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Una conversazione emozionale

di Gabriella Gagliardi

Incontriamo Kento in videoconferenza: non abbiamo avuto alcuna difficoltà a stabilire un contatto con lui, che si è reso immediatamente disponibile ad una conversazione con la nostra classe. Chiaro e diretto, come le sue canzoni, si intrattiene con noi, parlandocidelsuodelicatolavoro.

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Il dono di chi ogni giorno è al fianco dei ragazzi in carcere e li supporta cercando di farli uscire da quell'ottica distorta del funzionamento del mondo, è senza dubbio saper guardare OLTRE: oltre la rapina, l'aggressione, la rissa o, nel peggiore dei casi, l'omicidio. È capire cosa c'è davvero al di là di quell'ombra nera che ognuno si trascina dietro e pensa faccia parte della propriaanima.

Platone, nell'allegoria del mito della caverna, ci invita ad immaginare degli uomini che da sempre vivono incatenati in una caverna, possono guardare solodavantiasé,vedonosulfondo dellaspeloncadelleombreproiettate tramite statuette. I prigionieri credono che quella sia la realtà, la sola esistente. Uno di loro improvvisamente si libera dalle catene e comprende che quelle sono solo ombre e che la vita al di fuori della caverna è completamente diversa… Ecco di cosa bisognerebbe rendere coscienti i giovani detenuti: la loro vita è la vera prigionia e per questo NON può e non deve essere dietro delle sbarre, guardando cosa succede fuori, unicamente dallo spioncino della propria cella. Uscire dalla caverna significa rendersi conto che niente è perduto e che, anche se sembra che la vita abbia scelto per loro, che il destino sia l'omonimo di uno zio ormai in carcere da anni e anni, la rinascita è sempre possibile.

La tematica è delicata quanto mai, è difficile trovare le parole per affrontarla, eppure Kento, pseudonimo di Francesco Carlo, rapper italiano, è riuscito a raccontarci tramite un'intervista cosa significhi darvoce-nelsuocasoattraversolamusica-adeiragazzichepensavanodidoverstarezittipersempre.

Domanda-Lorosonodentro,ilproblemasiamonoifuori,chesignificatoassumequestafrasedettadaunocheappuntostafuori?

Kento - Le sbarre delle carceri minorili dove lavoro separano i ragazzi dallarealtàmaanchelarealtàdaloro;dovremmoperòrenderciconto che esistono e che stanno vivendo o hanno vissuto un'infanzia e un'adolescenza negata, molto distante dalla nostra. È possibile abbattere questo tipo di sbarra, io lo faccio con il rap ma anche un piccolo gesto, una lettera per esempio, significa tanto. Loro hanno il corpo incarcerato ma non la mente, la liberano con l'arte e ogni sua espressione; dovremmo fare lo stesso anche noi che troppo spesso ci creiamo delle gabbie mentali inutili. Per me è stato naturale approcciarmiaidetenutitramitelamusica,ilcarcerepuzzadirap,disudore e disinfettante: è il modo più immediato di comunicare il proprio stato d'animo. Quando parlo per esempio di Tupac - rapper rivoluzionario i cui testi sono innanzitutto una denuncia sociale - la rispostaèall'unisono:cheleggenda!

Domanda - Molti storcono il naso perché ritengono che le fiction, come la nota Mare Fuori, possano essere fonte d'ispirazione per ragazzi già vicini alla delinquenza, tu cometiponineiconfrontidiquestedinamiche?

Kento - La società cerca spesso un capro espiatorio: prima erano i videogiochi a incitare alla violenza, poi il rap e, adesso le serie tv, ma in realtà c'è molta più brutalità nei telegiornali e nella vita quotidiana. Bisognerebbe avere più fiducia nei ragazzi e metterli nelle condizioni di comprendere, pensare con la propria testa e giudicare criticamente sin da piccoli. Io non sono un grande fan della serie data lo scarso realismo, però ha il merito di far parlare dell'argomento e questa è una cosa indubbiamentepositiva.

Domanda - A volte ci si dimentica che i ragazzi in carcere non hanno avutonemmenobisognodiispirarsiaromanziofictionperchéavevano davanticasalelorofontidicrimine.

Kento - Esattamente, ragionando sui dati specifici sappiamo che in Italiacisonocirca15milaragazzichesonooggettodiprovvedimentopenale,il2oil3%finisceincarcere,larestantepartevienerieducatatramite misure alternative come la messa alla prova o l'inserimento in comunità. Ma allora chi rientra nella percentuale più bassa? Chi non ha una famiglia, una casa, i soldi per pagare un buon avvocato, non sa parlare italiano, leggere e scrivere… Dietro le sbarre non ci sono i più colpevoli ma coloro che non hanno avuto accesso a soluzioni meno gravi della prigione, è difficile quindi ignorare il classismo della società italiana. Io non ho mai incontrato un ragazzo che avesse una famiglia alle spalle cheloseguisse,figlidellastradacomespessosidice.

