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La galera: una tappa spesso messa in conto

di Federica Luciani

Vivere in un paese straniero è di per sé già molto complesso, ma mai quanto essere in un carcere di un paese che non si sente proprio. Mario Tagliani fa presente proprio questo nel suo libro Il maestro dentro «In qualsiasi prigione d'Europa si vada, si troverà sempre un rom», scrive Tagliani. I nomadi sono una popolazione che un tempo viveva di spettacoli, piccoli commerci di prodotti raccolti nei paesi di passaggio e compravendita di cavalli. Con il passare del tempo, le multinazionali hanno distrutto la possibilità di commerciare e i cavalli sono stati sostituiti dalle automobili. Di conseguenza si sono ritrovati senza un impiego. L'unica cosa rimasta ancora in loro possesso è l'abilità delle mani, con la quale ora si destreggiano in furti. Rubare per quei ragazzi non è visto come un reato, ma come una necessità. Per vivere questi giovani devono imparare ad essere scaltri. Da ciò consegue che la prigione diventa un luogo in cui è normale passare un periodo della propriavita.

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Famiglie, talvolta numerosissime, sopravvivono grazie ad una sola fonte di sostentamento, un solo “lavoro” che riesce comunque a sfamare tutti. Questa mentalità viene inculcata già da bimbi; proprio per questo motivo non hanno il tempo di ascoltare favole. Ciò, però, non toglie che questi ragazzi non vogliano ascoltarle anche una volta cresciuti; insistono, anzi, per farsele raccontare. In questo modo, forse, riusciranno a farle ascoltare anche ai loro figli, dato che molti sono già genitori, anche se hanno appena sedici o diciassette anni. Nel caso specifico delle ragazze, si può dire che la loro emancipazione avvenga proprio in carcere. Se, infatti, a casa non hanno tempo per dedicarsi a loro stesse, in istituti di correzione il tempo non manca di certo. Per questo motivo ragazzi e ragazze risultano essere partecipi alle lezioni. La loro visone del carcere assomiglia un po' alla nostra visione della scuola: un luogo dove obbligatoriamente bisogna andare, dove, però, allo stesso tempo si cresce anche dal punto di vista culturale. Questi alunni sono grandi fuori, ma dentro ancora bambini, forse perché non hanno mai avuto una vera infanzia e cercano disperatamente di recuperare il tempo perduto. Ma è davvero giusto allora gettare dietro le sbarre dei bimbi cresciuti troppo in fretta, che fanno ciò che fanno solo perché così è stato loro insegnato? Sicuramente la prima cosa da fare è far loro comprendere lagravitàdelleloroazioni,maprobabilmentelaprigionenonèlagiusta soluzione. Dopotutto i ragazzi rom non sono intimoriti o dissuasi dal commetteredeterminaticriminiperchérischianolagalera. Nonostante le difficoltà, bisogna continuare a lottare per l'integrazione diquestiragazzinellanostrasocietà.L'articolo3dellanostraCostituzione fa proprio appello al diritto che tutti hanno, indistintamente dal sesso, dalla razza o dalle proprie opinioni, di avere pari opportunità e di essere tutelati allo stesso modo davanti alla legge. Per far sì che ciò avvenga davvero non bisogna arrendersi, ma continuare a battersi per garantire anche ai più emarginati di reinserirsi nella società. Il cambiamento non deve, però, partire dalle prigioni: non sono le prigioni che devono diventare scuole, ma le scuole che da luoghi di detenzione devono passare ad essere luoghi di crescita personale. La prigione rappresenta la punizione da dare in caso di comportamenti errati, ma se si riuscisse a non far commettere più crimini ai ragazzi, tenendoli lontani dalla strada, allora sì che riusciremmo davvero a vincere.

I minori che finiscono in carcere subiscono le conseguenze del contesto in cui sono nati. Ricevono schiaffi ancora prima di nascere nelle pance delle loro madri,e in un mondo in cui la violenza è l'unico strumento per sopravvivere, non possono che adattarsi alle circostanze.

«Come giudice dei minori ero stato costretto a imparare che la vita non ha la pulizia di un teorema o la precisione di un codice. È obliqua, contraddittoria e, dietro ogni azione e ogni sentimento, si può nascondere più di una verità». È così che si potrebbe riassumere in estrema sintesi Liberi di scegliere, non solo un libro, ma come si ha il piacere di scoprire, una realtà concreta, un piano d'azione di grandissimo successo.

di Aldo Coletta e Biagio De Lucia

«La sua intera esistenza era trascorsa chiusa in un vicolo cieco, senza possibilitàdisceltaedifuturo.»

Non si può lasciare che un ragazzo vittima, più che colpevole, subisca la stessa condanna di altri. Per anni sono stati formati come strumenti,non comepersone.Nonsipuò lasciarecheadessereaccusatosialo strumentoenonilsuoideatore.

Ècosìcheil5novembredel2019vienesottoscrittodalMinisterodella Giustizia Liberi di scegliere, un protocollo d'intesa, ma, per meglio dire, d'azione, con il fine di assicurare un'alternativa di vita ai minorenni e ai loro familiari, che, pur provenendo da famiglie di stampo mafioso,nedisapprovanolelogichecriminali.

Un segno di rinascita, uno strumento concreto per liberare i ragazzi che il carcere non l'hanno mai temuto perché ci sono cresciuti dentro; un protocollo elastico, fruibile ed efficace, basato fondamentalmente solo su una cosa: la fiducia nell'umanità. Si tratta, infatti, di un allonta- namento temporaneo dalla propria casa, dalla propria famiglia, dalla propria regione, per iniziare a vivere al sicuro in nuove località; tutto il resto sta ai ragazzi, alla loro naturale inclinazione ad una vita serena e felice,lontanadapregiudizi,obblighiequestionid'onore. Criticato da molti per la severità dell'intervento che non costituisce unasoluzionedefinitivaalproblemaquantopiuttostounrimediopratico eprovvisorio,ilprotocollo ha comunque salvato giàdecinedi persone,figli,madri,vittimediuna'ndranghetaspietataeillogica.

«Ogni volta che guardo negli occhi i miei bambini e leggo la loro gioia nel trovarsi in questa città dove tutto li rende felici, il mio pensiero corredalei.Perquestononfiniròmaidiringraziarvi.»

Di certo abbandonare tutto e ricominciare a vivere da zero è difficile, masipuòdirechequestiragazziabbianomaivissutoveramente?

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