In Italia questa modalità viene attuata tramite la “messa alla prova”, una misura prevista per i minori dal DPR 448 del1988,estesanel2014anchealsistemapenaledegliadulti,seppurcon molti limiti. Ai minori che hanno commesso un reato viene offerta la possibilità di estinguerlo attraverso l'adesione a un progetto educativo che viene elaborato dai servizi minorili della giustizia e con la collaborazione dialtreassociazioni.

Uno dei progetti di Libera è “Amuní”, avviato nel 2011 in Sicilia e rivolto ai ragazzi dai sedici ai venti anni sottoposti a procedimento penale dall' Autorità giudiziaria minorile. “Amunì” è un'esortazione che in dialetto palermitano vuol dire “andiamo”, “diamoci una mossa”, un'incitazione a riprendereinmanolapropriavitaeilpropriodestino,aricominciare,dandosi nuovi obiettivi. È una spinta per i ragazzi a prendere coscienza di sé e cominciare un cammino di crescita, che può portarli a cancellare i loro debiti con la giustizia e soprattutto a costruirsi un futuro legale e pulito, comeogniragazzomerita.

Le attività di “Amunì” non sono pensate per essere svolte individualmente, ma in gruppi. I giovani partecipano a incontri settimanali in modo che ci sia un confronto tra ragazzi e ragazze che parlano gli stessi linguaggi e che hanno avuto esperienze simili. Anche gli operatori della giustizia minorile, incaricati dal tribunale di seguire i giovani durante il periodo di messa alla prova, sono presenti alle attività. Questo permette che si crei un rapporto diverso da quello esclusivamente istituzionale, un rapporto più diretto tra istituzioni e giovani, i quali cominciano a conoscere diver-

samentel'adulto,afidarsidiluiequindiancheaconfidarsi.

L'attività di “Amunì”tocca quattro temiprincipali:la memoria,l'impegno, lacittadinanzaattiva,ilviaggiocomemomentodiconfronto.

Alcune delle esperienze con cui i ragazzi compiono questo percorso sono gli incontri con i familiari delle vittime della criminalità organizzata e le visite a luoghi simbolo delle stragi mafiose. Una delle esperienze più importanti è anche il viaggio del 21 Marzo in occasione della giornata della Memoria e dell'Impegno per ricordare le vittime innocenti delle mafie, che porta ragazzi di diverse città a vivere un'esperienza di condivisioneeformazioneresidenziale.

UnaltromomentofondamentaleèquelloneiCampidiImpegnoeFormazione sui beni confiscati, un progetto finalizzato alla valorizzazione e alla promozione del riutilizzo sociale dei beni sequestrati alle mafie, nonché allaformazionedeipartecipantisuitemidell'antimafiasocialeeallaconoscenzadeiterritoricoinvolti.

Queste esperienze costituiscono per tanti ragazzi un arricchimento del proprio percorso di riscatto dagli errori commessi e di emancipazione dai propri contesti socio/culturali di provenienza. Un ulteriore momento di reinserimento sociale è legato alle attività sportive, che hanno una finalitàeducativa.Sipraticasoprattuttoilcalcio,malepartitesigiocanosenza arbitro, si gioca solo per divertimento e chi commette un fallo deve “chiamarlo”,cioèammetteresubitodiaverlocommesso.

È un progetto impegnativo cha dà grandi soddisfazioni perché è in grado di far rinascere giovani autocondannati ad un destino di morte donando loro il coraggio di uscirne rinnovati. Questo è possibile perché Amunì non si ferma al pregiudizio, ma tratta i ragazzi tutti alla stessa maniera facendolisentireunicieuniticomeunagrandefamiglia.

L'associazione lascia ai giovani un bagaglio di esperienze e conoscenze che li aiuta a vedere senza filtri la realtà e farsene un'idea consapevole. I ragazzi imparano a tirare fuori sé stessi e le proprie ricchezze personali fino ad allora sepolte dagli errori e dai cattivi esempi e scoprono che ricominciareèsemprepossibile.

45

«Muschilli»: bambini nelle mani della malavita di Giuliana Coppolaro e Lucrezia De Figlio

In una realtà come la nostra a rischiare non sono gli adulti, bensì i bambini, i ragazzi, coloro che, perché minorenni, non corrono il pericolo di essere sbattuti dietro le sbarre. Ne fa cassa in particolare il Sud, dove ritroviamo queste gang di baby spacciatori,ordinariamentechiamati“muschilli”

In italiano sono i moscerini, esseri piccoli e fastidiosi, che a volte nemmeno si vedono e sono difficili da prendere: un'allegoria per alludere a bambini che si muovono da un posto all'altro, senza dare troppo nell'occhio. Il loro compito è quello di spacciare: molte volte lo fanno anche davanti agli occhi delle forze dell'ordine, approfittando proprio della loro età e del fatto che nessuno ha il sospetto che possano far parte di questo mondo delinquenziale. Il ruolo delle forze dell'ordine è cogliere l'errore di questi spacciatori per poterli incastrare e la leggerezza in cui comunemente essi incappano è quella delle conversazioni tra due interlocutori (spacciatore e acquirente) tramite chiamata telefonica. Qui entranoingiocoitutoridellalegge(carabinieri,polizia,finanza…),chetramite i loro mezzi di intercettazione riescono talvolta a bloccare i piani dellacriminalità.