Domanda - Nel tuo album Sacco o Vanzetti c'è un pezzo che si chiama All'Orizzonte,ascoltandolosirimanecolpitidallalimpidezzaattraverso la quale ti esponi, in che modo i tuoi ragazzi riescono a capire che è un benetrovarelaforza-ancheconlamusica-diraccontarsi?

Kento - Onestamente questa è la parte più difficile del mio lavoro, i ragazzi non sono mai quelli che dicono, sono coloro a cui viene detto; il passaggio veramente duro è fargli capire l'importanza delle loro parole e che è un diritto poter esprimersi. Parliamo di chi forse ha messo la pennasuunfogliosoltantoperfirmareiverbalidegliordinidicattura,o che è analfabeta: questo non è un ostacolo, basta un buon cervello. In carcere magari proprio quelli che fanno i più duri scrivono delle cose incredibili, riescono a tirare fuori ciò che si è accumulato dentro di loro. C'èchiscriveunacanzonededicataallamamma,isuoicompagninonlo deridono ma lo incoraggiano, è questo il dono della musica: prende il mioelofadiventarenostro.

Domanda - Sei sempre riuscito a essere obiettivo nel tuo lavoro o ti è capitatodiesserecoinvoltonellevicendepersonalideiragazzi?

Kento - Una cosa che faccio sempre è evitare di chiedere ai ragazzi il reatopercuisonolìperduemotivi:perchéleorechepassiamoinsieme devono essere di svago, si parla di musica, non di magistrati e appelli, nonvoglioinoltreessereinfluenzato,iragazzidevonoesseretuttiuguali, a prescindere da ciò che hanno fatto. Vi faccio un esempio: mi trovavo al carcere minorile di Bari e mentre andavamo a registrare un pezzounragazzosierafermatoallafinestraafumare,rimproverandolo gli faccio buttare la sigaretta. Ho appreso dopo che era accusato di duplice omicidio, se io avessi saputo prima magari non mi sarei comportato così, per me l'antidoto è proprio non chiedere il loro illecito. Diverso è il discorso, se proviene dall'esigenza di volersi confidare comemiècapitatoaltrevolte.

Domanda-Tiispiriaun'artistainparticolare?Cosanepensidiqueirapper che presi dalla foga del successo hanno commesso crimini o si sono dedicatiadattivitàillegali?

Kento-Miispiroamoltiartisti,senzadubbioTupac,PrimoBrown,Deda dei Sangue Misto e della generazione più vicina, uno dei miei preferiti è Kendrick Lamar. Faccio molto il tifo per quei ragazzi che hanno avuto una vita difficile e adesso guadagnano da viversi con la musica e non con le rapine, vanno però supportati perché si trovano nel giro di poco tempo da avere niente, ad avere ciò che pensano sia tutto. Il mercato della musica al giorno d'oggi è instabile e non dà sicurezze. Mi è capitato di seguire un ragazzo che ha firmato il primo contratto per un singolo, non era una grande cifra l'anticipo però rappresentavano i primi soldi guadagnati onestamente. Ma molte volte non sono abituati a gestire queste dinamiche, ne è l'esempio questo ragazzo che li spese per un paio di occhiali da sole. I soldi facili vanno via subito, sono quelli sudati a dover essere custoditi ed è questo concetto che manca in loro; io gli dico sempre: non voglio che con il rap vi compriate la collana, bensì una casa, qualcosa di stabile e per arrivarci bisogna percorrere una strada lunga e difficile. Spesso i ragazzi vedono ciò che c'è in cima ma non il percorso per arrivarci, sono abituati alle copertine degli album con macchine di lusso e capi firmati, ma dietro c'è tanto. Per un rapper che ce l'ha fatta, ce ne sono 10 che non sono riusciti a emergere e realizzare il loro sogno. La vita di un'artista è spesso vista come una scatola da riempire e ciò porta o all'insoddisfazione di non esserci riuscitooanon saperechefarnediquelcontenuto,quimolticadono nella trappola dell'alcol e della droga. Ma io sostengo che quella scatola debba essere fatta esplodere in 1000 pezzi, è questo il mio augurio per tuttiiragazzieragazze.