Il primo a denunciare l'impiego di bambini nelle piazze di spaccio napoletane è stato il giornalista Giancarlo Siani, ucciso dalla camorra il 22 settembre 1985: proprio lui, nel suo ultimo articolo comparso sul Mattino, aveva raccontato di una nonna che utilizzava il nipotino per vendere l'eroina nel mercato clandestino. L'espressione “muschilli” si deve a lui, che ha presentato le drammatiche condizioni dei baby-corrieri, che passanolegiornateaconfezionarebustineinsiemeconilorofamiliari,invece di frequentare la scuola. E a quasi quarant'anni da quell'articolo, le cose non sembrano essere cambiate, visto che ancora i bambini vengono tristemente utilizzati come corrieridelladroga, allamercé di madri camorriste, padri latitanti, nonni criminali, parenti tutti impiegati a vari livelli nei sistemidinarcotrafficomessiinpiedidallecoschemalavitose. Davvero poco quello che si è riusciti a fare in meno di quarant'anni per arginare una delle espressioni più forti del degrado che accompagna le attività delinquenziali “Fight for children's rights network” è un'associazione che si occupa di consulenza e formazione sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, cittadinanza attiva e educazione digitale, da tempo impegnata contro il reclutamento di minori nella criminalità; il suo motto è «Combatti con noi per i diritti dell'infanzia». Vi aderiscono giuristi, educatori, ma anche studenti universitari, con il compito di edu-

care, di organizzare incontri utili ad incentivare il dialogo e la conoscenza tra i ragazzi. I suoi campi di intervento vanno dall'educazione alla legalità alla creazione di laboratori per approfondire la conoscenza della criminalità.

Non è facile innanzitutto accettare l'esistenza di certe realtà: sembra assurdo,eppurebambinidisoli8anni,abituatiadassisterealconfezionamento di palline di cocaina in una catena di montaggio familiare in cui tutta la parentela è coinvolta, sembra non abbiano che l'amaro destino di andare ad infittire la densa nuvola di “muschilli” creata dalla malavita. Sono i bimbi a rinunciare ad andare al parco a giocare con i loro coetanei? Sonolorocherinuncianoallascuola,adunavitaserena,adun'ordinarietà piatta, ma legale? O forse hanno avuto l'infausto destino di nascere in realtà in cui l'indipendenza economica si costruisce solo a suon di trasgressione? Purtroppo, quando l'esempio familiare ha questa caratteristica, è difficile far comprendere a chi in quel contesto ci è nato che quello è un modo sbagliato di affrontare la vita, dal momento che è l'unico che gli è stato presentato: se si nasce in un nucleo familiare in cui tutti sono coinvoltinellacriminalità,diventadifficileribellarsi…

La sorpresa ancora più dolorosa è che, leggendo un dossier pubblicato dall'associazione “Da Sud”, il fenomeno dei “muschilli” è ancora in ascesa: dal 1984 ad oggi si è passati dall'individuazione di 578 giovani spacciatori a più di 5.000 nelle sole zone di Catania e Palermo. L'allarme riguarda tuttoilSudItalia,vedendocoinvoltenumeroseperiferiesiciliane,pugliesi e campane. Bambini che vengono addestrati a fuggire davanti alle forze dell'ordine, educati all'uso delle armi, abili allo spaccio ed alla riscossione delpizzo:nonsitrattasoltantodimanovalanza,madiunitinerarioformativo che ben presto li vedrà a capo delle bande, alle dipendenze delle qualiadessositrovano.Esonospietati,ricorronofacilmenteallaviolenza, usano le armi in modo molto più spregiudicato di un adulto, pronti a far fuoco anche per motivifutili.Non mancano i fermi,o lerequisizionidi piccoli o grandi quantitativi di stupefacenti: poca roba per quello che questi bambinifarannoqualchegiornopiùtardi…

46
Nella pagina accanto, il dipinto realizzato da Alessia Luciani
Sviluppo Sostenibile Partnership Applicare l’agenda attraverso una partnership solida e globlae Proteggere le risorse naturali e il climadel nostro pianeta per il benessere delle generazioni future Pianeta Mettere fine alla povertà e alla fame in tutte le loro forme e assicurare dignità e uguaglianza Prosperità Assicurare uno stile di vita prospero e soddisfacentein armonia conla natura Pace Promuovere società pacifiche, giuste ed inclusive Persone www.liceorummo.edu.it Anno III - N° 3 - Maggio 2023 Classi III e IV - Sezione C Progetto di Educazione Civica LICEO SCIENTIFICO «G. RUMMO»
Santa Colomba n. 52
Email:
VIALIBERA PERCORSI ATTIVI DI EDUCAZIONE CIVICA
Via
82100 Benevento Telefono 0824 362718
bnps010006@istruzione.it PEC: bnps010006@pec.istruzione.it

Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.