Domanda - Quando noi valutiamo le storie di questi ragazzi, le studiamo nel loro complesso, non come singoli soggetti ma sappiamo, come già detto prima, quanti condizionamenti esterni hanno concorso allorodestino.Quandosonoincarceresentonolacolpacompletamente sudilorooriconosconolapresenzadialtrifattori?

Kento - Dipende molto dai casi: c'è chi mi ha detto: “sono nato spacciatore e morirò spacciatore” Il percorso di autocoscienza non finisce mai davvero, i ragazzi per tutta la loro vita detentiva si sentono dire di dover cambiare, ma forse non è il consiglio migliore. Io dico loro che possono migliorare sempre, sanno di aver compiuto dei reati, colpa per definizione vuol dire scelta e questi ragazzi hanno scelto il male. Che succede nel momento in cui viene a mancare la scelta? Non c'è colpa. Nel caso di ragazzi che non hanno mai vissuto in pianta stabile, spesso dormivano per strada, non sanno chi sia il proprio padre e hanno intorno esempi familiari per niente raccomandabili, come si fa a scegliere il bene. Il margine di scelta è davvero minimo, se non nullo. Ho conosciuto un ragazzo che conosceva cinque lingue, immaginate che prontezza e che intelligenza, era analfabeta in tutte e cinque. Come può essere sua la colpa? Spesso il carcere minorile deve educare i ragazzi alle prime volte, anche a prendersi cura della propria igiene. Non rieduca i ragazzi, questo presupporrebbeunprecedenteinserimentoedisinserimentonellavitacivile, fa quello che sarebbe dovuto essere appannaggio della famiglia e, in sua assenza delle istituzioni. Interfacciarsi con la questione della colpa e della responsabilità è davvero difficile, arriviamo alle grandi categorie filosofiche che non possono essere applicate se i soggetti hanno due braccia, due occhi, due gambe, un cuore e un cervello. Sui minori detenuti ci sono due teorie: la teoria del reinserimento sociale e quella della minore preferibilità, la prima sostiene che chi commette un reato lo fa perchéglièmancatoqualcosanellasuavita,bisognaquindirimetterloal passo con la società e dargli quel qualcosa in più. La seconda teoria si basa sul concetto che ilcarcere deve essere meno preferibileallalibertà, deve mancare di qualcosa. Ma, è difficileriuscire ad applicarlenellarealtà, sembrano contraddirsi senza trovare una soluzione. Quando si passa dalla teoria alla pratica, c'è bisogno di grande cautela perché le azioni, comeleparole,hannodavveroungrandepesosullavitadiquestiragazzi che si ritrovano appunto a vivere avendo scelto inconsapevolmente il male.

Domanda-Haiannunciatorecentementesuituoisocialchepresto,attraversounpodcast,parleraidell'Italianascosta,cosatihaspintoafarlo?

Kento - Nella mia vita, un po' insolita, ho la possibilità di viaggiare molto, ed è proprio questo che mi fa scoprire la parte del nostro paese nascosta agli occhi della società, quella della cultura e della contro-cultura, dei luoghi alternativi, dell'underground, street-art, break dance. Ho questa fortuna, non comune a tutti e sarebbe un peccato non poterla diffondere. Nella prima stagione del podcast, che consta di 18 puntate, sto avendo grosse difficoltà nel selezionare tra le tante cose nascoste ma così belle e interessanti.Sperochequestoprogettopossacontinuareneltempo.

Imprescindibile, a chiusura dell'intervista, è il commento all'articolo 27 della Costituzione, sul quale Kento ci ha invitato a riflettere, che recita: “La responsabilità penale è personale. L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazionedelcondannato.Nonèammessalapenadimorte.”

Questedisposizioni,giustissimeinmateriadilegge,risultanounpo'sterili nell'applicazione. Si può davvero parlare di responsabilità penale di un bambino che, quai sicuramente, non ne comprende neanche il significato? Nessuno glielo ha insegnato, non sa neanche cosa significhi avere una buona educazione, tendere alle buone azioni, imparare a contare con i regoli e non con i soldi delle rapine, come si può parlare di reinserimento se in realtà non c'è mai stata una prima volta? Per non parlare poi della necessità di sentirsi come gli altri e non gli ultimi tra gli ultimi e, purtroppo, non sempre escono dagli IPM con una dignità maggiore di quando vi sono entrati. Un ragazzo di 15 anni non può essere additato “finito”, non deve pensare che la sua esistenza sia segnata: è un cocktail esplosivo che trovasfogospessonell'autolesionismo.

Tutti noi abbiamo una grande responsabilità: far capire loro che nessuno è “scartato” dal grande progetto della vita, affinché non perdano la speranzadel“riscatto”.

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